2
La maggioranza delle opere messe in scena durante i primi anni della
Restaurazione erano, infatti, revivals o adattamenti di opere precedenti alla
chiusura dei teatri che risaliva al 16424.
Vari autori sperimentarono con la tradizione, portando in scena drammi del
passato, ma conferendo loro significati del tutto nuovi, “adattandoli”, per
l’appunto, alle nuove esigenze che il periodo in questione presentava, quindi
aggiustandole secondo i nuovi gusti degli spettatori e della corte.
Lo stesso sovrano, d’altronde, si era proposto come amante della tradizione
teatrale francese, in quanto, durante l’esilio sul Continente, era rimasto
affascinato dalle opere francesi e dal filone classico che in Francia si andava
sempre più sviluppando, grazie ad autori come Racine e Molière. Essi
divennero quindi un punto di riferimento per i drammaturghi inglesi, i quali
però cercarono di scavare soprattutto nella propria tradizione teatrale, in cui il
nome che spiccava era ovviamente quello di William Shakespeare, che
rappresentava un termine di paragone imprescindibile. Fu proprio in questo
periodo, dunque, che gli autori decisero di riprendere le opere shakespeariane,
proponendone una messa in scena che seguisse i gusti dei contemporanei.
L’idea che gli autori della Restaurazione avevano era che i vecchi drammi
appartenessero alle compagnie teatrali più di quanto non fossero appartenute
ai legittimi autori: essi quindi potevano riprendere drammi come quelli di
Jonson, Fletcher e soprattutto Shakespeare ed adattarli ai nuovi canoni estetici
neoclassici del periodo senza per questo ricevere l’accusa di non aver
rispettato il testo originale dell’opera.
In La Scena trasformata, Loretta Innocenti afferma:
4 Nel 1642 il Parlamento, a maggioranza puritana, impose la chiusura a tempo indeterminato dei
teatri reputati covo di immoralità e vera piaga sociale. I venti anni che seguirono a questo evento
furono ricchi di stravolgimenti politici (decapitazione di re Carlo I, instaurazione del regime
puritano, inizio e fine Repubblica cromwelliana) ma poveri dal punto di vista della letteratura
drammatica (data l’instanza che prevedeva la chiusura della playhouses). Molti attori presero allora
un’altra strada: alcuni, ad esempio, emigrarono all’estero per continuare la propria professione senza
restrizioni. L’anno 1660 sancì la fine di tale periodo di austerità: era la Restaurazione. Dopo dieci
anni di esilio, Carlo II sbarcò a Dover portando con sé i gusti e le mode in voga alla corte di
Francia e un progetto di rinascita, che comprendeva tanto l’ambito socio-politico quanto quello
culturale.
3
Simbolicamente, il riprendere vecchi drammi per riproporne la
fortuna, attraverso un adattamento, sembrava voler sanare quella
frattura tra l’Inghilterra del periodo pre-Commonwealth e quella di
Carlo II. Poteva essere insomma visto come un tentativo di
colmare quella lacuna culturale che si era venuta a creare durante i
vent’anni di regime puritano.
La stessa monarchia che si era venuta a instaurare con Carlo II era
un tentativo di ricucire quella brusca spaccatura causata dai
puritani. La nostalgia per un passato culturale glorioso e recente
spingeva all’innovazione; adattamento e innovazione furono visti
come un “divenire nel permanere”.
L’adattamento neoclassico di Shakespeare assumeva allora un
particolare significato: in quel contesto “adattare” significava infatti
“make fit”, ovvero “rendere adatta” a fattori estetici di gusto e alle
innovazioni scenotecniche, l’opera originaria.5
L’opera shakespeariana era quindi vista come l’espressione genuina del suo
autore, ma anche passibile di essere rimodellata seguendo i nuovi canoni
drammaturgici neoclassici di unità e decorum e inoltre adeguando il testo alle
innovazioni scenotecniche.
