2
CAPITOLO I
DAI PRIMI INSEDIAMENTI AL DOMINIO ROMANO
1. La Val Bormida in età preromana
Il grande e antico popolo dei Liguri stanziato tra il fiume Po e le
Alpi marittime
1
si divideva in numerose tribù, una delle quali era
quella degli Epanteri Montani, che popolavano le terre lungo la Val
Bormida
2
. Lo storico Tito Livio narra che il cartaginese Magone,
sbarcato a Genova e distrutta la città nel 205 a.C., si recò a Savona,
“…ad oram Ligurum Alpinorum…”, a lui favorevole, e qui lasciò il
bottino depredato a Genova
3
. Savona viene chiamata da Livio anche
“…oppidum alpinum…” proprio perché abitata dai Liguri Alpini che,
quindi, erano abitanti della costa. Magone in seguito aiutò questi
Liguri Alpini (suddivisi in Ingauni, Intemeli e Sabati) nella lotta
contro una tribù che abitava nell’entroterra: i Liguri Montani detti
“Epanteri”
4
.
Non è stato ancora possibile tracciare le origini e la provenienza
di questo popolo, duro e combattivo come ci tramanda Livio
5
:
“…Ligurus durum in armis genus…”. Sappiamo con certezza che ad
un certo punto della loro storia si assimilarono con i Celti, i quali,
1
LAMBOGLIA 1941, p. 7; 1941, p. 74.
2
OLIVERI 1988, p. 23; 1978, p. 53.
3
Fontes 1976 XVI, doc. 312.
4
Fontes 1976 XVI, doc. 311.
5
Fontes 1976 XVI, doc. 307.
3
provenendo da Nord, invasero le loro terre e diedero origine ad una
nuova etnia celto-ligure che ha lasciato numerose tracce nelle
tradizioni, nei culti e nei toponimi ancora oggi rintracciabili, pur
prestando la dovuta attenzione nella loro identificazione. Il Balbis ad
esempio interpreta come celtici, senza operare distinzioni, i suffissi -
ago, -asco, -ano con cui terminano molti toponimi del Piemonte e
della Liguria
6
. In realtà è ormai indiscutibile che il suffisso –asco, il
cui uso perdurò anche in epoca romana, è di origine ligure e il suffisso
–ano è indice della più tarda frequentazione romana di un luogo,
precisamente è il suffisso di toponimi che indicano un possesso
fondiario. Il suffisso –ago è l’unico che si può ricondurre agli antichi
Celti
7
. Il Pregliasco, che si è a lungo occupato della storia di Saliceto,
senza alcuna prova se non la tradizione, afferma che in epoca
preromana sul colle Rosa (un tempo chiamato cima Margherita), che
sovrasta Saliceto, sorgeva un castellaro abitato da una tribù dei Liguri
Statielli
8
(da lui appellati Langates
9
). In seguito il castellaro
10
forse fu
occupato dai Celto-liguri Salii provenienti dalla Provenza
11
, i quali,
6
BALBIS 1997, p. 6.
7
PETRACCO SICARDI, CAPRINI 1981, p. 52.
8
La tribù ligure preromana degli Statielli in realtà occupava la zona intorno ad
Acqui (LAMBOGLIA 1941, p. 12; OLIVERI 1988, p. 23).
9
PREGLIASCO 1999, p. 30. Forse il Pregliasco si rifece alla Sententia Minuciarum,
la cosiddetta Tavola della Polcevera del 117 a.C., in cui vengono nominati i
Langates, da cui Langasco, una delle tribù in cui si suddividevano i Viturii per i
quali venne emanata la sentenza, perciò dovette pensare che furono questi ad aver
dato il nome alle Langhe. La base ligure *langa indicava, però, un avvallamento,
mentre col termine Langhe s’intende un sistema di colline ondulate (LAMBOGLIA
1941, p. 11; PETRACCO SICARDI, CAPRINI 1981, pp. 56-57).
10
Non è rimasta alcuna traccia né del primo né del secondo insediamento.
11
Il Durandi identifica i Salii con i Salluvi che occupavano le terre che si
stendevano dal Rodano alle Alpi (DURANDI 1774, p. 11).
