2.2.3.1 Tassonomia di Austin
Austin classifica gli atti linguistici secondo cinque categorie, che verranno poi riviste da
Searle:
•
atti verdettivi, sono quelli riguardanti l’emissione di un verdetto o di un giudizio
(giudico, condanno, classifico);
o
“questa corte la dichiara innocente” (atto performativo del sottotipo verdettivo)
o
“valuto questa prova come insufficiente”
•
atti esercitivi, sono quelli attraverso cui si esercitano un potere, un diritto o
un’influenza (ordino, raccomando, licenzio);
o
Ti consiglio/ordino di non andare
o
Ti invito ad uscire immediatamente
•
atti commissivi, ovvero gli atti del promettere o dell’assumere un impegno per
un’azione futura del parlante (prometto, scommetto, giuro);
o
Ti prometto che metterò in ordine
•
atti comportativi, ovvero quelli che hanno a che fare con gli atteggiamenti e il
comportamento sociale, con le reazioni del parlante ai comportamenti degli altri (mi
scuso, mi congratulo, mi lamento);
o
mi congratulo con te!
•
atti espositivi, usati in atti di esposizione per illustrare opinioni e argomentazioni o
portare avanti discussioni (affermo, cito, nego, spiego).
o
ammetto che hai ragione
o
ti faccio notare che hai sbagliato
o
ti concedo il beneficio del dubbio
2.2.3.2 Condizioni di felicità
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All’interno della teoria degli atti linguistici è importante andare a definire tutte quelle
condizioni che fanno sì che un atto linguistico risulti ben costruito, cioè accettabile per il
destinatario. Tali condizioni dipendono dalla natura e dalla forza illocutiva dell’atto.
Nel caso di un giuramento ad esempio, le condizioni di felicità sono la convenzionalità,
ovvero l’enunciato deve seguire una forma convenzionale, come
giuro di esserti fedele sempre...
giuro di dire la verità...
servono inoltre l’appropriatezza delle circostanze di proferimento, in quanto un giuramento è
valido solo se proferito nelle circostanze appropriate, davanti ad un’autorità investita del
compito, un prete o un pubblico ufficiale; e la completezza dell’esecuzione, in quanto è
necessario che il parlante esprima il giuramento nella sua forma completa, senza pause ed
interruzioni.
Nel caso invece di una richiesta, le condizioni di felicità sono diverse, si tratta dell’esistenza
di alcune precondizioni preparatorie. Se ad esempio chiedo a qualcuno di chiudere la porta, è
perché credo nella capacità del mio ascoltatore di compiere quell’atto. Vi sarà poi una
condizione di sincerità per cui io desidero sinceramente che l’ascoltatore compia quanto
richiesto.
2.2.4 Searle
Nel 1969 John Searle pubblica la sua opera “Speech Acts. An Essay in the Philosophy of
Language” che si fonda sul principio di esprimibilità, secondo cui “Qualunque cosa può
essere significata può essere detta”, ovvero data una qualsiasi forza illocutoria, deve esistere
un verbo performativo tale da esprimerla esplicitamente.
Dà per scontatala distinzione tra la forza illocutoria di un enunciato e il suo contenuto
proposizionale. Tra le componenti della forza illocutoria vi è lo scopo illocutorio, o ragion
d’essere, ma non vuol dire che esse coincidano. Quindi Searle si prodiga per individuare
diversi tipi di forza illocutoria e per proporre una classificazione sulla base di determinate
categorie, così partendo dall’analisi della promessa, individua le dodici dimensioni che fanno
sì che sia possibile distinguere un atto linguistico da un altro, e le principali sono:
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1. Lo scopo o ragion d’essere di un atto. In un ordine (atto direttivo) lo scopo è il
tentativo di far fare qualcosa all’ascoltatore; in un’asserzione (atto rappresentativo) lo
scopo è dare una rappresentazione della realtà, mentre in una promessa (atto
commissivo) lo scopo è l’assunzione del parlante di un impegno a fare qualcosa.