Gli autori della Restaurazione cercarono quindi di riscrivere le opere
shakespeariane conformandole ai nuovi precetti stilistici: alcuni si accostarono
al cambiamento poiché insoddisfatti di come il Bardo aveva strutturato una
scena o sviluppato un personaggio, altri autori decisero di sostituire il blank
verse shakespeariano con il distico eroico (ritenuto più adatto quando
l’argomento era aulico e importante, come nel caso della tragedia), altri ancora
cercarono di semplificarne il linguaggio e infine alcuni autori, credendo nella
funzione didattica del teatro, cercarono di inserire messaggi edificanti,
soprattutto riguardo la situazione politica, nelle proprie rappresentazioni.
Nei primi dieci anni della Restaurazione (dal 1660 al 1670) furono riscritte ben
quindici opere shakespeariane adeguandole al gusto dei tempi e alle diverse
esigenze degli adattatori. Fu però negli anni dell’Exclusion Crisis e del Popish Plot
(tra il 1678 e il 1681), durante i quali la questione politica inglese diventò
sempre più confusa, che le opere shakespeariane furono riadattate calcando la
mano sui toni politici.
5
LORETTA INNOCENTI, La Scena trasformata, adattamenti neoclassici di Shakespeare, Firenze,
Sansoni, 1985, p.4.
4
In questo periodo le opere riadattate furono quindi soprattutto tragedie e
drammi storici: soprattutto i drammi storici shakespeariani con i loro continui
rimandi al senso di irrequietezza causato dall’avanzare minaccioso di una
possibile guerra civile, al senso di pericolo dato dal “disordine”, dall’
“instabilità” e dalla “disobbedienza”, ben potevano rappresentare la situazione
di crisi politica che si trovava a dover affrontare l’Inghilterra in quegli anni.
Tra gli altri, Nahum Tate riprese il Coriolanus di Shakespeare intitolandola The
Ingratitude of a Common-wealth, or the Fall of Caius Martius Coriolanus (1681) e
insistendo sul contenuto politico dell’opera poteva facilmente far intuire dei
richiami alla difficile situazione istituzionale inglese a lui contemporanea. Già
nella lettera dedicatoria al re Carlo II, Tate esprimeva apertamente il suo
intento:
Upon a close view of this Story, there appear’d in some Passages,
no small Resemblance with the busie Faction of our own time. And
I confess, I chose rather to set the Parallel nearer to Sight, than to
throw it off at further Distance. What offence to any good Subject
in Stygmatizing on the Stage, those Troublers of the State that out
of private Interest or Mallice Seduce the Multitude to Ingratitude,
against persons that are not only Plac’t in Rightful Power above
them but also the Heroes and the Defenders of their Country?
Where is the harm of letting the People see what Miseries Common-
Wealths have been involv’d in, by a blind Compliance with their
popular Misleaders? The Moral therefore of these Scenes being to
Recommend Submission and Adherence to Establisht Lawful
Power, which in a word, is Loyalty; They have so far a natural
Claim to your Lordship’s Acceptance: this Virtue seeming
Inheritance in Your Lordship, and deriv’d from your Ancestours
with your Blood6.
Tate tracciava qui un parallelismo evidente con la difficile situazione inglese a
lui contemporanea (conflitto tra le due fazioni avverse dei Whigs e dei Tories):
egli invitava la Multitude ad accettare la propria sottomissione all’autorità di
Carlo II e accusava i Troublers of the State, ovvero gli esponenti del partito
Whigs, di essere i veri rappresentanti di quella “disobbedienza” al potere
6 NAHUM TATE, “The Epistle Dedicatory” in Nahum Tate and the Coriolanus Tradition in English
Drama with a critical edition of Tate’s The Ingratitude of a Common-wealth, edited by Ruth MCGUGAN,
(New York: Garland Publishing, 1987).
5
costituito7 che altro non avrebbe portato se non ad un clima di “instabilità” e
di “caos” permanenti.
