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INTRODUZIONE
Cos‟è che rende una lingua viva? La gente che parla una lingua è l‟attore
inconsapevole della sua variazione, dei suoi cambiamenti nel tempo e nello
spazio, in breve, della sua vitalità.
E‟ attraverso le persone che il latino è diventato italiano, francese, spagnolo....,
non il latino classico di Cicerone e Orazio, ma il latino così detto volgare, parlato
dalle persone nella loro vita quotidiana. Le lingue romanze si sono evolute a
partire dalle forme di latino parlato nelle diverse regioni dell‟impero, hanno subito
l‟influenza delle lingue parlate precedentemente, si sono diversificate in base al
territorio ed agli abitanti, gli stessi dialetti regionali si sono diversificati in base
alla classe sociale di appartenenza dei parlanti; infine alcune varietà sono state
codificate attraverso la letteratura divenendo le varietà di lingua privilegiate per
gli scambi e le situazioni formali.
Come il latino anche le nostre lingue cambiano e si evolvono; motore di questa
evoluzione sono, come sempre, i parlanti che si sforzano di piegare la lingua alle
loro esigenze.
Molti linguisti sostengono che le lingue subiscano una semplificazione nel
passaggio dalla forma codificata alle varietà del parlato: si pensi all‟ormai
obsoleto passato remoto che la maggior parte dei francesi disconosce (non si può
dire altrimenti degli studenti italiani). Eppure non sempre si può parlare di
semplificazione, soprattutto se si prendono in considerazione le nuove forme
lessicali nate dalla fantasia dei parlanti più giovani, dei loro tentativi di creare
codici segreti e di difficile accesso per gli adulti.
Così la lingua standard si diversifica, la complessità dei codici e delle varietà
utilizzate meraviglia i parlanti non nativi, mentre i linguisti si adoperano alla
ricerca di regolarità o cercano di fornire spiegazioni di questo o quel fenomeno
senza però cogliere la natura molteplice e aleatoria di ciò che cercano di fissare in
forme codificate.
La mia tesi, lungi dall‟essere un trattato di linguistica, vuole solo dare un quadro
di come all‟interno di una lingua (nel caso particolare il francese) si formino delle
sacche di innovazione che prescindono da qualunque regola, anzi, hanno come
base lo stravolgimento della regola. Il linguaggio giovanile, anzi i molteplici
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linguaggi giovanili meglio si adattano a cogliere la dinamicità delle lingue, perchè
tendono a codificare e dare forma linguistica a nuove esigenze, stili di vita e
culture urbane di nuova formazione. Così la nuova generazione, perennemente
connessa, ha adattato il proprio linguaggio alle esigenze dei media: la lingua
standard ha dovuto cambiare per poter avere accesso alle nuove tecnologie, Sms e
chat hanno rivoluzionato il modo di esprimere stati d‟animo, sentimenti ed
emozioni; i giovani hanno deformato, talvolta stravolto, le regole codificate
dell‟ortografia e della grammatica piegandole alle nuove esigenze di rapidità e
concisione.
La lingua francese, conosciuta all‟estero per la sua rigidità formale, ha subito in
questi ultimi anni un numero incredibile di cambiamenti, le forme linguistiche
conosciute sono state modificate. Soprattutto i giovani hanno portato un nuovo
modo di esprimersi che ben presto è diventato comune, ed a livelli di lingua
informali ha sostituito lo standard.
Il francese di oggi non è quello appreso nelle classi straniere. Gli stereotipi,
appresi in classe, sulla chiusura della lingua, la sua riluttanza ai prestiti soprattutto
provenienti dall‟inglese, la purezza voluta dall‟Acadèmie française, non sono altro
che un ricordo del tempo che fu. Questa lingua conosce, invece, profondi
cambiamenti; la società francese è attraversata da forti spinte centrifughe che ne
disgregano l‟unità linguistica: l‟immigrazione e la forte presenza della
componente algerina che vede nell‟arabo (dialetto) la lingua veicolare,
sostituendola in un contesto informale alla lingua nazionale, la banlieue e i
linguaggi giovanili (come il verlan) che in essa sono nati come lingue di rivolta ed
autoaffermazione, oltre che di isolamento ed autoreferenzialità, la lingua popolare
e il parlato comune che accoglie una quantità enorme di termini provenienti
dall‟argot, da sempre lingua familiare e periferica, l‟affermazione, seppur lenta,
dell‟inglese tramite internet e le nuove tecnologie. E‟ questo il panorama
attraverso il quale si deve muovere non solo il linguista alle prese con problemi di
lingua e società, ma anche e soprattutto lo studente straniero che appresa la lingua
standard nel suo paese d‟origine, si trova, una volta in Francia, immerso in una
molteplicità di lingue ed accenti talvolta incomprensibili.
