6
mistero. Un enigma irresolubile in quanto è enigma poetico. E come diceva Franz
Kafka, la poesia ha, e deve avere, un significato e tutti i significati possibili per
rimanere tale. Lo smarrimento ermeneutico che normalmente colpisce lo spettatore
durante e dopo la visione di un film di Kubrick, è dunque ascrivibile sia alla normale
inadeguatezza delle categorie di analisi proprie di uno spettatore medio rispetto alla
modernità mascherata da classicità che caratterizza l’Opera del regista, sia alla
condizione di “effetto poetico” propria di questa, che Umberto Eco definisce “la
capacità, che un testo esibisce, di generare letture sempre diverse, senza consumarsi
mai del tutto
3
”. E condividiamo allora la grande intuizione di Ghezzi
4
che,
all’indomani della morte del regista, esprimeva il bisogno di “desiderare il cinema di
Kubrick (…). De-siderarlo letteralmente. Strapparlo al firmamento di stelle fisse del
cinema (Fellini Kurosawa Bresson…), renderlo all’incertezza irruente e proterva del
godimento”. Ovvero riportare il mistero poetico insito in ogni film a quella Paura e
desiderio che è il titolo del primo lungometraggio del regista. Paura di sciogliere
l’enigma, e desiderio di farlo. Già un primo ossimoro che si pone davanti ai nostri
occhi, cui succederanno molti altri. Una contraddizione doppiamente irresolubile, in
quanto la paura ci farà sempre capitolare di fronte all’enigma, ed il desiderio resterà
sempre desiderio desiderato. Ma mai realizzato. Sorgerà allora spontanea la
domanda: si può parlare di Kubrick? E perché scegliere proprio di studiare uno dei
suoi film più enigmatici? Il nostro lavoro si muoverà lungo questo percorso difficile
e spesso ostile con il gusto della sfida. Che è intanto quella di studiare The Shining
mostrando come tutto nel film conduca verso il mistero, che è poi soprattutto un
enigma spazio-temporale, ma senza cercare di risolvere il mistero stesso. La seconda
sfida che accettiamo, è quella di parlare di cinema, con tutta la consapevolezza della
difficoltà di un approccio verbale ad un’arte visiva e, specialmente in Kubrick
5
, solo
in un secondo piano verbale, ma anche con tutta la certezza della necessità di analisi
che la materia stessa reclama. E ci inoltriamo lungo questo cammino forti delle
parole del regista che, nel 1997, per ringraziare la Director’s Guide of America di
avergli assegnato il premio D.W.Griffith, inviò un discorso videoregistrato dove
rassomigliandoli affatto, riuscì ad ingannare attori e critici. Fu smascherato da un articolo di "Vanity
Fair" ed ammise la propria sconfitta in televisione
3
citato da S.Bassetti, La musica secondo Kubrick, Lindau Torino 2002, p.13
4
E.Ghezzi, in (cura di) L.Sogni/L.Brivio, Stanley Kubrick, Dino Audino Editore Roma 1999, p.94
5
cfr. M.Ciment, Kubrick, Rizzoli Milano 1999, p.7
7
paragonava la carriera di Griffith al mito di Icaro. E dove diceva “Non sono mai stato
sicuro che la morale della storia di Icaro dovesse essere: non tentare di volare troppo
alto” ma “dimentica la cera e le piume, e costruisci ali più solide
6
”. Le stesse che ci
occorreranno per viaggiare al di sopra della materia kubrickiana senza essere bruciati
dallo shining dei raggi del sole.
6
S.Kubrick, in (cura di) L.Sogni/L.Brivio, op.cit., p.91
8
Cinque anni per un capolavoro
“In un certo senso tutte le scene al cinema sono già state realizzate.