Tra gli altri esempi in cui Shakespeare venne ripreso e riadattato al contesto
socio-politico del periodo della Restaurazione può essere citato il Titus
Andronicus or the Rape of Lavinia di Edward Ravenscroft, che venne
rappresentato per la prima volta al Royal Theatre nel 1678. Ravenscroft rese
subito evidente nella sua introduzione all’adattamento che:
[…] the piece was calculated to that Season, when Villainy,
Treachery and Perjury, triumph’d over Truth, Innocence and
Loyalty. It first appear’d on the Stage, at the beginning of the
pretended Popish Plot, when neither Wit nor Honesty had
Encouragement: Nor cou’d this expect favour since it shew’d the
Treachery of Villains, and the Mischiefs carry’d on by Perjury, and
False Evidence; and how Rogues may frame a Plot that shall deceive
and destroy both the Honest and the Wise8.
7 Proprio in quegli anni, e precisamente nel 1679, il partito dei Whigs, capeggiato da sir Anthony
Ashley Cooper, Conte di Shaftsbury, aveva avanzato in Parlamento la proposta (Exclusion Bill) di
escludere Giacomo, Duca di York, fratello del re e suo legittimo erede, dalla linea di successione al
trono, a causa della sua fede cattolica (si temeva infatti che, una volta salito al trono, Giacomo
avrebbe potuto imporre il cattolicesimo e instaurare un regime assolutistico sull’esempio di quello di
Luigi XIV di Francia). Gli stessi Whigs proposero che la Corona passasse al figlio illegittimo di Carlo
II, James Scott, Duca di Monmouth. Nel 1679 la legge di esclusione, l’ Exclusion Bill, stava per
essere approvata dal Parlamento. Al re non rimase altra scelta che sciogliere il Parlamento (26
maggio 1679, venne poi riconvocato il 15 Agosto 1679). Giacomo intanto venne spedito a Bruxelles
(4 Marzo 1679). Lo stesso partito dei Whigs ripropose l’Exclusion Bill per gli altri due Parlamenti
successivi, tra il 1680 e il 1681, che vennero rispettivamente sciolti dallo stesso Carlo II per la
medesima ragione. Nel 1683 il partito Whigs, preoccupato per il governo assolutistico di Carlo II,
che aveva definitivamente sciolto il Parlamento e governava su modello dei re di Francia, organizzò
allora un complotto volto ad eliminare sia Carlo II sia Giacomo. Questo complotto prese il nome di
Rye House Plot: il piano era semplice e consisteva nell’uccidere il re e il fratello appena fossero
ritornati da una cavalcata fuori Londra. Ma un incendio distrusse gli alloggi di campagna del
sovrano, che fece anticipatamente ritorno a corte, cogliendo di sorpresa i congiurati. Tra di essi fu
scoperto implicato nella congiura lo stesso figlio illegittimo di Carlo II, il Duca di Monmouth, che
venne mandato in esilio in Olanda.
8 EDWARD RAVENSCROFT, “Titus Andronicus, or the Rape of Lavinia: acted at the Theatre
Royal; a tragedy alter’d from Mr Shakespeare’s works”, in Acting versions of Shakespeare’s plays from the
Restoration to the death of David Garrick, Vol. LXXI, University of Michigan, UMI, 2003, “Epistle
Dedicatory” e “To the Reader”.
6
Qui Ravenscroft alludeva direttamente al Popish Plot9, definendolo per
l’appunto un “mischief carry’d on by Perjury and False Evidence” e ordito da
quei “Rogues” le cui cospirazioni e complotti non avevano fatto altro che
fomentare il clima di isteria già dilagante nel regno per la paura di un ritorno al
cattolicesimo come religione di Stato e di un modello monarchico assolutistico
di stampo francese10. Dall’omonima opera shakespeariana egli riprese,
ampliandole, soprattutto quelle scene in cui era fortemente presente
l’elemento dell’orrido e del macabro: nell’ultimo atto, la scena del banchetto
antropofago in cui Tamora si cibava, pur senza saperlo, dei propri figli, venne
arricchita con descrizioni ancor più sanguinolente che rendessero chiaro il
destino tragico inferto a coloro che, sia esecutori sia vittime di cospirazioni, si
macchiavano di “Perjury” e di “False Evidence” e andavano così incontro a
una mutua distruzione. Il richiamo alla storia contemporanea era evidente: gli
9 Il 13 agosto 1678, due corrotti membri del clero inglese, Israel Tonge e Titus Oates, sacerdote
anglicano, dichiararono di aver scoperto una congiura, rivelatasi poi falsa, che prese il nome di
Popish Plot, suppostamente ordita da un gruppo di gesuiti e volta ad assassinare il re d’Inghilterra
Carlo II Stuart per poi sostituirlo sul trono con il suo fratello Giacomo, allora duca di York,
dichiaratamente cattolico. Oates giurò diverse volte di dire il vero. Carlo, scettico, ordinò al suo
ministro Osborne, Lord Danby, di investigare sulla veridicità del complotto; il Parlamento invece
credette seriamente alle parole di Oates. Dopo una rapida inchiesta, furono processati e condannati
a morte numerosi cattolici innocenti: il Popish Plot in realtà non esisteva, ma era una menzogna
inventata da Oates, su pressione di esponenti Whigs, per confermare l'ostilità già dilagante nel regno
verso il cattolicesimo, che con questo episodio raggiunse il vertice della crudeltà.
