2
dell’ottocento e dei primi anni del novecento, ma negati in buona
parte nel periodo storico del ventennio fascista.
Nel 1948 il costituente si ispira, anzitutto all’ideale della
centralità e del primato della persona umana, considerata come
soggetto di diritti in un certo senso anteriori a qualsiasi
riconoscimento da parte dello Stato, e quindi non condizionati a
finalità collettive di qualsiasi genere, anche se limitate e limitabili,
in vista delle esigenze degli altri individui e della comunità, e
quindi in vista dell’adempimento dei “doveri inderogabili di
solidarietà” (art. 2 Cost). La Costituzione afferma e riconosce a
vari propositi la dignità e l’inviolabilità della persona, sancisce i
diritti di libertà e le garanzie giudiziarie dei diritti, con norme il cui
nucleo fondamentale costituisce principio inderogabile
dell’ordinamento costituzionale.
In dottrina si suole ammettere che i metodi tradizionali di
interpretazione, validi ad esempio per il diritto privato, siano
estendibili anche ai fini dell’intendimento del diritto costituzionale,
è però da aggiungere che l’interprete deve rendersi conto del
compito proprio delle norme costituzionali pervenendo alla
comprensione “dei motivi politici che stanno alla base delle
diverse norme e dei diversi principi”
1
. Il suggerimento di tenere
nella dovuta considerazione il ruolo delle disposizioni della
Costituzione è quanto mai opportuno, ma esso non può essere
seguito al tempo stesso non si hanno presenti i problemi che le
disposizioni stesse pongono all’interprete in ragione della loro
1
PIERANDREI , L’ interpretazione delle norme costituzionali in Italia, in
Scritti di diritto costituzionale,II, Torino,1964, 645 ss., 654-655.
3
struttura. Di ciò sono consapevoli quanti sottolineano la peculiarità
della formulazione dei testi delle costituzioni, ai quali necessità
vuole che si chieda “un carattere di più accentuata elasticità” anche
in vista della loro stabilità e durata rispetto agli altri testi
normativi
2
.
L’ interpretazione delle disposizioni costituzionali non si
risolve nella mera presa d’ atto, occorre individuare il principio ed
elaborarlo attraverso la teoria e la dottrina, che partono dalla
ricostruzione di una serie di dati naturali e che mirano coglierne il
senso complessivo.
In sostanza, il riconoscimento della decisione politica
fondamentale o del fine politico fondamentale, va letto come un
avvertimento ad ancorare l’ interpretazione dei testi costituzionali
ad una ricognizione del contesto politico e dell’ equilibrio di forze
da cui essi traggono origine, senza trascurare le scelte politiche ad
essi sottese. La ricostruzione del significato di una costituzione
formale e delle sue molteplici disposizioni non può prescindere
dalla considerazione dei contesti storici in cui quel significato si è
venuto progressivamente evidenziando e qualificando.
Anche per la norma penale, il contesto storico e sociale, può
essere metodo di interpretazione, ma in senso evolutivo. L’
elemento storico, inteso come storia della norma, è oggetto del
metodo che prende in considerazione la genesi della norma nella
sua particolare situazione storica. Non è un criterio vincolante, l’
interprete della legge non deve essere un puro storico, la
2
MORTATI , La costituzione dello stato e le garanzie costituzionali,Roma, pag.
180
4
ricognizione è solo un primo momento dell’ interpretazione, in
quanto si ha una differenza tra interpretazione storica e
interpretazione giuridica sostanziale. Nella prima, si tratta solo di
rievocare nella sua autonomia il senso della forma rappresentativa,
il pensiero che in essa si esprime, nella seconda, cioè nell’
interpretazione giuridica, non ci si può arrestare a questo primo
aspetto, ma si deve fare un passo avanti, perché la norma, lungi
dall’ esaurirsi nella sua primitiva formulazione, ha vigore attuale
nell’ ordinamento di cui fa parte, ed è destinata a passare e a
trasfondersi nella vita sociale, alla cui disciplina deve servire.