Il nostro compito sarà semplicemente quello di realizzarle un po’ meglio”
Stanley Kubrick a Jack Nicholson
7
The Shining esce in anteprima in alcune sale cinematografiche degli Stati Uniti il
23 maggio del 1980, per poi "esplodere" nei cinema degli Stati Uniti e del Canada il
13 giugno. Cinque anni dopo Barry Lyndon (1975), che era stato un flop al
botteghino, incassando nel mercato interno statunitense 9,5 milioni di dollari, molto
meno dei 30 milioni che servivano alla Warner per iniziare a trarne dei profitti. Il
film aveva ottenuto ben sette candidature all’Oscar nelle principali categorie, tra cui
quelle per miglior film e regia, ma vinse "solamente" quelli per la fotografia,
scenografia, costumi e musica. In questo modo Kubrick ebbe di nuovo negata una
gratificazione personale importante, soprattutto dopo un film di così grande impegno
intellettuale e tecnico. Salvo alcune significative eccezioni, la critica non apprezzò il
suo ultimo lavoro. E questo fu sicuramente un duro colpo per il regista, che aveva
contato molto su Barry Lyndon, che oltretutto raccoglieva (e portava sullo schermo)
i cocci del suo Napoleone, l’opera mai realizzata, e dunque la più densa di significati.
Questo perché i progetti irrealizzati dei grandi autori -e basti ricordare Il viaggio di
G. Mastorna di Federico Fellini, Harry Dickson di Alain Resnais, A la recherche du
temps perdu di Joseph Losey e Heart of darkness di Orson Welles- necessariamente
non sono mai abbandonati del tutto, ma riversati in dosi più o meno massicce nelle
opere attuate, e finiscono per essere conseguentemente dei serbatoi di temi e di idee.
Nello scarto temporale che separa Barry Lyndon da The Shining occorsero eventi di
estrema importanza, in quanto furono proprio quegli accadimenti a determinare la
scelta del nuovo soggetto ed il particolarissimo stile con il quale questo sarebbe stato
realizzato. Nel 1974 fu inviata a Stanley Kubrick da Ed Di Giulio, lo stesso
ingegnere
californiano che aveva reso possibile le riprese a lume di candela in Barry Lyndon
adattando alle potentissime lenti Zeiss 50 mm una macchina da presa Arriflex, un
7
cfr.M.Ciment, op.cit., p.30
9
filmato in 35 mm dimostrativo di una nuova invenzione realizzata da Garret Brown,
la Steadicam. Questa era una “cinepresa dotata di ammortizzatore giroscopico con
una bardatura che permetteva all’operatore di camminare, correre e persino di salire
le scale continuando a mantenere un’immagine stabile
8
”, ed avrebbe assunto in The
Shining una valenza stilistica fondamentale. In realtà il film di Kubrick non è il
primo ad utilizzare la Steadicam, che troviamo già in alcune scene di Thunderbolt
and Lightfoot (1974) di Michael Cimino, di Marathon Man (1976) di John
Schlesinger, di Rocky (1976) di John G. Avildsen, e di Bound for Glory (1976) di
Hal Ashby. The Shining è il primo film che fa dell’invenzione di Brown la propria
cifra stilistica, e che quindi viene ideato, progettato e girato in modo da poter
sfruttare sempre al massimo le capacità della nuova realizzazione. E,
contemporaneamente, The Shining è il primo film che dota la Steadicam di un valore
simbolico aggiunto, in quanto questa diviene lo sguardo onnipotente dell’Overlook
Hotel. Kubrick fu subito entusiasta del “misterioso stabilizzatore a mano”, e
tempestivamente inviò a Di Giulio un telegramma che sarà utile riportare per intero:
Il Nastro Demo Sul Misterioso Stabilizzatore A Mano E’ Spettacolare E Puoi
Contare Su Di Me Come Cliente. Dovrebbe Rivoluzionare Il Modo In Cui
Vengono Girati I Film. Se Davvero Vuoi Proteggere Il Progetto Prima Di
Averne La Piena Paternità, Allora Ti Suggerisco Di Tagliare Dal Nastro Le
Due Volte In Cui L’Ombra A Terra Offre All’Esperto Analista Fotografico Del
Controspionaggio Una Rappresentazione Abbastanza Chiara Di Un Uomo Che
Tiene Un’Estremità Con Una Mano Con Qualcos’Altro Al Fondo
Dell’Estremità Che Sembra Muoversi Molto Lentamente. Ma Le Mie Labbra
Sono Sigillate. Una Domanda. Esiste Un’Altezza Minima A Cui Si Può
Usare?
