5
scrittura poetica, il ruolo dell’autobiografia e dell’analisi del “moi”, e
le ragioni della difficoltà nei rapporti durante l’età giovanile.
Nel primo capitolo intitolato Sartre e la questione del romanzo,
vengono esaminate le numerose difficoltà che i critici hanno
incontrato nell’attribuire allo scrittore una sola identità intellettuale.
Attraverso l’analisi critica dei testi si cerca di dimostrare come la
narrativa di Sartre sia a tutti gli effetti valida, e non solamente un
mezzo di divulgazione della sua filosofia. La fedeltà al reale viene
definitivamente abbandonata per lasciare il posto a un romanzo ricco
di spessore psicologico per la conquista della libertà.
Il secondo capitolo mette in luce l’importanza della teoria
sartriana dell’immaginario, non solo nei suoi primi lavori, ma anche in
opere successive tra cui Les Mots. Il potere dell’immaginario assume
così il duplice significato di possibile fuga dalla realtà, e allo stesso
tempo di prigione dorata nell’esistenza. Tutto si risolve comunque nel
momento della creazione artistica come movimento interno alla
coscienza.
Nel capitolo terzo la mia attenzione si sposta sulla condizione
dell’intellettuale del novecento, e su come il confronto critico si è
districato nei riguardi della scelta di Sartre di un linguaggio capace di
6
essere azione concreta nel mondo, a partire dalle teorie di Qu’est-ce
que la littérature? fino alla parola evocativa dell’Orphée noir.
Infine nell’ultimo capitolo si analizza il difficile rapporto di
Sartre con il movimento surrealista fondato da André Breton, e il suo
mettersi in gioco confrontandosi con molti dei suoi contemporanei tra
cui Georges Bataille. Il burrascoso rapporto di Sartre con i Surrealisti
è reso evidente nella critica alla falsa rivoluzione da essi professata.
A conclusione del mio lavoro ho analizzato la situazione
globale della critica sartriana, gli eventi e le organizzazioni che
contribuiscono a rendere vivo il ricordo dello scrittore prospettando
nuovi orizzonti di ricerca e interpretazione.
7
Capitolo primo
Jean-Paul Sartre e la questione del romanzo.
Il caso di Jean-Paul Sartre, come del resto quello di molti
intellettuali del xx secolo, si connota di molteplici particolarità e
sfumature che spesso sfuggono alle schematizzazioni relative al tempo
e aprono la strada a un pensiero poliedrico e sempre in movimento.
Sulla narrativa di Sartre, molti critici hanno espresso pareri
contrastanti e molte volte negativi soprattutto facendo riferimento alla
doppia natura dello scrittore, diviso fra il mestiere di filosofo e quello
di romanziere. Jacques Laurent
1
più di tutti mette in evidenza
l’apparente prospettiva di Sartre di utilizzare il romanzo come un
mezzo di divulgazione del suo discorso filosofico, negando l’esistenza
di un vero e proprio universo romanzesco e ponendolo come inventore
poco istintivo e originale. Si afferma perciò una eclissi dell’estetica di
Sartre narratore, che sacrificherebbe l’opera d’arte a una finalità di
carattere politico-ideologica teorizzata nell’idea di ”engagement” nel
saggio Qu’est-ce que la littérature?
2
. Questo genere di “mancanza”
si potrebbe dedurre per esempio dal fatto che lo stesso Sartre ha
1
J.LAURENT, Stendhal comme Stendhal ou le mensonge ambigu, Paris, Grasset, 1984, p.15.
2
J.-P. SARTRE, Qu’-est ce que la littérature?, Paris, Gallimard, 1948.
8
lasciato incompiute molte delle sue opere narrative, tra cui la trilogia
degli Chemins de la liberté, interrottasi con La mort dans l’âme nel
1949, e i tre volumi de L’idiot de la famille pubblicati da Gallimard
nel 1972. Sartre però è stato un attivista non soltanto politico ma
anche letterario, e ha sempre reso accessibili con interviste e
“entretiens” le sue opinioni per chi si avvicinava alla sua opera; “j’ai
voulu”, ha precisato, “écrire des romans et du théâtre bien longtemps
avant de savoir ce qu’était la philosophie”.
3
E’ anche vero però che
racconti come Le Mur e La Nausée illustrano e anticipano temi e
problematiche di tipo ontologico e metafisico che verranno poi riprese
ne L’Être et le Néant, ma questo non vuol dire certamente che queste
due opere, come anche Les Mots, non siano un esempio di romanzo
innovativo dove si assiste a “l’apprendimento del mondo e delle cose
da parte del soggetto[…]Sartre ha dunque scritto dei romanzi
filosofici, non si tratta davvero di filosofia in forma di romanzo ne di
romanzo a tesi[…]”.
