5
riferisco alla semantica. Questo è un ambito sterminato, che
difficilmente vedrà sviluppi sostanziali a breve termine, ma che credo
sia interessante indagare in relazione alle teorie del linguaggio in cui è
inscritto.
Da qui il titolo del mio lavoro “Teorie del linguaggio, teorie del
significato” che si propone, nella prima parte, di esplorare la teoria
Chomskiana del linguaggio, per tentare di descrivere in che modo il
significato si inserisca nel quadro di questa visione e quali siano le
principali obiezioni cui questo paradigma deve far fronte. Alcune di
queste obiezioni provengono da solide impostazioni teoriche che
compongono il panorama scientifico odierno attorno ai problemi di
semantica lessicale: in questo senso, nella seconda parte, vedremo gli
approcci di Ray Jackendoff, Jerry Fodor e James Pustejovsky, i loro
punti di incontro e di divergenza, per trarre alcune conclusioni
riguardo la diversità di analisi del complesso ambito della semantica.
6
CAPITOLO I
1. La Grammatica Universale
La figura di Noam Chomsky, notissima nel mondo accademico e
non solo, non ha certo bisogno di presentazioni. Tuttavia, sarà utile
ripercorrere qui la sua teoria sul linguaggio, la cosiddetta Grammatica
Generativa, capace di rivoluzionare le correnti di pensiero precedenti
fino a poter parlare, pur con qualche difficoltà, di scienza del
linguaggio.
Anzitutto un termine chiave: facoltà di linguaggio. Come facoltà
della nostra mente/cervello
2
, la facoltà di linguaggio «può essere
ragionevolmente considerata un “organo di linguaggio” nel senso in
cui gli scienziati parlano del sistema visivo, del sistema immunitario o
del sistema circolatorio come organi del corpo»
3
. Essa non ha un
organo corrispondente in tutti gli altri esseri viventi, anzi, ciò che
distingue l’essere umano da qualsiasi altra specie animale è proprio
l’uso creativo del linguaggio, spiegabile solo a partire da un organo ad
esso deputato come lo è, appunto, la facoltà di linguaggio.
Basterebbero questi primi cenni alla teoria di Chomsky per capire
come egli si ponga in netta contrapposizione con il
comportamentismo, nato agli inizi del Novecento dall’idea che la sola
unità di analisi indagabile scientificamente possa essere il
comportamento. Se seguissimo questo approccio dovremmo
convincerci che, per imparare una lingua, i bambini dovrebbero
limitarsi a riprodurre frasi udite in condizioni specifiche. Chomsky fa
notare però che lo schema stimolo-risposta fallisce nel momento in cui
si osserva che un bambino, in fase di acquisizione del linguaggio, non
ripete semplicemente le parole o le frasi che sente, ma ne costruisce di
2
Chomsky ritiene che sia prematuro affrontare il problema del riduzionismo, ossia
interrogarsi sul fatto che la mente sia o meno riducibile al cervello. Con il termine
mente/cervello possiamo permetterci di attribuire alcune peculiarità della nostra
specie, nello specifico fatti linguistici, ad un’entità che comprende sia la componente
astratta sia la componente fisica del nostro organo principale.
3
N. CHOMSKY, Nuovi orizzonti nello studio del linguaggio e della mente, ed. it., il
Saggiatore, Milano 2005, p. 52.
7
nuove, mai udite prima. Evidentemente, i dati che dovrebbero
costituire lo stimolo secondo la teoria comportamentista, sono
insufficienti a spiegare la creatività linguistica di un bambino.