9
Al di là del fatto che in realtà nella Steadicam non ci sono parti in movimento, la
capacità di osservazione di Kubrick è indubbia, e la domanda posta alla fine del testo
è già viatorio verso la celeberrima scena di Danny sul triciclo seguito (ed inseguito)
8
J.Baxter, Stanley Kubrick- la biografia, Lindau Torino 1999, p.354
9
Ibidem, p.354
10
dalla macchina da presa. Naturalmente il regista non si accontenterà di un operatore
qualsiasi, ma vorrà lo stesso Garret Brown a muovere la Steadicam. L’inventore e la
sua invenzione.
Intanto il regista riceveva quotidianamente romanzi e racconti, che egli leggeva
nella ricerca di un nuovo soggetto da realizzare. Tra questi c’era anche Super Toys
Last All Summer Long scritto da Brian Aldiss nel 1969, che resterà un altro dei suoi
progetti incompiuti, attuato poi nel 2001 da Steven Spielberg, su “elezione”di
Kubrick, dopo la morte di questo.
Ma era con Stephen King (un altro S.K.) che doveva avvenire l’incontro decisivo, e
con un genere cinematografico ben preciso, l’horror. Il cinema dell’orrore aveva
avuto una vera e propria rinascita negli anni’70. La Warner aveva offerto a Kubrick
la regia di The Exorcist (1973), diretto poi da William Friedkin, uno degli horror di
maggior successo di tutta la storia del cinema. Nuovamente la casa di produzione
propose al regista di dirigere Exorcist II: The Heretic, che Kubrick astutamente
rifiutò, ed infatti il film, diretto nel 1977 da John Boorman fu un clamoroso
insuccesso commerciale, pur essendo interessante. Ciò nonostante, l’idea di
realizzare “il film più pauroso della storia
10
” continuava ad allettarlo. Questo almeno
per due ragioni. La prima, più personale, era la possibilità di dissezionare
nuovamente un genere, per sottoporlo ad una originale disamina, evidenziandone e
tradendone i principali cliché. La seconda, più evidente, era l’occasione di realizzare
quel successo commerciale che Barry Lyndon gli aveva precluso. Nel 1977 ricevette
da John Calley, per conto della Warner, le bozze di stampa di The Shining, che era
l’opera più ambiziosa di King pubblicata fino ad allora. Lo scrittore americano aveva
infatti dato alle stampe solamente tre libri: Carrie, da cui Brian De Palma aveva
tratto un buon film, Carrie, nel 1976; Salem’s Lost, la cui versione cinematografica,
diretta da Tobe Hooper, uscì nel 1979, durante la lavorazione
del film di Kubrick e, con lo pseudonimo di Richard Bachman, The Long Walk.
Kubrick lesse il romanzo e ne fu entusiasta. Come disse in un’intervista a Michel
Ciment “Mi sembrò una delle più ingegnose ed emozionanti storie del genere che
avessi mai letto
11
”.
10
J.Baxter, op.cit, p.354
11
M.Ciment, op.cit., p.185
11
Il contratto stipulato tra King e la Warner per la cessione dei diritti stabiliva che lo
scrittore avrebbe avuto la facoltà di scrivere una prima versione della sceneggiatura.
Ma il suo punto di vista era troppo lontano rispetto a quello di Kubrick: per King la
vicenda andava semplicemente letta come la lotta di un gruppo di innocenti contro le
forze del male che abitavano un hotel stregato. Il regista, invece, era principalmente
interessato alla sottile ambiguità che reggeva il romanzo: “Pareva che contenesse un
equilibrio straordinario tra l’elemento psicologico e quello soprannaturale, costruito
in modo tale da farci pensare che il soprannaturale sarebbe stato spiegato alla fine
dall’elemento psicologico
12
”.Questa diversa forma mentis, insieme a tutta un’altra
serie di divergenze, determinarono l’impossibilità di una collaborazione tra i due
autori. King parlò spesso male del film, accusando Kubrick di aver trasformato il
romanzo in una “tragedia domestica” in cui ogni cosa “urla giustizia dall’inizio alla
fine
13
”, e di non aver minimamente compreso le regole dell’horror.