2. differenze relative alla direzione del vettore d’adattamento tra parole e mondo.
Attraverso l’illocuzione si cerca di adattare quanto detto al mondo, come nel caso ad
esempio delle asserzioni; il vettore di adattamento sarà indicato con una freccia verso
il basso (↓). Nel caso delle promesse e delle richieste (atti direttivi) è il mondo ad
adattarsi a ciò che viene detto, quindi il vettore di adattamento viene indicato con una
freccia verso l’alto (↑).
3. differenze relative agli stati psicologici espressi. Il parlante, attraverso un atto
illocutorio con contenuto proposizionale, esprime un atteggiamento, uno stato
psicologico verso il contenuto proposizionale stesso.
Quando ad esempio qualcuno asserisce, afferma, sostiene, spiega, esprime la credenza
del parlante; chi fa voto, minaccia, promette ne esprime l’intenzione; mentre chi
ordina, comanda o richiede esprime il desiderio.
4. differenze relative all’energia o intensità con cui è presentato lo scopo illocutivo.
È possibile mitigare o rafforzare uno stesso scopo illocutorio, sia che si tratti di
un’asserzione
Credo che Paolo abbia 30 anni vs. so che Paolo ha 30 anni
sia che si tratti di un’intenzione
Voglio assolutamente andare al cinema vs. proporrei di andare al cinema
Ciò è dovuto anche alle differenze di status o alla posizione del parlante e del proprio
interlocutore, che possono esercitare una diversa forza illocutoria sull’enunciato, ad
esempio il comando di un superiore avrà maggior peso.
5. influsso che le differenze relative allo status o posizione del parlante o
dell’ascoltatore possono esercitare sulla forza illocutoria dell’enunciato: una
richiesta o un comando hanno una diversa forza illocutoria, nonostante appartengano
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alla stessa classe dei direttivi, e hanno un diverso peso a seconda di chi sia a proferirli.
Ad esempio
A) Il capo ufficio chiede all’impiegato di mettere a posto le carte
B) L’impiegato chiede al capo ufficio di mettere a posto le carte
Il contenuto proposizionale è lo stesso, ma nel primo caso si tratta di un ordine, mentre
nel secondo è un suggerimento, una richiesta.
6. differenze tra gli atti che possono essere eseguiti al di fuori di istituzioni
extralinguistiche e quelli che le richiedono. Affinchè alcuni atti abbiano valore bisogna
ricoprire una certa carica, per battezzare, scomunicare, sposare, comminare una pena è
necessario occupare una posizione ufficialmente riconosciuta in una data istituzione.
Le restanti dimensioni sono:
7. rapporto tra enunciato ed interessi del parlante.
8. relazioni col resto del discorso, evidenti grazie all’uso di espressioni che collegano con
altre parti del discorso, come “concludo”, “deduco, quindi”.
9. differenze di contenuto proposizionale dipendenti da diversa forza illocutoria.
10. Atti necessariamente linguistici e atti non necessariamente linguistici.
11. Atti il cui verbo illocutorio ha un uso performativo e atti il cui non lo ha.
12. differenze di stile di esecuzione dell’atto illocutorio.
2.2.4.1 Tassonomia di Searle
Al fine di individuare una tassonomia degli atti linguistici, nel 1976 Searle ha proposto un
modello in cui individua cinque tipi fondamentali di atti linguistici. Tale modello è
un’estensione della classificazione attuata di Austin e si basa sulle dodici dimensioni
precedenti. Ciascun atto è caratterizzato da una forza illocutiva, ovvero una diversa relazione
tra lo stato di cose oggetto della frase e il tipo di azione che il parlante intende eseguire a
proposito di esso e si tratta sostanzialmente di:
•
Atti rappresentativi/assertivi, come concludere, dire, affermare. Sono atti attraverso
cui il parlante si impegna sulla verità di uno stato di cose sulla base delle proprie
conoscenze, e corrispondono ai constativi di Austin. La direzione di adattamento è
“adattare le mie parole al mondo”. Condizione necessari per compiere l’atto è la
38
credenza del parlante. Esempi di performativi: mi vanto, mi lamento, deduco,
descrivo, classifico.
