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INTRODUZIONE
“Esfahan nesf-e jahan”, recita un famoso detto riguardante Esfahan, una delle maggiori città
iraniane. “Esfahan mezzo mondo”.
Un quadro estendibile – in un’analisi maggiormente indotta – all’intero mondo persiano.
L’Iran moderno si presenta come un condensato di contraddizioni, abbondanti materiali d’analisi
socio-culturali, scontri, riferimenti a un passato futuristico e a un futuro ambiguo e
controvertibile.
Il presente si colloca in quel “mezzo”, quel solco che spesso divide tutto in due, in una cultura
dai tratti quasi dualistici e opposti; dove la moneta corrente è il “Rial” ma chiunque vende,
compra e discute in “Tuman”, in cui si vivono – e concretamente convivono – una “vita
pubblica” e una “vita privata”, distinte, nette e ai limiti del tacitamente assunto.
Dove l’applicazione della legge produce spesso un effetto elastico, in cui le maglie si stringono e
si allargano per dimestichezza, salvaguardando o rimarcando sottilissimi equilibri politici, sociali
e religiosi.
L’Iran dei 2020 è un paese non convenzionalmente trigenerazionale.
I nonni, cresciuti nel liberismo di costume, dell’espansionismo economico e dell’intensa stagione
di Moussadegh; i padri, testimoni e attori delle fasi più sfaccettate della rivoluzione
khomeiniana, della guerra contro l’Iraq e della metamorfosi del corpus più intrinseco del nuovo
Iran. Infine i figli, la numericamente preponderante generazione under-35, cresciuta interamente
con lo status quo della Jomuri-e Eslami.
Ed è proprio su quest’ultima categoria che è puntato, tra gli altri, il focus cangiante e
particolarmente aleatorio dell’effetto della globalizzazione tecnologico-culturale nelle società
moderne.
A oggi, il 60% della popolazione iraniana è composto di under 30: “Il 25 per cento circa per la
fascia che va da 0 a 15 anni e il 35 per cento circa per quella che è compresa tra i 16 e i 30
anni”
1
. Generazione che, nondimeno, registra tra i più alti tasti di scolarizzazione tra i paesi
1 Giordano Alfonso, «Téhéran: démographie et géopolitique. Le rôle des jeunes générations», Outre-Terre - Revue
Europeenne de Géopolitique, 2011/2, n° 28, p. 227- 247. Montpellier: Outre-Terre. ISBN: 9782918587064, DOI:
10.3917/oute.028.0227
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islamici, una crescente e variegata presenza in ambito virtuale, che cresce, si nutre e si modella
all’interno della giostra cangiante della società post-moderna, in quel luogo privo di materia che
ci inonda di modelli, informazioni, input e che finisce per diventare l’argomento spaziale
principale del XXI secolo: internet.
La correlazione tra i giovani istruiti e profondamente internauti della nuova Persia, il suo youth
bulge che domina la piramide d’età e il contesto multi-identitario di uno dei paesi più controversi
al mondo, saranno gli argomenti di analisi di questa tesi.
La domanda alla quale si cercherà di dare risposta è semplice nella sua indeterminatezza:
cos’accadrà all’Iran nei prossimi anni? Quale impatto avranno le dinamiche attuali su una delle
regioni più politicamente “ardenti” nell’arco diplomatico-internazionale?
Le risposte andranno ricercate all’interno di quel solco in precedenza tracciato: nel dualismo
esasperato di una terra dai tratti distopici per alcuni, utopici per qualcun altro. Dove la
“normalità” è di difficile contemplazione, dove il passato e il futuro convivono in un presente
intangibile.
Un braccio di ferro tra forze di difficile identificazione, una pentola torchiata che continua un
processo d’inquietudine, una storia alla rovescia che è sintomatica di un’identità storica
orgogliosamente ribadita.
Andiamo a conoscere meglio un Iran che, sempre più, avvalora la locuzione di nesfe jahan.