Resta poi da considerare la scoperta, che Chomsky attribuisce a
Galileo, della cosiddetta infinità discreta, posta a fondamento
dell’aritmetica e del linguaggio, la cui esemplificazione consta nella
capacità, unica del genere umano, di contare infinitamente. Il principio
prevede che da un insieme finito di unità (le cifre da 0 a 9), si possa
produrre una serie potenzialmente infinita di unità più complesse
(l’insieme dei numeri naturali). Ciò si realizza anche nel linguaggio, in
una proprietà definita con il nome di ricorsività: le unità sono
costituite dalle parole, grazie alle quali l’uomo, e solo l’uomo, è in
grado di generare frasi potenzialmente infinte. Se ciò può sembrare
una banalità, cambiamo subito idea se pensiamo che non esiste alcun
bambino a cui si debba “insegnare” la proprietà dell’infinità discreta. I
bambini la sanno già.
A questo punto si innesta la questione che Chomsky definisce “il
problema di Platone”
4
: come spiegare il fatto che il bambino conosce
qualcosa che nessuno gli ha mai spiegato? Egli risolve il problema
affermando che alcune componenti del linguaggio sono innate, ciò
significa, in termini biologici, genetiche: «l’organo linguistico [è]
esattamente come gli altri organi, in quanto le sue caratteristiche
fondamentali sono l’espressione dei geni»
5
. La parte innata è
rappresentata da uno Stato Iniziale (SI) che, prendendo come input
l’Esperienza (E), dà come output una Lingua (L).
4
Chomsky sostiene che la nostra struttura mentale ponga dei limiti a ciò che
possiamo conoscere e che pertanto si debba distinguere tra problemi e misteri. Per i
primi si può trovare una soluzione scientificamente; per i secondi una soluzione non
si avrà mai. In particolare, il “problema di Platone” consiste sostanzialmente nel
problema riguardante l’acquisizione del linguaggio e si accosta, nel pensiero
Chomskiano, al “problema di Humboldt” concernente la struttura de linguaggio e al
“problema di Cartesio” riguardo l’uso del linguaggio.
5
N. CHOMSKY, Nuovi orizzonti…, op. cit., p. 53.
8
Tutte le lingue del mondo hanno una componente comune,
proprio perché sono acquisite da una facoltà comune a tutti gli esseri
umani, che ha come input una componente essenziale per lo sviluppo e
l’acquisizione di una lingua. Basta sostituire alla prima freccia in Fig.
1 l’esposizione a una qualsiasi lingua, per avere come risultato
l’acquisizione e la produzione della stessa. Per indicare la serie di
proprietà comuni a tutte le lingue, Chomsky introduce il concetto di
Grammatica Universale (GU), che definisce come sistema aperto:
alcuni aspetti sono fissati dalla nascita, mentre altri sono fissati
dall’esperienza. Siamo quindi in presenza di elementi determinati e
indipendenti dall’esperienza chiamati princìpi, ed elementi il cui
valore scaturisce dall’esposizione a dati linguistici chiamati parametri.
Questa teoria rompe, quindi, con la tradizione di pensiero
secondo cui il linguaggio sarebbe un’entità sovraindividuale, un codice
a cui i parlanti devono attenersi se vogliono comprendersi. Per la teoria
cognitivista del linguaggio, cui Chomsky ha dato inizio, il linguaggio è
qualcosa di biologico, interno all’individuo e frutto dell’interazione di
modelli cognitivi diversi. Una delle esemplificazioni più convincenti
di questa visione internista del linguaggio è data dai livelli di
rappresentazione, che discuteremo nel prossimo paragrafo.
2. Livelli di rappresentazione
Fin qui abbiamo parlato di facoltà di linguaggio come organo e di
GU come caratteristica biologica che ci permette di acquisire qualsiasi
lingua umana. Abbiamo detto anche che quest’ultima a sua volta si
SI
E L
Fig. 1 - Architettura elementare della facoltà di linguaggio
9
divide in princìpi e parametri, ma non abbiamo ancora cercato di
capire dove Chomsky collochi queste capacità all’interno della nostra
mente/cervello. Se da un lato una risposta effettiva a questa domanda
Chomsky non la fornisce, dall’altro egli propone una nozione che è
risultata centrale nella spiegazione di come i parlanti si rappresentino
mentalmente le frasi della loro lingua. Egli sostiene che esistano dei
livelli di rappresentazione, ossia delle strutture astratte grazie alle
quali, in un certo senso, si svolge l’attività linguistica nella nostra
mente/cervello, rappresentabili con degli schemi che ora vedremo.
