lienti dei beni immateriali nonché di definire brevemente il concetto
dell'individualizzazione razionale.
Sarà utile ribadire en passant che utilizzerò le espressioni “individua-
lizzazione”, “personalizzazione” e MCP nonché i vari pendents in lin-
gua ([mass] “customization” ecc) come semplici sinonimi - a titolo
della leggibilità - e senza aggiungere ogni volta esplicitamente “di
massa” o “razionale”. Peraltro, come il gradito lettore si è già accorto,
in questo volume il “Cliente” si merita la “C” maiuscola.
1.2 I beni immateriali
Nelle scienze economiche sono “beni” tutti i mezzi che soddisfano in
modo diretto o indiretto i bisogni umani
15
. Da questa definizione risul-
ta che prodotti e servizi sono da considerarsi sottoinsiemi dell’insieme
dei beni
16
. Per distinguere i beni materiali dai beni immateriali si usa
ricorrere a una definizione negativa: beni immateriali sono tutti i beni
che non sono materiali ovvero non sono prestazioni di cose. Seguendo
questo concetto si possono individuare come beni immateriali, a fian-
co di servizi ed information goods, anche diritti e prestazioni di lavoro
di cui però non si tratterà oltre. Altri beni immateriali sono ad es. il
denaro, i brevetti, il software ecc.
1.2.1 I servizi
Nella letteratura economica troviamo diversi approcci per la defini-
zione di servizi
17
: a) definizione negativa: (prestazioni di) servizi ver-
sus (prestazioni di) cose/prodotti, b) elenchi di vari esempi, c) defini-
zioni sulla base di caratteristiche costitutive
18
. Eiglier/Langeard defi-
niscono il servizio come risultante dall’interazione fra tre elementi di
base: Cliente, supporto fisico e personale di contatto.
15
cfr. Corsten, 1997, S. 19
16
cfr. Kuhlen 1995, S.83; l’autore intende con information goods sia prodotti informativi sia
servizi informativi; altri invece partono dal “prodotto” di cui delineano beni e servizi come
sotto insiemi
17
cfr. Meffert/Bruhn, 1997, S. 23
18
cfr. Corsten, 1990, S.17ff, Maleri, 1994, S.2ff
10
Figura: Gli elementi fondamentali del sistema di erogazione dei servizi
(Fonte: Eiglier/Langeard, 2000, p. 33)
Qui si farà invece uso di un approccio pragmatico, senza sprecare le
nostre energie nella ricerca di una definizione univoca del resto forse
intrinsecamente impossibile
19
. Kleinaltenkamp
20
individua tre dimen-
sioni fondamentali - (1) il potenziale, (2) il processo d'erogazione (la
“servuction”
21
) e (3) il risultato - per definire un servizio.
(1) Il “potenziale” di servizio è il sistema visibile ed invisibile prere-
quisito della servuction. Dato che il servizio stesso è intangibile e sarà
prodotto solo dopo l’acquisto da parte del Cliente, prima esisterà solo
una “promessa” di prestazione. Essa si concretizza nell’or-
ganizzazione interna, nel supporto fisico e nel personale di contatto
che dovranno rimanere in “standby” anche senza la presenza della
domanda effettiva (cfr. Back Office).
(2) Per quanto riguarda la servuction, questa presuppone necessaria-
mente l’integrazione di un fattore esterno. Questa caratteristica è de-
nominata l’“integratività” del servizio. I fattori esterni possono essere
oggetti (es. la giacca da lavare), il Cliente stesso (che ad es. si fa ta-
gliare i capelli), o informazioni sul Cliente (ad es. per la consulenza
finanziaria)
22
. Data la presenza del fattore esterno che presuppone
l’interazione diretta fra Cliente e produttore, ogni servizio è già ten-
19
cfr. Faßnacht 1996, S.111; cfr. Eiglier/Langeard p. 23
20
cfr Kleinaltenkamp 1998, S.34
21
cfr. Eiglier/Langeard, p. 24
22
cfr. Bieberbach/Hermann, 1999
11
denzialmente individuale
23
e difficilmente standardizzabile. L’in-
tegrazione può però avvenire anche attraverso un canale di comunica-
zione computer mediated come Internet. Il sistema d'erogazione senza
l’integrazione del fattore esterno si chiama anche “combinazione pre-
liminare”, che sfocia nella predisposizione del "potenziale" di servi-
zio, mentre la cod. “combinazione finale” fa riferimento al momento
in cui si concretizza il servizio effettivo.