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Durante la mia esperienza di studio in Francia, sono venuta a contatto con questo
variegato mondo linguistico, ho visto la mia lingua trasformarsi in molteplici
lingue dipendenti dal contesto linguistico, dalla situazione, dai miei interlocutori.
La lingua standard che avevo appreso ha subito delle forti variazioni di tono ed
accento e si è arricchita di nuove varianti lessicali e grammaticali, si è
diversificata e ricontestualizzata. Lo standard è stata la base sulla quale inserire
queste nuove esperienze linguistiche, mi ha permesso di analizzare le variazioni e
riconoscerle, valutare le differenze. Il mio lavoro è proprio il frutto di questa
esperienza linguistica.
Il primo capitolo, di matrice linguistica, riguarda gli studi sulle varietà di lingua.
La presentazione del concetto di lingua precede lo studio approfondito di registri
linguistici con una maggiore attenzione alle varietà diafasica, diastratica e
diamesica. Gli studi su i vari tipi di variazione permettono di inserire i linguaggi
giovanili all‟interno di una griglia che prende in considerazione le variazioni dello
standard di tipo sociale e relazionale, operando una distinzione tra forme del
parlato, dello scritto e del trasmesso, considerando le differenze generali che si
ripercuotono negli stili linguistici analizzati nei capitoli successivi.
Il secondo capitolo spiega come queste le variazioni linguistiche si inseriscano
nella lingua francese producendo delle differenze formali e strutturali tra le
varietà. Vengono analizzati il francese parlato con le sue caratteristiche fonetiche
diverse dalla lingua standard; il francese familiare e le sue caratteristiche formali
(struttura sintattica e grammaticale) e lessicali e il francese popolare.
Il terzo capitolo si occupa dei linguaggi giovanili, i quali sono tanti quanti sono i
gruppi di ragazzi che li parlano: il parlato dei giovani si distingue di città in città,
le differenze linguistiche e soprattutto lessicali, come l‟utilizzo del verlan, o
determinati tipi di accento sono veicolo di distinzioni e discriminazioni tra gruppi
e classi sociali. Nei primi paragrafi sono analizzate le caratteristiche formali quali
la creazione delle parole tramite vari procedimenti come la suffissazione. Quindi
vengono analizzati gli apporti lessicali provenienti dalle parlate popolari come
l‟argot e il verlan e dalle altre lingue, soprattutto inglese italiano e spagnolo. Il
verlan è parlato soprattutto dalle classi sociali meno abbienti, nelle banlieues del
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nord della Francia, mentre i giovani benestanti prediligono forme di francese
ricche di forestierismi, soprattutto ispanismi (al sud) e anglismi.
Il quarto capitolo si occupa del rapporto dei giovani francesi con la tecnologia: gli
SMS, internet, le e-mail e la chat hanno rivoluzionato le varietà scritte della
lingua; qui, forse, le forme più strane di lingua, forme quasi criptate o veri e propri
rebus da risolvere. Una rilettura dell‟ortografia della lingua alla ricerca della
sempre maggiore rapidità di scrittura. E poi la musica, la maggior espressione
delle tendenze giovanili: gruppi pop come i Matmatah scrivono i loro testi nella
lingua dei ragazzi, perchè ad essi si rivolgono, perchè cantano il loro mondo. Con
la musica, la componente argotique della società entra a far parte della cultura,
acquista una dimensione più formale, ma non per questo perde tutta la carica di
rivolta che i giovani danno ai loro linguaggi.
Infine la lingua dei giovani italiani e le differenze tra questi e i cugini d‟oltralpe
alla ricerca dei motivi di queste differenze pur nella consapevolezza dell‟esistenza
di linguaggi globali ed accettati da tutti. Seppur i linguaggi giovanili in Italia non
destrutturino la lingua in maniera così forte (ed in questo sono importanti le
diverse origini culturali della società francese contemporanea, e la forte
componente dialettale della lingua dei giovani italiani), gli obiettivi e gli effetti
sulla lingua sono molto simili: quella dei giovani si configura sempre come una
lingua di rivolta, gli accenti marcatamente regionali, l‟utilizzo di un lessico
dialettale misto a forestierismi di origine anglofona sono solo delle differenze
formali. Anche in Italia le nuove tecnologie hanno promosso forti cambiamenti
linguistici non lontani dalla destrutturazione francese dello scritto: Sms e forme di
scrittura rapida vengono utilizzate allo stesso modo, cambia solo la lingua e
quindi gli escamotages linguistici utilizzati.
L‟universo giovanile offre gli stimoli culturali e linguistici più forti, si muove
nella direzione di una cultura europea vissuta attraverso il filtro della propria
lingua e cultura, si fa promotore di nuove istanze linguistiche e culturali. Parlare
di un linguaggio giovanile significa entrare dentro una cultura che definirei
globale; in questo caso la lingua si fa veicolo di idee e valori pienamente condivisi
tra i giovani, qualunque sia la loro origine nazionale. Eppure si avverte un
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ripiegamento dei giovani verso una cultura legata alle proprie origini e tradizioni,
una ricerca delle proprie radici che sembra andare in controtendenza rispetto ai
processi politici ed economici in atto; non a caso, non solo gli italiani riscoprono i
dialetti, anche i francesi tendono a cercare le proprie radici culturali e la terza
generazione degli emigrati africani e magrebini va alla ricerca delle tradizioni
linguistiche, culturali e religiose dei paesi di origine.
