Introduzione
Sylvia Plath nasce il 27 ottobre del 1932 a Boston e muore a Londra l’11 febbraio del 1963. La
sua vita dura ingiustamente solo trent’anni. Riesce a sopravvivere dopo il primo tentato suicidio nel
1953 ma al secondo tentativo, nella sua battaglia contro la depressione, è lei a perdere.
«Era determinata a vivere nel modo più pieno possibile — scrivere, viaggiare, cucinare, disegna-
re e amare quanto spesso poteva» scrive Heather Clark nel prologo della sua biografia sulla scrit
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trice. Amava la vita e amava le persone intorno a lei. Scrive la sua prima poesia ad otto anni, ha le
idee chiare fin da subito, da grande vuole diventare una poetessa. Perseguire la carriera letteraria in
un mondo e in un momento storico in cui alle donne questo non era permesso, non è stato un per-
corso facile da perseguire. Nonostante questo, è riuscita ad essere una poetessa, una scrittrice, una
moglie ed una madre.
«Da quando è morta, mia madre è stata sezionata, analizzata, reinterpretata, inventata, romanza-
ta e in alcuni casi completamente inventata» scrive la figlia, Frieda Hughes.
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Dopo la sua morte, sono state molte le speculazioni su di lei e sulla sua morte. È stato Ted Hu-
ghes, suo marito, ad occuparsi della sua eredità letteraria e a far conoscere il nome di Sylvia Plath al
mondo. Al momento della sua morte, aveva pubblicato solo una raccolta di poesie The colossus and
other poems e il suo romanzo semi-autobiografico The Bell Jar, ma era conosciuta per lo più nel-
l’ambiente letterario londinese. Era suo marito il poeta affermato e riconosciuto, all’epoca. Dopo la
sua morte ha visto la luce la sua seconda raccolta di poesie, Ariel, conclusa solo due mesi prima di
togliersi la vita. Il dattiloscritto giaceva sulla sua scrivania ma stranamente non aveva messo in atto
nessun tentativo per pubblicarlo, nonostante fosse molto fiera delle poesie che aveva messo insie-
me. La raccolta esce nel 1965, curata da Ted Hughes, che ha attuato modifiche nella successione e
nella scelta delle poesie da includere. Oltre a questo si è occupato anche della pubblicazione dei
suoi diari personali nel 1982, anche qui attuando censure ed eliminando grandi porzioni di testo,
oltre ad aver ammesso di aver bruciato gli ultimi diari in cui le annotazioni arrivavano fino a pochi
giorni prima della sua morte. Solo un terzo dei diari vengono pubblicati nel 1982. I diari integrali
vengono pubblicati per la prima volta nel 2000.
Il lavoro di Ted Hughes sul lascito di sua moglie reca ambiguità e discrepanze, dei diari man-
Heather Clark, Red Comet The Short Life and Blazing Art of Sylvia Plath. London, Penguin, 2021, p. XVI.
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(traduzione mia)
Sylvia Plath, Ariel the restored edition, foreword by Frieda Hughes. London, Harper Collins Publisher,
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2004, p. XX. (traduzione mia)
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canti ne parla in modo molto vago, parla di documenti scomparsi o cui si sono perse le tracce ma la
sua versione dei fatti è cambiata nel corso degli anni. Non si hanno molte certezze in merito. Molti
dei documenti e degli oggetti che appartenevano a lei, ammette anche che sono stati rubati.
Dalla metà degli anni Sessanta fino al 1991, Ted Hughes dà a sua sorella Olwyn il ruolo di suo
agente e dà sempre a lei l’incarico di occuparsi dell’eredità di Sylvia. Olwyn inizia così a rifiutare a
molti critici la possibilità di citare le opere della poetessa, sopratutto coloro che avevano posizioni
differenti da quelle della famiglia Hughes.
Critici e biografi, ma non solo, si sono sentiti in diritto di parlare di lei e di speculare sulla sua
persona, sulla sua poesia e sulla sua vita matrimoniale. È diventato quasi impossibile parlare di Syl-
via Plath, senza anche parlare di Ted Hughes. Sono diventati una delle coppie più discusse del No-
vecento letterario. A volte, questo ha portato anche alla circolazione di notizie false e ad un’eccessi-
va disinformazione che con l’avvento dei social è solo finita per essere alimentata ancor di più.
Le uniche notizie certe potevano essere quelle che provenivano dalla famiglia Hughes ma quan-
do esse si sono presentate come imprecise e approssimative tutti si sono sentiti in dovere di dire la
propria opinione in merito, appropriandosi di lei e della sua immagine. Continua ad essere perpetra-
ta in questo modo una narrazione che mira a legare la sua persona alla sua malattia mentale.