10 E i timori non erano totalmente infondati: Carlo II infatti, che durante gli anni dell’esilio aveva
avuto modo di conoscere il lusso e le ricchezze della corte francese e la magnificenza di re Luigi
XIV suo cugino, non aveva mai nascosto le sue simpatie nei riguardi del modello assolutistico e
filocattolico francese e negli anni a venire coltivò stretti legami diplomatici con la Francia. Nel 1670,
cercando di risolvere i suoi ingenti problemi finanziari, Carlo II decise di rinunciare all'alleanza con
svedesi e olandesi e firmò il Trattato di Dover, patto stipulato fra Inghilterra e Francia. In questo
trattato c’era una clausola segreta in cui Luigi XIV si impegnava a versare la somma di 160.000
sterline ogni anno, Carlo II ad inviare supporti militari a Luigi nelle sue guerre europee e a
convertire il suo Paese al cattolicesimo romano, non appena si fosse presentata l'occasione. Luigi gli
offrì seimila truppe per soffocare nel sangue chiunque si fosse opposto alla conversione. Inoltre nel
1672 il re emanò una Declaration of Indulgence, con la quale permetteva parziale libertà di culto ai
cattolici. Nello stesso anno diede pieno appoggio alla Francia cattolica del cugino Luigi XIV e diede
inizio alla Terza guerra anglo-olandese. Il Parlamento si oppose con decisione alla Declaration of
Indulgence promossa da Carlo, affermando che il re non poteva deliberare autonomamente in materia
di tolleranza religiosa. Carlo revocò la Dichiarazione e fu costretto a sottoscrivere il Test Act, che
imponeva un giuramento di fedeltà alla Church of England per accedere alle cariche pubbliche.
7
stessi ideatori del falso complotto papista si erano macchiati di “Perjury” e
“False Evidence”, che aveva provocato la condanna a morte di innocenti11.
Fu in questo periodo (e, più precisamente nel 1679), che Thomas Otway, già
autore di due drammi (Alcibiades, rappresentato senza successo nel 1675, e Don
Carlos, del 1676, che aveva invece riscosso il favore del pubblico) e fervido
sostenitore del partito yorkista, in un clima di preoccupazione per la difficile
situazione politica inglese (che in quell’anno aveva visto l’inasprirsi dello
scontro tra le due fazioni opposte dei Tory e dei Whig), riprese la tragedia
shakespeariana di Romeo and Juliet e la riadattò dando forma a un’opera
completamente nuova: The History and Fall of Caius Marius.
Egli lo fece focalizzando l’attenzione del pubblico su quegli elementi (lo
scontro tra casate/fazioni differenti, la disobbedienza al potere costituito che
porta al caos: Giulietta/Lavinia che va contro il volere di padre Capuleti
/Metellus finisce tragicamente come tutti coloro che si oppongono al potere
costituito), che potessero dare vita a parallellismi con la situazione storica
contemporanea.
Già nel Prologo dell’opera, Otway infatti ci informava sulle preoccupazioni
del suo tempo:
When shall we there again behold him (Charles II) sit
‘Midst shining Boxes and a Courtly Pit,
The Lord of Hearts, and President of Wit?