Kubrick incominciò allora la sua collaborazione con Diane Johnson, autrice di
romanzi (tra cui The Shadow Knows, del 1974, che il regista aveva letto ed
apprezzato), critica della New York Review of Book, e titolare di un corso sul
romanzo gotico all’università di Berkeley. I due si incontrarono più volte durante il
1977, parlando dei più diversi argomenti letterari, prima di iniziare a lavorare alla
sceneggiatura di The Shining.
Intanto si andava definendo il cast del film. Il regista non ebbe mai dubbi sulla scelta
di Jack Nicholson per interpretare la parte di Jack Torrance. I due si conoscevano già
da tempo, in quanto all’inizio degli anni Settanta, dopo averlo visto in Easy Rider
(1969),
Kubrick aveva pensato a Nicholson per il ruolo di Napoleone, ed i due ne avevano
parlato a lungo prima che il progetto naufragasse del tutto, continuando poi a
mantenere i contatti. Il Nicholson del 1977 era molto diverso da quello del 1969.
Aveva interpretato
film molto importanti: Chinatown (1974), diretto da Roman Polanski, Professione
reporter (1975), di Michelangelo Antonioni, One Flew Over the Cuckoo’s Nest
(1975) di Milos Forman, per il quale aveva vinto l’Oscar come miglior attore
12
Ibidem, p.185
13
J.Baxter, op.cit., p.366
12
protagonista, The Missouri Breaks (1976) di Arthur Penn, The Last Tycoon (1976) di
Elia Kazan. Aveva anche diretto due film da regista, tra cui l’interessante Goin’South
(1978), che finì di doppiare durante la lavorazione di The Shining e che sarebbe stato
un fiasco al botteghino. La sua burrascosa relazione con Anjelica Huston era in fase
di rottura. Le sue feste a base di droghe leggere erano famose in tutta Hollywood.
C’era stato lo scandalo Polanski, avvenuto nella casa di Mulholland Drive che
Nicholson aveva prestato al regista. Da poco erano state pubblicate notizie sulla sua
travagliata infanzia. Tutto questo andava certamente a favore di una interpretazione
memorabile, anche per l’estrema prossimità tra alcune situazioni del film ed alcuni
episodi della vita dell'attore. Di lui Kubrick avrebbe detto: “Jack è uno dei migliori
attori di Hollywood (…) credo proprio che per i ruoli che gli sono congeniali si trovi
al primo posto di quella ipotetica graduatoria che tutti hanno in mente (…) è
particolarmente adatto per quei ruoli che richiedono dell’intelligenza (…) in Shining
sembra proprio uno scrittore, fallito o meno
14
”.
Per la parte di Wendy Torrance il regista scelse Shelley Duvall, texana, attrice-
icona del cinema di Robert Altman, per il quale aveva interpretato Brewster
McCloud (1970), McCabe and Mrs. Miller (1971), Thieves Like Us (1974), ed i
fondamentali Nashville (1975) e 3 Women (1977), oltre ad aver recitato in un piccolo
cammeo in Annie Hall (1977) di Woody Allen. Sotto alcuni aspetti, il ruolo della
Duvall in The Shining somiglia molto a quello interpretato in 3 Women. In entrambi i
film l’attrice interpreta infatti una donna banale e sbadata. Durante le riprese i dubbi
erano forti anche per lei, che rivelò in una intervista a Ciment: “Mi chiedevo perché
mai Kubrick avesse chiamato me per rifare ciò che avevo già fatto
15
”. In realtà il
risultato finale è totalmente diverso, grazie anche ai molti conflitti che si
verificarono sul set tra l’attrice ed il regista, di cui ci possiamo fare un’idea
visionando il documentario Making the Shining realizzato da Vivian Kubrick, figlia
di Stanley, durante le riprese del film. Tensioni che in gran parte furono astutamente
provocate e mantenute accese da Kubrick per ottenere una interpretazione altrimenti
impensabile. In questo senso ci sentiamo di discordare con Baxter, che nella sua
biografia su Stanley Kubrick parla dell’interpretazione di Shelley Duvall come “una
14
J.Baxter,op.cit., p.193
15
Ibidem, p.305
13
performance in gran parte poco convincente
16
”. La realtà è che Kubrick sceglie di
effettuare una variatio rispetto al personaggio di Wendy nel romanzo, rendendo la
moglie di Jack meno attraente e fiduciosa in se stessa di quanto non fosse nel libro di
King. Una donna che nel film appare spesso irritante. Questo anche per spiegare le
ragioni della devozione ancora intatta nei confronti del marito, ma anche per creare
un alibi attenuante nel pubblico che si fosse trovato a parteggiare per Jack. In poche
parole, Wendy doveva suscitare più antipatia che compassione.