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Capitolo I
LA LINGUA
COME SI PARLA?
Sul concetto di lingua si sono pronunciati parecchi linguisti, da quel Chomsky
1
della Linguistica generativa a De Saussure
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, linguista svizzero, il primo ritenendo
la lingua come innata ed ognuno di noi, almeno potenzialmente, parlante tutte le
lingue possibili alla nascita, il secondo ritenendola un fatto culturale che si
acquisisce. Il linguista svizzero fa, inoltre, la differenza fra langue e parole; la
prima è un prodotto sociale che ciascun individuo registra passivamente, esterna
all‟individuo che non può crearla né modificarla; la seconda è l‟aspetto
individuale e creativo del linguaggio e dipende dalle variazioni attuate da ciascun
parlante (per esempio le pronunce o i diversi significati che si attribuiscono alla
parola guerra). Questa opposizione tra langue e parole serve a spiegare il
complesso funzionamento della lingua.
Innanzi tutto bisogna dire che la lingua è diversa dal linguaggio. Il linguaggio è,
infatti, una facoltà innata nel parlante e appartiene anche agli animali. La lingua,
invece, è un codice, un sistema di segni, il modo concreto e storicamente
determinato in cui si manifesta la facoltà del linguaggio
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. Un segno è formato da
significante e significato; il significante è il segno tangibile (le parole, i suoni) e il
significato è il contenuto che noi diamo a questo segno: se diciamo CANE,
l‟insieme dei suoni C-A-N-E rinvia, per noi parlanti italiani, ad un preciso
animale, cosa che non accade se la stessa parola la pronunciamo per un inglese,
per questi, infatti, la parola non ha alcun significato, a meno che non conosca
l‟italiano.
Evidentemente il problema lingua non si estingue col discorso sui segni:
basterebbe, infatti, imparare tutte le parole di una lingua per saperla parlare, ma,
1
Linguista americano, fondatore della grammatica generativa- vedi “La grammatica generativa
trasformazionale”(1966).
2
Ferdinand de Saussure, svizzero, considerato il precursore dello strutturalismo e della semiotica, a lui si
deve la distinzione tra Langue e Parole e tra significante e significato-vedi “Corso di linguistica
generale”(1916), Payot et Reverage, Paris, 2002.
3
Dardano Maurizio e Trifone Pietro, “Grammatica italiana con nozioni di linguistica” (3°ed), Zanichelli,
Bologna, 2006.
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come sappiamo, le cose non vanno proprio così. La prima cosa da tener presente è
che le lingue sono o sono state parlate, esse, cioè, passano sulla bocca dei parlanti
nativi che le alterano, pur inconsapevolmente, rendendole qualcosa di
estremamente variabile. Così il bambino che dirà BAU invece di CANE sta
utilizzando un codice linguistico diverso da quello comunemente accettato, non
per questo i genitori non lo capiranno, traducendo all‟occorrenza per gli altri.
Secondo Berruto
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i parlanti, normalmente, dominano due codici (Diglossia), si
tratta di due varietà della lingua con gli stessi domini d‟uso, l‟utilizzo dei quali
dipende dalla situazione comunicativa. Noi in Sicilia, per esempio, utilizzeremo
due codici diversi, addirittura due lingue diverse, in base agli skills comunicativi
(scopi, messaggio, interlocutori), utilizzando il siciliano con gli amici, la varietà di
italiano colto con i professori.
IL REPERTORIO LINGUISTICO
L‟insieme delle varietà linguistiche possedute da un parlante si chiama repertorio
linguistico
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, questo comprende almeno una lingua e le sue varietà, ma ci possono
essere situazioni più complesse.
Le varietà linguistiche, all‟interno di una stessa lingua, dipendono da alcuni assi di
variazione che sono:
Variazione diastratica
Variazione diafasica
Variazione diamesica
Variazione diacronica
Variazione diatopica
La prima riguarda le varietà di lingua legate alle variabili sociali della popolazione
(livello di istruzione, età, sesso), la variazione diafasica individua le varietà della
lingua legate alla situazione comunicativa (argomento, interlocutore, scopo), la
variazione diamesica riguarda il mezzo di comunicazione, la diacronica riguarda i
4
Berruto G. “Sociolinguistica ed educazione linguistica” (1977).
5
cfr Lo Duca Maria G. “Lingua italiana ed educazione linguistica”, Carocci, Roma, 2003, pp 75-98. Lingua
Giovani (www.maldura.unipd.it/giov/).