5
Fa parte di questa profonda revisione la sostituzione dell’ideale di onniscienza con
una concezione allargata, che vede convivere nella conoscenza categorie opposte e
complementari come il caos e l’ordine, le singolarità assieme alle universalità. La scienza
contemporanea è «una scienza a un tempo del generale e del particolare, dell’ordine e del
disordine, del necessario e del contingente, del ripetibile e dell’irripetibile»
7
, una scienza
inevitabilmente rinnovata nei suoi profili:
Queste rivoluzioni scientifiche propongono una scienza nuova che: prende coscienza
dell’irriducibile complessità di ogni fenomeno; invita a non trascurare gli aspetti meno evidenti dei
fenomeni e a non tentare una loro frettolosa riduzione ad aspetti considerati più evidenti e ‘fonda-
mentali’; mostra l’impossibilità di una previsione certa degli effetti delle nostre azioni e degli
interventi tecnologici sul nostro ambiente; cerca nuovi modi di pensare in grado di convivere con
l’errore, con l’incerto, con l’imprevedibile, con il caso, con il caos…Da questo dialogo fra forme
della vita e forme del pensiero degli uomini, appare in tutta la sua portata il ruolo creativo della
diversità, della varietà, dell’eterogeneità.
8
L’idea che si sia innescato un mutamento sostanziale nei modi di concepire le
dimensioni del sapere si ritrova appieno nel concetto di “legge”, che perde il suo tradi-
zionale significato assoluto e viene a essere riformulato ad espressione ed integrazione di
vincoli e possibilità; dove, cioè, sono «gli insiemi delle possibilità entro i quali, di volta in
volta, hanno luogo i processi effettivi»
9
a conferire alla conoscenza scientifica un senso
processuale del divenire. In una prospettiva che considera i fenomeni nel loro concretarsi
all’interno di un contesto di contingenza, il concetto di legge acquista un significato non
predeterminato, ma propriamente storico: «l’insieme delle possibilità non è dato una volta
per tutte, ma cambia in relazione all’effettivo evolversi spazio-temporale degli eventi, alla
storia cioè del concreto connettersi di percorsi evolutivi differenti. Viene meno, in tal
modo, la visione meccanicista e finalistica dei processi naturali con i suoi valori di
onniscienza, regolarità, completezza e astoricità»
10
.
L’erosione del riferimento ad una dimensione oggettiva, ad un “meta-punto di vista
assoluto” dal quale osservare i fenomeni e legittimare la fondatezza della conoscenza, è
forse uno dei tratti più significativi e rivoluzionari nei modi del procedere del sapere,
poiché ad esso si accorda il riconoscimento della autenticità del molteplice:
7
Ivi, p. 30.
8
G. Bocchi, M. Ceruti, E. Morin, Turbare il futuro. Un nuovo inizio per la civiltà planetaria.
Moretti&Vitali, Bergamo, 1990, p. 141.
9
G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, cit., p. 30.
10
F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Bari, 2002, p. 187.
6
La molteplicità dei punti di vista vale in riferimento alla molteplicità delle culture, dei sistemi
di riferimento categoriali, delle tradizioni scientifiche, delle scuole di pensiero, delle mentalità. Ma
è costitutiva anche di una stessa cultura, di uno stesso sistema di riferimento categoriale, di una
stessa tradizione conoscitiva, di una stessa scuola di pensiero, di una stessa mentalità. Vale in
riferimento a diversi punti di vista di diversi soggetti individuali. Ma vale anche in riferimento alla
molteplicità irriducibile dei tipi di pensiero, dei tipi di logica, dei sistemi cerebrali, costitutivi di un
singolo soggetto.