Questa visione, che non cerca solo la volontà storica del
legislatore, soprattutto attraverso i mezzi tradizionali dei lavori
preparatori
3
, affiora il metodo storico evolutivo, nato come in
contrapposizione e per reazione al metodo-giuridico tradizionale
4
.
Il fondamento, nell’ idea della dottrina che originariamente ha
sostenuto il metodo evolutivo, è, per dirlo con le parole di Degni:
“non il prodotto della volontà del legislatore, ma un prodotto sociologico. Il
legislatore infatti, non crea il diritto ma lo dichiara soltanto. Il diritto, come ogni
altra norma del vivere sociale, è superiore ad ogni altra volontà umana: esso
nasce spontaneamente dalla coscienza della collettività, è il prodotto delle
necessità obiettive della vita sociale, e con questa si trasforma e modifica. Di
tutte queste modificazioni il legislatore deve tenere conto nell’ attuazione pratica
della legge, la quale non può raggiungere i suoi scopi se prescinde da tutte le
condizioni estrinseche che ne modificano o ne sviluppano il contenuto. Da ciò
segue a necessità di un metodo d’ interpretazione che adatti la legge alle
condizioni storiche dell’ ambiente la quale deve applicarsi e che perciò è detto
storico-evolutivo o di adattazione storica”
5
3
I lavori preparatori sono, secondo il metodo storico, come è noto, fonti
primarie per l’ interpretazione, fino talvolta ad essere ritenuti il mezzo per
giungere ad un’interpretazione autentica.
4
DEGNI, L’ interpretazione della legge, Napoli, 1909, 160.
5
DEGNI, ibidem.
5
Nell’ interpretazione storico-evolutiva, si colloca anche l’
interpretazione conforme alla Costituzione, cioè, tra le varie
possibilità interpretative, è imposto di scegliere quella
maggiormente conforme a Costituzione
6
.
Detto questo, anche l’ art 27 della Costituzione, in particolar
modo il terzo comma, è stato oggetto di un’evoluzione storico-
legislativa a partire dal suo concepimento in grembo all’
Assemblea costituente, e oggetto di interpretazione sia da parte
della dottrina che da parte del legislatore, il quale di volta in volta,
con la creazione di leggi volte alla sua applicazione, ha dovuto fare
i conti. E’ per questo che un principio fondamentale attestato dalla
nostra Costituzione, come quello della rieducazione, non può
essere guardato sterilmente nel mero dettato, ma va analizzato e
seguito nel suo processo storico e sociale, al pari di molti altri
principi e delle norme penali che li mettono in pratica.
Bisognerà vedere quali siano stati gli eventi e le correnti di
pensiero che hanno portato alla formulazione:
“La responsabilità penale è personale. L’ imputato non è
considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa
la pena di morte.”
6
“Se di una norma è possibile un’ interpretazione conforme alla
Costituzione(..)l’ interprete (…)dovrà scegliere questa interpretazione tra le
altre”. C.Cost. 26-1-1957, n.24, GiC,1957,III,64. Questa è una delle prime
pronunce tese ad inaugurare quest’ orientamento, il quale si basa sul postulato
che i principi che ispirano una costituzione non flessibile, permeano l’ intero
ordinamento , funzionando come criteri di ermeneutica delle leggi ordinarie.
Negli anni la Corte ha fato più volte riferimento alla interpretazione storico-
evolutiva
6
La valenza rieducativa, espressa all’art. 27 comma III Cost., è,
in dottrina, considerata derivante da quelle “norme di ispirazione
solidaristica”, tipiche di ogni Stato di diritto
7
.
Nonostante la genericità del concetto di rieducazione, questo
costituisce uno dei pilastri fondamentali del sistema carcerario;
semmai, tale ambiguità ha facilitato più interpretazioni del fine
rieducativo, a seconda delle diverse teorie politico-criminali.
