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Introduzione
Lo scopo di questa tesi è di dimostrare quanto, attraverso le sue opere, Margaret
Atwood ci appaia un’autrice estremamente attuale. In particolare, in The Handmaid’s
Tale (1985), Atwood offre ai lettori dei suoi romanzi gli strumenti per poter guardare
il mondo con occhi diversi e diventare consapevoli del posto in cui vivono.
Il genere che l’autrice canadese predilige è la distopia. Questo genere è il tema
principale del primo capitolo, all’interno del quale se ne è esplorato il mondo
spiegandone le origini, le caratteristiche e gli sviluppi letterari, e affrontando anche il
discorso della distopia femminile: una variante che ha costituito un potente mezzo
per poter denunciare la ‘distopia reale’ in cui, da sempre, per una ragione o per
un’altra, vivono molte donne. In particolare, si è esplorata la connessione tra
femminismo e utopia, e si è investigato su come questo legame abbia condotto
all’introduzione delle donne in letteratura, non solo come autrici ma anche come
protagoniste per eccellenza di un’opera letteraria, essendone non solo le narratrici ma
anche le protagoniste.
Come afferma spesso l’autrice canadese, il suo scopo non è quello di inventare o
raccontare qualcosa che potrebbe far parte di un futuro lontano: tutto ciò che ha
inserito nei suoi romanzi è già accaduto o sta accadendo in qualche parte del mondo.
E per questo l’autrice sostiene da sempre di scrivere speculative fiction, non
letteratura fantascientifica.
Per scrivere distopie Atwood si è ispirata in gran parte ai totalitarismi del
ventesimo secolo. Così ha dato vita alla società di Gilead, dove è ambientato il
romanzo, all’interno del quale si è soffermata sull’instaurazione e sul funzionamento
delle dittature, oltre che sulla gerarchia sociale e su sistemi di tortura e
manipolazione a cui sono sottoposti i cittadini dei paesi repressi.
A differenza di altri autori che si sono cimentati nel genere, la protagonista di The
Handmaid’s Tale è una donna. Il romanzo, di fatto, tratta di tematiche care al
movimento femminista: denuncia i maltrattamenti che le donne subiscono all’interno
della società, in quanto considerate esseri inferiori agli uomini. Per la scrittrice,
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tuttavia, anche se le donne non devono essere solo coloro che hanno il dovere di
restare tra le mura domestiche e di occuparsi della casa e della famiglia, nemmeno gli
uomini appaiono del tutto esseri brutali che molestano e minacciano l’altro sesso. E
questa prospettiva non è condivisa da molte delle femministe contemporanee. Infatti,
Atwood è stata spesso accusata di non essere una buona femminista poiché in certe
occasioni ha anche criticato i limiti del movimento. Il femminismo è parità ed
uguaglianza e non disparità tra generi, in qualsiasi senso.
Nel mondo distopico che la scrittrice ha descritto nel romanzo, non solo le donne
ma anche gli uomini conducono una vita infelice e priva di libertà, stando a leggi
estremamente restrittive. E questo è quanto il secondo capitolo analizza, mostrando il
difficile mondo in cui Offred e tutte le altre donne sono costrette a vivere accanto a
uomini che sono comunque repressi e infelici.
Nel 2017 la trasposizione televisiva di Bruce Miller ha dato una nuova vita e un
nuovo successo all’opera, arricchendone e sviluppandone alcuni punti. The
Handmaid’s Tale appare infatti la prova che anche un libro pubblicato nel 1985 può
adattarsi perfettamente alla realtà contemporanea, riscuotendo grande approvazione
attraverso un riadattamento televisivo. Si è deciso di trattare questo tema nel terzo ed
ultimo capitolo, provando a collegare il libro e la serie ai nostri giorni, in particolare
alla politica che Donald Trump sta conducendo dal 2016 in America e che, per i suoi
aspetti controversi, ha contribuito enormemente al successo dell’opera.
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CAPITOLO 1
The Handmaid’s Tale come distopia
1.1. L’origine dell’utopia e della distopia
Attraverso i secoli, le persone hanno sempre sognato società ideali in cui tutti i
cittadini fossero felici e soddisfatti. Questo desiderio nacque soprattutto a ridosso
delle nuove scoperte geografiche del XVI secolo: il ritrovamento di terre sconosciute
e soprattutto, come spiega Nicole Pohl, il “fast expanding geographical knowledge of
the New World”
1
fu significativo per la possibilità di esplorare una realtà alternativa.
