1
INTRODUZIONE
Il poemetto The Waste Land di Thomas S. Eliot – apparso per la prima volta nell’ottobre del
1922 sulla rivista trimestrale londinese «The Criterion», diretta dallo scrittore stesso, e il mese
successivo sulla rivista newyorkese «The Dial» – è considerato non solo come la sua opera poetica
principale, bensì come il testo più rivoluzionario del movimento modernista.
1
Il contesto culturale,
nel quale prese forma il poemetto, risentiva del grande fermento dei movimenti d’avanguardia
londinesi, anche se il centro del tumulto modernista fu, inizialmente, la Francia dove la modernità di
Baudelaire gettò le fondamenta del movimento simbolista.
Nella simbologia della desolazione, il poemetto traduce con singolare efficacia un personale
sentimento di angoscia in un mondo, come quello attuale, ormai privo di significati, dove trionfano
l’aridità dei cuori, la volgarità dei comportamenti, l’assenza di ideali e di valori.
La prima bozza del poemetto fu completata tra novembre del 1921 e gennaio del 1922,
periodo in cui il poeta si trovava presso una clinica di Losanna, per curarsi da uno stato di profonda
depressione, che lo stava affliggendo da più di un anno. Dopo esser stato dimesso, Thomas S. Eliot
si recò a Parigi e consegnò all’amico e connazionale Ezra Pound la versione embrionale del
poemetto – un corposo fascicolo di manoscritti e dattiloscritti – affinché egli potesse visionarlo.
Ezra Pound intervenne in modo massiccio sull’opera, rimodellandola e operando tagli notevoli. Il
risultato finale di tale intervento fu un poemetto di 433 versi diviso in 5 parti. L’elogio che Ezra
Pound ricevette dall’amico, per la sua opera di rifinitura, si tradusse in una dedica d’impronta
dantesca “il miglior fabbro”, epiteto che Dante fa pronunciare al poeta Guido Guinizzelli, nel verso
117 del XXVI canto del Purgatorio, per lodare le doti del trovatore provenzale Arnaut Daniel.
Descrivere in sintesi The Waste Land è un’impresa pressoché impossibile. Mario Praz lo
definisce un “poemetto oscuro a una prima lettura”,
2
che sembra rivelare le sue vere sembianze
grazie alle note che Thomas S. Eliot, spinto da esigenze prettamente editoriali, aggiunse al testo
quando fu pubblicato come volumetto nel dicembre del 1922 dall’editore americano Boni &
1
Cfr. M. Praz, Storia della letteratura inglese, Firenze, Sansoni, 1983, pp. 663-665.
Nella cultura angloamericana, il modernismo fu un movimento culturale che rivoluzionò tutte le arti del Novecento. Si
sviluppò tra il 1912 e la seconda guerra mondiale, in relazione alle avanguardie sorte in Gran Bretagna: dall’imagismo
di Ezra Pound, al vorticismo di Wyndham Lewis, allo sperimentalismo di James Joyce e alle opere letterarie di Thomas
S. Eliot e Virginia Woolf. Il modernismo non può definirsi un movimento unitario, poiché propone poetiche diverse, ciò
nonostante esso presenta alcune caratteristiche che lo rendono indubbiamente riconoscibile. La rapida
industrializzazione aveva prodotto una nuova percezione del mondo e della condizione umana; il metodo della
psicanalisi, introdotto da Sigmund Freud, aveva aperto le porte all’esplorazione del subconscio, mentre l’evoluzione
delle leggi della fisica avevano rivoluzionato i concetti del tempo e dello spazio. Con il progresso tecnologico (è l’epoca
dell’automobile, dell’aereo, del cinema, del telefono e della radio) abbiamo una nuova percezione della velocità, e il
modo di comunicare subisce una evoluzione su vasta scala. Siamo in presenza di un rapido cambiamento, con la
conseguente nascita di una nuova cultura che mette in crisi il sistema dei valori del positivismo ottocentesco.
2
Ivi, p. 675.
2
Liveright – nel settembre dell’anno successivo uscì anche la prima edizione inglese in volume
pubblicata dalla Hogarth Press di Virginia e Leonard Woolf.