Figura: Il ruolo del Cliente come co-designer e co-produttore del servizio
(Fonte: Blümelhuber/Pfeiffer, 2000)
(3) Il risultato dell’erogazione (“il servizio”) è sempre immateriale e
quindi non immagazzinabile - ad eccezione degli information products
(vedi infra) che sostituiscono i servizi informativi tradizionali (es. una
canzone registrata su un CD). Con l’evoluzione delle tecnologie ICT e
lo sviluppo di Internet, molti servizi informativi (vedi sotto) possono
essere sostituiti da information products digitali (es. online banking).
La personalizzazione di un bene materiale può essere, essa stessa, de-
finita un servizio
24
: il produttore mette a disposizione dei Clienti un
potenziale di produzione che si concretizza nel prodotto finale solo
dopo l’integrazione di un fattore esterno, la cod. “Individualisierungs-
information” (informazione per l’individualizzazione). Inoltre si ha
23
cfr. Homburg/Weber 1996, Sp. 654
24
cfr. Jacob, 1995 (b), S.218
12
sempre più spesso l’individualizzazione di beni materiali (standardiz-
zati) attraverso determinati servizi accessori - la cod. “Service Custo-
mization”
25
. Esempi sono ad es. l’offerta di finanziamenti a tassi e-
stremamente convenienti da parte di produttori di automobili o garan-
zie e servizi di manutenzione da parte di produttori di computer. La
generica combinazione di beni e servizi (accessori) si dice bundling.
1.2.2 Gli information goods
»Quando due si scambiano un bene, uno lo ottiene e l’altro lo perde.
Quando si scambiano un’informazione, entrambi guadagnano.«
Informazioni sono dati interpretabili in un contesto definito dal
ricevitore
26
, ove i dati consistono in simboli combinati da regole di
sintassi. Mentre i dati sono intrinsecamente neutri (es. scadenze,
capacità produttiva, numeri), le informazioni sono sempre relative ad
un determinato obiettivo (es. una capacità produttiva
temporaneamente ridotta può causare ritardi di consegna):
“L’informazione è interessante dal punto di vista einsteiniano perché
non ha massa. E’ diffusa, astratta e fortemente relativistica; non ha
valore assoluto ma solo in un contesto.”
27
La realtà del mondo industriale è condizionata dalle informazioni. “E’
difficile immaginare quale potrebbe essere la competitività di produt-
tori che operano con tecnologie poco sofisticate, se non disponessero
di funzioni ad alta intensità d’informazioni come la ricerca di mercato,
la logistica e la pubblicità.”
28
Le informazioni ed i meccanismi con cui
si diffondono sono il collante dell’intera catena di valore; e le scorte
non sono altro che il risultato fisico della carenza d’informazioni
29
. Le
informazioni sono alla base delle decisioni aziendali (es. aumento dei
turni di lavoro per ovviare alla capacità produttiva ridotta) e possono
25
cfr. Reiß/Beck, 1995 (a), S.24f: die Autoren bezeichnen diese Art der Individulisierung ei-
ner meist standardisierten Sachleistung als Service Customization
26
cfr. Probst/Raub/Romhardt 1998, S. 34f
27
cfr. Morgan, 1995, p.276 in: Rosa, 1996
28
cfr. Evans/Wurster, Bit Bang
29
cfr. Evans/Wurster, Bit Bang
13
creare knowledge (es. l’esperienza che determinate costellazioni di da-
ti cagionano determinate decisioni). Da questo punto di vista ogni bu-
siness è un business d’informazioni e le informazioni stanno alla base
del vantaggio competitivo.
Figura: Changes in Value Proposition
30
(Fonte: Microstrategy, “The Five Engines of eCRM“, White Paper, 1999)
L’informazione è una merce permanente, irreversibile, indivisibile, ca-
ratterizzata da rendimenti crescenti, non appropriabile (salvo brevetti,
copyright), associata ad un costo
31
. L’informazione è un bene con le
caratteristiche del bene pubblico; ed il costo (di produzione)
dell’informazione dipende dalla sua quantità e non dal suo uso. La
struttura dei costi è quindi caratterizzata da alti costi fissi e da bassi
costi marginali. L’informazione è anche un bene economico, e quindi
un “information good”, quando è “utilizzabile a uno scopo, disponibi-
le, trasferibile, scarso e quando esiste una domanda effettiva”
32
.
