4
logico, arriverò ad una tesi che è essa stessa semiologica. La
semiologia, quindi, è sì una scienza (semeion logos = scienza
del segno), ma può anche essere un’arte, se utilizzata in fun-
zione espressiva nella fase di ricomposizione del testo filmico.
In ambito semiologico si è sviluppata, alla fine degli anni
Ottanta, una tendenza destinata a durare fino ad oggi, la nuova
narratologia
1
. Secondo questa tendenza, è necessario tener
conto sia delle scienze cognitive, ovvero del ruolo spettatoria-
le, che della teoria dell’enunciazione
2
. Si prendono cioè in
considerazione le due principali correnti che hanno attraversa-
to le ultime evoluzioni della semiologia; la narratologia utiliz-
za i “risultati della semiologia per trarne delle conseguenze ri-
guardo al racconto”
3
.
Il mio studio su The immortal story (Orson Welles, 1968)
non è un mero esercizio di analisi a conferma delle ultime ri-
cerche narratologiche, ma è anche un’esplorazione teorica che
vuole fornire osservazioni di carattere metodologico.
Decidere di analizzare un film di Welles, significa confron-
tarsi con il lavoro di moltissimi studiosi di cinema, tra cui sto-
1
Nuova rispetto alle precedenti ricerche, dei primi anni Ottanta, dovute in particolare a
Seymour Chatman, Dominique Chateau, André Gardies e Nick Browne.
2
“Se il film in quanto tale è il frutto di un’enunciazione, il film in quanto racconto è il
frutto di una narrazione” (FRANCESCO CASETTI, Teorie del cinema. 1945-1990, Milano,
Bompiani, 1993, p.268).
3
FRANÇOIS JOST, “Narration(s): en deça et au-delà”, in Communications, n°38 (trad. it.:
“Narrazione(i): al di qua e al di là”, in LORENZO CUCCU, AUGUSTO SAINATI (eds.), Il
discorso del film, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987, p.182). La stessa frase è
poi ripresa dallo stesso Jost in L’Oeil-caméra. Entre film et roman, Lyon, Presses Uni-
versitaires de Lyon, 1987, p.15.
5
rici, critici e semiologi, oltre che sociologi, filosofi e altri an-
cora. La bibliografia riguardante Welles è una delle più vaste
mai prodotte su un singolo regista, sia per opere di carattere
monografico, che per articoli, interviste, saggi e recensioni. Di
tutto questo materiale solo una piccolissima parte concerne
The immortal story, il film che Welles ha tratto dal racconto
omonimo di Isak Dinesen (pseudonimo con cui si firmava Ka-
ren Blixen). Anche per questo motivo risulta preferibile adotta-
re un procedimento semiologico di analisi testuale, sopperendo
così alle lacune bibliografiche sul film meno conosciuto di
Welles.
Trattandosi di uno studio narratologico, cioè uno studio del
modo in cui viene narrato un racconto, ho voluto affiancare al
film l’opera letteraria da cui è tratto, in modo da poter osserva-
re le diverse modalità narrative
4
. Dopo una breve descrizione
del rapporto cinema/letteratura (cap.1), si passa all’analisi del
film, secondo le categorie di tempo, spazio e narrazione
5
.
Il secondo capitolo prende in considerazione le caratteristi-
che temporali del testo filmico e le raffronta a quelle del testo
4
“Per definizione il cinema narrativo racconta, coniugando così due tipi di vincolo:
l’uno dipende dai codici propri del linguaggio audio-visivo, l’altro deriva dalla combi-
natoria narrativa. Per definizione anche il romanzo racconta, coniugando così due tipi di
vincolo: l’uno dipende dai codici specifici della lingua, l’altro deriva dalla combinatoria
narrativa. Fra il film di finzione e il romanzo, dunque, si stabilisce una zona comune,
quella dell’attività raccontante” (ANDRÉ GARDIES, “Le su et le vu” in Hors-cadre vol.
II, Presses et Publications de l’Université de Paris VII, 1984, p.45. Trad. it.: Il sapere e
il vedere, in L. CUCCU, A. SAINATI, Il discorso del film, cit., p.209).
5
Tempo e narrazione sono categorie analitiche caratteristiche di un qualsiasi studio nar-
ratologico; la categoria spaziale è diventata imprescindibile dopo lo straordinario studio
di ANDRÉ GARDIES, L’espace au cinéma, Paris, Méridiens Klincksieck, 1993.