Nella sua particolare visione poetica, quelle note, non erano assolutamente necessarie, per cui
egli quasi si pentì di averle fornite ai lettori, come ebbe modo di dire durante una conferenza
all’Università del Minnesota nel 1956:
Then, when it came to print The Waste Land as a little book […] it was discovered that the poem
was inconveniently short, so I set to work to expand the notes, in order to provide a few more pages
of printed matter, with the result that they became the remarkable exposition of bogus scholarship
that is still on view to-day. I have sometimes thought of getting rid of these notes; but now they can
never be unstuck. They have had almost greater popularity than the poem itself – anyone who
bought my book of poems, and found that the notes to The Waste Land were not in it, would
demand his money back.
3
Il poemetto è di ampio respiro letterario, in esso si trova sedimentata la vasta cultura di Thomas S.
Eliot, che fiorisce in citazioni e rimandi dalle epoche più disparate e dalle culture più diverse. Il
poeta cita Baudelaire, Shakespeare, Ovidio, le Upaniṣad (antichi testi filosofico-religiosi dell’India),
e si cimenta nei più disparati registri linguistici (versi lirici, sillabe scomposte, canzonette e mantra
orientali) tramite un continuo susseguirsi di associazioni di idee, che scaturiscono da punti di vista
molteplici. È un’opera che disorienta il lettore obbligandolo ad accantonare preconcetti, che
potrebbero impedire di cogliere l’intimo valore di quei messaggi, che l’autore vuole trasmettere con
immagini tanto nitide quanto disarmanti.
The Waste Land è stata oggetto, negli anni successivi, di un considerevole numero di studi, e
le molte traduzioni pubblicate, anche in lingua italiana, sono la prova della sua intramontabile
attualità e della sua capacità di rapire i lettori quasi dopo un secolo dalla sua prima apparizione. La
prima traduzione in italiano fu opera di Mario Praz,
4
alla quale seguono le traduzioni di: Luigi
Berti,
5
Roberto Sanesi,
6
Elio Chinol,
7
Alessandro Serpieri,
8
Angelo Tonelli,
9
Angiolo Bandinelli,
10
3
T. S. Eliot, The Frontiers of Criticism, in “On Poetry and Poets”, London, Faber & Faber, 1957, pp. 109-110; trad. it.
di A. Giuliani, T. S. Eliot, Le frontiere della critica, in “Sulla poesia e sui poeti”, Milano, Bompiani, 1960, p. 121;
“Successivamente, dovendosi pubblicare in volume La terra desolata […] si scoprì che la poesia era sconvenientemente
corta; così allo scopo di dare alle stampe qualche pagina di più, mi posi al lavoro per stendere le note, col risultato che
esse divennero la cospicua esposizione di una spuria dottrina a cui ancor oggi si dà credito. Talvolta ho pensato di
sbarazzarmene: ma oggi non si possono più strappare dal testo. Son divenute quasi più popolari dello stesso poemetto;
chi acquistasse il mio libro di poesie e s’accorgesse che non ci sono le note a La terra desolata, vorrebbe indietro i suoi
soldi.”
4
Mario Praz pubblica la sua prima traduzione de La terra desolata sulla rivista letteraria «Circoli», II (1932), 4.
Successivamente il testo appare in nuove edizioni unitamente ad altre poesie: T. S. Eliot, La terra desolata, Frammento
di un agone, Marcia trionfale, Firenze, Fussi, 1949 e Torino, Einaudi, 1965.
5
T. S. Eliot, Poesie, trad. it. di L. Berti, Parma, Guanda, 1955.
6
T. S. Eliot, Poesie, prefazione e trad. it. di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 1961.
3
Giuseppe Massara,
11
Erminia Passannanti
12
e Aimara Garlaschelli;
13
per completezza
d’informazione altre due traduzioni sono state pubblicate durante la stesura di questa ricerca.
14
Un numero considerevole di traduzioni, anche ravvicinate nel tempo, dà certamente da
pensare; vale la pena, dunque, cercare una risposta al perché una certa opera attragga l’interesse dei
traduttori, e implicitamente dei lettori, tanto da giustificarne le numerose versioni.
Il fatto che le traduzioni invecchino è sicuramene un dato di fatto, per cui dopo un certo
numero di anni si rende necessario rivedere e riformulare quelle traduzioni opacizzate dalla patina
del tempo, che possono aver perso la loro efficacia comunicativa. La naturale evoluzione del
linguaggio, l’arricchimento semantico di una lingua e l’acquisizione di nuovi lessemi, sono
circostanze che spingono i traduttori a confrontarsi ripetutamente con le opere, che non sono entità
statiche, ma dinamiche e quindi suscettibili di continue modificazioni. Ogni parola porta con sé un
fardello di sensi e sfumature che si trasformano col passare del tempo, per cui il traduttore si trova
sempre a dover fare delle scelte, e ogni scelta porta a una serie di rinunce o di azzardi di cui bisogna
essere consapevoli.