Leon Vitali, che aveva interpretato Lord Bullingdon in Barry Lyndon, divenne
assistente personale di Stanley Kubrick, e lo sarebbe rimasto fino alla morte del
regista. Fu lui, insieme alla moglie Kersti, ad intervistare più di cinquemila bambini
tra Chicago, Cincinnati e Denver per trovare l’interprete di Danny Torrance. Le tre
città furono scelte dal regista perché il bambino avesse un accento a metà tra quello
di Nicholson e quello della Duvall. Fu scelto Danny Lloyd, alla sua prima esperienza
cinematografica. Il bambino avrebbe rivelato un talento fuori dal comune, soprattutto
nel saper gestire l’espressività del volto. Come ebbe a dire Riccardo Aragno
17
, amico
di Kubrick e curatore della versione italiana, Danny Lloyd era veramente dotato dello
shining.
Per interpretare il personaggio di Dick Hallorann, il cuoco di colore provvisto,
come Danny, dello shining, inizialmente era stato scelto Slim Pickens, un reduce di
Dr. Strangelove (1964), dove interpretava il maggiore T. J. “King” Kong. Dopo il
suo rifiuto fu scelto Sherman “Scatman” Crothers, ex-cantante ed attore in ruoli di
supporto, per il
quale intercesse lo stesso Nicholson, che aveva recitato con lui in tre film, tra i quali
Once Flew Over the Cuckoo’s Nest. La scarsa memoria dell’attore, che spesso
dimenticava intere sezioni dei dialoghi, avrebbe creato ulteriori estensioni dei tempi
di ripresa, che, a causa di incidenti sul set
18
, e della continua ripetizione di ciak,
sarebbero passati dalle diciassette settimane previste alle più di cinquanta effettive.
Nonostante ciò, Kubrick non pensò mai di sostituirlo, e le motivazioni sono visibili
sullo schermo.
16
J.Baxter, op.cit., p.365
17
M.P.Fusco, Intervista a Riccardo Aragno, in (cura di) L.Sogni/L.Brivio, op.cit., p.75
18
Durante le riprese parte del set fu distrutta da un enorme incendio, e fu necessaria una pausa per la
ricostruzione degli ambienti. Lo stesso fatto era già accaduto sul set di 2001:A Space Odyssey
14
Barry Nelson avrebbe interpretato Stuart Ullman, direttore dell’Overlook Hotel (ed
il volto dell’attore avrebbe aggiunto, con la sua somiglianza a J. F. Kennedy, come
vedremo, un nuovo tassello al grande mosaico che fa dell’hotel il grande museo -
degli orrori- della società statunitense). Philip Stone, reduce dall’esperienza di Barry
Lyndon, dove interpretava Graham, e di A Clockwork Orange (1971), dove aveva il
ruolo del padre di Alex, ebbe la parte di Delbert Grady, il vecchio custode dell’hotel.
Joseph (Joe) Turkel, l'unico altro attore che aveva già lavorato con Kubrick, -in The
Killing (1955), dove recitava nella parte di Tiny, ed in Paths of Glory (1957), dove
era Arnaud-, interpretò il mefistofelico barista Lloyd.
Una piccola parentesi è necessaria per ciò che riguarda l'edizione italiana: il
doppiaggio fu curato, come al solito, da Riccardo Aragno. Per la voce di Jack
Nicholson fu scelto Giancarlo Giannini; per quella di Shelley Duvall, Livia
Giampalmo: entrambi avevano già doppiato Barry Lyndon. Lo stesso Kubrick
riconobbe la perfezione dell'edizione italiana
19
.