La scienza dell’informazione offre uno spunto per determinare il valo-
re degli information goods: (a) il valore d’uso di un information good
dipende dall’utilità che crea in una determinata situazione d’uso per il
ricevitore - esso può essere giudicato solo dopo il consumo (experien-
ce good); (b) il valore di scambio dipende invece dalla domanda. Però
l’informazione ha in ogni caso valore solo prima di essere consumata:
una volta che si è posseduta, cade l’incentivo a pagarla; lo scambio
deve avvenire quindi “a scatola chiusa” con il rischio della qualità ad-
30
„Information intensity is an increasing component of a company’s value proposition to its
customers. Today, every company is an information business, regardless of the sector of the
economy.“
31
Ziliotti, 2001, p. 36
32
cfr. Bode 1997, S.461ff
14
dossato per intero al Consumatore finale. Varie strategie mirano a mi-
tigare quest'effetto: ad es. l’esposizione delle prime pagine dei giornali
nelle bacheche dell’edicola o dell’indice di un libro presso Ama-
zon.com, o la reputazione di un marchio affermato (ad es. Deutsche
Bank nella consulenza finanziaria).
La creazione di informazioni non è quindi di per sé creazione di valore
se non innesca allo stesso tempo meccanismi di filtro, selezione e lo-
calizzazione delle informazioni rilevanti. Secondo Kuhlen è possibile
aumentare il valore di un information good attraverso: a)
l’accumulazione di beni/servizi information originariamente separati,
b) l’integrazione di diversi tipi di beni/servizi information.
Come i beni materiali anche gli information goods si distinguono in
“information services” (es. lezione universitaria), che come i servizi
tradizionali presuppongono l’integrazione di un fattore esterno (soli-
tamente informazioni), e “information products”
33
(es. CD, video-
film)
34
. Mentre gli information products sono standardizzabili in modo
analogo ai beni materiali, una standardizzazione di information servi-
ces trova a causa dell’importanza del fattore esterno gli stesso ostacoli
come i servizi
35
.
A noi interesserà in particolare il caso degli information products digi-
tali (es. “personal newsletter”) che a differenza dei beni materiali o in-
formation products non digitali possono essere individualizzati facil-
mente. Con l’individualizzazione si possono ottenere sia
l’integrazione sia l’accumulazione di informazioni, riducendo il tempo
necessario per la loro ricerca e raccolta ed evitando il cod. “informa-
tion overload”, causato dalla massa non gestibile di informazioni inu-
tili (cfr. “white noise”, entropia). “La vera ricchezza della rete non ri-
siede quindi nella quantità dell’informazione e nemmeno nella sua
33
cfr. Bieberbach/Hermann, 1999
34
è problematico il caso del software: si distinguerà una classificazione a seconda del fatto
che il Consumatore è stato integrato nella creazione della prestazione (software individuale) o
meno (software standard)
35
cfr. Bieberbach/Hermann, 1999
15
qualità: la vera ricchezza risiede nella possibilità di accesso e di mani-
polazione dell’informazione”
36
.
Esempi per information goods digitali individualizzati sono i quoti-
diani personali e le “personal newsletters” che grazie alla distribuzio-
ne on-line a basso costo (digital economy) stanno suscitando un gran
successo
37
. Un altro esempio sono portali come MyYahoo! che rac-
colgono in una singola interfaccia grafica individualizzabile diverse
“information products” come news, borsa, rubrica, calendario, motore
di ricerca ecc.
1.2.3 Beni digitali ed e-Services
»If you don’t change, I’ll guarantee you, there’s somebody else out
there who will want to do it.« (Jack Welsh)
I beni digitali sono “tutto ciò che può essere inviato o ricevuto attra-
verso Internet”
38
e “l’informazione è un esempio primario per un pro-
dotto digitale”
39
.
I digital goods sono quindi il “cuore” dell'e-business
40
. La digitalizza-
bilità (“Digitizability”) si riferisce alla misura in cui funzioni rilevanti
per il Consumatore possono essere svolte interamente con l’utilizzo di
tecnologie IT. Per l’individualizzazione di beni completamente digitali
le infrastrutture IT rappresentano quindi l’unico strumento necessario.