La letteratura fece suo il desiderio dell’umanità di un mondo migliore, dando alla
luce l’utopia. Questo termine, come riferisce Alessandra Petrina, “ispirerà nei secoli
a venire un intero genere letterario, quello del romanzo utopico” .
2
Iniziò così, con Thomas More, umanista e scrittore del XVI secolo, una
tradizione filosofica e letteraria di utopismo che avrebbe dato alla luce grandi
capolavori.
Prima di iniziare a designare un nuovo genere letterario, oltre che un preciso
pensiero politico, in principio l’utopia era un concetto ambiguo che implicava diversi
significati. Il termine fu coniato da More nel 1516, con la pubblicazione della sua
opera Utopia, da cui venne tratto il nome per indicare il concetto. Il termine utopia
era quindi un neologismo, un termine introdotto nella lingua inglese, motivato da
esigenze rappresentative. Tuttavia, prima di More, il primo a trattare di questioni
utopiche fu Platone, che immaginò uno stato ideale nella sua opera La repubblica. Il
1
N. Pohl, “The Quest for Utopia in the Eighteenth Century”, Literature Compass, Vol.5, issue 4, 22
July 2008, p.693.
2
A. Petrina, “Le dottrine politiche: utopie e Realpolitik”, in M. Stanco (a cura di), La letteratura
inglese dall’Umanesimo al Rinascimento, Roma, Carocci editore, 2016, p.58.
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filosofo greco descrisse uno stato perfetto non esistente in alcun luogo, ma il suo era
soltanto un progetto abbozzato e di carattere argomentativo.
Sulla scia di Platone More delineò il suo ideale politico, ma su un’isola chiamata
appunto Utopia, infatti come sottolinea Douwe Fokkema, “More’s Utopia has
several references to Plato’s imaginary republic, and Plato is also mentioned”.
3
Alla
base di questa società, More pose il rifiuto della proprietà privata, del denaro e del
possesso. Nonostante ciò, i cittadini dell’isola erano immensamente ricchi, perché
non c’era ricchezza che contasse di più per loro del vivere in pace. Gli abitanti di
Utopia, inoltre, lavoravano soltanto per provvedere ai beni necessari alla propria
esistenza. La società pensata da More era una società pacifica, benevola, e tollerante,
basata principalmente sull’eguaglianza. Veniva introdotto dunque il progetto di una
città razionale, ben strutturata e, soprattutto, una città in cui tutti i suoi abitanti
fossero felici. Ancora più importante è che More scrisse l’opera in contrapposizione
alla società in cui viveva realmente: Utopia “mette in luce i mali
dell’amministrazione e della politica inglese”
4
. Alla visione positiva dell’isola
immaginaria, in cui ogni gerarchia era determinata dalla virtù, era opposta
un’immagine dell’Europa mal governata, ingiusta e in preda a guerre rovinose.
È proprio da questo conflitto tra realtà e immaginazione che nasce l’utopia, intesa
come reazione a un presente indesiderato e come aspirazione ad affrontare le
difficoltà del presente. Infatti, una delle caratteristiche principali dell’utopia è il
rapporto con la realtà. Il punto di partenza è l’osservazione del mondo reale, in
particolare la valutazione della società in cui si vive, prestando attenzione a ciò che
potrebbe essere cambiato, o meglio, migliorato.
Tuttavia, l’analisi del genere letterario non è così semplice. Fin dalla sua origine il
termine che viene utilizzato per indicarlo, come anticipato poc’anzi, è stato
protagonista di una forte ambiguità, soprattutto a causa del prefisso che viene
utilizzato per definire questo luogo inesistente. Thomas More, nella poesia che pose
a conclusione dell’opera, Six Lines on the Island of Utopia, scrive:
3
D. Fokkema, “The Utopia of Thomas More”, in Id., Perfect Worlds: Utopian Fiction and the West,
Amsterdam, Amsterdam University Press, 2011, p.31.
4
A. Petrina, Le dottrine politiche: utopie e Realpolitik, op. cit., p.58.
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The ancients called me Utopia or Nowhere because of my isolation. At present,
however, I am a rival of Plato's republic, perhaps even a victor over it. The reason is
that what he has delineated in words I alone have exhibited in man and resources and
laws of surpassing excellence. Deservedly ought I to be called by the name of Eutopia
or Happy Land.