L’ articolo in esame, come vedremo, risponde ai postulati della
Scuola positiva, del diritto penale. E’ noto infatti che secondo la
Scuola classica, nella sua corrente moralistica, la pena deve essere
essenzialmente afflittiva, dovendo attuare la tutela giuridica
secondo la formula tanto male inflitto per tanto male arrecato.
Mentre il positivismo criminologico dette alle pene la finalità di
difesa sociale, escludendo la afflittività come fine essenziale,
anche in accordo con la concezione della responsabilità di fronte
alla legge penale e ponendo il riadattamento sociale del reo come
uno dei fini principali, in confronto ai soggetti non incorreggibili.
Quando la rieducazione è conseguibile rientra nel concetto di
prevenzione speciale: questo fine deve essere associato a quello
della prevenzione generale, cioè nei confronti di tutti i possibili
delinquenti, da raggiungersi per mezzo della intimidazione, che
dunque dovrà essere uno dei fini della pena, da conciliare con
quello dell’ emenda.
7
G.FIANDACA, Art.27 3°co. Cost. in commentario alla Costituzione,
Zanichelli, Bologna, 1989 cit., 224; per la storia della pena detentiva
E.FASSONE, La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma penitenziaria, Il
Mulino, Bologna, 1980; FOUCAULT, Surveiller et punir, Einaudi, Torino,
1975.
7
La rieducazione del condannato non si configura come
un’imposizione di determinati valori a preferenza di altri da parte
dello Stato. La Costituzione intende il fine rieducativo nel senso di
riportare il detenuto al rispetto della legge penale, senza dover
inculcare una determinata scala di valori
8
. A conferma di ciò, la
dottrina afferma che “il compito della sanzione potrà dirsi
conseguito anche quando il rispetto della legge, per il futuro, risulti
affidato soltanto al timore della pena”
9
.
Il principio di rieducazione, è un principio innovativo, per
questo motivo, le prime interpretazioni date, hanno avuto come
obiettivo il contenere il più possibile la portata innovativa, in modo
da collocarlo in una posizione di continuità rispetto all’
ordinamento precedente. Da questo punto di vista, è dato registrare
un’ evoluzione interpretativa pressoché corrispondente al crescente
peso esercitato dalle forze politiche progressiste, a partire dalla
seconda metà degli anni settanta. La tradizionale lettura
“riduttiva”non ha, per molto tempo, consentito di cogliere tutte le
possibili implicazioni del principio di rieducazione, quale
fondamentale criterio di politica criminale: la consapevolezza che
una norma come quella di cui all’art. 27 terzo comma non
esaurisce il suo raggio di azione entro lo spazio dell’ esecuzione
della pena, ma incide sulla struttura del reato e comincia a farsi
strada a partire dai primi ani settanta
10
.
8
E.DOLCINI, La “rieducazione del condannato”tra mito e realtà in Riv. It. Dir. E proc.
Pen.,1950, pag. 57 , in proposito afferma che per rieducazione la Costituzione intende
“una buona condotta puramente esteriore, il mero rispetto della legge penale, considerato
indipendentemente dai fattori che lo rendono possibile”.
9
E.DOLCINI, op. cit., p. 58
10
G.FIANDACA, Op cit., pag.224
8
1.2 Il principio rieducativo tra scuola classica e scuola
positiva
Come abbiamo ricordato, che nel periodo in cui si svolgono i
lavori della Costituente, il dibattito sulle funzioni della pena
fondamentalmente ruota ancora intorno ai contrapposti postulati
della Scuola classica e della Scuola positiva
11
: essendo questo il
perdurante retroterra culturale, era certamente comprensibile la
preoccupazione manifestata da non pochi Costituenti, che
un’esplicita presa di posizione sullo scopo della pena avrebbe
potuto alla fine tradursi nel riconoscimento del primato di una delle
due scuole tradizionalmente in conflitto
12
.