Nel frattempo il regista andava definendo la troupe, che costituiva secondo
l’imperativo categorico del reclutamento dei migliori in campo. John Alcott,
collaboratore del regista dai tempi di 2001:A Space Odyssey (1968), dove era
assistente di Geoffrey Unsworth, e vincitore dell’Oscar per la fotografia in Barry
Lyndon, fu riconfermato direttore della fotografia. Douglas Milsome ebbe la regia
della seconda unità, che avrebbe effettuato negli Stati Uniti le riprese in esterni,
insieme alla Greg MacGillivray Freeman Films che realizzò alcune tra le più
spettacolari riprese dall’elicottero della storia del cinema, parte delle quali, scartate al
montaggio, furono concesse da Kubrick a Ridley Scott per la realizzazione di una
sequenza del suo Blade Runner (1982). Garret Brown fu assunto come operatore di
ripresa alla Steadicam, Kelvin Pike e James Davis alle altre macchine da presa. Roy
Walker si occupò delle scenografie, costruendo un immenso set, che praticamente
arrivò ad occupare quasi totalmente gli EMI Elstree Studios di Borehamwood, e che
riproduceva l’albergo, strutturato come un enorme labirinto, che la Steadicam
avrebbe percorso ininterrottamente in carrellate morbide e stupefacenti. Egli si recò
in giro per l’America a fotografare tutti gli hotel che potevano essere adatti a fornire
spunti per la realizzazione dell’Overlook che, secondo l’idea di Kubrick, doveva
19
cfr.intervista a Riccardo Aragno, in (cura di) L.Sogni/L.Brivio, op.cit., p.75
15
simbolicamente includere tutta l’architettura alberghiera statunitense. Via via
mostrava le fotografie al regista, ed insieme discutevano i possibili assemblaggi, che
avrebbero fatto dell’Overlook Hotel il microcosmo riproducente la società americana
, nel bene e -soprattutto- nel male. Tra i suoi compiti ci fu anche l’ideazione e la
costruzione del labirinto, che fu realizzato in tre versioni, una in interni per la
registrazione del sonoro, e due in esterni, una per le scene autunnali della prima parte
del film ed una per quelle invernali. Les Tomkins si occupò dell’arredamento
dell’immenso set. Milena Canonero, già storica collaboratrice di Kubrick fin da A
Clockwork Orange, dei costumi. Il suo lavoro, che se paragonato all’esperienza di
Barry Lyndon potrebbe sembrare privo di complessità, fu in realtà molto
impegnativo: si pensi che, solo per Danny, Kubrick aveva richiesto un abito diverso
quasi per ogni giorno di ripresa
20
. Il set, come al solito, rimase rigorosamente
interdetto a fotografi e giornalisti -sebbene Kubrick abbia accettato che la figlia
effettuasse riprese, che confluirono nel documentario Making The Shining- secondo
quella "strategia dell'attesa" caratteristica delle produzioni del regista.
E’ importante ricordare che, anche se non accreditato ufficialmente, dette il proprio
contributo al film Saul Bass, già collaboratore di Preminger e di Hitchcock, per il
quale realizzò anche i bellissimi titoli di testa di Psycho (1960), e già collaboratore di
Kubrick per i titoli di testa di Spartacus (1960), e che si occupò in The Shining del
perfezionamento del sistema di ripresa del triciclo di Danny
21
.
Nel frattempo Stanley Kubrick si stava trasferendo da Abbots Mead alla nuova,
enorme abitazione di Childwick Bury, appartenuta all’allenatore di cavalli Harry
Joel
22
.Le stalle della nuova residenza furono adibite a sale di montaggio.
La Warner riuscì a fare uscire il film nell’estate, come aveva programmato. Adottò
la strategia di distribuire The Shining in maniera scaglionata. Kubrick continuò a
ritoccare il suo lavoro fino al giorno precedente all’uscita, impiegando a tempo pieno
montatori e fonici. Come vedremo, avrebbe apportato cambiamenti al film anche
dopo la sua apparizione nelle sale, accorciandolo e modificandone il montaggio.
Sarebbe stato uno dei maggiori successi di tutta la sua carriera, e questo nonostante i
pronostici disastrosi della rivista Variety, che criticò la Warner per “non aver capito
20
cfr.E.Ghezzi, Stanley Kubrick, Il Castoro Milano 2002, p.136
21
cfr. (cura di) L.Sogni/ L.Brivio, op.cit., p.74
22
J.Baxter, op.cit., pp.352- 353
16
la lezione che le era stata impartita con Barry Lyndon e di essere stata tanto stupida
da lasciare che Kubrick realizzasse il suo film
23
”, e l’incomprensione di gran parte
della critica, che catalogò semplicisticamente il film come opera di genere, oppure
trattò esclusivamente l’aspetto tecnico del lavoro kubrickiano, dunque l’involucro del
film, senza chiedersi cosa contenesse dentro.
