8INTRODUZIONE
Il seguente lavoro si propone di indagare il costrutto di alleanza terapeutica, partendo da una
definizione di alleanza il cui nucleo centrale prevede che paziente e terapeuta lavorino insieme, in
un clima di reciproca fiducia, per raggiungere obiettivi condivisi (Bordin, 1976).
Un’iniziale rassegna storica dell’evoluzione concettuale del termine alleanza, dalle origini
psicoanalitiche alla formulazione panteorica attuale, è seguita da un’illustrazione dei risultati
empirici più consolidati e degli odierni indirizzi di ricerca concernenti l’alleanza terapeutica,
ovvero: la relazione tra una positiva alleanza e il successo di una psicoterapia, l’evoluzione e
l’andamento dell’alleanza nelle diverse fasi della terapia, l’indagine delle variabili che
predispongono gli individui a sviluppare una forte alleanza, e l’esplorazione dei fattori del
contesto terapeutico che influenzano lo sviluppo di una positiva alleanza.
Questo primo inquadramento, è utile per comprendere i motivi per cui, l’alleanza
terapeutica, si è imposta come una delle aree di indagine potenzialmente più feconde, riguardanti
la ricerca relativa alle aree di sovrapposizione tra psicoterapie di diverso orientamento. A partire
dagli anni Settanta, infatti, un numero crescente di ricercatori ha sentito la necessità di indagare, in
modo più preciso e obiettivo, i processi e gli outcome delle varie psicoterapie. La scoperta di una
sostanziale identità di efficacia dei diversi approcci psicoterapeutici, ha orientato l’attenzione
verso l’indagine di quali potessero essere i fattori comuni alla base del processo terapeutico di
cambiamento: oggi è presente un sostanziale accordo, tra i ricercatori, nel considerare l’alleanza
uno dei principali fattori comuni di influenza sull’outcome in psicoterapia (Luborsky, 1994;
Wampold, 2001).
L’importanza che il costrutto acquista, rende necessario, quanto delicato e complesso, il
dialogo tra teoria, clinica e ricerca: a cominciare da Luborsky (1975), e in seguito, a partire dalla
proposta panteorica di Bordin (1976), i ricercatori clinici, come Horvath (1989), Safran e Muran
(1990), hanno tentato di definire in modo operativo il costrutto dell’alleanza.
9In questi termini, la prosecuzione del lavoro qui presentato, si articola in una piccola
indagine sul costrutto esaminato, a partire da trascritti di colloqui di counseling psicoterapeutico,
al fine di ottenere un’idea più precisa di come, in concreto, terapeuta e paziente costruiscano il
rapporto di alleanza.
L’elaborato, nello specifico, nasce come un piccolo tentativo di mettere a fuoco gli
interventi attuati dal terapeuta per mantenere un buon livello qualitativo dell’alleanza con il
paziente.
Il raggiungimento di tale obiettivo ha portato alla scelta di ricercare uno strumento
direttamente applicabile ai trascritti di sedute psicoterapeutiche.
La letteratura sull’alleanza, infatti, è ricca di strumenti di misurazione di tale variabile
costituiti da questionari auto-somministrati, per il terapeuta, il paziente o un osservatore esterno,
consegnati alla fine della seduta o della terapia, di cui si offre una sintetica panoramica nel
capitolo 3.
La ricerca di uno strumento differente, ha portato alla conoscenza dell’IVAT-II, di Colli e
Lingiardi (2002).
L’IVAT-II, nasce di recente, proprio con lo scopo di indagare l’alleanza in termini di
processo, attraverso lo studio dei suoi continui cicli di rottura e riparazione, più che in termini di
valutazione di assenza o presenza di tale variabile all’interno di una seduta. La cornice teorica
dello strumento è la definizione di alleanza di lavoro di Bordin (1976), mentre la cornice empirica
è rappresentata dagli studi di Safran e Muran, sull’andamento ciclico dell’alleanza, durante il
percorso psicoterapeutico.
Lo strumento ha permesso di osservare il costrutto dell’ alleanza da un punto di vista
concreto, per vedere come le differenti dimensioni che la costituiscono (i compiti, il legame, gli
obiettivi comuni), si ritrovano a livello operativo nella relazione che si crea tra i clinici e i pazienti
di un centro di counseling per studenti universitari, che costituisce il campione preso in esame.