4
sempre secondo il Pregliasco, diedero il loro nome al paese
12
,
basandosi sull’assonanza onomastica
13
.
Inoltre ricordiamo che sia a Saliceto
14
che sia a Monesiglio
15
e
a Camerana
16
sono stati ritrovati oggetti litici risalenti al 3000-2000
a.C., testimoniando quindi un’antica e forse continua frequentazione
della Val Bormida.
2. La conquista romana
Nel II secolo a.C. i Romani tentarono la conquista di queste terre,
ma fu per loro difficile vincere su tribù così bellicose e abituate a
muoversi in luoghi impervi e spesso deserti. Solo nel 186 a.C. il
console Emilio Lepido riuscì a condurre le prime abili trattative con i
Liguri. Tito Livio
17
racconta a proposito dell’anno 179 a.C.: “Q.
Fulvius Consul, profectus in Ligures, per invios montes vallesque
saltus cum exercitu transgressus, signis collatis, cum hoste
pugnavit…”. I Romani, in questa occasione, tagliarono le vigne,
bruciarono i campi di frumento e presero oltre 3000 prigionieri
18
.
Le lotte avevano sfinito entrambi e finalmente nel 173/172 a.C. il
console Marco Popilio Lenate riuscì a domare gli Statielli, con una
12
PREGLIASCO 1999, p. 83.
13
Il toponimo Saliceto deriverebbe, invece, dal termine longobardo Sala che
indica la casa padronale (PETRACCO SICARDI, CAPRINI 1981, p. 93). Per Olivieri
l’origine del nome si deve alle piante di salice, da cui Salicetum, che crescevano
numerose in questa zona (OLIVIERI 1965, p. 304).
14
BAROCELLI 1926, p. 53.
15
BAROCELLI 1926, p. 41.
16
BAROCELLI 1926, p. 21.
17
Fontes 1976, XVI, doc. 392.
18
Fontes 1976, XVI, doc. 392.
5
cruenta battaglia, distruggendone la capitale Carystum
19
, sulle cui
rovine sorse per alcuni Acqui
20
o per altri Cairo
21
. In realtà il luogo
non è stato ancora identificato.
Nulla attesta la credenza, cui invece dà credito il Martina, che
vuole che il castello di Cortemilia sia stato costruito dagli uomini di
Emilio Lepido e poi munito di coorte, cioè protetto da un presidio
militare di 600 uomini, anche se Martina scrisse che il nome del paese
sembrava confermare questa ipotesi: Cortemilia da cohors Aemilia
22
.
Il nome Cortemilia nasce in realtà in un’epoca relativamente più
recente: si collega, fornendo quindi una precisa identità a queste terre
nell’ambito della ricostruzione seguita alle invasioni barbariche, alla
struttura economica di età medievale della curtis
23
.
Non è escluso che Cortemilia divenne un centro fiorente, con una
solida struttura agricola, cresciuto attorno al castello, che
probabilmente seppe gestirsi quando l’impero romano, dal II secolo
d.C., non riuscì più a garantire la sicurezza economica e militare.
Infatti lungo la Val Bormida di Millesimo, grazie alla sua posizione,
Cortemilia consentiva il passaggio delle merci, degli uomini, delle
truppe e dei pellegrini in epoca cristiana; garantiva rapporti e relazioni
fra la riviera e il nord ed un’intensa vita economica, che le permise di
avere sempre un ruolo importante anche nei momenti più difficili. E’
in ogni caso fuor di dubbio che Cortemilia sia stata frequentata dai
19
Fontes 1976, XVI, doc. 412.
20
BALOCCO 1985, p. 23.
21
COSTA PIROVANO 1989, p. 19, nota 5.
22
MARTINA 1951, p. 20; GIANOGLIO 1966, p. 177. Anche per Rossano cohors
Aemilia sarebbe l’etimologia più logica e naturale anziché quella di origine
medievale (Curtismilium ad Burmidam) data dal “Theatrum Statuum Regiae
Celsitudinis Sabaudiae Ducis ”, Amsterdam, 1862 (ROSSANO 1956, p. 29).
23
OLIVIERI 1965, pp. 137-138.
6
Romani, in quanto sono state trovate nei dintorni del paese documenti
inequivocabili.