11
Le categorie della singolarità e dell’irripetibilità, come parte integrante della cono-
scenza scientifica, sono anche una delle cifre positive dell’avvicinamento fra campi del
sapere. Come suggerisce E. Morin, l’assunzione di un atteggiamento critico e costruttivo
e la condivisione della problematicità e dell’incertezza nel quadro generale del sapere
riducono le distanze tra le scienze umane e quelle naturali:
Per lungo tempo molti hanno creduto – e molti forse credono ancor oggi – che la carenza delle
scienze umane e sociali stesse nella loro incapacità di liberarsi dall’apparente complessità dei
fenomeni umani, per elevarsi alla dignità delle scienze naturali, scienze che stabilivano leggi
semplici, e facevano regnare l’ordine del determinismo. Oggi vediamo che le scienze biologiche e
fisiche sono caratterizzate da una crisi della spiegazione semplice. E di conseguenza quelli che
sembravano essere i residui non scientifici delle scienze umane – l’incertezza, il disordine, la
contraddizione, la pluralità, la complicazione, ecc. – fanno oggi parte della problematica di fondo
della conoscenza scientifica.
12
La possibilità di forme di dialogo differenti, non strutturate all’interno di rapporti
necessariamente gerarchizzati, si lega profondamente al fatto che si danno molteplici
possibili conoscitivi, non vincolati da un punto di vista fondamentale e, in questo cambia-
mento di prospettiva, «la rete sostituisce l’edificio nella metafora della conoscenza»
13
. Un
elemento importante che schiude nuovi territori di dialogo fra saperi è dato dalla falsifica-
zione dell’abitudine a generalizzare l’uso metaforico di entità materiche. G. Bateson os-
serva in proposito che, benché si possano rilevare nel passato sforzi compiuti nel tentativo
di unificare il sapere scientifico, il ponte che si è tentato di costruire fra “i dati del
comportamento” e i “principi fondamentali” della scienza e della filosofia, si dirigeva
verso «la metà sbagliata dell’antica dicotomia tra forma e sostanza. Le leggi di
conservazione dell’energia e della materia riguardano la sostanza più che la forma; ma i
11
G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, cit., p. 39.
12
Ivi, 49.
13
F. Capra, La rete della vita, Rizzoli, Milano, 2001 p. 51.
7
processi mentali, le idee, la comunicazione, l’organizzazione, la differenziazione, la strut-
tura sono questioni di forma più che di sostanza»
14
. Le critiche rivolte all’abitudine della
semplificazione e della separazione, guidate da presupposti materialisti, hanno in questi
termini il merito di portare l’attenzione sul criterio di pertinenza nella costruzione della
conoscenza e non più su quello di rappresentatività, dove quindi la metafora fisica, basata
su entità materiche e leggi di energia di origine meccanicista, non possono adattarsi alle
diverse forme di complessità. L’attenzione posta sugli elementi materiali si rivela oggi
ancor più inadeguata in considerazione dell’importanza dei processi di interazione nelle
realtà complesse. Anche per questa ragione, la possibilità di costruire un dialogo sensato
tra campi di sapere si muove tra il rifiuto delle logiche prescrittive passate e la libertà di
infinite possibilità associative.
I processi conoscitivi che prendono forma nella pluralità dei punti di vista pon-
gono al centro la dimensione partecipativa del soggetto. La sua centralità, che è resa im-
prescindibile dall’abbandono della nozione di oggettività, diventa il criterio propriamente
legittimativo della matrice personale del rapporto con il sapere. Da un lato, per un muta-
mento nei modi di concepire il metodo scientifico e la «finitezza della conoscenza e della
natura umana»:
Gli aspetti individuali, idiosincratici, storici in senso ampio, le precondizioni inerenti ogni
punto di vista, i “pre-giudizi” non appaiono come zavorra, come ostacoli da neutralizzare, in vista di
una progressiva “purificazione” dell’attività intellettuale, del dispiegamento di un suo presunto
nucleo logico, astorico e universale. Questi aspetti, queste precondizioni, queste limitazioni risulta-
no le vere e irriducibili matrici costruttive della conoscenza, di ogni cambiamento e di ogni dialogo
intersoggettivo
15
;
dall’altro, queste inversioni di prospettiva sono più profondamente connesse alla
riformulazione in chiave costruttiva della relazione tra organismo e ambiente. Mettendo
in luce il rapporto di co-determinazione che lega il soggetto alla realtà, le elaborazioni
costruttiviste segnano il decadere di un’idea di conoscenza che si sviluppa nella rappre-
sentazione di una dimensione esterna e indipendente da quella personale. La reinte-
grazione del soggetto nelle operazioni costruttive della conoscenza è quindi uno degli
aspetti essenziali dell’emergere di un nuovo tipo di tensione conoscitiva, legata alla ne-
cessità di effettuare una transizione da un’epistemologia della rappresentazione ad
14
G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2001, p. 30.