•
Atti direttivi, come chiedere, consigliare, domandare. Con questi atti il parlante
chiede all’ascoltatore di impegnarsi a proposito di uno stato di cose. In questo caso è
la realtà esterna a doversi adattare alle mie parole, perché se io dico a qualcuno “apri
la finestra” voglio che la finestra si apra. Condizione necessaria sarà dunque la volontà
del parlante. Esempi di performativi: comando, chiedo, consiglio, invito, supplico.
•
Atti commissivi, come offrire, promettere, giurare o minacciare, grazie ai quali il
parlante si impegna ad assumere una certa condotta futura. La direzione di
adattamento è “dal mondo reale alle parole”, e la condizione necessaria è l’intenzione
del parlante. Esempi di performativi: prometto, giuro, mi rifiuto.
•
Atti espressivi, tra cui ringraziare, rammaricarsi, scusarsi, con cui si esprime il proprio
stato d’animo al nostro ascoltatore. Non vi è in questo caso nessuna direzione
d’adattamento, e la condizione fondamentale è la sincerità. Esempi di performativi:
ringrazio, chiedo scusa, mi congratulo.
•
Atti dichiarativi, come condannare, battezzare, promuovere, con cui il parlante
esercita il proprio potere all’interno di un determinato ambito istituzionale,
producendo un cambiamento della realtà corrispondente al contenuto locutivo dell’atto
stesso. La direzione di adattamento è duplice, il parlante incide sul mondo, e il mondo
cambia stato sulla base dell’enunciato proferito, creando quindi corrispondenza tra
contenuto proposizionale e realtà. Esempi di performativi: mi dimetto, ti battezzo, vi
proclamo.
2.2.4.2 Condizioni di felicità di Searle
Per quanto riguarda gli atti dichiarativi, come battezzare, condannare, ma anche
nominare ad una carica, devono essere eseguiti secondo determinati rituali, devono esserci
delle condizioni precise e devono essere proferiti da qualcuno che ne abbia l’autorità.
Gli atti commissivi invece sono quelli in cui il parlante si impegna sul fatto che un certo
stato di cose si realizzerà nel futuro. La condizione di felicità in questo caso è che il parlante
abbia il controllo su queste cose. Un esempio di atto commissivo è promettere, e può essere
considerato riuscito anche nel caso in cui successivamente il parlante non la mantenga.
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Con un atto assertivo, il parlante dichiara che un certo stato di cose è vero, e la
condizione di felicità è costituita dalla sincerità del parlante e dalla plausibilità della verità. È
possibile per un parlante ricorrere a formule quali “credo che sia così” nel caso in cui non sia
certo di quanto afferma.
Un atto direttivo è una richiesta, quindi un parlante chiama in causa l’interlocutore
affinchè si impegni su un certo stato di cose. La condizione di felicità in questo caso è che
l’interlocutore abbia la possibilità di fare ciò che gli è domandato. Se un atto non è felice, non
è detto che vada a violare le condizioni di felicità previste, può essere eseguito nella realtà,
anche se probabilmente vengono evitate le forme più clamorose di violazione. Diversa è la
domanda, in cui si interroga l’interlocutore sulla verità di uno stato di cose. Le condizioni di
felicità sono la non conoscenza da parte del parlante dell’informazione richiesta e la
supposizione da parte sua che l’interlocutore ne sia a conoscenza. La domanda viene spesso
adottata indirettamente per esprimere una richiesta, infatti, in molte lingue, chiedere e
domandare sono codificate dagli stessi mezzi linguistici.
2.2.4.3 Atti linguistici indiretti
Non sempre vi è corrispondenza tra la funzione linguistica e i mezzi espressivi. Quella che
può sembrare una corrispondenza rigida in realtà può essere labile, non necessariamente una
domanda e una frase interrogativa corrispondono, così come un’asserzione e una frase
dichiarativa, o un ordine e una frase imperativa. È possibile ad esempio utilizzare una stessa
intonazione sia per un’asserzione enfatica, sia per un ordine
Eccolo!