In frazione Doglio, piccola collina che domina il paese, si trova
una stele tombale in pietra arenaria, che può datarsi entro il I secolo
d.C., con la seguente epigrafe, mutila sia nella parte superiore che in
quella inferiore e assai erosa dal tempo: V(ivus) f(ecit)/M(arcus) Allius
P(ubli) f(ilius) Cam(ilia tribu)/Secundus/sibi [e]t /Vicciae Q(uinti)
f(iliae) Te/rtullae uxo/ri annor(um) X[---]-----
24
.
Anni or sono fu ritrovato nel greto del torrente Uzzone (affluente
del Bormida a Cortemilia), in regione Ponte Moschetto, un’altra
lapide, anch’essa in arenaria. Nella lunetta superiore reca la figura di
una testa che denota un’arte del tutto provinciale. Nella parte
quadrangolare inferiore si legge la seguente epigrafe
25
: L(ucius)
Naevius L(ucii) F(ilius)/Cam(ilia tribu)/Montanus/V(ivus) F(ecit).
Il nome Naevius è forse un retaggio celtico, il cognome
Montanus designava non tanto il “montanaro”, quanto chi
genericamente abitava fuori delle aree abitate. La sua cronologia non è
posteriore alla prima metà del I secolo d.C.
26
Nel 1985 il greto del torrente Uzzone ci restituì un’ulteriore
prova dell’antichità di Cortemilia. La stele ritrovata in quell’anno sulle
sue rive, del I d.C., è molto curata nelle decorazioni, nel timpano vi
sono scolpite rosette e fra le lettere vi sono “hederae distinguentes”,
tuttavia la discordanza sintattica fra il nome del titolare del sepolcro in
dativo e il successivo predicato sottinteso in nominativo dalla formula
vivus fecit, fa capire che il lapicida era occasionale. La stele riporta:
24
MENNELLA, BARBIERI 1997, n. 26, pp. 583-584; MARTINA 1951, p. 221; il
Rossano non legge nella prima riga V. F.(ROSSANO 1956, p. 30).
25
MENNELLA, BARBIERI 1997, n.59, pp. 597-598; RESTAGNO 1953, pp. 107-110;
MARTINA 1951, p. 221.
26
MENNELLA, BARBIERI 1997, p. 597.
7
Q(uinto) Valer/io C(ai) f(ilio)/Cam(ilia tribu)/V(ivus) f(ecit)/B(ene)
v(aleas) l(ector)
27
.
A pochi chilometri da Cortemilia sorge Gorzegno, anch’esso già
frequentato in epoca romana come testimoniano i ritrovamenti
epigrafici e per il Martina anche la toponomastica
28
. Infatti, può
sembrare che il nome del luogo derivi da cohors Aenii
29
, dando
apparentemente credito all’esistenza di una acquartieramento romano
anche in questa zona oltre che a Cortemilia, ma per Olivieri è più
probabile che derivi da un nome personale, comunque romano,
Gordius da cui si è sviluppata la forma *Gordianis con metafonesi di
A in E
30
. Martina propose ulteriori ipotesi, non attendibili, sull’origine
del nome Gorzegno: dal greco gorytos = faretra (quella di Diana,
basandosi sui ritrovamenti epigrafici) o da gurges = vortice di fiume
(il Bormida)
31
. Dove ora sorge il Santuario della Madonna della Neve
(antica chiesa parrocchiale restaurata nel XVIII secolo
32
) furono
rinvenute nel 1774 due lapidi, di cui una dedicata alla dea Diana
33
. Per
questo si è ipotizzata l’esistenza di un tempio pagano in quest’area
(sotto l’altare vi era un’ara affumicata, forse adibita ai sacrifici); del
resto era normale in epoca cristiana cancellare ogni vestigia del
passato con una nuova costruzione adibita al nuovo culto. Inoltre
27
MENNELLA, BARBIERI 1997, n. 63, p. 599.
28
MARTINA 1951, p. 139.
29
MARTINA 1951, p. 315.
30
OLIVIERI 1965, p. 179.
31
MARTINA 1951, p. 139.
32
Conserva ancora quella che era facciata, in stile romanico.