Lo scopo di questo studio è l’analisi della traduzione di Aimara Garlaschelli, messa a
confronto, nei punti più salienti, con la prima traduzione italiana ad opera di Mario Praz apparsa nel
1932 sulla rivista di poesia «Circoli». Lo studio è incentrato sull’analisi del testo poetico e le sue
particolarità estetiche, stilistiche e i criteri adottati dai due traduttori nella ricreazione del messaggio
poetico.
Il problema della traducibilità della poesia è stato a lungo discusso, soprattutto in relazione ai
concetti di fedeltà ed equivalenza. Anche se dovremo fare riferimento ad alcune delle più affermate
teorie della storia della traduzione e teorie sulla traduzione del testo poetico, dovremo constatare la
difficoltà di inquadrare la traduzione poetica secondo rigide norme o precetti. Non esiste la
traduzione perfetta o ideale, come non esistono norme di tipo assoluto alle quali il traduttore debba
attenersi; il rapporto sinergico che lega il linguaggio all’individuo e alla società risente
inevitabilmente di una cultura in continuo mutamento. Occorre però mettere in conto che la
traduzione, e in modo particolare quella poetica, nonostante l’abilità e l’impegno artistico del
traduttore, può comportare un’alterazione di significato, dovuto in primis alla complessità delle
7
T. S. Eliot, La terra desolata, trad. it. di E. Chinol, con 11 disegni di Ernesto Treccani, Ravenna, Loperfido, 1972.
8
T. S. Eliot, La terra desolata, introduzione e trad. it. di A. Serpieri, Milano, BUR, 1985.
9
T. S. Eliot, La terra desolata, trad. it. di A. Tonelli, Milano, Feltrinelli, 1995.
10
T. S. Eliot, Il paese guasto (La terra desolata), trad. it. di A. Bandinelli, Milano, Millelire, 1995.
11
T. S. Eliot, La terra desolata, a cura di G. Massara, Brescia, l’Obliquo, 2002.
12
T. S. Eliot, La terra desolata, trad. it. di E. Passannanti, Oxford, Mask Press, 2011.
13
T. S. Eliot, La terra desolata, trad. it. di A. Garlaschelli, Pisa, Edizioni ETS, 2018.
14
T. S. Eliot, La terra desolata, trad. it. di M. Belelli, Milano, Santelli, 2019; T. S. Eliot, La terra devastata, trad. it. di
C. Gallo, Milano, Il Saggiatore, 2021.
4
relazioni che si instaurano tra significante e significato. Se vogliamo individuare come compito
primario del traduttore quello di preservare il senso generale del messaggio e di conservare il più
possibile le particolarità linguistiche dell’opera, sarà necessario studiare il testo, far emergere le
caratteristiche stilistiche e le sue strutture linguistiche più che affidarsi a norme di carattere
generale.
Il primo capitolo di questo studio è dedicato all’impalcatura simbolica che costituisce la
struttura del poemetto, nonché all’analisi dei punti centrali della poetica di Thomas S. Eliot al fine
di comprendere le dinamiche culturali e le convinzioni poetiche dell’autore, che ne hanno
determinata la genesi. Sia per le premesse tematiche che per la ricca simbologia del poemetto,
Thomas S. Eliot ammette di essere debitore verso l’opera di Jessie L. Weston, From Ritual to
Romance, e anche verso alcune parti del poderoso studio di James G. Frazer, The Golden Bough.
Ma se l’opera di James G. Frazer aveva gettato le basi di uno studio antropologico delle culture
primitive e delle loro correlazioni all’insegna della teoria evoluzionistica della storia, Jessie L.
Weston aveva dimostrato l’esistenza di un nesso tra gli antichi riti di vegetazione del mondo
precristiano e le leggende del mondo cristiano medievale sul Santo Graal, e come quegli schemi
antropologici e mitici, seppur trasformati con l’evolversi della storia, erano stati tramandati da una
cultura all’altra.
Questa geniale intuizione di Jessie L. Weston folgora letteralmente la mente di Thomas S.