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Uno spazio particolare è stato dato a una sezione dell’IVAT, l’IVAT-T, che nasce come una
possibile categorizzazione, per codificare gli interventi terapeutici finalizzati al tentativo di
risoluzione, da parte del terapeuta, di episodi di rottura dell’alleanza.
Si è quindi cercato, a partire da questa concettualizzazione, di spiegare queste stesse
dimensioni in termini di un’altra classificazione degli interventi del clinico, ossia le tecniche della
domanda per la conduzione di un colloquio clinico, valutate secondo la classificazione di Del
Corno e Lang (1995).
Il confronto tra le due classificazioni è avvenuto per un approfondimento del primo
obiettivo del lavoro: cercare un riscontro concreto dei contributi del terapeuta, al mantenimento e
al consolidamento dell’alleanza, nella realtà di un counseling psicoterapeutico.
Il fatto di aver lavorato su trascritti di colloqui, inoltre, permette di ricordare come non sia
semplice operare su ciò che, come il colloquio, rappresenta non solo del semplice materiale
clinico, ma un vero e proprio strumento professionale, costituito da regole e procedure
metodologiche specifiche, che variano a seconda dell’ambito di utilizzo. Si è quindi deciso di
inquadrare le caratteristiche teoriche, strutturali e funzionali del colloquio clinico, soffermandosi
sugli ambiti di applicazione: la psicoterapia, la diagnosi, il counseling e la ricerca.
Inoltre si è resa necessaria la focalizzazione sulle tecniche della domanda del colloquio
clinico, che oltre a rappresentare un caposaldo della teoria della tecnica del colloquio, sono qui
utilizzate al fine di arricchire concettualmente e in termini operativi, pur riconoscendo i grossi
limiti di questa operazione, le definizioni che Colli e Lingiardi attribuiscono agli interventi attuati
dal terapeuta, nel momento in cui nell’alleanza con il paziente si verificano episodi di rottura della
stessa.
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I. IL COLLOQUIO CLINICO: La teoria
1.1 Definizione di colloquio clinico e ambiti d’utilizzo
Il colloquio clinico è un particolare tipo di strumento professionale e specifico, utilizzato
come metodo privilegiato di indagine e di trattamento in tutta l’area della psicologia clinica,
ovvero: la ricerca, la diagnosi, la terapia, il counseling (Calvo, 2003).
Lis e al. (1995) ritengono che, come strumento clinico, il colloquio sia caratterizzato da uno
scambio verbale, in una situazione dinamica d’interazione psichica tra psicologo e soggetto, che
permetta lo svilupparsi di un processo di conoscenza, grazie all’utilizzo di tecniche non direttive.
Questo tipo di tecniche consente al soggetto di sentirsi valorizzato, non sottoposto a giudizio
valutativo e trattato da persona, percependo la disponibilità del tecnico.
La definizione sopra riportata è solamente una delle molteplici formulazioni relative al
colloquio clinico.
La multidimensionalità dello strumento, le molteplici scuole o impostazioni di pensiero in
gioco, l’impossibilità di avvalersi di un unico modello del disturbo psichico e la difficoltà di
trovare uno strumento adeguato per rapportarsi con il paziente, senza farsi travolgere dalle sue
vicende, rendono impossibile una visione univoca del colloquio clinico.
L’estrema variabilità di fattori, interagenti nella conduzione di un colloquio, non significa
che il suo utilizzo, in psicologia clinica, sia un’arte in funzione dalla capacità del conduttore: il
colloquio clinico è una metodologia professionale, distinta dalla conversazione in ambito
quotidiano, dettata da specifiche regole che ne definiscono la struttura, le caratteristiche e le
tecniche; e che rimangono fisse e costanti nei diversi ambiti di applicazione (Calvo, 2003).
È dagli ambiti d’applicazione del colloquio nella pratica clinica, ossia:
- La diagnosi
- La terapia
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- Il counseling
- La ricerca
che è possibile effettuare una prima importante distinzione, di carattere pragmatico, tecnico e
metodologico. Il colloquio, infatti, assume connotazioni differenti in base agli obiettivi e alle
finalità che ciascun ambito richiede di raggiungere.
In questo senso, il colloquio utilizzato in psicodiagnosi (o colloquio clinico di
consultazione) è quel tipo di colloquio che si svolge tra uno psicologo ed una persona, in questo
caso il paziente, che a lui si rivolge direttamente, o è inviata per un qualche problema o disagio
psicologico riconosciuto dalla persona stessa o da altri (Lis, 1995).