Ora, per i Costituenti, la preoccupazione non era quella di
giungere ad una presa di posizione stabile che potesse significare il
predominare di una scuola sull’altra ma si voleva una definizione
quanto più possibile capace di raccogliere i consensi delle due
scuole
13
.
1.2.1 Idea di difesa del diritto e quella di difesa sociale nella
visione razionalistica della scuola classica.
La scuola classica caratterizzò il primo trentennio successivo
all’Unità italiana.
11
F. CAVALLA, La pena come problema. Il superamento della concezione razionalistica
della filosofia sociale, Cedam, Padova, pag. 48
12
G. FIANDACA, Op. cit.
13
G.FIANDACA. Ibidem.
9
Sebbene ormai superata e più volte contestata non si può
negare che “ebbe un indirizzo politico sociale e in pieno accordo
con la rivendicazione dei diritti dell'uomo; stabilì la ragione e i
limiti del diritto di punire dello Stato; si oppose alla ferocia delle
pene, rivendicò con forma di garanzia dell'individuo”
14
. È
evidente quindi la connessione con gli avvenimenti del XVIII
secolo in cui si era combattuto per spostare il centro di gravità
dallo Stato all'individuo.
La Scuola Classica nasce come reazione alla situazione
politica, sociale e giuridica in cui si trovava l'Italia, e nella
battaglia contro il sistema penale allora vigente, caratterizzato
dall'uso della tortura e dalla ferocia delle pene, trova la propria
ragion d’esistere. Questa dottrina, che si basa su una concezione
assoluta del diritto, pone a fondamento del diritto penale i seguenti
principi: a) il delinquente è un uomo qualunque senza particolari
differenze da tutti gli altri; b) la condizione e la misura della pena
sono commisurate in relazione alla presenza e al grado del libero
arbitrio; c) la pena ha funzione etico retributiva del male
commesso, perciò deve essere assolutamente proporzionata al
reato, afflittiva, personale, determinata e inderogabile.
Il contributo della scuola classica si proponeva di introdurre nel
sistema penale i corollari del individualismo, la consacrazione del
principio nulla poena sine lege, l'importanza di definire i singoli
delitti, la ricerca di espressioni più rigorose per eliminare le
14
E.FERRI, Principi di diritto criminale, UTET, Torino, 1928.
10
incertezze interpretative, la campagna per l'umanizzazione dei
penitenziari.
Questi principi talmente attuali che hanno fatto parlare
addirittura un secolo più tardi di renaissance néo-classique, erano
accompagnati da una concezione della pena retribuzionistica che
presto cozzò con l’idea utilitaristica propria della scuola
positivista.
La Scuola classica fonda l'imputabilità sul libero arbitrio, cioè
sulla facoltà di autodeterminarsi secondo una libera scelta della
propria volontà. Secondo tale indirizzo la pena, in quanto castigo
per il male commesso, ha senso se l'uomo ha volontariamente e
consapevolmente scelto la violazione della norma, pur avendo,
invece, la possibilità di sceglierne l'osservanza. E "il reato è
violazione cosciente e volontaria" del comando penale, ma perché
la volontà sia colpevole l'autore del reato, posto davanti
all'alternativa tra il bene e il male, deve avere "la concreta capacità
di intendere il valore etico- sociale delle proprie azioni e di
determinarsi liberamente alle medesime, sottraendosi all'influsso
dei fattori interni ed esterni"
15
.
La fortuna della scuola classica era dovuta principalmente
all’umus politico conservatore dell’Italia post-unitaria ancora
troppo legata sia politicamente che socialmente al XIX secolo. E’
un Italia legata ad un’economia basata sull’agricoltura, ancora
poco propensa all’industria e quindi con accentuate disuguaglianze
sociali che giustificavano forme di paternalismo anche nella
15
F. MANTOVANI., Diritto penale, Cedam, Padova, 1992, p. 560
11
concezione della pena e che si rispecchiano nel clima politico
conservatore dell’epoca
16
.