Shining esce il 23 maggio del 1980: due mesi dopo, il 24 luglio, un attore
kubrickiano intraprende il suo viaggio oltre l’infinito: muore Peter Sellers. Il 9
dicembre dello stesso anno John Lennon veniva ucciso da un pazzo fuori del suo
appartamento presso il Dakota di Manhattan -misteriosamente lo stesso palazzo dove
abitò Boris Karloff e che fu utilizzato per gli esterni di Rosemary’s Baby (1968) da
Polanski-.
23
M.Ciment, op.cit., p.43
17
Spiegare l’inspiegabile
“Meno sono gli iniziati, più sacri sono i misteri”
Francois-Maria Arouet de Voltaire, Lettera a Saint- Lambert, 7 marzo 1769
Per iniziare, un chiarimento sul titolo di questo paragrafo: The Shining non rende
intelligibile l’inspiegabile. L’accezione con la quale abbiamo adottato il verbo
‘spiegare’ è un’altra: il film svolge, distende, e quindi, per estensione, mostra
l’inspiegabile. Giunge a farcelo palpare con evidenza inaudita. Ma non ne dà una
spiegazione, principalmente perché non può farlo. Infatti fornire una qualsiasi
interpretazione al soprannaturale significa ammettere la possibilità di un appiglio
razionale, ed in tal caso, come osserva Todorov
24
, è automatico il passaggio dal
fantastico allo strano. The Shining è costruito su un crinale che corre fra due massimi
sistemi: da un lato c’è la razionalità, dall’altro l’irrazionalità. Ed il congegno perfetto
che lo muove fa in modo che, fino ai tre quarti del film, lo spettatore abbia la
possibilità di parteggiare per qualsiasi delle due linee di pensiero. Al momento in cui
Jack, rinchiuso dalla moglie nella dispensa, durante quello che studieremo come “il
momento tremendo”, è liberato da Grady, il vecchio custode, morto oramai da dieci
anni, cade ogni pretesa razionalista. Ma il film non approda al regno del
meraviglioso, perché lo spettatore è costretto ad ammettere il soprannaturale in
quanto tale, ma lo fa mantenendo sempre intatto il suo stupore.
The Shining esiste in quanto privo di motivazione logica. E’ un film impensabile
prima della sua comparsa, anche perché è un’opera sul farsi di un pensiero, ed in
quanto tale abbandona qualsiasi sviluppo consequenziale o deducibile, per sviluppare
un impianto narrativo che consente ad ogni spettatore la formulazione di una propria
teoria dei “mondi possibili”
25
.
L’esplorazione del fantastico, del razionale, della psiche e dei suoi fenomeni, sono
le aree di indagine che spingono Kubrick alla realizzazione del nuovo film.
24
T.Todorov, La letteratura fantastica, in M.Ciment, op.cit., p.125
25
cfr. O. Calabrese, I “mondi possibili” in Kubrick. Ovvero: la poetica delle porte in (a cura di) G. P.
Brunetta, Stanley Kubrick, Marsilio Cinema Venezia 1999, pp. 33- 44, dove l’autore propone una
lettura semiotica dell’opera kubrickiana della quale ci serviremo anche noi nel paragrafo Ipotesi di
"mondi possibili", pp.290 e segg.