Eliot tanto da gettare le basi di quel “metodo mitico”, che verrà utilizzato anche da James Joyce ed
Ezra Pound, per creare quel ponte tra mondo antico e mondo moderno e mettere ordine in quel caos
che caratterizza la contemporaneità. In questo capitolo sono stati toccati anche alcuni punti chiave
della poetica di Thomas S. Eliot, per meglio comprendere le dinamiche che articolano l’opera.
Grazie alla lezione dei simbolisti Thomas S. Eliot formula il concetto di “correlativo oggettivo”,
uno strumento poetico che lo lega a quella stessa oggettività che dà spessore ai personaggi e rende
tangibili le allegorie di Dante. La sua teoria del “correlativo oggettivo” si ricollega alla sua
concezione dell’arte impersonale, perché l’arte non deve essere un mezzo atto a trasmettere
esperienze soggettive, ma universali.
Il secondo capitolo è, invece, dedicato al concetto di traduzione e alla formulazione di vari
modelli teorici. Al fine dell’analisi della prima traduzione del poemetto eliotiano, apparso in Italia
negli anni Trenta, particolare attenzione è stata dedicata al concetto di traduzione letteraria nel
panorama italiano del primo Novecento, con la posizione di Benedetto Croce sulla intraducibilità
della poesia, in contrapposizione con altre correnti di pensiero che vedono come esponenti Piero
Gobetti e Giovanni Gentile. Negli anni Trenta l’Italia fu il paese europeo che pubblicò il maggior
numero di traduzioni; nonostante fossimo in pieno fascismo, con l’idea imperante di imporre
5
l’egemonia culturale italiana non soltanto nel nostro paese, ma anche fuori dai suoi confini, le
traduzioni non venivano censurate, anzi ne venivano pubblicate molte. La censura iniziò nel 1938, e
non tanto per motivi culturali bensì razziali, con l’introduzione delle leggi antisemite.
Alla fine degli anni ’50 Roman Jakobson imprime una svolta netta agli studi sulla traduzione,
teorizzando i sei fattori della comunicazione verbale e le relative funzioni applicabili al processo
traduttivo. Roman Jakobson ha inoltre individuato un altro concetto fondamentale per la scienza
della traduzione: il concetto di dominante, che, in altri termini, è la colonna portante dell’opera
d’arte, governa le altre componenti e garantisce l’integrità della struttura.
Per ciò che concerne la traduzione del testo poetico, la maggiore difficoltà è dovuta alla
presenza di un linguaggio polisemico, nel quale ogni elemento contiene in sé delle connotazioni non
facilmente trasferibili. Un enorme contributo in tal senso è stato dato dalla poetica del tradurre
formulata dal linguista francese Henri Meschonnic, sviluppata all’interno di un lavoro di ricerca,
che lo ha condotto all’individuazione e alla comprensione del concetto di ritmo. Gli aspetti
funzionali della teoria del ritmo ci aiuteranno a comprendere e valutare alcune scelte traduttive che
sono oggetto della nostra ricerca.
Infine sono state evidenziate alcune posizioni teoriche sulla traduzione poetica. Il testo
poetico, proprio per sua natura, è da considerarsi polivalente proprio in virtù delle dinamiche che
sorgono tra contenuto e forma, senso e suono; in altre parole esso è stato creato per quel particolare
contenuto. Quando la forza che unisce contenuto ed espressione viene e mancare, nel caso specifico
della traduzione, i mutamenti sono inevitabili, per cui la questione della traduzione deve tenere
conto dei costi e delle perdite. Nonostante le varie linee di pensiero, non esistono norme precise che
governano la traduzione poetica; il testo poetico può essere reso in base alla sensibilità e formazione
culturale del traduttore, che nel rispetto dell’originale può decidere come interpretare il significato
del testo trovando personali soluzioni ai vari problemi che la traduzione presenta.
Nel terzo capitolo è stata presentata la struttura del poemetto, la particolarità del vers libre
eliotiano e la nozione di musicalità del verso riferita al suono della parola evocata. Tali nozioni
sono di grande rilevanza per l’analisi della traduzione in italiano del poemetto. Il punto iniziale di
osservazione sarà la traduzione di Aimara Garlaschelli, del tutto innovativa in alcune parti e
caratterizzata da scelte semantiche particolari mirate a conservare quel senso originario contenuto
nell’opera, per poi volgere lo sguardo alla prima traduzione del poemetto a cura di Mario Praz e
coglierne le sostanziali divergenze dal punto di vista sia semantico che sintattico.