La finalità del colloquio di consultazione, nonostante l’effetto possa essere terapeutico, è
raccogliere i dati che provengono dal contenuto e dal processo dell’interazione colloquiale, allo
scopo di una valutazione della condizione generale attuale del soggetto, che si traduce, in seguito,
in un giudizio sul tipo di intervento necessario, per rispondere alla sua domanda di aiuto e ai suoi
bisogni (Bastianoni & Simonelli, 2001).
Il processo diagnostico deve svolgersi in un periodo breve, solitamente non più di tre
incontri, in cui il clinico deve creare un clima emotivo di disponibilità e accettazione nei confronti
del paziente, volto all’instaurarsi di una relazione di fiducia tra i due partecipanti.
Il colloquio clinico di consultazione non deve essere basato su scelte teoriche e modelli del
disturbo psichico preordinati, è richiesta, quindi, al conduttore, la conoscenza di una vasta gamma
di trattamenti possibili (Lang, 2003).
Nell’ambito della terapia, il colloquio è lo strumento d’elezione per molte tecniche
terapeutiche. In questo caso si definisce colloquio clinico specializzato (o colloquio
psicoterapeutico), e rappresenta un colloquio di secondo livello, che avviene nel momento in cui è
già stata verificata un’ipotesi di trattamento con il soggetto. L’oggetto della terapia è il
cambiamento della persona, anche in questo caso definita paziente.
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Il progetto terapeutico di cambiamento del paziente avviene in funzione di un obiettivo
terapeutico, che risulterà differente in relazione alla tecnica ritenuta più adeguata dal terapeuta
(Lang, 2003). La durata del trattamento e la scansione temporale degli incontri variano in
funzione della tecnica terapeutica utilizzata.
La conduzione di un colloquio psicoterapeutico non può prescindere, dunque, dalle scelte
teorico - cliniche del terapeuta.
Nell’area applicativa del counseling psicoterapeutico, gli incontri tra operatore e soggetto,
definito cliente, hanno come oggetto un problema evolutivo del cliente, di estensione limitata;
(Lis, 1995; Di Fabio, 1999) e come finalità il superamento di tale problema.
L’argomento del colloquio di counseling si pone, quindi, sul versante della prevenzione e
rimane fuori dall’area del disturbo psichico; la durata dell’intervento di sostegno necessita di
tempi brevi, solitamente mai superiori all’anno, con incontri che avvengono settimanalmente o
bi - settimanalmente.
Il cliente, nel caso del counseling, non abbisogna di una ristrutturazione della personalità: la
risoluzione della difficoltà evolutiva avviene tramite tecniche volte alla valorizzazione e
attivazione delle risorse del cliente. Le tecniche di conduzione, come nel caso di una psicoterapia,
variano secondo la scuola di pensiero del counselor.
Infine, il colloquio è anche strumento di ricerca, utilizzato dalla teoria della clinica per
confermare o disconfemare alcune ipotesi. In questo caso è strettamente correlato ad
un’applicazione mirata di alcune tecniche (Lang, 2003).
Il colloquio come strumento di ricerca non ha un fine diretto di intervento sulla realtà della
persona, il suo obiettivo specifico è, infatti, la raccolta di informazioni, allo scopo di conoscere
determinati aspetti e aree, di ambito della psicologia clinica (Bastianoni & Simonelli, 2001).
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Il clima emotivo, che si instaura nello scambio relazionale tra i partecipanti, deve favorire
una situazione facilitante ed accogliente, che consenta di esprimere al soggetto i contenuti
richiesti.
La suddivisione per ambiti è, come si osserva, fondamentale per fornire al colloquio una
specificità metodologica ed un’applicazione più adeguata dello strumento. In questi termini,
osserva Lang (2003), il colloquio può essere classificato secondo molteplici caratteristiche: lo
scopo, il tipo di modello etiopatogenetico del clinico, alcune caratteristiche della relazione con il
soggetto, il contesto terapeutico, un elemento clinico specifico del paziente; ma prima di tutto,
bisogna suddividere l’ambito della consultazione psicodiagnostica dall’ambito della terapia, ciò è
la premessa per la creazione di parametri specifici di definizione dell’ oggetto, dell’obiettivo e
delle tecnica da utilizzare per una corretta conduzione dell’interazione colloquiale, in ogni area
della psicologia clinica.