15
G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, cit., p. 34.
8
un’epistemologia della costruzione
16
. Quest’esigenza, come osserva S. Tagliagambe, con-
cerne un approccio epistemologico differente, che da un lato si sappia porre lungo il con-
fine di costruzione che separa e congiunge l’oggetto della conoscenza e l’oggetto reale e
dall’altro superi i presupposti di un realismo ingenuo per accogliere la «sfida di pensare
congiuntamente le forme e gli eventi, tradizionalmente visti come separati e contrapposti,
e di ricercare una definizione processuale delle forme»
17
:
Oggi le teorie che emergono all’interno di un sapere scientifico che attraversa una fase di
tumultuoso sviluppo e mutamento si trovano sempre più a fare i conti con fenomeni e processi che
si verificano all’interno di quelle zone di confine nelle quali le forme e le strutture sorgono e si
dissolvono. Si può forse dire che attualmente un oggetto privilegiato di analisi è costituito proprio
dal moto incessante attraverso il quale i processi si cristallizzano e le stesse cristallizzazioni tornano
fluide, dando origine a nuovi processi. […] Questo nuovo scenario comporta l’abbandono della
centralità del principio di rappresentabilità e la sua sostituzione con qualcosa di radicalmente
differente.
18
Un elemento di essenziale cambiamento riguarda la possibilità di concepire un
nuovo tipo di razionalità, lontano da quelli che Morin definisce i ‘deliri razionalizzatori’,
dove si assume, invece, quella della complessità come una sfida a muovere verso modi di
conoscere aperti e circolari, in un itinerario di continuo ‘apprendimento ad apprendere’.
La sfida che riguarda il nostro tradizionale rapporto con il sapere è anche la sfida dell’
‘ecologia delle idee’ per il tempo presente e quello futuro, perché implica la capacità di
«creare delle comunità sostenibili, cioè degli ambienti sociali e culturali in cui possiamo
soddisfare i nostri bisogni e le nostre aspirazioni senza ridurre le opportunità per le gene-
razioni future»
19
.
Muovendo da queste considerazioni, nel mio lavoro cercherò di prendere in
considerazione alcuni percorsi che possono concorrere a costituire una prospettiva di
gestione e costruzione della complessità nel discorso educativo. I territori percorribili, in
questa direzione, mi inducono a confrontarmi con un insieme di orientamenti che si sono
spinti lungo la comprensione e la gestione dei fenomeni complessi sotto il comune deno-
minatore della Teoria Generale dei Sistemi. Cercherò quindi, all’interno di alcune pros-
pettive riconducibili ad un approccio sistemico, dei contributi significativi ai fini della
16
Ibidem.
17
S. Tagliagambe, Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano, 1997, p. 14.
18
Ivi, p. 13-14.
19
F. Capra, La rete della vita, cit., p. 14-15.
9
complessità propriamente pedagogica. Per fare ciò, non mi confronterò direttamente con
la legittimità di assumere o meno, in un quadro culturale complesso, proposizioni di
carattere paradigmatico. Assumerò invece la posizione di Morin, per cui un paradigma
effettua «la selezione e la determinazione della concettualizzazione e delle operazioni
logiche», designa «le categorie fondamentali dell’intelligibilità e opera il controllo del
loro uso», ma rimane pur sempre, se così si può dire, un ‘mediatore’ necessario, poiché è
sempre con il ricorso alle idee che possiamo concepirne i limiti e superarli:
Non dobbiamo mai dimenticare di mantenere le nostre idee nel loro ruolo di mediatore e
dobbiamo impedire loro di identificarsi con il reale. Dobbiamo riconoscere come degne di fiducia
solo le idee che comportano l’idea che il reale resiste all’idea. Questo è un compito indispensabile
nella lotta contro l’illusione.