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L’isola ideata da More è, dal un lato, una ‘u-topìa, parola che deriva dal greco,
formata dal prefisso ‘ou’ che significa ‘no’ e dalla parola ‘topos’ ovvero luogo,
quindi un non-luogo, un luogo inesistente. Dall’altro lato, si tratta di una ‘eu-topia’,
in cui il prefisso ‘eu’ si riferisce all’aggettivo ‘buono’, quindi un buon luogo, il luogo
che garantisce la felicità ai suoi abitanti. La dualità del termine ha creato un dissidio
interpretativo che è persistito nel tempo. La questione viene però risolta accordando i
due significati; l’utopia è un luogo inesistente, ma anche uno che presenta una
situazione così favorevole, rispetto a quella in cui si vive, che si è animati dal
desiderio di metterne in pratica i programmi e il sistema di vita. L’Utopia di More in
pratica ha posto le basi per gli scrittori successivi che criticavano le convenzioni
sociali del loro tempo immaginando una società diversa, ideale.
Dopo cinquecento anni dalla sua nascita, il termine è diventato di uso comune e
indica tuttora sia un modo di pensare che un genere letterario. Riguardo al modo di
pensare, Lyman Tower Sargent parla di “utopianism or social dreaming”, e aggiunge:
“Every country, every culture, will have some way of social dreaming, dreaming
about a better way of life, whether it be in the past, the future, after death, or
whatever”
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. La parola utopianism, che si riferisce ovviamente all’utopia, definisce
un’attitudine che consiste nello sperare in una migliore modalità di vita o in una
società alternativa, in contrapposizione ad un presente sgradevole e indesiderato.
Come genere letterario, invece, con il tempo molti autori, ispirandosi a More,
hanno creato un vasto repertorio di opere utopiche, l’opera originaria “set an example
for later writers who criticized the social conventions of their times by designing an
ideal society”.
7
5
T. More, Utopia (1516), George M. Logan and Robert M. Adams (eds.), Cambridge University Press,
2003, p. 117.
6
L. T. Sargent, “What is a Utopia?”, in Id., Utopianism: A Very Short Introduction, Oxford
University Press, 2010, p. 155.
7
D. Fokkema, The Utopia of Thomas More, op. cit., p.31.
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Francis Bacon, politico e studioso inglese, in The New Atlantis (1624), segue il
modello di More di un apparato statale perfetto, di un’isola separata dal resto del
mondo, incorrotta, che ha come unico scopo il benessere della collettività. Anche
James Harrington, in The Commonwealth of Oceana (1656), idealizza l’Inghilterra in
questo luogo descritto in modo molto dettagliato, in modo da influenzare il governo
di Cromwell. Una delle idee sviluppate da Harrington è quella del possesso del
territorio, che non può essere detenuto dallo stesso governatore per troppo tempo,
evitando di far accumulare un eccessivo prestigio a un solo individuo. Sulla scia di
More, quindi, molti altri autori si sono cimentati in questo genere, contribuendo al
delineamento delle sue caratteristiche, condivise, spesso, con generi precedenti o
coevi.
Come si diceva, una delle caratteristiche principali dell’utopia è lo stretto rapporto
con la realtà; il punto di partenza è l’osservazione della società presente con una
particolare attenzione a tutti gli aspetti negativi che presenta. Difatti, quella che poi
sarà l’utopia è un’immagine capovolta, come uno specchio invertito, che riflette il
mondo reale, trasformandolo in qualcosa di totalmente diverso, migliore, in cui tutti i
problemi che affliggono la società svaniscono.
Il progetto utopico proiettato non in un luogo inesistente ma in un futuro
imprecisato implica invece un cambiamento nella natura dell’utopia che si definisce,
anch’esso con un neologismo, “euchronia”: un buon posto ma spostato in un futuro,
che potrebbe anche essere raggiunto, per questo motivo come afferma per questo
motivo, come afferma Marianna Forleo, nelle “utopie non esiste la realtà ma solo
[…]la sua rappresentazione”.[…]La rappresentazione delle utopie si pone come uno
specchio, testimonianza della loro organizzazione razionale come una proposta di
orientamento mentale che tende ad una visione positiva e certa del mondo.”
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L’invenzione del nuovo termine fu dovuta al cambiamento che all’epoca
dell’Illuminismo: il trionfo della ragione e le nuove scoperte scientifiche
migliorarono la fiducia nell’umanità. L’uomo era convinto di poter raggiungere la
perfezione e una vita felice. Grazie alle nuove tecnologie, che dava all’uomo la
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M. Forleo, “Le mappe dell’utopia. Immagini cartografiche di spazi urbani e rappresentazioni mentali
nell’era postmoderna”, in C. E. Ornelas Berriel (a cura di), MORUS - Utopia e Renascimento,
Brasile,Universidade Estadual de Campinas, 2009, p.376.