Smettila!
È compito dell’interlocutore, grazie alle proprie capacità, recepire la differente forza illocutiva
degli enunciati e ricostruirne lo scopo, anche perché è possibile utilizzare un mezzo
espressivo normalmente associato ad una determinata forza illocutiva per esprimerne una
diversa. Ad esempio
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Scommetto che ti sei dimenticato!
23
È evidente che non si tratta di una vera e propria scommessa, ma piuttosto il significato
dell’enunciato è quello di
Sono sicuro che ti sei dimenticato
La stessa cosa vale ad esempio per
Le spiace smettere di fumare?
Il nostro interlocutore è consapevole che non stiamo chiedendo un’informazione, bensì stiamo
richiedendo qualcosa.
Questi sono i cosiddetti atti linguistici indiretti, in cui la forza illocutiva viene espressa in
modo traslato, ovvero non vi è corrispondenza tra la forma principale, tipica, e un atto
linguistico. Si tratta di un utilizzo tuttavia codificato in varie lingue, rendendo possibile
all’interlocutore interpretare correttamente gli atti indiretti. Tutto ciò è possibile grazie alla
flessibilità delle lingue, che con metafore, metonimie e ironia permettono ai parlanti di
forzarne l’uso e modificarlo.
Se per esempio prendessimo tre enunciati
Puoi passarmi il sale?
Adesso faresti bene ad andartene.
Vuole uscire?
Nonostante due di esse siano frasi interrogative e una sia dichiarativa, tutte e tre le frasi
costituiscono un ordine, nonostante lo si esprima solitamente attraverso l’uso di imperativi.
In questa tipologia di atti non si è soliti affermare direttamente quello che si intende dire
Andorno Cecilia, Che cos’è la pragmatica linguistica, Roma, Carocci editore, 2017
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41
Certo che c’è un caldo tremendo! → è una constatazione, in realtà voglio invitare
l’interlocutore ad aprire la finestra
Bevi un altro bicchiere e me ne vado → sto invitando la persona a non bere
Mi puoi passare il sale? → mi aspetto che me lo passi
I motivi per i quali si compie un atto indiretto sono il ruolo del contesto e delle conoscenze
condivise nell’individuazione dell’atto illocutorio corretto e la cortesia. È proprio attraverso
quest’ultima che è possibile attenuare la forza illocutiva di un enunciato per minimizzare
eventuali effetti negativi di un atto diretto.
2.2.5 Grice
Paul Grice ha elaborato una teoria sul linguaggio nota come “Teoria del significato non-
naturale”. Sviluppa le proprie riflessioni al fine di esplorare le difficoltà che sorgono
nell’analisi delle lingue naturali secondo l’impostazione logica classica. Concentra la propria
attenzione sulla convenzione e sull’intenzione.
Per tradizione, era la convenzionalità alla base del linguaggio, in quanto è possibile produrre e
comprendere messaggi grazie all’esistenza di convenzioni che regolano il significato delle
espressioni e che consentono di tradurre in messaggi con un significato gli enunciati.
Grice pensa che compiere un atto linguistico significa manifestare pubblicamente
un’intenzione, e quest’atto ha successo quando questa intenzione viene riconosciuta dai
parlanti, che sono in grado di interpretare le intenzioni comunicative dei parlanti. Alcuni atti
possono avere poi un diverso grado di convenzionalità, ma rimane in comune l’intenzione
comunicativa che li giustifica.
Nell’ottica di Grice al centro della comunicazione vi è ora dunque la capacità dei parlanti di
esibire le proprie intenzioni comunicative riconoscendo quelle altrui grazie ai vari mezzi a
disposizione.
Grice formula delle considerazioni utili al fine di un utilizzo efficace ed efficiente della lingua
nella comunicazione, ovvero il principio di cooperazione e le implicature conversazionali.