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1. PERSIA E ‘900: LE FERITE DELL’IRAN MODERNO
1.1 Dall’aratro al nucleare.
“L’Iran è entrato nel Novecento con i buoi e l’aratro di legno. Ne è uscito con le acciaierie, una
percentuale d’incidenti automobilistici tra le più alte al mondo e, tra lo sgomento di molti, un
programma nucleare”
2
.
Non c’è dubbio che l’escalation socio-tecnologica dell’ex Persia abbia assolutamente visto nel
‘900 uno snodo fondamentale delle sue successioni, una mutazione universale probabilmente dai
tratti tra i più singolari e contraddittori del pianeta.
È fondamentale, a questo proposito, conoscere le fasi più controverse e segnanti della storia
moderna dell’Iran, al fine di comprendere meglio quell’impulso storico e culturale dell’odierna
Repubblica Islamica, le antitesi, i sentimenti contrastanti e gli avvicendamenti storici ancora
vividi più che mai specie nelle dinamiche di politica internazionale.
L’Iran si affacciò al ventesimo secolo sotto l’egemonia della dinastia Qajar, potere costituito
fino al 1925, anno in cui il generale Reza Pahlavi si proclamò Scià di Persia.
Gli anni precedenti all’ascesa dell’altresì conosciuto come Reza Khan, furono segnati
dall’incertezza politica e la frammentazione interna (tratto che diventerà una costante per tutto il
secolo): la pesante crisi economica e l’indebolimento politico diedero ulteriore impulso alle
crescenti proteste popolari, all’interno di un quadro d’instabilità che portò il primo esempio di
scissione dualistica: da un lato l’affermazione dell’influenza inglese, istituzionalizzata già dalla
scoperta del petrolio nella regione (risale al 1909 la fondazione della Anglo-Persian Oil
Company): nel 1919 il tentativo di formalizzazione di un accordo Anglo-Persiano, volto a una
forma di protettorato britannico, venne fortemente – e infine incisivamente – ricusato dal
dissenso popolare. D’altro canto erano vivi gli echi della contemporanea Rivoluzione Bolscevica,
con tanto d’invasione sovietica nella provincia del Gilan nel 1920 e proclamazione della
Repubblica Socialista Sovietica Persiana Indipendente (RSS Persiana).
In questa fenditura s’inserì il comandante dell’esercito Reza Khan, che prima esautorò il governo
e poi, di fatto, estese il suo potere fino a costringere i Qajar all’esilio europeo.
Il nuovo Scià di Persia sedette al trono nel 1925, cominciando un’egemonia segnata da un
graduale processo di modernizzazione e da una crescente azione anti-clericale (fattore che più
2
Ervand Abrahamian, Storia dell’Iran, 2008: Feltrinelli editore, p.3
6
avanti si rivelerà fondamentale nel discernimento delle dinamiche interne), culminata con
l’abolizione della shari'a e un fondamentale riassetto laico degli enti amministrativi e giudiziari.
Nel 1935, inoltre, adottò per il proprio Stato la denominazione di Iran, cioè “Paese
degli Arii”, ma confermando l’interscambiabilità dei nomi di Persia e Iran, utilizzabili l’uno alla
stregua dell’altro in qualsiasi tipo di ambito.
Il suo regno si protrasse per sedici anni, e trovò nelle dinamiche del conflitto globale la sua spada
di Damocle. Nonostante la dichiarata neutralità dell’Iran nelle dinamiche belliche, tre fattori
divennero cruccio fondamentale per la compagine alleata: il petrolio, il corridoio persiano e
l’influenza nazista.
I rapporti commerciali tra Iran e il Reich erano cresciuti del corso degli anni – al contrario di
quelli con l’Unione Sovietica – sfiorando addirittura il 50% degli scambi commerciali
internazionali dell’Iran.