4
Ciò che dunque Sartre ha tentato di creare è un
universo romanzesco ricco di spessore psicologico dove scompare la
riproduzione fedele della realtà tipicamente ottocentesca per lasciare
spazio a una problematizzazione del reale, in cui i personaggi non
3
M. CHAPSAL, Les Ecrivains en personne, Paris, Juillard, 1960, p.209.
4
Cit. da G. RUBINO, L’intellettuale e i segni-Saggi su Sartre e Barthes, Roma, Edizioni di storia
e letteratura, 1984, p.14.
9
rispondono più a un preciso stereotipo ma diventano una galleria di
tipi umani rinchiusi in un microcosmo spesso crudo e oggettivo che
non sempre però rappresenta l’esistenza quotidiana. L’obiettivo è
quello di proporre una tematica consistente nella ricerca e nella
conquista della libertà personale di intellettuale e di uomo fortemente
impregnato dei valori e delle problematiche del suo tempo in
equilibrio tra stile, forma e contenuti.
10
Sartre et Beauvoir
11
1.1. I “segni dell’intellettuale”.
Lo studio di Gianfranco Rubino, L’intellettuale e i segni-Saggi
su Sartre e Barthes, si fonda su una personale riflessione su Sartre e
Barthes e si propone di mettere in evidenza il “ruolo motore” di Sartre
e la sua “identità composita e poliedrica”
5
che incarna la figura del
grande intellettuale “poligrafo”
6
oltre gli schemi tradizionali del
sapere e della scrittura letteraria. Dal primo dopoguerra fino ai giorni
nostri si compie l’apoteosi e l’eclissi del cosiddetto “maître à penser”,
considerato come il possessore della conoscenza globale di tutte le
cose e capace di fare chiarezza sulle problematiche legate
all’esistenza. Con Jean-Paul Sartre fa il suo ingresso la figura del
nuovo intellettuale che “intrattiene una relazione istituzionale e
polivalente con i segni: li decifra e li produce. Li produce decifrando
quelli emessi da altri, quando funge da critico, da ermeneuta, da
semiologo; li produce emettendoli direttamente senza il supporto di
mediazioni metalinguistiche quando esercita una attività d’invenzione
letteraria”.
7
Di qui la scelta da parte di Sartre di tematiche relative al
rapporto fra Letteratura e Immaginario, la poetica del linguaggio
5
G. RUBINO, L’intellettuale e i segni-Saggi su Sartre e Barthes, cit., p.8.
6
Ibidem, p. 8.
7
Ibidem, p. 9.
12
letterario e la fuga dai dogmatismi semplificatori a favore di un
pensiero in continuo movimento.
Secondo Gianfranco Rubino il romanzo moderno va considerato
infatti come una combinazione e un intreccio di segni prima ancora
che narrazione, e l’opera narrativa di Sartre si inserisce perfettamente
in quest’ottica. Tutta l’opera sartriana da La Nausée fino a Les
Chemins de la liberté illustra un interesse per i procedimenti
linguistici del racconto che spiegano la composizione e le tecniche
della produzione narrativa del filosofo. Scrive Rubino: “ come già
accadde a Gide, Sartre deve limitarsi a un puntiglioso inventario degli
ostacoli da superare per attingere a un siffatto obiettivo ma non può
presentare scioglimenti univoci consolatori che chiudano
indebitamente una problematica destinata per sua natura a rimanere
sempre aperta”.
8
Non si può comunque dimenticare, come ha ben
notato Gerald Prince
9
, l’incompatibilità che Sartre vedeva tra le
problematiche autentiche e la “falsità” dell’opera d’arte. Le concezioni
strumentali del linguaggio artistico e i numerosi condizionamenti
esterni a cui era sottoposto lo scrittore turbavano la ricerca di
equilibrio tra forma e contenuto. Un atteggiamento totalmente diverso
8
Ibidem, p. 16.
9
G.PRINCE, Métaphysique et technique dans l’œuvre romanesque de Sartre , Genève, Librairie
Droz, 1968, p.35.
13
appare nella sua opera autobiografica Les Mots, che stravolge sul
finire della sua attività letteraria l’ esperienza dei primi anni. La
scrittura come attività autosufficiente arriva a conferire un’identità e
una consistenza al soggetto che la pratica, fino a farlo rinascere: “je
commençai a me decouvrir. Je n’étais presque rien, tout au plus un
activité sans contenu, mais il n’en fallait pas davantage[…] je suis né
de l’écriture: avant elle, il n’y avait qu’en jeu de miroirs; de mon
premier roman, je sus qu’en enfant s’était introduit dans le palais de
glaces”.