33
Il Pio cita l’esistenza di una epigrafe in cui si parla di Vulcanus, facendo quindi
un ulteriore riferimento alle divinità pagane. Non abbiamo però altre
testimonianze della veridicità di questa iscrizione, forse l’autore confuse Veianus
con Vulcanus (PIO 1920, p. 23); anche il Martina parlò di una lapide dedicata a
Vulcano, ma probabilmente si rifece al Pio, senza controllare l’esattezza della
notizia (MARTINA 1951, p. 139).
8
questa zona anticamente era molto più selvaggia e fitta di boschi,
perciò è plausibile che venisse venerata Diana, dea della caccia.
Il Martina, per la prima lapide, trascrisse l’interpretazione di Don
G. Fissore, autore di una “Storia di Alba prima dell’era volgare”:
L(ucius) Veianus/C(aii) f(ilius) Tertius/Deanae/v(otum) s(olvit)
l(ibens) [merito]
34
.
La seconda lapide ritrovata riporta: V(ivens) f(ecit)/Veianus
C(aii) f(ilius)/M(arcus) Tertius sibi et [---]
35
. Successivamente, nel
1778, fu ritrovata una terza lapide
36
, incastrata nel muro in fondo alla
chiesa di S. Giovanni. Essa contiene le seguenti lettere:
SEC.NDO F / IN […] AERO […] / IN […] AGR […] / H.M.H.
E’ molto difficile, per la sua frammentarietà, sciogliere
l’epigrafe, ma Mennella
37
la accomuna con la precedente, anche se i
due pezzi non combaciano. In alto e in basso sono raffigurate due
scene ambientate nell’officina di un fabbro, delimitanti la dedica
centrale assai erosa. Mennella in base agli esami paleografici, al
formulario e alla tipologia del monumento la data entro la prima metà
del II secolo d.C. e propone questa interpretazione: V(ivus) f(ecit)/[-
]Veianius C(ai) f(ilius) /Cam(ilia tribu) Tertius sibi et/[A]mantiae
M(arci) f(iliae)/[---]+ae matri et/[-Veiani]o C(ai) f(ilio) Cam(ilia
tribu)/Secundo f[r (atri)]/In fro(nte) [p(edes)---]/in agr(o) p(edes) [---
]/H(oc) m(onumentum) h(eredem) [n(on) s(equetur)].
Furono ritrovati anche a Monesiglio ruderi di edifici e resti di un
sepolcreto di età romana, dal quale proviene, riportata alla luce nel
34
MARTINA 1951, p. 315; in CIL 1877, V, 2°, n. 902* è considerata falsa;
DURANDI 1774, p. 209; CASALIS 1841, VIII, p. 210.
35
MARTINA 1951, p. 315; DURANDI 1774, p. 209; CASALIS 1841, VIII, p. 210.
36
MARTINA 1951, p. 315.
37
MENNELLA, BARBIERI 1997, n. 35, pp. 588-589; in CIL 1877, V, 2°, n. 979* si
considera come sicuramente genuina solo la prima parte ritrovata nel 1774.
9
1769, la seguente lapide
38
oggi irreperibile: L(ucius) Didius M(arci)
f(ilius)/Cam(ilia tribu) Caeva/Attia C(ai) f(ilia) /Prima/uxsor v(iva).
In base alla struttura dei formulari onomastici sembra possibile una
datazione compresa fra il I e la metà del II secolo d.C.
Nella raccolta del Mennella e della Barbieri è citata un’altra
epigrafe rinvenuta a Monesiglio presso l’edicola di S. Bernardo,
purtroppo già perduta. Il formulario usato è sempre molto comune e
perciò l’epigrafe è databile al I d.C. ed è interpretata dalla Barbieri
con: [---]c[---]s[---]ivs/Cam(ilia tribu) et/Valeria M(arci)
f(ilia)/Quarta/uxsor
39
.
Da queste lapidi abbiamo la chiara prova che Cortemilia,
Gorzegno e Monesiglio facevano parte di un municipium romano in
quanto c’è la citazione della tribù Camilia
40
, la quale sappiamo con
sicurezza, grazie ad altre numerose testimonianze epigrafiche, essere
la tribù cui era ascritto il municipium di Alba Pompeia.