6
letterario; inoltre viene fornita un’innovativa tabella riguardan-
te la frequenza: in essa sono intersecati gli schemi proposti da
Gerard Genette e da David Bordwell in modo da offrire una
maggiore precisione analitica.
Il capitolo 3 sottolinea come lo spazio intervenga a diversi
livelli producendo effetti multipli sul racconto filmico.
L’ultimo capitolo riguarda la narrazione: nel classico
schema a tre enunciatore/personaggio/spettatore, viene inserita
la figura del narratore delegato, istanza già studiata da André
Gaudreault, ma non ancora connessa alla regolazione del sape-
re. Dopo aver stabilito le necessarie premesse, e dopo aver de-
scritto una tabella di riferimento, ho cercato di confermare
l’elaborazione teorica e insieme chiarificarla attraverso esem-
pi. È in questo capitolo che vengono fornite alcune indicazioni
metodologiche per analisi future.
7
CAPITOLO 1
ORSON WELLES E KAREN BLIXEN
8
Isak Dinesen era una danese che scri-
veva sotto questo pseudonimo. Me ne sono
innamorato da quando ho aperto il primo
libro. Nella vita era la baronessa Blixen, e,
per gli amici, Tania. Un giorno presi un
aereo per Copenaghen per conoscerla. Vi-
veva nella stessa vecchia casa dove era na-
ta, e dove morì. Avevo amici che la cono-
scevano bene e che mi avrebbero accom-
pagnato lì la mattina seguente. La notte
non dormii. All’alba presi il primo volo
dalla Danimarca. Cosa avrebbe potuto of-
frirle un visitatore occasionale e non invi-
tato, se non un imbarazzato “grazie”? Il
visitatore sarebbe stato noioso, e
l’innamorato era troppo umile, e troppo
orgoglioso per lasciarlo permettere.
ORSON WELLES
Nel 1958 viene pubblicato Anecdotes of Destiny, una rac-
colta di racconti scritti da Karen Blixen, e già l’anno successi-
vo Orson Welles progetta di realizzare tre film da altrettanti
racconti di questa raccolta, abbozzandone le sceneggiature
1
.
Nel 1966, con la produzione della ORTF (televisione france-
se), il contributo di un certo Phillips, e grazie alla propria casa
in Spagna, dove vengono girati tutti gli interni
2
, Welles traduce
in film uno di questi tre racconti, The immortal story: “…non
avevo un interesse specialissimo, ossessivo per quel racconto,
a parte il fatto che è molto bello […] era solo uno dei tre rac-
1
Cfr. FRANK BRADY, Citizen Welles. A Biography of Orson Welles, Toronto, Hodder
and Soughton, 1990, p.526, citato in ELSA NAGEL, L’art du mensonge et de la vérité.
Orson Welles: “Le procès” et “Une histoire immortelle”, L’Harmattan, Paris 1997,
p.111.
2
Cfr. l’intervista rilasciata a L’Avant-Scène Cinéma, n° 291/292, Juillet 1982, p.6.
9
conti più adatti a una trasposizione cinematografica”
3
.
L’affermazione di Welles ci porta direttamente al problema
della traduzione, o trasposizione
4
, da testo letterario a testo
filmico. Una traduzione di questo tipo la possiamo definire
centrifuga, poiché ci si allontana da un ambito per passare ad
un altro: un discorso verbale viene tradotto in uno non verbale,
o perlomeno non solo verbale. Si tratta cioè di un passaggio
intersemiotico, uno spostamento da un sistema di significazio-
ne ad un altro. Non ha dunque senso parlare di fedeltà nella
trasposizione, perché le strutture e i materiali sono diversi.
Per sostituire il concetto ormai superato di fedeltà, Laura
Salmon Kowarski propone il termine equivalenza, che “…si ha
quando vengono restituiti non tanto i contenuti originari, nelle
forme e nell’ordine originari, quanto il senso ultimo, le reazio-
ni, le emozioni che l’originale suscita nel destinatario come ri-
sultato finale”
5
. Ma se pensiamo che la parola equivalenza in-
dica “esatta corrispondenza di valori” e riconosciamo che le
emozioni non sono quantificabili, siamo costretti a scartare an-
che questo termine. Cercare un concetto sostitutivo è inutile:
3
PETER BOGDANOVICH, ORSON WELLES, This is Orson Welles, New York, Harper and
Row, 1992 (trad. it.: Io, Orson Welles, Milano, Baldini&Castoldi, 1993, p.261). Qual-
che riga più in alto Welles spiega perché non ha tratto film dagli altri due racconti:
“…ne ho fatto solo uno perché la TV francese ci dava i soldi solo se c’era Jeanne More-
au, e negli altri due copioni tratti dalla Dinesen non c’erano parti per lei”.