La prospettiva della scuola Classica, può essere analizzata,
quindi, seguendo una serie di argomenti.
Rileva innanzi tutto una certa concezione dell’uomo. Per essa
l’uomo è per natura un’esistenza in grado di conoscere e di
procacciarsi ciò che gli occorre e di vivere accanto i suoi simili
evitando ogni conflitto e violenza. Il “male”, è dovuto a cause
accidentali rispetto a ciò che costituisce l’essenza dell’ uomo. E’
l’idea di un soggetto fondamentalmente libero e perciò
responsabile delle proprie azioni comprese quelle eventualmente
criminose.
Il fondamento della visione razionalista del diritto, a cui si rifà
la scuola classica, si basa sul concetto di una norma conoscibile;
per i classici, la norma ha un valore deontologico, è costituita da un
comando che esprime una necessità naturale.
Se l’uomo è innocente per natura, chi fa il male si differenzia
dalle caratteristiche proprie della sua specie. Tanto nella scuola
classica che in quella positiva, ci sono i presupposti per stabilire
essere “anormale” chiunque viola la legge penale.
Il delinquente appare, dunque, come uno con il quale non si
possono intrattenere rapporti intersoggettivi, per cui deve esistere
un provvedimento che lo allontani dal resto della società: la pena.
Si tratta di estraniare una parte della popolazione per proteggere la
16
E.FASSONE . Op. cit.
12
parte restante, come amputiamo un membro in cancrena per la
salute di tutto il corpo
17
.
Questo allontanamento dalla società funziona sia per l’idea
retributiva che per quella special-preventiva, è un esito che
comunque è raggiunto sia che la si giustifichi in quanto strumento
per neutralizzare la pericolosità, sia che si giustifichi la pena come
castigo meritato.
1.2.2 Determinismo, prevenzione speciale e difesa sociale
nella prospettiva della scuola positiva
La Scuola positiva, nata nel XIX secolo, basa la sua dottrina su
tre fattori ritenuti determinanti per la nascita di tale indirizzo
criminologico.
Il primo fattore va ricollegato all'affermarsi del metodo di
indagine induttivo- sperimentale. Il secondo è da ricercare nella
necessità di "reagire contro l'affievolirsi della difesa sociale" per
"ristabilire un equilibrio fra garanzie individuali e garanzie sociali
nel campo della giustizia penale"
18
. Come abbiamo detto, la Scuola
classica si è imposta per rivendicare e proteggere i diritti
individuali contro gli abusi e i soprusi dell'autorità
nell'amministrazione della giustizia penale. E sotto l'influsso di tale
teoria, la difesa sociale era stata inevitabilmente trascurata,
cosicché, commenta il Frosali, "per i soggetti moralmente non
imputabili, abbandonati dalla giustizia penale anche se
17
LA METTRIE, L’uomo macchina,cit. pag. 56
18
FROSALI R. A., Sistema penale italiano,vol. I,Utet, Torino 1958, pp. 36-37
13
commettevano fatti di reato, non esistevano, al di fuori di essa,
provvidenze sufficienti alla difesa della società" . “La situazione
(era) resa ancor più grave dal fatto che, specialmente per opera dei
giudici popolari, erano largamente ammessi a beneficiare della non
imputabilità soggetti ritenuti colpiti, al momento del fatto, da
infermità di mente transitoria - es., delinquenti passionali,
delinquenti per «forza irresistibile»..."
19
.
Il terzo fattore che ha contribuito a dare origine al nuovo
indirizzo è stata la inefficacia del sistema penale per la
diminuzione del crimine.