When that blest Day (quick may it come) appears,
His Cares once banisht, and his Nation’s Fears,
The joyfull Muses on their Hills shall sing
Triumphant Songs of Britain’s happy King.
(HCM, Prologue: 36-41)12
Otway iniziò a scrivere la tragedia molto probabilmente al suo ritorno dai
Paesi Bassi13 trovando una Londra profondamente turbata: Carlo II aveva a
11 Dopo che Titus Oates rese pubblico il presunto Popish Plot, furono processati e condannati a
morte numerosi gesuiti e cattolici innocenti (tra i quali cinque nobili: il Conte di Powis, il Visconte
Stafford, Lord Arundell di Wardour, Lord Petre e Lord Belasyse).
12 THOMAS OTWAY, “The History and the Fall of Caius Marius: a Tragedy”, in The Works of
Thomas Otway: In Three volumes. With notes, critical and explanatory and a life of the author, a cura di Thomas
THORNTON, Londra, T. Turner, 1932, vol. II, Prologue: pp. 113-114.
13 Agli inizi del 1678 Otway infatti, in pessime condizioni economiche, aveva accettato un incarico
(che gli era stato offerto dal Conte di Plymouth, figlio illegittimo di Carlo II) come militare
8
maggio sciolto il Parlamento per evitare che una proposta di esclusione (nei
confronti di Giacomo Duca di York e futuro re d’Inghilterra) potesse essere
approvata dal Parlamento. Ma la scioglimento del Parlamento non solo non
aveva risolto il dissidio tra le due fazioni avverse dei Whigs e dei Tories, ma, al
contrario, lo aveva inasprito a tal punto che il Paese temette di trovarsi
sull’orlo di un’insurrezione. Per i mesi successivi l’Inghilterra si trovò in uno
stato di panico e confusione (ecco quindi spiegate le “Nation’s Fears” di cui
parlava Otway); e l’improvvisa malattia del re (“his cares” per l’appunto),
nell’agosto 1679, non aveva fatto altro che aumentare la gravità della
situazione. Fu in queste circostanze che la tragedia The History and Fall of Caius
Marius venne rappresentata per la prima volta, nell’autunno del 1679 al Duke’s
Theatre. Il Prologo equiparava il “disease of the King’s body natural” al
“disease of body politic14” e, augurando al re una pronta guarigione, auspicava
che il suo ritorno si facesse garante di quella armonia e stabilità che solo la
monarchia poteva portare e mantenere:
Plenty and Peace shall flourish in our Isle,
And all things like the English Beauty smile.
(HCM, Prologue: 42-43)
all’interno dell’esercito reale in stanza presso i Paesi Bassi. Egli rimase a combattere per la patria in
territorio straniero fino alla stipulazione del Trattato di Nimega (che pose fine alla guerra franco-
olandese iniziata il 6 aprile 1672 e conclusasi nell’agosto 1678 con la vittoria francese) e ritornò in
Inghilterra agli inizi del 1679. Nonostante il grado di luogotenente, egli ricevette alla fine del
servizio solo una minima parte del salario che gli era stato promesso: furono quindi molto
probabilmente le cattive condizioni finanziare in cui si trovava uno dei motivi che lo spinsero a
scrivere in poco tempo la tragedia The History and Fall of Caius Marius, sperando in una immediata e
redditizia ricompensa dalla sua pubblicazione. Alcuni critici, al contrario, affermano che l’opera sia
stata in parte scritta, o per lo meno abbozzata, mentre ancora Otway era in servizio nelle Fiandre.