4
Preferisco questi due termini ad altri come adattamento, trascrizione, riscrittura.
5
LAURA SALMON KOVARSKI, Oci ciornie: da Cechov allo schermo, in G.ELISA BUSSI,
L.SALMON KOVARSKI (eds.), Letteratura e Cinema, Bologna, CLUEB, 1996, p.39.
10
Cinema e Letteratura sono arti diverse, linguaggi diversi, si-
stemi diversi di significazione
6
.
L’ultima parola sulla questione spetta ad Alfred Hitchcock,
che, per rispondere alla domanda di Truffaut “L’adattamento è
molto fedele al romanzo?”, racconta “…la storia delle due ca-
pre che stanno mangiando le bobine di un film tratto da un
best-seller e una capra dice all’altra: “Personalmente preferisco
il libro””
7
.
Eppure cinema e letteratura si assomigliano in qualcosa:
“…credo che tra i due ‘generi’ artistici sia reperibile almeno
una sorta di omologia strutturale su cui si possa discorrere: ed
è che entrambi sono arti dell’azione. E intendo ‘azione’ nel
senso che conferisce al termine Aristotele nella Poetica: un
rapporto che si pone tra una serie di eventi, uno sviluppo di ac-
cadimenti ridotto alla struttura di base”
8
. Cinema e Letteratura
sono Arti del racconto.
“Non si tratta pertanto di aprire, ancora una volta, il vec-
chio incartamento ‘cinema e letteratura’, ma piuttosto di adot-
tare una strategia mobile, tra film e romanzo, variando i punti
di vista, allo scopo di porre le premesse di una tipologia narra-
6
“…due forme d’arte, diverse per la ‘materia’ artistica di cui si avvalgono, per il rap-
porto di fruizione in cui si trovano prodotto estetico e consumatore, sia sul piano psico-
logico che su quello sociologico, e quindi per tutti quegli elementi ‘grammaticali’ e
‘sintattici’ che da questi fattori derivano” (UMBERTO ECO, La definizione dell’arte, Mi-
lano, Mursia, 1968, p.201.
7
FRANÇOIS TRUFFAUT, Le cinéma selon Hitchcock, Paris, Laffont, 1977 (trad. it.: Il ci-
nema secondo Hitchcock, Parma, Pratiche Editrice, 1994, p.105). La domanda di Truf-
faut si riferisce al film Rebecca (“Rebecca, la prima moglie”, A.Hitchcock, 1940).
8
U. ECO, La definizione…, cit., pp.203-204.
11
tologica, accettabile sia per l’analisi cinematografica che per
l’analisi letteraria, insomma: una narratologia comparata”
9
.
Attraverso uno studio di tipo narratologico è allora possibile
analizzare i rapporti tra racconto filmico e racconto letterario,
osservando le varie modalità espressive dovute ai differenti
materiali utilizzati: “che si tratti della letteratura o del cinema,
in entrambi i casi, i concetti si costruiscono attorno a
quell’andirivieni teorico che oscilla tra il racconto in generale
e la specificità del materiale”
10
.
Il film di Welles viene proiettato in anteprima al New York
Film Festival nel settembre del 1968, con il titolo The immor-
tal story (versione inglese); dopo pochi giorni la ORTF tra-
smette Une histoire immortelle
11
, la versione francese del film,
che consta di 431 inquadrature, 46 in meno rispetto all’altra
versione
12
.
Il fatto che The immortal story sia un film concepito per la
televisione, non contraddice l’affermazione di Welles secondo
cui il racconto della Blixen è adatto a una trasposizione cine-
9
F.JOST, L’Oeil-caméra…, cit., p.9, trad. mia.
10
Ivi, p.138. trad. mia.