Per la Scuola positiva il principio cardine in base al quale si
devono spiegare tutti i fenomeni, fisici e psichici, individuali e
sociali, è il principio di causalità. E sulla base di tale presupposto,
per i positivisti, e per Ferri che viene considerato il padre della
scuola positiva, il delitto è il prodotto non di una scelta libera e
responsabile del soggetto, ma di un triplice ordine di cause
20
:
- antropologiche; distinte nelle tre sottoclassi della
"costituzione organica" date dai caratteri somatici, della
"costituzione psichica": (intelletto, volontà e sentimento) e delle
"condizioni bio-sociali" classe sociale, stato civile, professione,
ecc.;
- fisiche date dal cambiamento del clima, natura del suolo, ecc.;
- sociali caratterizzate dal mutare della densità demografica,
religione, costume, politica, ecc
19
FROSALI R. A., Op. cit. pag. 37-38
20
FERRI E. Sociologia criminale, Vol. 1, Utet, Torino, 1929
14
Mentre la Scuola classica considera il reato come ente
giuridico astratto staccato dall'agente, per la concezione positivista
il reato è un fenomeno naturale e sociale, un fatto umano
individuale, indice rivelatore di una personalità socialmente
pericolosa. Ecco che l'attenzione del diritto penale si sposta dal
fatto criminoso in astratto alla personalità del delinquente in
concreto, dalla colpevolezza per il fatto alla pericolosità sociale
dell'autore "intesa come probabilità che il soggetto, per certe cause,
sia spinto a commettere fatti criminosi"
21
. I classici muovono come
confutazione delle teorie positivistiche quella di partire dal
presupposto del determinismo, che non ha mai ricevuto nessuna
conferma sperimentale; i classici osservano che attraverso il
concetto di pericolosità e l’idea di una pena indeterminata, non
solo chi avesse realmente leso beni sociali ma anche qualsiasi altro
cittadino, veniva esposto all’arbitrio dei detentori del potere
punitivo, risultando compromessa la funzione garantista del diritto
penale.
Ed ecco che il principio di responsabilità individuale è
sostituito dal principio di responsabilità sociale.
Sulla base di tali presupposti non ha più senso castigare con la
pena il reo, "perché fatalmente spinto da forze che agiscono dentro
e fuori di lui"
22
e scopo dei provvedimenti repressivi deve essere la
difesa sociale, per cui coloro che delinquono devono essere
sottoposti a misure di sicurezza, volte a prevenire ulteriori
manifestazioni criminose mediante il loro allontanamento dalla
21
MANTOVANI F., Diritto penale, Cedam, Padova, 1992
22
MANTOVANI F., Ibidem
15
società e, ove possibile, il loro reinserimento nella vita sociale. Tali
misure pertanto non devono essere proporzionate alla gravità del
fatto, ma alla pericolosità del reo e, nella loro applicazione, devono
variare di forma per adattarsi alle diverse tipologie psichiche del
delinquente, devono essere indeterminate nella durata e derogabili
col cessare della pericolosità. Dal momento che anche i fatti
psichici sono sottoposti al principio di causalità (determinismo
psichico), il libero arbitrio era considerato una illusione
psicologica.
Date queste premesse la Scuola positiva arriva inevitabilmente
a negare la stessa categoria dell'imputabilità e la distinzione fra
soggetti imputabili e non imputabili. Se infatti, come si è detto, la
sanzione penale serve solo come strumento per impedire la
commissione di crimini, non vi è motivo per escludere dalla sua
applicazione gli autori di reato infermi di mente.
Il presupposto deterministico, si esprime nella credenza che il
principio di causalità meccanica spieghi necessariamente ed
esaustivamente ogni fenomeno, compresi i comportamenti umani.
In questa visione, l’uomo, come ogni altro essere, è concepito
come un mero prodotto di forze fisiche: le sue opinioni, le sue
valutazioni, devono considerarsi interamente determinate da
precisi fattori causali fisici.
Il presupposto deterministico, a partire dalla fine dell’800
23
, ha
caratterizzato l’opera di alcuni giuristi e criminologi italiani che si
23
Spesso si fa coincidere l’inizio della scuola positiva con la pubblicazione de
L’uomo delinquente di Lombroso del 1876.