20
Considerando questa cornice come presupposto del mio lavoro, prenderò in esame
la struttura a base interdisciplinare del pensiero sistemico e cercherò di dare voce alle
diverse letture che lo percorrono in una direzione educativa. L’interesse per l’elabora-
zione e le evoluzioni di direzioni interdisciplinari deriva innanzitutto dall’impianto stesso
delle scienze dell’educazione. Un primo aspetto di rilievo è dato quindi dalla possibilità
di stabilire un raccordo più proficuo all’interno di esse. In secondo luogo, la mia atten-
zione si rivolge alle aperture al dialogo con gli altri territori del sapere. Poiché, da un lato,
i teorici dei sistemi fanno appello agli ambiti della trasmissione culturale, affinché si
rendano promotori della diffusione del pensiero sistemico; dall’altro, l’autonomia scienti-
fica della pedagogia richiede una accortezza particolare nei confronti di questo che, nella
richiesta di un dialogo, può pur sempre celare una pretesa di carattere normativo: scivo-
lare, quindi, sotto nuove vesti in vecchie forme di dominazione. Per evitare quest’ultimo
rischio, senza precludere le possibilità del dialogo e del confronto critico fra campi di
sapere, è importante, a mio avviso, che siano i territori stessi del discorso educativo a dare
una lettura propria, interna al sapere pedagogico, di questi approcci.
Accade molto spesso, infatti, che nel linguaggio scientifico e non si faccia riferi-
mento all’entità sistema o agli attributi sistemici delle metodologie con cui ci si accosta ai
fenomeni. La varietà degli ambiti coinvolti nella riflessione sui sistemi manifesta una
comune esigenza di guardare oltre gli schemi interpretativi tradizionali e sembra rispec-
chiare la ricerca di strumenti logici più adatti a muoversi in un orizzonte complesso.
20
E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, R. Cortina, Milano, 2001, p. 30.
10
Tuttavia, il richiamo ai sistemi, così come si realizza nei diversi campi del sapere,
affiora sia con i tratti generalissimi e universali, sia all’interno di formulazioni specifiche
e, conseguentemente, con attribuzioni specialistiche di valore. Assumendo quindi un
criterio di pertinenza, tenterò di capire quali limiti e possibilità incontra la metafora dei
sistemi in educazione.
11
CAPITOLO PRIMO
COMPLESSITA’, PENSIERO SISTEMICO, EDUCAZIONE
1. Approcci alla Teoria dei Sistemi
La teoria dei sistemi nasce come modello teorico di vocazione generale, il cui inte-
resse è rivolto allo studio dei fenomeni complessi. Di questi, ciò che la teoria prende in
considerazione è la dimensione organizzata, sulla base della quale è possibile individuare
delle costanti comportamentali, e quindi formulare principi generali che descrivano il fun-
zionamento comune a quei complessi organizzati che sono i sistemi. Già a queste prime
battute introduttive si possono delineare alcuni assunti forti del modello teorico:
1. in un panorama scientifico fortemente problematizzato dai dibattiti sulla complessità
e allontanato dalle pretese di oggettivazione, si sostiene l’idea che vi sia nei fenomeni
complessi un livello di organizzazione tale da giustificarne lo studio.
2. che tali principi organizzativi siano propri di quelle entità chiamate sistemi, ma
anche, e in senso più esteso, che tutti i fenomeni complessi definibili come insiemi di
elementi in interazione, possano essere considerati sistemi. Viene da sé, quindi, che
l’interesse della teoria dei sistemi si rivolga alla formulazione di principi generalizzabili,
che da un lato rendano conto degli isomorfismi presenti negli oggetti di studio più
disparati e, dall’altro, promuovano contemporaneamente il dialogo fra campi di cono-
scenza orientati allo studio di forme specifiche di complessità.