Sylvia Plath è improvvisamente diventata di tutti. La sua immagine e la sua poesia sono state in-
gabbiate in preconcetti, cliché e semplificazioni. C’è stato chi ha definito confessionale la sua poe-
sia e chi invece ha utilizzato le sue parole come lotta al femminismo. E chi affibbia il suo successo,
all’io nato dalla depressione e dal suo stato patologico. Chi invece sostiene che senza la morte del
padre non sarebbe mai diventata una poetessa.
«Non volevo che la morte di mia madre fosse commemorata come se avesse vinto un premio.
V olevo che la sua vita fosse celebrata, il fatto che fosse esistita, vissuta nella pienezza delle sue ca-
pacità, fosse stata felice e triste, tormentata ed estatica, e avesse dato alla luce me e mio fratello.
Penso che mia madre sia stata straordinaria nel suo lavoro e valorosa nei suoi sforzi per combattere
la depressione che l’ha perseguitata per tutta la vita» queste sono le parole di Frieda Hughes nella
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prefazione scritta da lei all’edizione del 2004 di Ariel.
Dovrebbe essere ricordata per tutto quello che è riuscita a raggiungere nella sua breve vita e non
per come si è tolta la vita. Le sue opere e i suoi successi dovrebbero precedere il suo nome. I pro-
dotti culturali americani ed inglesi come film, libri e serie-tv, ricordano molto spesso Sylvia per il
suo atto finale e come donna ossessionata dalla morte. È diventata un mito, che ha dato origine ad
Ivi, p. XIX. (traduzione mia)
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un costrutto culturale riconoscibile dall’esterno, specialmente in America. Heather Clark scrive:
«Queste caricature si sono calcificate nel tempo nella versione popolare e riduttiva di Sylvia Plath
che tutti conosciamo: la scrittrice suicida di The Bell Jar i cui devoti del culto sono donne giovani
vestite di nero.» Nelle trasposizioni televisive essere una lettrice della Plath ti porta inestricabil
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mente ad essere una donna complicata e depressa.
L’immagine pubblica accettata della poetessa la relega nella sfera della malattia mentale e que-
sto si riflette anche nelle sue lettrici, a volte ritenute superficiali e incapaci di comprendere la vera
natura poetica di Sylvia Plath. Il passaggio da un pubblico reale in una mitologia culturale che in-
capsula e anticipa le lettrici della Plath in uno stereotipo.
Qui in Italia abbiamo una quantità molto minima di testi sulla poetessa rispetto al grande corpus
di tesi accessibile in America e nel Regno Unito. L’idea che c’è culturalmente di lei finisce per anti-
cipare le sue poesie e la sua rilevanza nel panorama letterario. A partire dalla mancanza di una bio-
grafia che racconti in modo esaustivo e permetta di percepire la complessità della sua vita, delle sue
opere e dell’eredità che è passata nelle mani del marito alla sua morte. Ad esempio, in Italia non si
ha ancora l’edizione integrale dei diari di Sylvia Plath, a distanza ormai di ventiquattro anni dalla
prima uscita.
L’unica biografia, difficilmente anche da reperire al momento in Italia, è Bitter Fame del 1989
scritta da Anne Stevenson insieme ad Olwyn Hughes tradotta in italiano da Mondadori nel 2006 con
il titolo di Vita di Sylvia Plath. La biografia è una delle più controverse su Sylvia Plath. Nella prefa-
zione del libro Anne Stevenson scrive: «Ogni biografia di Sylvia Plath scritta finché i parenti e gli
amici sono in vita deve tener conto della loro vulnerabilità, anche a discapito della completezza» ,
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insinuando così che quello presente nelle pagine successive non sarà completo. Il lavoro della Ste-
venson viene così visto come una costruzione messa in atto dalla famiglia Hughes per dire la pro-
pria versione dei fatti, taciuta fino a quel momento. Gli aneddoti e le storie che vengono raccontati
in Bitter Fame, finiscono per essere delle invettive di odio e rancore nei confronti di Sylvia, anziché
dei racconti che possano riflettere le sfaccettature della sua personalità.
Nel primo capitolo della tesi, avvalendomi dell’edizione dei Meridiani Mondadori dedicati a
Sylvia Plath e dell’ultima biografia scritta sulla poetessa Red Comet, ho tracciato la sua vita da un
punto di vista biografico e letterario, utilizzando anche materiale inedito qui in Italia. Nell’ultimo
paragrafo del capitolo ho ripercorso l’arrivo della sua poesia in Italia e la sua interpretazione.