Le due versioni sono separate da un arco di temporale di ben ottantasei anni, e come osserva
Bruno Osimo la traduzione di un’opera ha di solito una precisa collocazione nello spazio e nel
tempo, per cui le scelte dei vari tipi di approccio sono dettate, oltre che dalla personale sensibilità
6
degli autori delle traduzioni, anche dalle tendenze teorico-letterarie che caratterizzano certi periodi
storici. Per questa ragione è di grande importanza prendere in considerazione e comparare le
traduzioni dal punto di vista diacronico, per comprendere come quel particolare testo si è legato alla
cultura e alla storia della lingua di arrivo. Ogni singola traduzione rappresenta, infatti, un diverso
atteggiamento culturale e mentale del traduttore nell’interpretare il significato del testo, nonché una
preziosa fonte per osservare le diverse soluzioni di problemi di traduzione.
15
Per avere un riferimento visivo immediato sono state proposte le varie sezioni del testo
originale in lingua inglese, seguite dalle traduzioni di Aimara Garlaschelli e Mario Praz a fronte.
15
Cfr. B. Osimo, Storia della traduzione, Milano, Hoepli, 2017, pp. 6-8.
7
CAPITOLO 1
1.1 La simbologia di The Waste Land
Il titolo e la complessa simbologia presenti nel poemetto scaturiscono dalla lettura di due studi
che ebbero una notevole risonanza all’epoca e che l’autore stesso indica, nelle sue note, come reali
fonti d’ispirazione: From Ritual to Romance di Jessie L. Weston e The Golden Bough di James G.
Frazer;
16
opere che necessariamente occorre conoscere per comprendere appieno la complessa
struttura del poemetto, a partire dal titolo stesso.
Nella prefazione del suo libro, la medievista e filologa, Jessie L. Weston esprime un
significativo riconoscimento a The Golden Bough di James G. Frazer, il monumentale studio
antropologico sulla magia, la religione e gli antichi riti di fertilità nel bacino mediterraneo
precristiano, che ha segnato un’epoca per le riflessioni sulla natura dell’uomo e delle sue origini.
Pubblicato inizialmente nel 1890 e poi ampliato fino alla stesura definitiva del 1915, offrì alla
stessa Jessie L. Weston materiale prezioso per le sue ricerche, rafforzando la sua convinzione
dell’esistenza di un nesso inequivocabile tra certi elementi della storia del Graal e gli antichi riti
della vegetazione e della fertilità. Come aveva già osservato James G. Frazer, la specie umana
aveva sviluppato, tramite l’osservazione della vita della natura, una serie di riti magici i cui effetti
benefici avrebbero migliorato la loro vita: piogge abbondanti, buoni raccolti e animali fecondi.
Nella cultura di queste popolazioni antiche, la vita vegetale e quella animale erano strettamente
legate da un rapporto sinergico, per cui il principio della vita e della fertilità era uno e indivisibile.
17
Su queste premesse si basa lo studio della leggenda cristiano-cavalleresca della ricerca del
Santo Graal di Jessie L. Weston, pubblicato nel 1920. La studiosa fornisce un’interpretazione
completamente inedita della simbologia di questa leggenda, mettendo in luce una nutrita serie di
connessioni tra il cristianesimo e i riti pagani di fertilità delle antiche comunità agricole e delle tribù
arie, dimostrando così come certi schemi antropologici e rituali, pur subendo trasformazioni col
trascorrere dei secoli, si fossero tramandati da una cultura all’altra.
18
Culti misterici e cristianesimo sembrano, dunque, incontrarsi nella tradizione del Graal e nella
leggenda di un popolo la cui prosperità è intimamente legata alla vitalità del proprio re. Appare nel
ciclo arturiano il Re Pescatore, ultimo discendente della stirpe dei Re del Graal, custodi della
preziosa reliquia. È un re ferito o forse sterile, la cui malattia si ripercuote sui propri sudditi e sul
16
Cfr. T. S. Eliot, Notes on the Waste Land, in “The Waste Land and other poems”, London, Faber & Faber, 1972, p.
40.
17
Cfr. J. G. Frazer, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, trad. it. di L. de Bosis, Torino, Bollati Boringhieri,
2012, pp. 388-389.
18
Cfr. J. L. Weston, Indagine sul Santo Graal, trad. it di L. F. Ferri, Palermo, Sellerio, 1995, pp. 23-32.