Il grado di digitalizzabilità dipende dall’importanza di componenti
basate sulle informazioni rispetto all’intero prodotto o servizio; mentre
un quotidiano può essere completamente digitalizzato, il contenuto in-
formativo di un vestito è nullo. Però anche nel caso di beni non digita-
36
Ziliotti, 2001, p. 46
37
un partecipante della Microsoft Programmers Group ha recentemente predetto l’eclissi del
quotidiano stampato tradizionale fra 20 anni
38
cfr. Choi/Stahl/Whinston, 1997, S.62.
39
cfr. Choi/Stahl/Whinston, 1997, S.61.
40
cfr. Choi/Stahl/Whinston, 1997
16
li le tecnologie IT facilitano la raccolta e l’utilizzo di dati relativi al
Consumatore individuale (es. configuratori on-line).
41
Analizzeremo in particolare il caso degli information services che og-
gi spesso vengono sostituiti da information products digitali, automa-
tizzati in rete. In modo non del tutto coerente questi vengono chiamati
anche “e-Services” (es. online banking).
Sulla base del modo di trasmissione si possono distinguere prodotti
digitali statici e prodotti digitali interattivi. L’interattività può essere
definita “la possibilità dello user di controllare liberamente lo svolgi-
mento di un programma e di comunicare in modo bidirezionale e cau-
sale
42
, ed in tempo (quasi) reale”
43
.
Il commercio in beni digitali non è comparabile al mercato dei beni
tradizionali. I digital goods sono animali alquanto strani in quanto
consistono nella loro forma immateriale solo in bits e bytes: “Un bit
non ha colore, dimensioni o peso, e può viaggiare alla velocità della
luce. E’ il più piccolo elemento atomico del DNA dell’informazione.
E’ un modo di essere: sì o no, vero o falso, su o giù, dentro o fuori, ne-
ro o bianco. Per praticità noi diciamo che un bit è 1 o 0. Che cosa si-
gnifichi l’1 o lo 0 è un altro discorso.”
44
(Negroponte)
I beni digitali si riproducono a costi infinitesimali e le copie sono
identiche all’originale. Secondo l’European Communication Council,
la digitalizzazione di information goods riduce i costi di stock, di ri-
produzione e di distribuzione, ed i costi marginali di produzione ten-
dono a zero
45
.
I beni digitali grazie a queste caratteristiche si prestano perfettamente
ad essere distribuiti attraverso reti come Internet, senza alcuna neces-
41
cfr. Piller/Reichwald et al., 2000
42
ad es. sotto forma di domande e risposte
43
cfr. Ludwig, 2000, S.95
44
Negroponte, 1995, p.4
45
cfr. European Communication Council 1999, S.163f
17
sità di trasformazione. Inoltre possono essere modificati e differenziati
facilmente e senza costi - disintegrandoli prima negli elementi costitu-
tivi per ricomporli poi sulla base delle esigenze dello user
46
. Esempi di
digital goods sono software tools, servizi digitali (es. informazione) e
diritti digitali (es. prodotti finanziari).
Le principali caratteristiche della comunicazione digitale sono
47
: a)
costi decrescenti di comunicazione, b) diminuzione dell’importanza
della distanza, c) aumento della velocità di comunicazione, d) aumen-
to del volume di comunicazione, e) aumento della diversità di canale,
f) aumento della comunicazione a due vie, g) aumento della flessibili-
tà di comunicazione, h) aumento dell’”interconnettibilità”.