11
Perché abbiano scelto l’articolo indeterminato une per la versione francese è un mi-
stero, così come è un mistero il perché abbiano scelto di distribuire la versione inglese
con il titolo “The immortal story”, quando invece erano tutti d’accordo che si intitolasse
“The Guinea piece” (Cfr. P.BOGDANOVICH, O.WELLES, Io…, cit., p.260). Programmato
inizialmente il 24 maggio 1968 (televisione francese, secondo canale), il film fu annul-
lato per lo sciopero della ORTF (Cfr. AA.VV., Orson Welles, Cahiers du Cinema numero
speciale, Paris, Les editions de l’etoile, 1986, p.204).
12
Per la versione francese vedi il “Découpage intégral après montage” in L’Avant-
Scène…, cit., pp.81-102. Per la versione inglese vedi la “Sceneggiatura desunta” in Ap-
pendice.
12
matografica. Lo stesso Welles sostiene infatti che “…la televi-
sione è la nemica dei valori cinematografici classici, ma non
del cinema. È una forma di espressione meravigliosa, poiché lo
spettatore si trova soltanto a un metro e cinquanta dallo scher-
mo, ma non è una forma drammatica, è una forma narrativa, al
punto, anzi, che la televisione è il mezzo ideale per chi raccon-
ta”
13
. Poche righe più sotto si può leggere una dichiarazione in
cui Welles rivela il suo amore per i racconti brevi: “La TV è
dunque soprattutto un mezzo per soddisfare la mia tendenza a
raccontare storie, come i narratori arabi sulla piazza del merca-
to. Da parte mia, ho la passione di questa cosa; non mi stanco
mai di sentire raccontare storie, sapete, così commetto l’errore
di pensare ai drammi, alle opere teatrali, ai romanzi: è una ca-
ratteristica importante del mio gusto. Leggo con estrema fatica
grandi romanzi: mi piacciono le storie”
14
.
Come poteva Welles non amare The immortal story, una
storia che contiene un’altra storia, racconto breve di una delle
sue autrici preferite?
15
13
ANDRE BAZIN, Orson Welles, Paris, Editions du cerf, 1972 (trad. it.: Orson Welles,
Milano, Il Formichiere, 1980, p.107).
14
Ivi, p.108.
15
“Mi tengo Montaigne sul tavolino da notte, non come una Bibbia, per ispirarmi, ma
per il solo piacere della sua compagnia. Per lo stesso motivo viaggio di rado senza un
libro di Karen Blixen”. Da un’intervista rilasciata al Sunday Times del 3 febbraio 1963,
citato in CLAUDIO M.VALENTINETTI, Orson Welles, Milano, Il Castoro, 1980, p.10.
13
CAPITOLO 2
TEMPORALITÀ
14
Alla televisione si può dire dieci volte di
più, in dieci volte meno tempo che con il
cinema, perché ci si rivolge soltanto a due
o tre persone. E, sopra ogni cosa, ci si ri-
volge all’orecchio.
ORSON WELLES
Mr. Clay (Orson Welles), un vecchio mercante molto ricco,
vuole far accadere nella realtà una storia che raccontano i
marinai, ma che non è mai accaduta. La storia è questa: un
ricco signore invita un marinaio nella sua villa, gli offre una
sontuosa cena e lo paga per passare la notte con la sua giova-
ne moglie, al fine di concepire quel figlio che lui non può ave-
re. Mr. Clay decide di interpretare la parte del ricco signore
ed incarica Elishama (Roger Coggio), un suo impiegato, di
trovare una giovane donna che sia disposta ad interpretare la
parte della moglie, non importa il prezzo. Elishama convince
Virginie (Jeanne Moreau), la figlia di un ex-socio di Mr.Clay,
fallito proprio a causa sua. Una volta trovato un vero mari-
naio (Norman Eshley), di nome Paul, ignaro della messa in
scena preparatagli, la storia si avvera. Al mattino seguente
Mr.Clay muore.
15
Alle 77 pagine del racconto della Blixen
1
corrispondono 58
minuti di film (nella versione inglese); la durata di un’ora circa
fu imposta dalla televisione francese per motivi di budget limi-
tato
2
, e, a causa di questa breve durata, la distribuzione nelle
sale è stata pressoché inesistente ed il film poco conosciuto dal
pubblico.