Questo, che nasce come un modello teorico in fisica e biologia, nella formulazione
originaria di von Bertalanffy veicolava due immagini di rilievo, che possono essere
rappresentative almeno in parte degli orientamenti attuali della direzione dei sistemi.
La prima immagine emergente della teoria è quella di una cornice paradigmatica
con cui leggere la realtà, diversamente sia dalle prospettive analitico-lineari sia da un tipo
di realismo incentrato sulla percezione di entità materiche osservabili. Il paradigma siste-
mico si propone invece di costruire un modo nuovo di guardare ai fenomeni basato sulla
lettura delle loro interdipendenze e sull’unità di studio ‘sistema’. La Teoria Generale dei
Sistemi percorrerebbe allora verticalmente come paradigma le scienze interessate da fe-
nomeni complessi. Nella misura in cui tali fenomeni vengono considerati dei sistemi, si
ritiene che essa possa favorire il trasferimento di conoscenze da un ambito all’altro, e
costituire dunque un territorio di proficuo dialogo scientifico.
12
Il secondo indirizzo è quello relativo a una scienza dei sistemi, disciplina in cui
formulare i principi generali comuni ai sistemi indipendentemente dalle loro caratte-
ristiche specifiche, più simile ad una scienza generale dell’organizzazione che non alle
specializzazioni disciplinari già esistenti.
Quest’ultimo progetto non ha trovato realizzazione negli sviluppi successivi della
direzione dei sistemi, così, anziché confluire in una “scienza generale della totalità”, la
teoria dei sistemi ha visto schiudersi una vasta gamma di ricerche ed applicazioni in
territori disciplinari differenti. La ricchezza di questi contributi rende forse più corretto
riferirsi ad essi in termini di approcci sistemici, sia per designare la varietà degli sviluppi
correnti sia per esprimere un interesse diffuso non riconducibile ad una disciplina indi-
pendente, la cui proficuità si manifesta, invece, perlopiù nelle applicazioni specifiche av-
viate dai diversi campi di sapere.
Una condizione analoga emerge quando si parla di movimento sistemico. La sis-
temica si pone come atteggiamento culturale generale che, da un lato, si fa promotrice di
un progetto di tipo interdisciplinare e, dall’altro, condivide con il suo contenuto la sostan-
ziale trasversalità, che la rende scientificamente deterritorializzata. G. Minati descrive in
questi termini la controversia accennata:
L’aspetto fondamentale di questa situazione sta nel fatto che si cerca di trattare la sistemica
come una disciplina sia perché non si sa fare altrimenti sia perché, se non si riesce a collocarla
come tale, essa appare senza ruolo, senza posto in sistemi sociali la cui cultura è basata sulla
divisione disciplinare. La sistemica è invece direttamente correlata all’interdisciplinarità. Come del
resto lo sono con sempre maggior evidenza i problemi figli delle discipline.
21
Questa condizione, unitamente alla pluralità di modelli, approcci e metodologie
sistemici, induce a pensare alla diffusione di un atteggiamento culturale generale orien-
tato dalla ricerca di prospettive più globali, meno mutilanti della complessità del reale. Ci
si avvicina così alla prima immagine cui si faceva riferimento, quella di una possibile
cornice teorica di carattere paradigmatico, che interessa trasversalmente le discipline.
In questa condizione occorre anzitutto osservare che negli scenari della complessità
si congiungono, fra le altre, due tendenze apparentemente opposte; da un lato la necessità
di operare in un contesto conoscitivo sul modello acentrico, non gerarchizzato della rete,
a salvaguardia di una conoscenza in continua rigenerazione che configura l’impresa del
sapere come permanente ‘apprendimento ad apprendere’; di qui l’idea che l’assenza di
21
G. Minati, Sistemica. Etica, virtualità, didattica, economia, Apogeo, Milano, 1998, p. 15.
13
fondamenti ultimi e oggettivi debba mantenere la tensione conoscitiva lontano da nuove
possibili radicalizzazioni, finanche alla prospettiva che non possa, né debba esistere un
eventuale paradigma della complessità; dall’altro, invece, avanza la necessità di costruire
una razionalità aperta, del dialogo, nella condizione-auspicio di una pluralità di punti di
vista e di paradigmi per un sapere complesso.