1.2 Gli aspetti costitutivi generali
La cornice strutturale, alla base dello strumento in esame, è costituita da caratteristiche
generali, valide per qualsiasi tipo di colloquio, ossia (Lis, 1995):
- Un’interazione faccia a faccia, o in prossimità, tra due persone in relazione
asimmetrica: uno dei due interlocutori pone questioni all’altro, che ha una
funzione di ascolto e, per quanto possibile, di risposta (Jones, 1998; Bastianoni
& Simonelli, 2001; Calvo, 2003);
- Un accordo comune fra gli interlocutori (Bastianoni & Simonelli, 2001; Calvo,
2003): Il primo livello di accordo sulla relazione è rappresentato dall’utilizzo
dell’interazione verbale come forma di comunicazione principale del colloquio
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(senza voler oscurare il ruolo della comunicazione non verbale) (Bastianoni &
Simonelli, 2001).
Esiste poi un altro livello di accordo che, secondo Bastianoni e Simonelli
(2001), è relativo al processo di svolgimento del colloquio e riguarda il grado
di strutturazione dello stesso. In questi termini è possibile porre il colloquio
lungo un continuum, che va da un grado di strutturazione forte, con domande
precise su determinate aree ritenute rilevanti, a modalità di conduzione in cui il
soggetto si esprime più liberamente e spontaneamente. Il grado di
strutturazione è in funzione di determinate variabili, quali: gli stili degli
interlocutori, la centratura di un colloquio su un tema o su un problema, l’età,
la maturazione psicologica e gli aspetti di personalità del richiedente, l’ambito
e la finalità del colloquio.
- Un oggetto o un argomento (il focus dello scambio): Opinioni, atteggiamenti,
esperienze, caratteristiche e vissuti dell’interlocutore, sono tutti potenziali
oggetti di conoscenza da parte di chi utilizza il colloquio; ciò che ne determina
il grado di definizione sono: il contesto in cui si svolge, gli obiettivi e le finalità
che lo caratterizzano, le richieste del soggetto e la possibilità di ascolto e di
risposte del conduttore (Bastianoni & Simonelli, 2001);
- Una finalità, più o meno consapevole da parte dei partecipanti, e quindi una
cooperazione in funzione di tale intenzionalità (Jones, 1998):
Indipendentemente dal contesto e dalle finalità specifiche, il colloquio ha come
obiettivo generale quello di effettuare un valutazione della condizione generale
dell’intervistato, in una fase determinata del suo ciclo di vita. Lo strumento può
comprendere anche un giudizio sul tipo di intervento necessario per rispondere
alle domande e ai bisogni dell’interlocutore (Bastianoni & Simonelli, 2001);
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- Un clima facilitante che favorisca lo scambio comunicativo (Lis et al. 1995;
Jones, 1998; Bastianoni & Simonelli, 2001): il conduttore del colloquio deve
creare un’atmosfera accogliente, attraverso un atteggiamento empatico e di
disponibilità all’ascolto, non solo in relazione ai contenuti verbali espressi, ma
anche ai segnali non verbali inviati dall’altro.
Le definizioni tecniche degli autori che, nel corso degli anni, si sono occupati dello studio
dello strumento in esame, riprendono e accettano gli elementi sopra indicati come costitutivi
dell’interazione colloquiale, anche se con terminologie diverse e con sottolineature differenti
secondo l’importanza attribuita ad ognuno di essi (Lis, 1995).
Gli elementi in esame rappresentano le variabili formali costitutive di qualsiasi colloquio;
nella pratica clinica tali variabili acquistano significato, si determinano e si modificano in
funzione del contesto in cui il colloquio si svolge, in funzione del setting e delle richieste (Clerici,
1997), in relazione al rapporto psicologo-paziente, all’ effetto della psicopatologia del paziente sul
clinico e alla situazione di maggiore o minore gravità in cui versa il paziente (Lang, 2002).
Inoltre, perché un colloquio possa essere definito tale, è essenziale che tutti gli elementi che
lo costituiscono siano presenti nel suo svolgersi, altrimenti può trasformarsi in un altro tipo di
tecnica della domanda, come il questionario o l’intervista.
1.3 Aspetti strutturali e funzionali del colloquio
1.3.1 I partecipanti: il conduttore e il soggetto esaminato.
1.3.1.1 Il conduttore
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A volte sopravvalutati, altre volte sottostimati, i tratti caratterizzanti il conduttore sono
aspetti costituenti il colloquio che ne determinano la funzionalità (Trentini, 1995).