10
Per quanto riguarda Les Mots, Gianfranco Rubino focalizza
la propria attenzione sulle scoperte e le letture di Sartre fanciullo, e la
realtà inizialmente indecifrabile e affascinante nella quale si immerge:
“c’était le livre qui parlait. Des phrases en sortaient qui me faisait
peur. Elles grouillaient de syllabes et de lettres, étirait leurs
diphtongues, faisaient vibrer les doubles consonnes; chantantes,
nasales, coupées de pause set de soupirs, riches en mots inconnus,
elles s’enchantaient d’elles-mêmes et de leurs méandres sans se
soucier de moi” .
11
In questo modo il linguaggio e la scrittura
diventano, per il bambino « ipnotizzato », strumenti meravigliosi per
conoscere il reale e al tempo stesso realizzare concretamente
l’immaginario: “pour avoir découvert le monde à travers le langage,
10
J.-P. SARTRE , Les Mots, Paris, Gallimard, 1964, p. 34.
11
Ibidem, p. 44.
14
j’ai pris longtemps le langage pour le monde. Exister, c’était posséder
une appellation contrôlée, quelque part sur les Tables infinies du
Verbe;[…] ce fut ma plus ténace illusion- prendre les choses, vivantes,
au piège des phrases”.
12
Allo stesso modo, le grandi biografie critiche
di Sartre come il Saint Genet, e L’idiot de la famille, attribuiscono al
linguaggio un “ruolo attivo e protagonistico, e al soggetto futuro
scrittore, una mansione che solo dopo lunghi tormenti supererà lo
stadio di una ricezione passiva e stupefatta”.
13
Sempre Rubino
sottolinea il fatto che il romanzo è certamente opera di finzione, che
mette in scena personaggi inventati, ma la psicanalisi esistenziale di
Sartre opera su dati oggettivi e inequivocabili, indagando sulla
soggettività di qualcuno che è realmente vissuto, proponendo nella
lettura una sorta di rebus da decifrare. Sartre ha voluto precisare in un’
intervista che: “un écrivain est toujours un homme qui a plus ou moins
choisi l’imaginaire: il lui faut une ceratine dose de fiction. Pour ma
part, je la trouve dans mon travail sur Flaubert, qu’on peut d’ailleurs
considérer comme un roman. Je souhaite même que les gens disent
que c’est un vrai roman”.
14
In effetti il cuore del pensiero sartriano,
essendo molto legato al concetto di “situation” , si rispecchia anche
12
Ibidem, p. 151.
13
G. RUBINO, L’intellettuale e i segni-Saggi su Sartre e Barthes, Cit, p. 20.
14
J.-P. SARTRE, Situation IX, Paris, Gallimard, 1972, p. 123.
15
nell’artista, nel critico, nel filosofo, ma soprattutto nell’uomo comune,
che vede nell’immaginario e nelle “parole” una possibile fuga dalla
realtà. Il romanzo di Sartre mette in scena personaggi reali operando
su dati oggettivi e inequivocabili. Egli ha creato una forma di
narrazione capace di accogliere la realtà e non semplicemente
rifletterla per esaminarla metodicamente. Rubino sottolinea
l’elaborazione verbale e il processo interpretativo di Sartre che
trascina il lettore, senza che se ne renda conto, in uno spazio
intersoggettivo e instabile dove orientarsi diventa difficile e la realtà
viene confusa dall’accavallarsi dei segni. È interessante notare come
gli Chemins de la liberté, La critique de la raison dialectique, il
Mallarmé, L’idiot de la famille siano tutte opere senza una
conclusione, dove la parola decisiva non viene mai pronunciata.
Questo rispecchia il tentativo estremo di Sartre di compiere il suo
progetto anti-strutturale per superare il concetto di genere letterario e
creare una pratica testuale complessa, che non trova la sua fine nella
narrazione.
Per quanto riguarda la tecnica narrativa di Sartre, Rubino
analizza la questione del punto di vista e della collocazione del
narratore all’interno del romanzo e il rifiuto di Sartre del concetto
classico di narratore demiurgo, restituendo ai personaggi la loro libera
16
soggettività eliminando gli interventi analitici del “testimone
onnisciente”
15
. In particolare Sartre a partire dal saggio Qu’ est-ce que
la littérature? accusa di Truquage ogni metodo narrativo e propone
all’interno del romanzo un’alternanza di prospettive individuali. Ogni
singolo personaggio è assunto come portatore di visione, e il lettore
percepisce gli eventi attraverso la loro psicologia: è quello che
Pouillon ha chiamato “vision avec” e Genette “focalisation interne”.