Attraverso un sapiente gioco di varia-
zioni temporali rispetto al libro, Welles è
riuscito a (ri)creare in questi 58 minuti
un’estrema fluidità, linearità del racconto
filmico, senza per questo turbare la scor-
revolezza e l’armonia del racconto scrittu-
rale.
2.1. Ordine e durata
La durata della fabula non è esattamente determinabile,
poiché, nel libro come nel film, ci sono ellissi implicite, la cui
presenza non è dichiarata, ed esplicite, ma indeterminate, cioè
non esattamente quantificabili
3
. Nell’arco dei quindici paragra-
fi in cui si divide il racconto, la narrazione della Blixen presen-
ta numerosissime ellissi, tanto che solo nelle prime tre pagine
se ne riscontrano ben otto:
1
L’edizione a cui farò riferimento da qui in poi è “The immortal story”, pp.154-231, in
ISAK DINESEN (KAREN BLIXEN), Anecdotes of Destiny, London, Penguin Books, 1986.
La raccolta venne pubblicata per la prima volta nell’ottobre del 1958 in Stati Uniti, In-
ghilterra e Danimarca contemporaneamente. La prima pubblicazione italiana, con il tito-
lo Capricci del destino, è del 1966, presso Feltrinelli.
2
Cfr. ELSA NAGEL, L’art…, cit., p.112.
3
Si fa riferimento qui alla classificazione proposta da GERARD GENETTE in Figures III,
Paris, Editions du Seuil, 1972 (trad. it.: Figure III, Torino, Einaudi, 1976, pp.155-158).
16
-fifteen years ago (p.155)
-later (p.155)
-today (p.156)
-on the last day of his life (riferito al padre di Virginie; p.156)
-by the time that Mr.Clay was seventy years old (contempora-
neo al today di cui sopra; p.157)
-late one night (p.157)
-when the morning came (p.157)
-the next evening (p.157)
Welles riduce le ellissi a tre in tutto il film: la prima si ha
tra le inquadrature [98] e [99]
4
ed è un’ellissi esplicita deter-
minata (“By the next day”) che ha una precisa corrispondenza
nel testo letterario (“The day after”, p.177). La seconda ellissi
si ha tra [127] e [128], in cui si passa da un esterno a un inter-
no e notiamo che Virginie ha cambiato abito, ma non ci viene
detto che c’è stato un salto temporale, per cui la definiamo
come implicita. La terza e ultima ellissi è esplicita, ma inde-
terminata: si ha tra [169] e [170] ed è preannunciata in [120]
(“on a night appointed by him”)
5
.
4
Da qui in avanti mi riferirò alle inquadrature della sceneggiatura desunta, in Appendi-
ce, indicate in neretto tra parentesi quadre [ ].
5
A cui corrisponde un’identica frase a pagina 187 del racconto, ed un’altra a pagina
194: “la notte in cui Mr.Clay aveva deciso di far accadere la storia”, seguita da una spe-
cificazione : “era una notte di aprile” (trad. mia). La durata di questa ellissi viene però
anticipata nel testo letterario ed è approssimativamente quantificabile in una settimana:
“[Clay]: In una settimana dovrei essere abbastanza forte”. “Dunque”, disse Elishama,
“cercherò di preparare tutto in una settimana” (p.175, trad. mia).
17
È evidente dunque che, pur non essendo precisamente
quantificabile, la durata della fabula del testo letterario è net-
tamente superiore a quella del testo filmico.
Allora, come ha potuto Welles rendere la fluidità del rac-
conto, utilizzando tutti gli elementi contenutistici presenti nel
testo letterario, e contemporaneamente rinunciare ai salti tem-
porali?
Secondo Sara Cortellazzo e Dario Tomasi, le principali
strategie procedurali della trasposizione sono sette
6
:
1-ADDIZIONE (aggiunte all’opera letteraria).
2-SOTTRAZIONE (tagli all’opera letteraria).
3-CONDENSAZIONE (elementi dell’opera presenti nel film,
ma in una forma ridotta).
4-ESPANSIONE (elementi del testo letterario che vengono di-
latati nel film).
5-VARIAZIONE (elementi del romanzo presenti nel film, ma
con caratteristiche diverse).
6-SPOSTAMENTO (anticipazione o posticipazione).
7-RICORSO O MENO ALLA VOCE NARRANTE.
6
SARA CORTELLAZZO, DARIO TOMASI, Letteratura e cinema, Bari, Laterza, 1998,
pp.21-32.