Riguardo alla teoria dei sistemi tutto ciò si tradurrebbe, ad un capo estremo, nelle
posizioni che sostengono l’impossibilità di lavorare entro quadri di riferimento paradi-
gmatici generata dalla ‘scoperta’ della complessità. E’ questa, ad esempio, l’opinione sos-
tenuta da I. Stengers
22
, che affronta criticamente le ragioni del perché non possa esistere
un paradigma della complessità, o da altri autori che fanno propria l’istanza del dubbio
permanente e riflettono nei loro lavori uno studio continuo delle operazioni conoscitive
stesse. Riguardo alle vie della complessità che si debbono percorrere, secondo Morin, che
almeno in parte intersecano con le vie dei sistemi, più precisamente l’irriducibilità del
caso o del disordine, il superamento dell’astrazione universalista, la complicazione,
l’organizzazione, l’ordine e il disordine, la crisi dei concetti chiari e chiusi e il problema
dell’osservatore, D. Fabbri sottolinea un aspetto importante della problematica accennata:
Tutte queste strade che conducono, secondo Morin, alla complessità, ci sembrano invece fon-
dare quelli che sembrano essere i presupposti di una teoria della complessità, solida e sicura tanto
quanto le teorie che l’hanno preceduta, e addirittura di una meta-teoria esplicativa.
23
Si tratta dunque di un nodo rilevante sia in senso generale, poiché riguarda le
possibilità di costruire conoscenza nella prospettiva culturale della complessità, sia per
quanto concerne più da vicino il discorso sulla teoria dei sistemi.
L’altro capo del discorso si può ritrovare nelle opinioni diametralmente opposte, a
sostegno dell’idea che negli sviluppi culturali attuali si siano realizzati «la messa in om-
bra del paradigma fisico e il passaggio a un modo di pensare il mondo con la logica, le
parole e la sintassi del paradigma biologico»
24
. Nello spostamento di interesse dalla fisica
alle scienze della vita si ritrova un nucleo di adesione attorno all’idea che nella visione
sistemica possano situarsi atteggiamenti culturali generali, principi euristici o modelli
interpretativi, utili a dialogare con una realtà complessa. Questa prospettiva raggruppa
22
I. Stengers, “Perché non può esserci un paradigma della complessità”, in: La sfida della
complessità, cit.
23
D. Fabbri, La memoria della regina. Pensiero, complessità, formazione, Guerini, Milano, 1990,
p. 26.
24
F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Bari, 1997, p. 113.
14
opinioni variegate non unanimemente coese attorno ai fondamenti di quest’opzione teori-
ca, ma interessate in modi e misure diverse da quella che si può considerare la sua dimen-
sione di atteggiamento culturale generale. Il pensiero sistemico transita, pertanto, «da pa-
radigma cognitivo interno alle scienze fisiche, matematiche e biologiche (che interpreta la
crisi degli schemi scientifici classici del determinismo e della reversibilità e sostiene
l’ascesa dei nuovi concetti di non-equilibrio, instabilità e tempo non-lineare), a modello
filosofico dei caratteri plurali dell’intera realtà fisica, biologica, mentale, sociale e cultu-
rale»
25
.
Secondo von Bertalanffy, questa eterogeneità va ricondotta al suo modello teorico,
che può essere considerato il congegno unificatore dei diversi orientamenti sviluppati. Il
termine ‘teoria dei sistemi’ raggruppa sotto di sé tre apparati inseparabili per contenuto
ma distinguibili per le loro specifiche finalità:
- Scienza dei sistemi: in cui l’autore individua ciò che si occupa «della ricerca e della
teorizzazione dei “sistemi” all’interno delle varie scienze (ad esempio, la fisica, la bio-
logia, la psicologia, le scienze sociali), e della teoria generale dei sistemi intesa come
dottrina dei principi che sono applicabili a tutti i sistemi (o a delle sottoclassi ben de-
finite di sistemi)»
26
.