ROSWELL HAM, ad esempio, in Otway and Lee, afferma che “Since laying aside the sword, Otway
had found time sufficient for a thorough overhauling of his tragedy in the light of the new politics”
(Università del Michigan, Yale University Press, 1931, pp. 121-122); allo stesso modo JYOTISH
CHANDRA GHOSH in The Works of Thomas Otway: plays, poems, and love-letters, sosteneva che “It
seems as if, after returning from Flanders with a rough sketch of the historical part in his pocket,
Otway stitched it up with scenes and passages hurriedly rifled out of Shakespeare, and made over
the piece to Betterton” (Oxford, Clarendon Press, 1932, vol. I, pp. 45-47). Ghosh vedeva Caius
Marius come un lavoro di rimaneggiamento e di rielaborazione di vecchio materiale ma senza alcun
riferimento implicito e/o esplicito alla contemporanea situazione inglese e alla controversia tra Whig
e Tory: “Caius Marius may be termed the staging of a general situation, rather than any display of
personal bias. I’m very doubtful whether as yet Otway perceived his position in the great
controversies: at the time Otway was neither violently Whig nor Tory” (Ibidem).
14 Vedi: MICHAEL DOBSON, “Politics and Pity” in The Making of the National Poet: Shakespeare
Adaptation and Authorship, 1660-1769, Oxford, Oxford University Press, 1995, p. 77.
9
Sempre nel Prologo infatti Otway desiderava per la sua nazione un ritorno a
quel periodo di pace che aveva caratterizzato l’Impero romano in età augustea
e che aveva portato in auge i grandi poeti dell’antichità romana (nel Prologo
sono citati Orazio e Ovidio). Solo allora la poesia inglese e lo stesso verso del
poeta Otway avrebbero potuto tornare a risplendere:
In Ages past, (when will those Times renew?)
When Empires flourisht, so did Poets too.
When Great Augustus the World’s Empire held,
Horace and Ovid’s happy verse excell’d.
[…]Ev’n This-day’s Poet shall be alter’d quite:
His thoughts more loftily and freely flow;
And he himself, whilst you his Verse allow,
As much transported as he’s humble now.
(HCM, Prologue: 1-4; 48-51)
La sua poesia avrebbe allora potuto tornare ad essere free e non più baser Dross,
materiale di scarto e mera ricopiatura di quel verso, il verso shakespeariano,
che nel Prologo veniva invocato subito dopo Orazio e Ovidio e che parimenti
aveva caratterizzato e definito il periodo di maggior splendore di una nazione:
il Rinascimento inglese.
...Our Shakespear wrote too in an Age as blest,
The happiest Poet of his time and best.
Therefore he wrote with fancy unconfin’d,
And thoughts that were Inmortal as his Mind.
And from the Crop of his luxuriant Pen
E’re since succeeding Poets humbly glean.
Though much the most unworthy of the Throng,
Our this-day’s Poet fears h’has done him wrong.
Like greedy Beggars that steal Sheaves away,
You’ll find h’has rifled him of half a Play
Amidst this baser Dross you’ll see it shine
Most beautifull, amazing, and Divine.
(HCM, Prologue: 20-33)
Già nel Prologo dell’opera, Thomas Otway informava quindi la propria
audience che la tragedia di Caius Marius altro non era se non un rifacimento, un
adattamento, dell’opera shakespeariana.
Il lavoro presentato qui di seguito parte da un attento esame del periodo
storico della Restaurazione, continua con un’analisi dei nuovi gusti teatrali
10
dell’epoca e di un nuovo pubblico, si sofferma sul concetto di making fit, dà
un’approfondita biografia dell’autore, e infine giunge a delineare un confronto
tra l’opera di Romeo and Juliet di Shakespeare e il suo adattamento a opera di
Thomas Otway. L’elaborato si propone di mettere in luce, attraverso uno
studio delle discontinuità tra le due opere (soprattutto nella diversa maniera
adottata dai due autori nel rapportarsi ai personaggi e nel diverso modo in cui
le due opere sono strutturate, con particolare attenzione al modo in cui Otway
utilizza i prestiti shakespeariani), si possa evincere un nuovo modo di
rapportarsi alla tragedia (proprio del periodo della Restaurazione e diverso da
quello shakespeariano), che non pone la sua importanza sull’investigazione del
destino tragico dell’uomo e della sua anima, ma che risponde a esigenze più
precipue e incombenti che possono essere riassunte nella preoccupazione di
Otway (e del suo tempo) nei confronti di una situazione politica allarmante. I
toni cupi e violenti della tragedia Caius Marius sono quindi riflesso dei decenni
inquieti ai quali Otway appartiene.