Le caratteristiche strutturali di chi conduce il colloquio riguardano:
- il livello di qualificazione;
- l’ esperienza;
- i dati personali (più o meno rilevanti ai fini del colloquio in
programma);
Nello specifico:
La qualificazione è intesa sia in termini generali sia in termini di professionalità specifica. Il
conduttore, necessariamente un professionista, deve avere una buona cultura generale “che gli
consente di usare una “mentalità scientifica” ed empirica, integrandola ad una filosofia umanistica
interessata alla vita delle persone” (Bastianoni & Simonelli, 2001).
Inoltre, la conduzione di un colloquio avviene in conformità a precise conoscenze e abilità
riguardanti l’argomento e la situazione comunicazionale, acquisite mediante un iter accademico
ed un training specifico. Questo tipo di preparazione è indispensabile per portare avanti
adeguatamente i compiti di facilitazione della conversazione, di relazione e di conoscenza
dell’altro (Lis, 1995) e per evitare, per quanto possibile, errori ricorrenti durante il colloquio.
Tra le competenze specifiche si considera anche lo schema teorico di riferimento (Lis,
1995). L’orientamento teorico scelto dall’operatore e la sua storia formativa, infatti, funzionano
come una guida nell’ideazione e nella conduzione del colloquio, definendone la scelta delle aree
di indagine, la tecnica di domanda e il modo in cui l’operatore si relazione con li paziente (Lang,
2002).
Quanto all’esperienza del clinico, si può affermare che essa riguarda da un lato l’aumento
delle conoscenze sui contenuti e sugli obiettivi del colloquio specifico; e dall’altro l’avvenuta
acquisizione, sul campo, di esperienze simili o uguali a quelle implicanti quella determinata
metodologia prescelta e le sue relative tecniche (Trentini, 1995).
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La qualità e la quantità delle conoscenze teorico - tecniche acquisite negli anni, porta il
clinico più esperto ad agire con una maggiore sicurezza e una più pronta capacità di approccio e di
comprensione delle difficoltà umane, degli eventi psicopatologici e delle vicissitudini emotive.
Egli, inoltre, può aver anche meglio osservato ed appreso le differenti soluzioni, che le persone
utilizzano nelle diverse circostanze. Qualunque sia la sua formazione, il clinico più esperto,
possiede una visione d’insieme che gli permette di ricorrere meno all’ansiosa ricerca di strumenti
conoscitivi e ha un minor bisogno di avvalersi di strategie difensive. (Lang & Orefice, 1996)
Accanto alle caratteristiche relative alle competenze teorico - tecniche, esiste un’ampia
letteratura che mette in risalto il ruolo di alcuni tratti personali del conduttore nello svolgimento
del colloquio, tra i più osservati: il sesso, l’età, la provenienza, l’ etnia, il livello socio -
economico e le caratteristiche di personalità.
Nella prassi, è diffusa l’opinione che tali aspetti non influiscono, in modo incisivo, sulle
dinamiche colloquiali, invece è bene sia presente da parte del clinico, una consapevolezza e, di
conseguenza, un’osservazione preventiva di come ciascuna caratteristica personale dello
psicologo possa essere omogenea piuttosto che antitetica rispetto a quella corrispondente
dell’intervistato, oppure se ciò sia irrilevante ai fini del colloquio (Trentini, 1995).
A titolo di esempio, la letteratura sul counseling fornisce alcuni dati:
Sembra, infatti, che la relazione che si insatura nel processo di counseling, venga meglio
predetta dal genere del conduttore o dall’interazione di questa variabile con convinzioni o
stereotipi sessuali del cliente (Banikiotes & Merluzzi, 1981; Feldestein, 1982; Highlen & Russel,
1980; Richardon & Johnson, 1984; Tanney e Birk, 1976; Toomer, 1978); come l’attrazione fisica
e l’età matura del conduttore sembrano esercitare un ruolo positivo nella valutazione da parte del
cliente (Heppner & Dixon, 1981; Lewis & Walsh, 1978; Paradise, Conway & Zweig, 1980, 1986;
Vargas & Borkowsky, 1982). I problemi relativi all’ etnia e alla razza fino agli anni ’80 non sono
mai stati oggetto di ricerche (Casas, 1984), attualmente gli studi a riguardo presentano risultati
controversi. Per quanto riguarda lo status socio - economico dell’intervistatore, esso sembra
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influire sulle risposte fornite, quando tali risposte riguardano temi connessi allo status sociale
(Hurtado, 1994), le ricerche sono state effettuate relativamente ai conduttori di interviste e
questionari, non sono presenti ricerche sistematiche sul colloquio clinico riguardanti lo status
socio - economico.