1.3 L’individualizzazione razionale
»The genius of free-market competition is that the customer […] gets
to decide who wins and who loses. And ultimately, the customer is the
biggest winner.« (Donald J. Carty, CEO AMR/American Airlines 99)
Prima di definire l’individualizzazione razionale, tentiamo una delimi-
tazione verso la differenziazione di prodotto (“Produktdifferenzie-
rung”) e la variazione di prodotto (“Produktvariation”). Alcuni autori
vedono nell’individualizzazione semplicemente una forma estrema
della differenziazione
48
però questa interpretazione non è da condivi-
dersi. Così Schnäbele sostiene giustamente che la differenza fra la dif-
ferenziazione da una parte e l’individualizzazione dall’altra sta nel fat-
to che la prima è sempre market-oriented, cioè basata sull’“analisi del-
le esigenze di Consumatori anonimi in un mercato anonimo” rilevati
prima della vendita
49
. La differenziazione (con abbastanza varianti)
può garantire solo che ci sia, per ogni potenziale Cliente, un prodotto
che corrisponde alle sue preferenze ma non che esso gli venga anche
venduto. Questo è particolarmente ovvio quando si tratta di prodotti
46
cfr. “economies of aggregation”, Bakos/Brynjolfsson, 1999 (b)
47
Neuman, 1991 in: Mandelli, Internet Marketing, p. 7
48
cfr. Mayer, 1993, S.36f
49
cfr. Schnäbele, 1997, S.32ff
18
complessi o a contenuto elevato di know-how che esistono in tanti va-
rianti. Nella MC al contrario non è prevista alcuna scelta fra alternati-
ve, essendo implicita la realizzazione di un prodotto individualizzato
in modo automatico. L’individualizzazione deve quindi far leva su un
processo efficace di matching che riduce o elimina i search costs del
Consumatore; tradizionalmente era questo il compito dell’assistenza
di vendita, mentre nell’eCommerce si utilizzano oggi meccanismi au-
tomatici. In ogni caso per la decisione d’acquisto del Consumer è irri-
levante se il prodotto viene prodotto ex ante o ex post e se viene pro-
dotto sulla base delle sue specifiche o invece scelto da un’esistente
gamma di prodotti
50
.
Nel caso dei servizi la “combinazione finale” - ovvero l’integrazione
del fattore esterno - avviene sempre solo dopo l’acquisto; però, anche
in questo caso, si parla spesso di differenziazione. Un viaggio ad es. è
in questo senso sempre “individuale” per la presenza del viaggiatore
individuale - perché si possa parlare però di un viaggio “individualiz-
zato” è necessario che esso venga designato specificamente sulla base
della “Individualisierungsinformation” del Cliente.
Con “variazione di prodotto” s’intende qui invece l’evoluzione della
gamma di prodotti nel tempo e quindi non l’offerta simultanea di di-
versi varianti.
Se si tenta una delimitazione delle varie strategie di mercato dal punto
di vista storico, ne risulta la seguente panoramica
51
: (a) fino all’inizio
del ventesimo secolo domina la produzione artigiana-commerciale che
nella pratica è una produzione individuale su commessa, (b) segue sul-
le ali della rivoluzione industriale la produzione di massa indifferen-
ziata di prodotti omogenei, (c) a causa del continuo frammentarsi della
domanda e per evitare la forte pressione concorrenziale internazionale,
la produzione differenziata di massa inizia a targetizzare specifici sot-
tosegmenti (“nicchie”) del mercato, (d) alla fine qualche azienda si
50
cfr. Schackmann, 2001
51
cfr. Schnäbele, 1997, S.45f
19
rende conto che i Clienti non sono anonime statistiche: la produzione
individualizzata di massa (MCP) integra la necessita di soddisfare i
bisogni di singoli Consumatori e l’efficienza di costo attraverso la
produzione parziale di componenti standardizzati.
La MCP è quindi sia efficace (“la cosa giusta”), ovvero customer-
oriented, sia efficiente (“il modo giusto”), ovvero cost-oriented.
L’attributo “razionale” significa in questo contesto che l’azienda cerca
attivamente di ridurre i costi o di aumentare la produttività
52
produ-
cendo per un mercato lo stesso di massa. Una naturale conseguenza
della produzione per un mercato di massa è il fatto che un produttore
non potrà mai tenere in considerazione una quantità infinita di esigen-
ze individuali: si focalizzerà su determinate alternative importanti (il
cod. “choiceboard”
53
), cercando di massimizzare la varietà (individua-
lità) percepita dal Cliente e allo stesso tempo minimizzando la varietà
interna (complessità)
54
. In questo senso la MCP differisce significati-
vamente dalla produzione su commessa tradizionale: le prestazioni
che offre non si distinguono nella loro struttura di base o nei processi
produttivi - Piller parla giustamente della “standardizzazione
dell’individualizzazione”
55
.