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Mentre Reza Scià non nascose mai una grande ammirazione per il modello Hitleriano della
società del Terzo Reich, inglesi e sovietici cominciarono a mostrare una crescente
preoccupazione, impauriti dalla possibilità di vedersi soffiare il canale di approvvigionamento al
fondamentale petrolio persiano, l’influenza sulla regione e l’importanza logistica del corridoio
persiano per i rifornimenti russi.
Questi motivi scatenarono l’ultimatum del 1941, quando fu formalizzata a Reza Scià la richiesta
di espellere i tedeschi dal territorio iraniano. Un contingente di lavoratori e periti tedeschi
operava, infatti, attivamente in Iran, circa 1.000 nel 1940, secondo un report dell’ambasciata
britannica a Teheran.
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I vertici persiani respinsero il diktat e di conseguenza, nonostante un allentamento degli scambi
con la Germania, gli alleati invasero l’Iran e costrinsero Reza Khan ad abdicare in favore del
figlio, Mohammad Reza Pahlavi.
Quest’ultimo, conosciuto come “Shah-in-Shah” (“Re dei Re”), rappresentava una figura
abbastanza differente da quella del padre. Ben istruito, poliglotta, studiò in Svizzera nel
prestigioso istituto Le Rosey prima di far ritorno in patria.
Nel 1943 ebbe luogo la conferenza di Teheran, il primo vertice interalleato
tra Roosevelt, Churchill e Stalin.
3
Nikki R. Keddie, Modern Iran: Roots and Results of Revolution: Yale University Press, p.101
4
Abbas Milani, Iran, Jews and the Holocaust: An answer to Mr. Black". iranian.com..
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Mohammad Reza coltivò buoni rapporti con gli Alleati e assicurò una monarchia di stampo
costituzionale, quindi con un imprinting democratico, in cambio dell’assicurazione che, a guerra
finita, autonomia e indipendenza dell’Iran fossero garantite.
In realtà, Gran Bretagna e Unione Sovietica prolungarono la loro occupazione fino alla
primavera del 1946, ma furono gli Stati Uniti a prendere piede nelle dinamiche interne,
sostituendosi gradualmente agli inglesi nel sostegno alla ricostruzione e gestione del Paese fino
al 1953.
Il nuovo Scià iniziò il suo regno in un contesto maggiormente accessorio, quasi “timido” e più
istituzionale che interventista.
Il tentato omicidio ai suoi danni del 1949, per opera del Partito Comunista del Tudeh, cambiò le
carte in tavola. La solidarietà popolare ricevuta rivitalizzò l’azione politica dello Scià, che
cominciò a partecipare ben più attivamente alla linea politica del Paese, finanche mettendosi in
contrasto con diversi Primi Ministri ed eliminando avversari politici.
Fondò il Senato, formalmente attivò dal 1906 ma, di fatto, mai convocato, modificò la
Costituzione e ampliò i propri poteri.
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La sua linea era abbastanza chiara: uno stampo tendenzialmente filo-occidentale (seppur non
privo di susseguenti tensioni, conflitti e crisi diplomatiche), votato a una politica di buoni
rapporti con le grandi potenze, liberalismo socio-culturale, lotta al marxismo e all’integralismo
islamico (con enfasi all’interventismo del clero nella vita politica).
5
Abbas Milani, The Shah. 2012: Griffin; Reprint edizione (Milani, The Shah, 2012).
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1.2. Mossadeq e il petrolio: l’inizio della rottura con l’Occidente
Uno dei climax “sostitutivi” dell’influenza americana su quella britannica si ebbe nel 1947,
quando fu lanciato un piano, finanziato dagli stessi statunitensi, per lo sfruttamento nazionale
delle risorse energetiche.
Da qui nacque uno dei più grandi detonatori delle politiche persiane del XX secolo: la questione
petrolifera e delle materie prime.