Forse esisteva un altro piccolo insediamento romano nei pressi di
Saliceto o per lo meno vi era una necropoli. Da questa località non
sono pervenute ancora iscrizioni di quell’epoca, ma sarebbero stati
rinvenuti resti di tombe, forse a cappuccina, frammenti di terracotta
del tipo “sigillata chiara D” risalenti al IV-VII secolo d.C., frammenti
38
MENNELLA, BARBIERI 1997, n. 48, p. 593; CIL 1877, V, 2°, n. 7551; MARTINA
1951, p. 328; il Balocco invece di Caeva pone Scaeva (BALOCCO 1985, p. 24);
CASALIS 1843, XI, p. 20.
39
MENNELLA, BARBIERI 1997, n. 66, p. 600; CIL 1877, V, 2°, n. 7552; (Caius)
C(a)s(s)ivs/Camilia et/Valeria M(arci) F(ilia)/Quarta/Uxsor (BALOCCO 1985, p.
24).
40
In realtà nelle iscrizioni ritrovate a Gorzegno la citazione della tribù Camilia
non è sicura, in quanto non tutti gli studiosi interpretano la M nella terza riga della
seconda epigrafe come CAM. In ogni modo non c’è motivo di dubitare
sull’appartenenza di Gorzegno, vista la sua posizione geografica fra Monesiglio e
Cortemilia, al municipio di Alba.
10
di pietra ollare e un sesterzio di Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169
d.C.)
41
.
I paesi di Prunetto
42
, Levice
43
, Torre Bormida, Gottasecca
44
,
Camerana
45
probabilmente o hanno origini relativamente più recenti
(per esempio il nome Torre di solito designa una fortificazione tardo-
antica o altomedievale) o erano frequentati già in età preromana
(Camerana e Levice), senza però averci lasciato testimonianze
significative della successiva epoca romana.
3. La Via Emilia Scauri
Nel 109 a.C. il censore M. Emilio Scauro ordinò la costruzione di
un’importante strada di fondovalle che da Dertona (Tortona) arrivava
sino ad uno sbocco al mare presso Vada Sabatia. Questa strada,
secondo la teoria del Formentini, era la prosecuzione della Via Aurelia
41
OLIVERI 1988, p. 41.
42
Questo toponimo deriva da prunetum (OLIVIERI 1965, p. 280). E’ un termine
botanico latino che deriva da prunum e indica il susino.
43
Levice per il Serra deriva da un nome personale originatosi da quello della tribù
dei Laevi (OLIVIERI 1965, p. 196). Il Martina offre una seconda ipotesi, non
suffragata, che prende in considerazione la posizione del paese sul pendio di un
colle: Lévice dal latino clivum = pendio (MARTINA 1951, p. 140).
44
Gianoglio scrive che Gottasecca, forse, esisteva già in età romana, senza
fornirne le prove (GIANOGLIO 1966, p. 186); Arata, riportando la teoria del Settia,
e la Petracco Sicardi riconducono il toponimo Gudega (è presente in zona anche
un microtoponimo locale Guddi), citato in documenti del X secolo, alla più tarda
presenza ostrogota nel territorio (ARATA 1991, p. 87, nota 5; PETRACCO SICARDI,
CAPRINI, 1981, p. 88).
Olivieri fa derivare questo toponimo da gota = goccia, indicando, quindi,
l’esistenza di una piccola fonte (OLIVIERI 1965, p. 179).
45
Per Camera in età altomedievale s’intendeva uno dei luoghi di riscossione delle
tasse doganali dovute all’erario del re (OLIVIERI 1965, p. 109). Quest’originaria
natura fiscale è mantenuta e accentuata nella successiva vocazione monastica
della località: in epoca medievale furono presenti patrimonialmente molti cenobi
(COCCOLUTO 1992, p. 167, nota 15).
11
che a Luni, invece di scegliere l’antico e impervio percorso usato dalle
tribù liguri della costa, procedeva verso nord sino a Dertona da dove
poi ridiscendeva al mare, attraverso la Val Quazzola, presso Vada
Sabatia grazie al Passo di Cadibona
46
. Da qui fu realizzata in seguito
la Via Julia Augusta che proseguiva verso la Provenza. Il Passo di
Cadibona, dove terminava la catena appenninica per dare inizio a
quella alpina, era l’unico punto che garantiva un passaggio agevole.