Heather Clark, Red Comet The Short Life and Blazing Art of Sylvia Plath. London, Penguin, 2022, p.
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XVIII. (traduzione mia)
Anne Stevenson, Vita di Sylvia Plath. Milano, Mondadori, 2006, p. 7.
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Nel secondo capitolo ho illustrato come dopo la sua morte la sua opera sia arrivata al grande
pubblico. Partendo dall’incontro di Sylvia Plath con Ted Hughes a Cambridge per arrivare al ruolo
di lui come editore nella sua eredità letteraria dopo la sua morte. In particolar modo mi sono con-
centrata sul suo lavoro come curatore dei diari non integrali del 1982. Ho messo a confronto i diari
integrali e non, per capire le ragioni che hanno spinto Ted Hughes a pubblicare solo un terzo dei
diari. Ho ripercorso non solo il suo lavoro come editore ma anche le sue parole per la moglie e per
la poetessa.
Nel terzo capitolo ho illustrato i prodotti televisivi, cinematografici e letterari che sono stati svi-
luppati dopo la sua morte. A partire dal film del suo unico romanzo semi-autobiografico del 1979
per arrivare alla comparsa del personaggio di Sylvia Plath in Dickinson, serie tv di AppleTv+.
L’obiettivo della mia tesi risiede nell’analizzare e mettere a confronto materiale inedito, e non,
qui in Italia, sopratutto per mettere in luce come l’edizione italiana dei diari di Sylvia Plath del
1998, nonché traduzione dell’edizione del 1982 uscita in Gran Bretagna, non rispecchi completa-
mente la vera personalità della scrittrice, ma solo in parte. Questo, insieme alla mancanza di fonti
attendibili ha portato all'alterazione e all’appropriazione della sua immagine nei prodotti culturali.
Arrivando ad un utilizzo improprio e stereotipato della sua persona.
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I. Vita della ragazza che voleva essere Dio
1.1 27 ottobre 1932, Boston
Dalla prima edizione dei Meridiani Mondadori, a cura di Anna Ravano, possiamo trovare una
cronologia dettagliata e precisa della vita di Sylvia Plath. La poetessa e scrittrice americana, nasce il
27 ottobre del 1932 in una cittadina nei dintorni di Boston da Otto Plath e Aurelia Schober. Il padre,
accademico e biologo, la madre invece si dedica all’insegnamento ma lascia la professione dopo il
matrimonio.
Nel 1935 nasce il fratello di Sylvia, Warren Joseph, probabilmente questa nascita segna la fine
delle attenzioni dei genitori su di lei. Nel 1936 quando Sylvia ha sei anni si trasferisce insieme alla
sua famiglia a Winthrop, a poca distanza da loro c’è la casa dei nonni materni. Dopo il trasferimento
il padre inizia ad avere alcuni problemi di salute e ben presto si ammala gravemente ma anziché an-
dare a farsi visitare da un dottore si auto-diagnostica un tumore. Aurelia si dedica completamente
alla cura del marito, i nonni materni diventano il punto di riferimento di Sylvia e di suo fratello.
Winthrop, cittadina sul mare sarà lo scenario per buona parte della sua infanzia e luogo d’ispira-
zione per la sua futura produzione artistica. Il mare probabilmente è sempre stato visto da lei come
un fidato ascoltatore e custode dei suoi pensieri.
Sylvia nel suo album di ritagli del 1940, come ci ricorda Heather Clark in Red Comet, scrive «Ho
gradualmente sviluppato un amore per l’oceano tempestoso e turbolento che poche persone possono
comprendere. […] Parlo tanto dell’oceano, perché è stata una parte importante della mia eredità e
del mio ambiente, e il mio amore per esso è difficile da spiegare».
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Nel 1940 Otto Plath scopre di non aver un tumore ma di essere affetto da diabete mellito, malattia
curabile se presa in tempo, ma per lui ormai non c’è più speranza per una cura. A causa di un inci-
dente al piede, avvenuto poco prima della scoperta del diabete, per evitare la cancrena è costretto ad
amputare la gamba.
«Non mi dispiace affatto il pensiero della morte, ma mi piacerebbe vedere i bambini crescere»
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dice Otto Plath poco prima di morire a sua moglie Aurelia, secondo la ricostruzione biografica di
Heather Clark in Red Comet.
Dopo l’operazione ha difficoltà a riprendersi e sfortunatamente muore nel novembre del 1940. Al
funerale di Otto, Aurelia decide di non portare i figli per evitare ad entrambi una pena che stava fa-
Heather Clark, Red Comet The Short Life and Blazing Art of Sylvia Plath. London, Penguin, 2022, p. 36.