La Gran Bretagna, come anticipato, era attore principale nel settore estrattivo, compartecipando
all’Anglo-Iranian Oil Company. Un crescente sentimento d’insoddisfazione nazionalista portò il
parlamento, nel 1950, a rifiutare l’estensione dell’accordo per la compagnia bi-nazionale.
Il tutto scaturì in quella che è storicamente conosciuta come la Crisi di Abardan, città persiana
sede delle principali raffinerie, che si protrasse dal 1951 al 1954, inframmezzata nel ‘53
dall’Operazione Ajax, considerata una delle più controverse operazioni d’intelligence del XX
secolo, vero e proprio colpo di Stato orchestrato dai britannici e dagli statunitensi che alimentò
definitivamente il sentimento anti-monarchico e anti-occidentale del popolo iraniano.
Questo momento storico risulta fondamentale per comprendere le dinamiche che portarono l’Iran
alla Rivoluzione e, successivamente, per inquadrare i sentimenti della società moderna a livello
multistrato.
Gli attori della politica interna, nel solco degli anni ‘50, erano preminentemente i seguenti
(molti dei quali si protrassero fino alla rovente e frammentata stagione rivoluzionaria nel ’79): il
Fronte Nazionale, d’ispirazione nazionalista ma eterogenea, composta anche da frange liberali,
laburiste e repubblicane; il Partito Comunista Persiano, conosciuto come Tudeh, le gerarchie
religiose e i Fada’iyan-e Eslam, gruppo sciita fondamentalista di stampo terroristico. Oltre,
ovviamente, alla frangia monarchica filo Pahlavista.
Specie il Fronte Nazionale (Jahbe-e Melli) rappresentò il principale antagonista della politica
dello Scià, credendo fortemente che la famiglia reale dovesse “regnare, ma non governare”, e
che percepì nell’ondata interventistica di Reza Pahlavi una minaccia per il percorso democratico
recentemente avviato.
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Ma fu proprio lo Scià, nell’aprile del 1951, a nominare come Primo Ministro il leader del Fronte
Nazionale Mohammad Mosaddeq, dopo l’espressione unanime del Majlis (Parlamento Iraniano),
a maggioranza nazionalista.
6
Abbas Milani, The Shah. 2012: Griffin; Reprint edizione.
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Mossadeq era fortemente sostenuto dall’opinione pubbli (Gendzier, 1999)ca, con il consenso del
Partito Comunista e del clero sciita, retto dall’Ayatollah Kashani (uno dei mentori di Khomeini e
appena nominato dal Fronte Nazionale come Presidente del Parlamento).
Per gran parte del movimento popolare iraniano la questione petrolifera e, nello specifico, la
faida con gli inglesi, rappresentava il simbolo di un’indipendenza ormai sempre più rivendicata.
La nomina di Mossadeq avvenne in circostanze tragiche, susseguenti all’assassinio del
precedente Primo Ministro, Ali Razmara, proprio per mano dei fondamentalisti del Fada’yian-e
Eslam, a causa della sua politica contraria alla nazionalizzazione del petrolio per questioni
tecniche.
Il clima era abbastanza chiaro, con Reza Pahlavi diviso tra due fuochi avversi ma che, di fatto,
non si oppose alla storica nazionalizzazione del petrolio per opera del nuovo esecutivo:
Mossadeq smantellò l’Anglo-Iranian Oil Company, dando alla luce la National Iranian Oil
Company. L’impulso di liberazione indipendentista, il non dover più compartire le proprie
risorse territoriali con attori esterni, fu immediatamente controbattuto dalla risposta britannica.
L’Iran vide congelati tutti i capitali britannici nelle banche persiane, subì un blocco navale
impedendo il mercato petrolifero e un embargo commerciale.
Gli intenti intimidatori degli inglesi trovarono conferma con un aumento sostanziale della
presenza militare sul Golfo.
La questione divenne una trama di rango internazionale, con tanto di rafforzamento diplomatico
e personale della figura di Mossadeq dopo la sua deposizione al Consiglio di sicurezza
dell’ONU, tanto da ricevere la copertina come “Uomo dell’anno 1951” dal Time di New York.