La Via Aemilia quindi attraversava la Val Bormida passando per
Canalicum (sulla Tabula Peutingeriana, ma non sull’Itinerarium
Antonini, c’è scritto, forse per errore dell’amanuense, Calanico
47
),
Crixia e Acqui
48
: i crinali più aspri delle Langhe erano solo
marginalmente toccati.
Durandi faceva passare la Via Aemilia Scauri, dopo Luni, a
Genova, Vado, Acqui e Tortona, preferendo quindi l’ardua viabilità di
costa
49
. Questo percorso era tortuoso, ma anche garanzia di sicurezza:
la strada assolveva in tale modo il compito di contenere gli attacchi,
provenienti da ovest, dei Cimbri e dei Teutoni, proteggendo le due
roccaforti di Piacenza e Tortona
50
. Un passo di Strabone, da cui
s’intende che la Via Aemilia andava a Piacenza transitando per Vado,
Acqui e Tortona, sembra avvalorare la descrizione che il Durandi fa
del tracciato viario
51
.
Zunino cerca di ricostruire il percorso dell’antica strada
consolare in questo modo: dalla Val Quazzola attraversava il valico di
46
FORMENTINI 1953, pp. 43-45.
47
Fontes 1976, docc. 2 e 4.
48
ZUNINO 1936, p. 1.
49
DURANDI 1774, p. 222.
50
PAVONI 1995, p. 35.
51
Fontes 1976, XVI, doc. 286.
12
Cadibona e discendeva presso Carcare
52
. Da qui si dipartivano, per
Zunino, tre itinerari. Il primo tracciato proseguiva a destra per
Montenotte e scendeva ad Albissola; il secondo tracciato, quello
principale, raggiungeva Ferrania e seguendo il corso del fiume
Bormida giungeva fin quasi a Bragno, superava le balze del colle di
Francia e ridiscendeva infine a S. Donato, presso Cairo; il terzo
percorso, tracciato in seguito, forse all’epoca dell’imperatore Adriano,
superata la Baiza, vicino ad Altare, scendeva al fiume Bormida
(Burmia Clarasca
53
) che attraversava mediante il ponte Clarascum,
ancora esistente nel 1097
54
, a nord dell’attuale ponte della Volta e da
qui si immetteva nel ramo principale, proveniente da Ferrania, presso
S. Donato
55
.
Sia l’Itinerarium Antonini che la Tabula Peutingeriana riportano,
la prima a XII miglia da Vada, la seconda a XV, una stazione
chiamata Canalicum. Il termine canalis indica una strada traversa che
s’immette nella strada principale
56
: quindi potrebbe significare che
una via secondaria si congiungeva nella Via Aemilia Scauri a
Canalicum.
Martina identificò questa stazione romana con Cortemilia
57
,
tenendo conto del fatto che essa si prestava, per la sua posizione, ad
essere un nodo importante per la viabilità verso Alba, ma non
52
ZUNINO 1936, pp. 3-6.
53
La Burmia Clarasca è il fiume Bormida citeriore o piccola Bormida (DURANDI
1774, p. 185).
54
“…sicut vadit per costam ad Roccam de cinglo, ubi Ferranica intrat in
Burmiam, et sicut ascendit ad pontem Clarascum et de ponte Clarasco sicut
ascendit in costam usque in jugum desuper Rio Plano…”. Si tratta dell’atto di
dotazione della canonica di S. Pietro di Ferrania (MORIONDUS 1790, II, col. 313,
n. 32).
55
ZUNINO 1936, pp. 3-6.
56
DU CANGE 1883, II, p. 71.
57
MARTINA 1951, p. 120.