18
Come sempre, intanto, il nuovo lavoro opera un rovesciamento del precedente. In
Barry Lyndon il regista aveva analizzato il Settecento, la stagione dell’esplosione
della ratio, ed anche l’epoca nella quale, secondo il regista, si creano le radici (ed i
problemi) della società moderna. The Shining, al contrario, si muove in una crescente
penuria di logica e razionalità, che sfocerà in una totale anarchia spazio-
temporale. Non sarà possibile
incontrarvi personaggi come Redmond Barry, freddi calcolatori di mosse eseguite ad
hoc per ottenere dei risultati. I nuovi personaggi agiranno spontaneamente, spesso di
movimenti inconsci, e subiranno gli effetti di una curvatura temporale anomala. Ma,
paradossalmente, se nel secolo della ragione la vicenda di Barry è destinata alla
sconfitta per un eccesso di fiducia nella possibilità di preventivare razionalmente il
futuro, nel regno dell’irrazionalità Danny sfuggirà al padre-Minotauro in seguito ad
un espediente banalmente logico: nel labirinto innevato, neo-Pollicino, ripercorrerà le
proprie orme verso l’uscita, disperdendo Jack. Ma si tenga ben presente che questa
non è la risposta del regista al dilemma quotidiano che oppone il pensiero razionale
al suo opposto. Kubrick semplicemente ci mostra una scelta, che il bambino fa nella
consapevolezza di poterne morire: la sua salvezza è solamente una temporanea
vittoria, e la fotografia di Jack che conclude il film sta lì a dircelo. In questo senso il
film sembra far proprio un pensiero di Blaise Pascal
26
“Due eccessi: escluder la
ragione; ammettere solo la ragione”.
E’ interessante ancora ricordare come poi, in realtà, la tradizione del romanzo
gotico e del racconto nero nasca proprio nel Settecento, con autori come Matthew G.
Lewis e Ann Radcliffe. Questo per indicare come la razionalità settecentesca non sia
così totale come talvolta si presume, ma spesso finisca per rivolgersi nel suo diretto
contrario.
The Shining costituisce “uno scandalo inammissibile per l’esperienza e per la
ragione
27
”. Il lavoro fatto da Kubrick si muove nella direzione della ricerca delle
ragioni ancestrali che governano i misteri e le eterne paure dell’uomo. E’ un’opera
archetipica, che sconvolge, ma al tempo stesso fornisce motivazioni ai tormenti che
affollano la nostra mente.
26
B. Pascal, Pensieri, Editrice La Scuola Brescia 1975, p.31
27
M. Ciment, op. cit., p.125
19
Il lavoro di adattamento
“Abbiamo subito iniziato a lavorare a uno sviluppo
scena per scena. Poi ognuno scriveva per conto suo.
Ci scambiavamo le nostre impressioni sul racconto,
ne venivano fuori molte questioni legate al film horror.”
Diane Johnson
28
Per affrontare il difficile lavoro di adattamento del romanzo di Stephen King,
Kubrick sceglie di collaborare con Diane Johnson. Questo perché, come abbiamo già
detto, la diversa visione della vicenda non permetteva una cooperazione con l’autore
del romanzo. Il regista aveva già alcune idee sulle modalità di trasposizione
cinematografica della storia, e cercava un collaboratore che potesse aiutarlo a
chiarirle ulteriormente. L’attività con la scrittrice e studiosa americana si rivelò
veramente fruttuosa.
Come osserva Cremonini
29
, il lavoro di adattamento prese origine da un duplice
punto di partenza: da un lato il romanzo di King, dall’altro un codice intertestuale
ben noto al pubblico, dal quale attingere a piene mani per interessare lo spettatore,
stupirlo operandovi dei cambiamenti, e proporre un’idea di cinema. Codice che non
va unicamente identificato con il genere horror, ma che va allargato fino ad
includervi il mito, la fiaba, la religione, la simbologia, la psicologia.
Durante i primi incontri, Kubrick non rivelò alla Johnson che aveva in cantiere la
realizzazione di The Shining. Per un po’ di tempo discussero della possibilità di
portare sullo schermo The Shadow Knows, il romanzo pubblicato nel 1974 dalla
scrittrice americana
30
. Convennero presto di dovere abbandonare il progetto per la
difficoltà di tradurre in immagini un romanzo scritto in prima persona. In questo
modo ebbero l’opportunità di discutere di questioni letterarie senza il
condizionamento di un soggetto ben preciso. Il loro lavoro continuò per molto tempo
a rivolgersi principalmente a questioni e testi che si sarebbero rivelati fondamentali.
28
in (cura di) L.Sogni/L.Brivio, op.cit., p.77
29
G. Cremonini. Stanley Kubrick, Lindau Torino 1999, pp.15-16
30
cfr. J.Baxter, op.cit., p.360