Ciò che incontrò il suo beneficio più di ogni altra cosa però, fu il consolidamento del suo potere
interno.
Il Majlis gli conferì poteri straordinari, sottrasse allo Scià la funzione diplomatica con i capi di
Stato esteri, e mise a segno una serie di riforme fiscali maggiormente proporzionate tra le varie
classi sociali, investendo sulla sanità a scapito delle forze armate.
La vittoria diplomatica non bastò però a superare l’enorme crisi economica che travolse il paese
a seguito dell’embargo, rendendo la situazione nella regione criticamente instabile, complice
l’intransigenza sul merito di un Mossadeq sempre più legittimato.
Il tutto sfociò, nell’Ottobre del ’52, nella formale interruzione delle relazioni diplomatiche tra
Londra e Teheran.
L’intervento militare britannico fu scongiurato dall’intermediazione statunitense, preoccupata da
una possibile conseguente intromissione sovietica (avallata dall’accordo russo-persiano del
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1921) e dall’eventuale scatenarsi di una nuova ostilità contemporanea alla guerra in Corea.
Anche perché “gli interessi petroliferi internazionali degli Stati Uniti erano tra i beneficiari
degli accordi che seguirono la nazionalizzazione”.
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Gli USA tentarono anche la via dell’intermediazione diplomatica tra i due fronti, ma con scarsi
risultati.
Tuttavia, la crisi economica iraniana continuava a investire gli interessi degli Stati Uniti in forma
antitetica, specie con riguardo alle dinamiche della Guerra Fredda: la “minaccia rossa”, di fatti,
appariva sempre più all’orizzonte nel quadro di volubilità che stava investendo l’Iran.
Più Mossadeq si rinforzava a scapito dello Scià, più le forze anglo-americane cominciavano a
percepire la potenziale perdita di un alleato fondamentale nella regione come l’Iran.
E se l’intervento bellico era fuori discussione, l'azione d’intelligence fu quella che cominciò a
prender piede.
L’avvicendamento alla casa Bianca fra Truman ed Eisenhower fu il detonatore, con gli
statunitensi che infine cedettero alle pressioni inglesi per arrangiare un golpe, la famigerata
Operazione Ajax, che esautorasse il governo nazionalista persiano.
Decisive all’intervento americano furono, infine, le motivazioni addotte dalla fondamentale
posizione dell’Iran nello scacchiere della Guerra Fredda.
Nel frattempo lo Scià e Mossadeq, sempre più ai ferri corti, arrivarono alla rottura quando il
Primo Ministro dissolse il Parlamento, conferendo alla sua persona il potere legislativo, tramite
un contestato referendum che ricevette la quasi totalità di consensi.
Lo Scià, inizialmente contrario al colpo di stato e sostanziale sostenitore la nazionalizzazione del
petrolio, cambiò idea dopo la svolta assolutistica di Mossadeq.
Fu inoltre ragguagliato dalla CIA, come scritto dallo storico Abbas Milani nella sua opera
biografica The Shah, che una sua mancata collaborazione avrebbe portato anche alla sua
“destituzione”.
Mossadeq, ormai alla stregua di un dittatore, godeva di un potere totalizzante.
Nonostante ciò si propagavano sfaldamenti interni, specie dopo la rottura con l’Ayatollah
Kashani, dovuta alla riluttanza del Primo Ministro a islamizzare lo Stato, e a causa del crescente
malcontento della classe lavoratrice, stanca e debilitata dalla crisi.
Al contempo si rafforzò una singolare coalizione politica con i comunisti del Tudeh, divenuti a
tutti gli effetti “la gendarmeria” del Fronte Nazionale.
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Irene L. Gendzier, Notes From the Minefield: United States Intervention in Lebanon and the Middle East, 1945–
1958. 1999: Westview Press.