Infine è utile distinguere la MC dalla „lean production“ e dall’Agile
Manufacturing. La caratteristica principale della lean production è il
focus sull’allocazione efficiente delle risorse organizzative per evitare
sprechi. La MC invece mira alla reazione veloce ed esaustiva ai biso-
gni ed esigenze del Cliente. Benché i processi client-oriented sono
quasi sempre “lean” in quanto evitano varianti superflue o alti costi di
magazzino
56
, „the ultimately lean organization is optimized for doing
what it is doing – and nothing else. It is static.“
57
Un altro elemento
distintivo è l’essenziale integrazione nella MC del singolo Cliente
(all’interno di un mercato di massa). L’Agile Manufacturing è invece
52
cfr. Pfeiffer, 1993 Sp.3640
53
cfr. Liechty/Ramaswamy/Cohen, 2001
54
cfr. Piller 1998, S.106
55
cfr. Piller, 2000, cap. 7.1.4
56
cfr. Kleinaltenkamp 1995 (a), S. 83
57
cfr. Sheridan 1992
20
molto simile alla MC in quanto comprende concetti vari come ad es.
organizzazioni virtuali, networks, change- e speedmanagement, kno-
wledge management e l’empowerment dei dipendenti. Mentre però
l’Agile Manufacturing rimane privo di una concezione concisa ed as-
somiglia più ad un „negozio self-service per concetti di management“
(Piller) nel quale ognuno compra ciò che si adatta meglio alla propria
visione del mondo
58
, la MC significa una strategia competitiva reale e
concreta.
L’individualizzazione non si attua solo sul piano della prestazione ma
anche sul piano della relationship
59
. Il “grado” della personalizzazione
descrive l’intensità dell’integrazione del Cliente nella specificazione
del prodotto o la forza dell’interazione
60
nella relazione fra Cliente e
produttore durante un lasso di tempo prolungato, e quindi oltre la sin-
gola transazione di mercato. Dicono Liechty/Ramaswamy/Cohen:
“There has also been a parallel transformation of the role of custom-
ers, who are no longer a passive audience but active players in co-
creating value”
61
Figura: Opzioni per l’interazione con il mercato
(Fonte: elaborazione nostra su base di Hildebrand 1997, S.41; Muther 1999, S.53)
58
cfr. Zelewski 1998, S. 247
59
cfr. Hildebrand 1997, S.40
60
interazione significa l’azione interdipendente - cioè azione e reazione - verbale o non di due
o più persone (cfr. Diller 1997, S.525)
61
Liechty/Ramaswamy/Cohen, 2001
21
Sulla base di queste due dimensioni Hildebrand (vedi figura) elabora
quattro forme tipiche di interazione con il mercato: 1. il Transaction
Marketing (interazione standardizzata con il mercato): marketing di
massa con minima interazione e integrazione del Cliente senza alcu-
n'individualizzazione, 2. il Customized Marketing (l’individualizza-
zione del prodotto): si tratta dell’individualizzazione razionale del pro-
dotto attraverso la forte integrazione del Cliente senza l’instaurarsi di
una relationship interattiva che va oltre la singola transazione, 3. il Re-
lationship Marketing: ha come obiettivo la comunicazione dialogica
individuale (forte interazione) che trascende dalla singola transazione
senza però la personalizzazione della prestazione, 4. L’Individual
Marketing
62
o 1:1/one-to-one Marketing
63
è la simultanea integrazione
ed interazione con il Cliente che combina il relationship marketing
con il customized marketing. E’ significativa anche la distinzione ope-
rata da Kotler fra “customized marketing”, che indica il processo in
cui il produttore disegna e realizza un prodotto (nuovo) specificamen-
te per il singolo Cliente, ed il “mass customized marketing” che inve-
ce fa riferimento alla produzione individualizzata di massa, sulla base
della modularizzazione della prestazione
64
.
Le definizioni date per le diverse espressioni dai vari autori però sono
tutt’altro che chiare: ad es. il “Customized Marketing” non offre ele-
menti differenzianti rispetto al generico concetto di MCP; ed il “1:1
Marketing” spesso viene citato come sinonimo di “Relationship Mar-
keting”; per la combinazione di Relationship Marketing e produzione
individualizzata altri autori propongono il termine “Customerization”.
Tratteremo questi aspetti nel modulo quinto.
Giova sottolineare che l’individualizzazione della prestazione senza
l’interazione con il Cliente, almeno sulla base della singola transazio-
ne, non è attuabile; d’altra parte non sempre s'instaura, però, una rela-
62
cfr. Beyering 1987; per la prima volta
63
Peppers/Rogers 1993
64
Kotler, 1999, p. 30
22
tionship duratura nel tempo. Questo pone diversi problemi sul piano
della gestione della partecipazione del Cliente di cui si parlerà altrove.
Viene infine naturale constatare che l’individualizzazione si presterà
senz’altro solo a determinati mercati e mai come toccasana universa-
le
65
.
65
cfr. Schnabele, 1997, S.52ff
23