- Tecnologia dei sistemi: ovvero l’insieme dei contributi che affrontano i «problemi
che sorgono nella tecnologia e nella società moderna, comprendendo l’“indirizzo pe-
sante” dei calcolatori, dell’automazione, dei dispositivi auto-regolantisi, ecc., e l’“indi-
rizzo leggero” dei nuovi sviluppi e delle nuove discipline in campo teorico»
27
.
- Filosofia dei sistemi: che si occupa di «un nuovo orientamento del pensiero e
dell’elaborazione di un’immagine del mondo che segue all’introduzione del “sistema”
inteso come nuovo paradigma scientifico»
28
. La filosofia dei sistemi, prosegue von
Bertalanffy, si divide ulteriormente in: ontologia dei sistemi (che si occupa di «cosa si
intenda con “sistema” e come i sistemi si realizzino nei vari livelli del mondo dell’os-
servazione»
29
; a questo livello si trovano ad esempio i problemi relativi al fatto che la
distinzione tra sistemi “reali” e sistemi “concettuali” non può essere tracciata in alcun
caso in modo definitivo), epistemologia dei sistemi (come ricerca di nuove categorie
25
F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Bari, 2002, p. 181.
26
L. von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, I.L.I.,
Milano, 1971, p. 13.
27
Ivi, p. 14.
28
Ivi, p. 15.
29
Ibidem.
15
per trattare con entità costituite da «complessi organizzati e costituiti da totalità»,
nell’interazione tra conoscente e conosciuto), e in fine il rapporto tra l’uomo e il
mondo, ossia l’insieme dei valori e l’immagine d’uomo che emerge dal considerare la
realtà come una totalità organizzata.
Come prospettiva unificante, questa non risulta generalmente condivisa, ma, come
punto di vista fra gli altri, può aiutare a rendere conto dell’ampiezza degli interessi e dei
diversi accostamenti al discorso sui sistemi. Quale modello teorico, oltre alle difficoltà
descritte in precedenza incontra anche un’ambiguità propriamente terminologica. Queste
ragioni, ed altre, hanno dato origine ad orientamenti non direttamente né integralmente
riconducibili al modello teorico generale, ma più diffusamente interessati alle manifesta-
zioni di un pensiero sistemico. Ne è un esempio la sistemica:
L’utilizzo del termine “Teoria” (generato da traduzioni più attente alla sintassi che alla se-
mantica) può far pensare che la Teoria dei sistemi sia una particolare teoria scientifica, nel senso
tradizionale. […] Qui invece si utilizzerà il termine “Sistemica”, come distinto da quello di “Teoria
dei sistemi”, per sottolineare il fatto che si vuol fare riferimento al contenuto culturale di questo
modo di pensare, valido per qualsiasi disciplina ed interesse. In altri termini, vogliamo concentrare
la nostra attenzione più sugli schemi concettuali e sull’atteggiamento verso i problemi che non sulle
applicazioni particolari che ne derivano, tra cui compaiono certamente anche quelle di carattere
scientifico. Useremo quindi il termine SISTEMICA lasciando che poi eventuali frutti dell’ap-
plicazione di questo modo di pensare in particolari campi vengano denominati nel modo più ap-
propriato.
30
Dopo queste brevi premesse credo sia possibile considerare l’esistenza di un
movimento culturale di interesse e diffusione sufficientemente ampi, le cui applicazioni
sembrano condividere l’idea di una prospettiva sistemica quale modo sufficientemente
diverso di considerare i fenomeni, per quanto esso si riveli sostanzialmente inomogeneo e
differenziato nei contributi specifici. Tale condizione non differisce da quella della siste-
mica, «identificabile come un MOVIMENTO, che tuttavia si è aggregato di volta in volta
intorno a iniziative specifiche, non sempre dichiaratamente a sostegno di una evoluzione
culturale complessiva»
31
.
30
G. Minati, Introduzione alla sistemica, Kappa, Roma, 1996, p. 12.
31
Ivi, p. 81.