Orbene, questi schemi, mutati a partire dalla loro genesi intorno agli
anni ’60, sono stati rivisti e rielaborati più volte dallo stesso Chomsky,
ma qui prenderò in considerazione il più significativo ai fini del
presente lavoro, anche se non mancherò di accennare ai modelli
precedenti per esigenze di esposizione. La formulazione che presento è
quella degli anni ’80 ed è chiamata EST (Extended Standard Theory).
Essa prevede quattro livelli: Struttura-s, Struttura-p, Forma Fonetica e
Forma Logica.
6
Eccone lo schema:
L’idea dei livelli di rappresentazione parte dal presupposto che,
nella mente dei parlanti, ogni frase venga rappresentata a ciascuno dei
livelli indicati nel grafico, ognuno dei quali è derivato dal livello che
compare al di sopra di esso e che ad esso si collega tramite un
segmento. Vedremo subito il significato di derivazione, ma prima è
6
Questo schema segue la formulazione degli anni ’60 (vedi in seguito) in cui erano
presenti solo due livelli chiamati Struttura Profonda e Struttura Superficiale. In
alcuni scritti di Chomsky però veniva espressa l’idea che la Struttura Profonda fosse
universale e ciò portava ad identificarla con la GU, costituendo fonte di equivoco.
Questo portò Chomsky alla elaborazione del modello in Fig. 2.
Struttura-p
Struttura-s
Forma Fonetica Forma Logica
Fig. 2 - Schema dei livelli di rappresentazione nella
formulazione degli anni ’80.
10
opportuno far notare che questa definizione da subito si accompagnava
a quella di trasformazione, ovverosia «un’operazione che converte
ciascuna frase con una data struttura di costituenti in una nuova frase
con una struttura di costituenti derivata»
7
. Nel corso degli anni, questa
nozione pareva indicare un’operazione troppo complessa per
giustificare la facilità con cui un bambino impara una lingua e si è
preferito parlare di movimento di costituenti, nel nostro caso sintagmi,
governato da regole precise fornite dalla GU.
8
La derivazione consiste
quindi in un movimento dei costituenti della frase che, secondo
determinate regole, “sposta” i sintagmi nella posizione in cui li
percepiamo concretamente. Vediamo un esempio:
(1) Chi credi che Mario abbia visto?
In (1) “chi” è interpretato come oggetto della subordinata, ma questa
sua funzione grammaticale non coincide con la posizione in cui ci si
aspetterebbe si trovi. In altri termini, “chi” viene interpretato in una
posizione diversa da quella in cui viene pronunciato. Com’è possibile?
La spiegazione risiede nel fatto che (1) è la rappresentazione della frase
che noi abbiamo a livello di struttura-s che, grazie alle regole di
movimento, è derivata dalla struttura-p in cui la frase risulterebbe così:
(2) Credi che Mario abbia visto chi?
Non è difficile notare che questa potrebbe essere un’interrogativa
plausibile per la dichiarativa “Credo che Mario abbia visto Giovanni”,
nel qual caso il nome proprio “Giovanni” occupa la posizione del
pronome “chi”.
Per indicare in struttura-s la posizione originaria, in struttura-p,
del costituente che ha subito lo spostamento, si inserisce la cosiddetta
7
N. CHOMSKY, Three models for the description of language, «IRE Transactions
in Information Theory», 2 (Settembre 1956), pp. 113-124, qui p. 121 (come in
seguito, per citazioni da bibliografia in lingua inglese, traduzione mia). L’articolo è
stato digitalizzato ed è reperibile sul sito www.chomsky.info/articles.htm
(29.09.2008).
8
Si vedrà in seguito come la semplicità diventi la chiave per impostare un
modello cognitivo che riduca al minimo l’architettura della teoria linguistica.