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(traduzione mia)
Ivi, p. 46. (traduzione mia)
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cendo fatica anche lei a sopportare. La scomparsa di questo padre, mai pianto, forse non viene mai
superata ed affrontata. Non ci sono manifestazioni di lutto da parte della madre e finisce per sigilla-
re tutte le sue emozioni per non far preoccupare i figli. Sylvia visiterà la tomba del padre per la pri-
ma volta solo diciannove anni dopo, nel 1959 in compagnia dell’attuale marito Ted Hughes.
Nel 1941, Sylvia inizia a frequentare la scuola a Winthrop ed ha il suo primo riconoscimento let-
terario per la poesia Poem. L’anno successivo, la famiglia decide di lasciare la cittadina marina per
trasferirsi a Wellesly, qui Sylvia prosegue gli studi con il massimo dei voti e con un’eccellenza con-
tinua. Inizia anche a pubblicare poesie e racconti sulla rivista scolastica.
Durante la High School mantiene un’eccellenza nello studio e ha un ottimo rapporto con il profes-
sore di letteratura che la esorta a continuare a scrivere, in questo periodo difatti si dedica a molti
racconti, le protagoniste sono soprattutto donne o ragazze solitarie che si ritrovano ad essere com-
battute tra il successo intellettuale e il successo sociale.
Linda Wagner-Martin in Sylvia Plath’ s Specialness in Her Short Stories si concentra principal-
mente nell’esplorazione dei temi che hanno accomunato i racconti scritti da Sylvia Plath durante la
sua adolescenza. La scrittrice nei suoi racconti esplora donne o ragazze che seguono dei percorsi
differenti da quelli imposti dalla società. Linda Wagner-Martin scrive: «Nella maggior parte della
narrativa della Plath, la protagonista è una donna che si sente diversa - dalle aspettative della società
e forse dalle proprie - e quindi, in un certo senso, esclusa. In alcune storie la donna è una persona
che ha successo, ma in altre sta semplicemente, e in modo ambivalente, percorrendo un percorso
tutto suo».
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I racconti visionati dalla critica Martin sono i racconti che si collocano nel periodo della sua ado-
lescenza, che oscillano tra il 1948 e il 1949, questi racconti non sono stati mai pubblicati dopo la
sua morte ma attualmente sono di proprietà della Lilly Library.
I quattro racconti di questo periodo sono The Brick, Heat, The Attic View, In This Field We Wan-
der Through. La protagonista di The Brick è Janet, che sta viaggiando su un autobus, nel mentre si
domanda cosa facciano le persone che sono insieme a lei nell’autobus. Le vite che immagina per
loro sono frenetiche e assurde, li immagina come dei burattini che non hanno dei propri pensieri e
che si fanno facilmente manipolare dal mondo circostante. La storia non ha un vero e proprio finale,
ha più una conclusione in sospeso dove la protagonista lascia l’autobus prima che esso arrivi in un
tunnel, che potrebbe stare a rappresentare la morte. Il racconto ha alcune somiglianza con un rac-
conto che scrisse alcuni anni dopo, nel 1952, Mary Ventura e il nono regno.
Linda Wagner-Martin, Sylvia Plath’ s Specialness in Her Short Stories in The Journal of Narrative Techni
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que, V ol. 15, Journals of Narrative Theory, 1985, p. 2. (traduzione mia)
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Anche in The Heat e The Attic View presentano delle sfumature un po’ oscure nello sviluppo della
trama, qui le donne non vedono nulla di stimolante nel loro futuro e finiscono o per morire o in de-
pressione. In The Attic View la protagonista è senza nome e come persona ha così poco spessore che
quando muore nella pensione in riva all’oceano dove alloggia, nessuno se ne accorge.
In This Field We Wander Through la protagonista è Joyce, una ragazza al liceo con dei voti eccel-
lenti ma è in ansia per un appuntamento con un ragazzo perché crede che non si troverà bene con lui
e che a lui potrebbe non piacere. L’unica cosa che la rincuora è il fatto di essere la più brava della
classe.
Linda Wagner-Martin in merito alle donne caratterizzate in questi racconti in relazione agli aspet-
ti autobiografici della scrittrice dice: «La frustrazione per la sua vita da adulta, la paura per le sue
scelte e il dubbio personale sembrano riflettersi in tutte queste storie».
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Tra i racconti del 1949 invece troviamo The Dark River, Among the Shadow Throngs, East Wind.