13
prestando attenzione al conteggio delle miglia. Canalicum doveva
situarsi fra Carcare e S. Donato (cappella presso Cairo)
58
. Contando
XII miglia da Vado si arriva, infatti, alla località delle Chiappe vicino
a Carcare, contando invece XV miglia si giunge a S. Donato dove
effettivamente, per Zunino, terminava un tracciato secondario che
giungeva da Altare, oltrepassata la Bormida sul ponte Clarascum. La
Via Aemilia Scauri, oltrepassato S. Donato, nuovamente si dipartiva in
due rami: uno, secondario, portava a Cortemilia e ad Alba attraverso
Scaletta Uzzone, l’altro, quello principale, verso Spigno
59
. La Tabula
Peutingeriana riporta dopo Canalicum, a XX miglia, Crixia (forse la
piana di Montechiaro
60
) alla quale segue Acqui e solo qui la strada si
dirama per dirigersi verso Alba o verso Dertona, anche se bisogna
tenere conto delle lacerazioni subite dalla Tabula, a causa delle quali
un amanuense cercò di porre rimedio non sempre ripristinando
correttamente la situazione originale.
Per Oliveri dalla Via Emilia si staccava un’altra via secondaria
che, attraverso Millesimo e Coeba, portava ad Alba e a Pollentia:
potrebbe essere proprio questo il percorso affrontato da Ventidio,
luogotenente di Antonio, quando nel 43 a.C. cercò di raggiungere la
città di Pollentia, partendo da Vada Sabatia e proseguendo per
Canalicum e Ceva
61
. Le cinque cohortes di Decimo Bruto, però,
arrivarono un’ora prima, come ci informa una delle epistole che lo
58
Nella zona fra Cairo e Carcare sono state rinvenute tombe e frammenti
ceramici, nonché lucerne appartenenti all’epoca imperiale (GERVASINI 1978, p.
16).
59
ZUNINO 1936, p. 6.
60
GALLARETO 1999, p. 103. Per Durandi le XX miglia fra Canalicum e Crixia
sono in realtà X, in quanto l’amanuense ripeté per errore il numero, perciò Crixia
può essere S. Giulia dove si trovava una villa chiamata nelle fonti del 1700 Pria o
Cria (DURANDI 1774, pp. 226-227).
61
LAMBOGLIA 1941, I, p. 231; OLIVERI 1988, p. 26; BALBIS 1985, p. 20.
14
stesso Bruto mandò a Cicerone
62
, perché, avvertiti in tempo, partirono
immediatamente da un luogo che distava 30 miglia da Vado
(Cortemilia?) in direzione di Alba. Viene così testimoniata la presenza
di due itinerari secondari entrambi rivolti ad Alba.
Dalla Via Emilia a Cairo, presso il ponte degli Anéi o Aneti, di
cui oggi rimangono solo ruderi, si estenderebbe un antico tracciato
viario sulla dorsale delle Langhe (per alcuni romano) denominato
nelle fonti tardo medievali Via Magistra Langarum.
63
Questa strada
attraverso Carretto, S. Giulia, Scaletta, Cortemilia forse, immetteva ad
Alba, oppure permetteva di raggiungere Savona
64
, passando per
Carcare o Ferrania, e, valicato il colle di Montemoro, scendeva a
Lavagnola
65
, mentre la strada consolare arrivava alla costa tramite la
Val Quazzola nei pressi di Vada. Questo percorso in epoca medievale
assunse molta importanza, non solo per il commercio fra la costa ed il
suo entroterra, ma anche dal punto di vista politico. Permise infatti il
controllo di tutta la Val Bormida ed il naturale svolgersi delle
relazioni diplomatiche in un epoca in cui ormai la viabilità romana di
fondovalle non era più percorribile con sicurezza, anzi era in pratica
caduta in disuso. In realtà di questo tracciato non è rimasto alcun
reperto archeologico che avvalori la sua esistenza con certezza in età
romana
66
; inoltre il termine magistra è raro nelle fonti e si riscontra
soprattutto nel tardo medioevo
67
.
62
PIANEZZOLA 1967, n. XIII, pp. 28-30.
63
SELLA 1880, II, doc. 618.
64
OLIVERI 1972, p. 20.
65
ZUNINO 1929, p. 42; Rossano scrive che la via Maestra da Acqui per Incisa,
Loreto, Valgrande, Frave (Mango), Trezzo, Tinella, Cortemilia metteva alla
riviera di Vado e Finalmarina (ROSSANO 1956, p. 29); per Martina la via Maestra
conduceva alla riviera passando per Castino, Cortemilia, Scaletta e Cairo
(MARTINA 1951, p. 23).
66
ARATA 1994, p. 6.
67
ARATA 1994, p. 11 nota 22.