Alcuni autori (Pope, 1979; Meyer & Davis, 1993) suggeriscono che la somiglianza tra
clinico e soggetto, relativa a variabili quali il sesso, l’età, la cultura e la razza, facilitano
l’instaurarsi di una relazione positiva tra conduttore e soggetto. I dati appena riportati non sono
assunti definitivi, vogliono essere più dei suggerimenti che possono rendere consapevole il clinico
di eventuali effetti provocati dalle sue qualità specifiche (Lis, 1995; Trentini, 1995).
È innegabile, inoltre, il ruolo delle caratteristiche di personalità dell’esaminatore, le quali
possono portare notevoli effetti e distorsioni nella conduzione del colloquio.
A questo proposito, come esemplificazione, Lis (1995) cita diverse ricerche che
suggeriscono come alcune variabili di tipo “formale” dell’intervistato, ad esempio il
comportamento verbale (produttività verbale, tipo di linguaggio, caratteristiche temporali del
linguaggio), sono influenzate dall’atteggiamento del conduttore (Allen et al., 1965; Doster &
Strikland, 1971; Heller, 1968; Heller, Davis & Myers, 1966), dalla sua empatia (Caracena &
Vicory, 1969; Matarazzo & Wiens, 1977; Staples & Sloone, 1976), dalla sua apertura verso l’altro
(Self discolosure: Cosby, 1973; Jourard & Jaffe, 1970).
Inoltre, una variabile di personalità indispensabile risulta essere la sensibilità del clinico,
sotto questo termine si riuniscono molteplici definizioni di caratteristiche del conduttore,
imprescindibili per la conduzione del colloquio in ambito psicologico, ossia: la motivazione al
proprio compito (Metalli Di Lallo, 1954), le competenze comunicative, la capacità di ascolto
(Meyer & Davis, 1993), la capacità di accettare l’altro e di mettersi dal suo punto di vista, senza
mai dare giudizi moralizzanti (Meyer & Davis,1993), la capacità di provare empatia (Egan, 1990)
e comprensione per l’altro, senza un eccessivo coinvolgimento personale che invaliderebbe la
comprensione della situazione (Meyer & Davis, 1993).
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A parità di condizioni, quindi, lo stesso colloquio effettuato da clinici diversi per livello di
qualificazione, per esperienza, per caratteristiche personali, rende diverso il processo di
interazione e l’esito del lavoro (Trentini, 1995; Bastianon & Simonelli, 2001).
1.3.1.2 Il soggetto a colloquio
Il soggetto di un colloquio clinico è una persona che si reca spontaneamente o è inviata da
altri a svolgere il colloquio.
Le caratteristiche del soggetto si devono considerare sia come dati di cui prendere atto ai
fini del colloquio, sia come variabili che, in modo complementare a quelle dell’intervistatore,
influenzano l’interazione colloquiale (Trentini, 1995).
Tra le caratteristiche principali dell’intervistato, si hanno: l’età, l’appartenenza di genere e
di razza, il livello socio - economico e/o le caratteristiche legate al ruolo, il livello culturale e le
caratteristiche di personalità (Bastianoni & Simonelli, 2001).
L’età è un fattore importante, in quanto influenza molti altri aspetti del colloquio, come
l’aspettativa, la motivazione, la qualità e il tipo di relazione tra gli interlocutori, oltre alla modalità
di comunicazione verbale e non verbale. Essa influenza anche le caratteristiche di personalità: un
individuo in età evolutiva ha caratteristiche molto differenti da una persona adulta.
Un ruolo di rilievo va attribuito, inoltre, anche all’appartenenza di genere e di razza del
soggetto; in particolare sembra che la somiglianza tra gli interlocutori del colloquio rispetto a
queste due variabili sia un elemento che favorisce i progressi nel corso dell’interazione.
Il livello socioeconomico e il livello culturale influenzano l’interazione in diversi modi.
È possibile, ad esempio, che alcune caratteristiche del richiedente, ritenute importanti per la
realizzazione e il successo sociale, possono portare il conduttore ad avere un’idea del soggetto
come di una persona maggiormente capace di comprendere e rispondere alle domande,
partecipando in modo attivo al colloquio. Alcuni autori (Meyer & Davis, 1993; Varenhorst, 1984)