Il primo racconto narra la storia di due donne, una donna anziana e una donna giovane; la donna
anziana racconta alcune storie della sua infanzia alla sua ascoltatrice e tra le due si crea un forte le-
game. Questo aspetto, insieme anche alla presenza dell’acqua, rappresentano due elementi ricorrenti
nell’universo narrativo e poetico della Plath. La donna anziana racconta la storia del suo amore per-
duto, dove l’eroina è una donna non sposata. È curioso vedere come una donna che è cresciuta tra la
fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta in America, dove sposarsi era qualcosa di
imprescindibile, abbia inserito come sua eroina una donna non sposata.
Anche negli altri racconti vengono esplorate le diverse scelte che una donna può affrontare. In
Among the Shadow Throngs, le protagoniste sono due ragazze, entrambe voglio diventare scrittrici,
ma una è più brava dell’altra ma non è questo quello che viene premiato.
In East Wind, la protagonista è una donna adulta e lascia il suo appartamento durante la notte per
dirigersi verso una panetteria. Durante la sua passeggiata notturna incontra un bambino/elfo che le
fa avere delle visioni in merito alla sua vita, nel mentre sta cercando di raccogliere il cappello che le
è sfuggito e il vento la porta su un ponte dove è spinta sull’orlo del suicidio. Immagina come diven-
terebbe leggera. Riemergendo, dopo che la sua mente ha fantasticato, ritorna nel suo appartamento.
Nonostante questi siano dei racconti scritti durante l’adolescenza, si possono rintracciare in essi i
dilemmi che l’accompagneranno negli anni successivi, che trovano piena esplorazione nel suo unico
romanzo, The Bell Jar. Esther Greenwood per tutto il romanzo è difatti ossessionata dall’impossibi-
lità di scelta. Non può scegliere ciò che la società vuole da lei ma non può neanche scegliere di se-
Ivi, p. 4. (traduzione mia)
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guire la carriera da scrittrice senza anche l’essere madre. In un momento storico del genere alle
donne non era concessa una varietà così ampia di scelta.
Linda Wagner-Martin scrive: «In ciascuna delle prime storie della Plath si trova ciò che la socie-
tà avrebbe potuto trovare anormale o distruttivo. Ognuna di queste prime storie include un’antago-
nista, anche se senza nome, che opera contro la protagonista e i suoi desideri istintivi. In diversi
casi, un fidanzato o un’amante è l’avversario, la forza che la donna deve superare. Spesso l’antago-
nista è la pressione sociale che opera sulla donna protagonista, cercando di cambiare la direzione in
cui intende andare».
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Sylvia si porterà questo conflitto per tutta la vita, da una parte la società dell’epoca che la spinge
a mettere su famiglia, per rispettare l’ideale di brava moglie e madre ma dall’altra c’è la sua sete di
fama a cui non vuole e non può rinunciare.
Nel 1950 finisce la scuola superiore e nel settembre dello stesso anno viene presa allo Smith Col-
lege. Inizia in questo periodo la sua corrispondenza con la madre e anche i suoi diari, attualmente
pubblicati, partono proprio dall’estate dello stesso anno. Ma Sylvia fin dall’infanzia si rifugia nella
scrittura dei diari, è un’attività che porta avanti quotidianamente sia come esercizio di scrittura che
come racconto quotidiano della sua vita con dettagli sull’ambiente, sull’atmosfera e sulle persone
intorno a lei, ma non solo, sono anche pagine fitte di giudizi severi su se stessa e sui suoi conoscen-
ti.
Dalle lettere con la madre e dai diari emerge una Sylvia molto diversa. Nelle lettere è molto posi-
tiva ed ottimista, l’obiettivo principale è quello di non far preoccupare la madre. Nei diari invece
con il suo flusso di pensieri continuo possiamo intuire quanto le aspettative e quanto l’ambiente ac-
cademico erano difficili per lei da sostenere. I suoi pensieri più oscuri sono sempre stati tenuti lon-
tano dal mondo esterno, rinchiusi nelle pagine dei suoi diari, un’interiorità tormentata che diventerà
anche materiale per i suoi lavori futuri. Nonostante le preoccupazioni ha sempre mantenuto voti alti
e risultati eccellenti.
La scrittura personale continua a restare per lei una priorità, ha necessità di essere pubblicata nel-
le riviste femminili dell’epoca come «Mademoiselle», «Seventeen», «The Ladies Home Journal»,
non solo per un riconoscimento nel mondo culturale americano dell’epoca ma anche perché ha bi-
sogno di entrate economiche per sostenersi al college. Ma il mondo della pubblicazione non è così
semplice, sono molti i rifiuti che riceve e che la portano spesso ad avere l’umore a terra.
Nella metà del 1951 finisce il primo anno allo Smith College e durante il periodo estivo va in-
Ivi, p. 5. (traduzione mia)
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