42
2.2.5.1 Principio di cooperazione
La comunicazione si fonda secondo Grice sul principio di cooperazione, infatti si svolge fra
più persone, le quali collaborano tra loro, manifestando intenzioni comunicative e
interpretando quelle altrui. La buona riuscita della comunicazione è data da questa
collaborazione.
Il principio di cooperazione non è una norma etica, tipica delle conversazioni fra persone
perbene, bensì una necessità delle conversazioni. Da questo principio discendono quattro
massime, che vanno a spiegare, in modo forse un po’ utopistico, cosa devono fare i
partecipanti per conversare nel modo più efficiente possibile, razionale e cooperativo:
•
Massima di qualità non affermare ciò che non si è certi sia vero. Riguarda la
validità epistemica degli enunciati proferiti, infatti nel momento in cui vi è in atto una
conversazione, ogni parlante dovrebbe fornire un contributo comunicativo nella
misura in cui ritiene che sia vero. Tale massima richiama l’idea delle condizioni di
felicità che rendono accettabili gli atti linguistici e l’impegno alla verità. Può esistere
anche l’ipotesi per cui un parlante menta. Il successo di un comportamento
fraudolento viene garantito dall’esistenza della massima, infatti, non vi sarebbe alcuna
possibilità di successo se il bugiardo non contasse sul fatto che ci è stato detto il vero.
Ad esempio, se dovessimo chiedere ad un passante
Che ora è?
Egli potrebbe mentirci affermando
Sono le 6
Non sapendo in realtà che ore siano, o sapendo che sono le 5. Questa menzogna avrà
successo solo nella misura in cui avremo un’aspettativa sul fatto che ci è stato detto il
vero. Per ottenere tale risultato il passante dovrà simulare un comportamento
cooperativo, guardando ad esempio l’orologio.
•
Massima di quantità dare lo stesso contributo informativo di quanto richiesto, e
non di più. In una conversazione, i parlanti si aspettano che gli interlocutori forniscano
43
un contributo comunicativo pari a quello richiesto per la riuscita della comunicazione
stessa. Si può notare particolarmente questa massima tra parlanti di fronte a delle
domande, in quanto sono ben delineate le informazioni richieste. Se ad esempio
dovessimo trovarci di fronte ad una domanda quale
Sai se lo spettacolo è già iniziato?
Le possibili risposte sono due, o sì, oppure no. Nel primo caso il sì potrebbe essere
interpretato come “sì, lo so”, oppure come “sì, è iniziato”. Esattamente come il no
potrebbe essere interpretato come “no, non lo so”, oppure “no, non è iniziato”. Lo
scopo comunicativo è sapere se lo spettacolo sia iniziato o meno, non sapere se il
nostro interlocutore sia informato in proposito. Inoltre, il nostro interlocutore non
dovrà dire cose che già sappiamo, a meno che non vi sia un motivo per richiamarle
all’attenzione. Nel caso in cui si faccia riferimento a dei referenti, i parlanti dovranno
dare le informazioni necessarie ad identificarli per quanto sia utile e possibile.
Tale massima non ci consente però di definire con precisione cosa va detto e cosa no,
si tratta più che altro di un principio generale.
•
Massime di relazione essere pertinente. I parlanti prevedono che in una
conversazione si fornisca un contributo rilevante, pertinente alla comunicazione in
corso. Questa massima può riguardare i legami interni al testo, andando a creare
un’aspettativa di esistenza di relazioni all’interno di un discorso.
A: Sei stato in vacanza?
B: Sì
Sì è una risposta affermativa relativa alla domanda appena fatta, B è stato in vacanza.
•
Massime di modo evitare ambiguità ed essere chiaro, breve e ordinato
nell’esposizione. All’interno di una conversazione ci si esprime in modo da agevolare
la comprensione del proprio contributo da parte degli interlocutori, non andando ad
intaccare ciò che viene detto, ma il modo in cui viene fatto. Ci si aspetta dunque che
ogni parlante dia il massimo dell’informazione richiesta nel modo più efficace.
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