16
È proprio a partire da questi concetti che Sartre sviluppa la struttura
diaristica de La Nausée, imponendo la coincidenza fra narratore in
prima persona e lettore, in modo che di tutti i personaggi si sappia
quanto ne sa Roquentin che li vede dall’esterno senza conoscerne la
vita interiore. Nonostante ciò egli spesso si diverte a indovinarne
pensieri e stati d’animo; così lo vediamo penetrare nell’interiorità di
Lucie, di M. Achille, del dottor Rogé, della folla domenicale a
Bouville, dell’autodidatta e di Anny. Come ha scritto Geneviève Idt,
“il arrive que Roquentin prenne avec les êtres qu’il décrit l’attitude
que Sartre reproche à Mauriac”.
17
Scriveva Sartre a proposito di
Genet : « quelles que soient les erreurs que je puisse faire sur lui, je
suis sûr de le connaître mieux qu’il ne me connaît car j’ai la passion
15
J.-L. CURTIS, Haute École, Paris, Juillard, 1950, p. 16.
16
J. POUILLON, Temps et roman, Paris, Gallimard, 1946, p. 74.
17
G. IDT, « La Nausée de Sartre ». Analyse critique, Paris, Hatier, 1971, p. 54.
17
de comprendre les hommes et il a celle de les ignorer”.
18
Non è un
caso quindi che Roquentin si arroghi poteri divinatori in un’implicita
rivendicazione di superiorità come quella dello stesso Sartre che si
atteggiava a « homme seul,[…] l’individu qui s’oppose à la société et
sur qui celle-ci ne peut rien, parce qu’il est libre”.
19
Il protagonista de
La Nausée osserva sempre con distacco la città di Bouville e tutti i
suoi abitanti che descrive come tanti piccoli uomini segretamente
insoddisfatti della propria esistenza, manifestando così la convinzione
di appartenere ad un’altra specie in qualche modo superiore. Questa
stessa convinzione è presente in Paul Hilbert nella novella Érostate
che per marcare le distanze dal resto del mondo osserva la gente da
una finestra al settimo piano, e in Mathieu e Brunet negli Chemins de
la liberté che avvertono la loro “diversità” come una condanna e
cercano di annullarla restando uniti ai loro compagni di sventura. Alla
fine però essi scopriranno il segreto di quel nulla della coscienza che li
esilia nella diversità e nel rifiuto. Nelle novelle della raccolta Le Mur,
e in particolare nella Chambre, Sartre narratore si permette di
prevedere anche se solo approssimativamente le vicende dei
personaggi trasmettendo al lettore dati utili alla comprensione ottimale
del racconto attraverso retrospezioni e interventi. L’importante è
18
J.-P. SARTRE, Saint Genet comédien et martyr, Paris Gallimard, 1952, p. 64.
19
J.-P. SARTRE, Situation X, Paris, Gallimard, 1976, p. 176.
18
comprendere come Sartre riesca comunque a porsi all’interno della
vicenda come “narratore nascosto”
20
capace di mascherare nel
discorso indiretto libero e nella coincidenza fra il suo punto di vista e
quello dei personaggi i suoi interventi. L’ottica del personaggio e i
suoi monologhi interiori vengono resi senza che egli abbia mai
veramente la parola che si sviluppa invece sotto la tutela implicita del
narratore, che a sua volta però gestisce la focalizzazione e non la
verbalizzazione. Questa intersezione e scambio di ruoli è visibile
soprattutto nei passi in cui Sartre descrive la psicologia dei
personaggi, le loro sensazioni, o più semplicemente l’ambiente in cui
vivono, come in questi passi della Chambre riferiti a Ève:
“L’épaisse odeur de l’encens lui emplit les narines et la bouche, […] le parfum et
la pénombre ne faisaient plus pour elle, depuis longtemps, qu’un seul élément,
acre et ouaté, aussi simple, aussi familier que l’eau, l’air ou le feu […]”
21
; “Ève se
leva et prit le ziuthre: c’était un assemblage de morceaux de carton que Pierre
avait collés lui-même: il s’en servait pour conjurer les statues. Le ziuthre
ressemblait à une araignée. »
22
.
Grazie a questo tipo di procedimento Sartre ricostruisce le vicende
dell’essere-in-situazione, impegnato nella lotta contro l’indifferenza
del mondo, ponendosi dunque come complice e allo stesso tempo
20
S. CHATMAN, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Parma, Pratiche
editrice, 1981, p. 211.
21
J.-P. SARTRE, Le Mur, cit., p. 251.
22
Ibidem, p. 255.