Introduzione
2
INTRODUZIONE
“Quando tutto è stato detto, quando tutto è stato fatto, la più grande qualità necessaria ad
un comandante è lo spirito di decisione.” (Montgomery B.L.)
Manager: genialità ed intuizione in un mercato tutto da giocare, o calcolo razionale in un
contesto formalizzabile?
Il manager, il dirigente, assume un ruolo chiave all’interno dell’azienda e le scelte che è
chiamato ogni giorno a compiere sono di fondamentale importanza nel percorso evolutivo
di un’impresa.
Certo, decisioni così rilevanti non possono essere “prese a caso”, ma è possibile costruire
un modello formale che sintetizzi il contesto entro il quale l’imprenditore opera, in modo da
risultare una sorta di guida?
Naturalmente la risposta è negativa.
Infatti, come afferma R. E. Lucas (1987, p.6), per modello matematico non s’intende che le
decisioni possano essere automatizzate una volta per tutte senza il giudizio individuale;
s’intende invece che i partecipanti alla discussione devono avere esplicitamente o
implicitamente qualche modo di costruire un nesso quantitativo fra le politiche e le loro
conseguenze.
E’ proprio a tal proposito che si inserisce la Teoria dei Giochi: anello di congiunzione tra il
mondo reale, infinitamente complesso e ricco di sfumature, impossibile da formalizzare
nella sua totalità, e l’astrazione che la teoria economica classica propone quale
rappresentazione della realtà, ma troppo esatta, troppo perfetta, troppo razionale.
Nel comporre la decisione il manager ricorre a forme di razionalità che semplificano
preventivamente il problema e collocano la razionalità empirico‐induttiva entro un ambito
limitato. Egli si trova costretto all’eclettismo, a gerarchizzare i modelli di razionalità. E, entro
tale gerarchia, i modelli di Teoria dei Giochi trovano un loro posto. (Zaninotto 1992, p.14)
L’analisi della dinamica nelle interazioni competitive è un elemento fondamentale nella
gestione strategica di un’impresa e il concetto di strategia è uno dei più rilevanti all’interno
della Teoria dei Giochi: la ricerca di un vantaggio competitivo e di una posizione originale
rispetto all’ambiente di riferimento, in continua evoluzione e adeguamento al contesto, la
Introduzione
3
coerenza fra risorse e conoscenze specifiche dell’azienda e le logiche dei governi dei
mercati di sbocco e di approvvigionamento, l’insieme di azioni messe in atto da un soggetto
al fine di influenzarne a proprio vantaggio l’assetto del mercato entro cui opera, sono
fenomeni che possono essere meglio compresi alla luce dell’analisi proposta dalla Teoria dei
Giochi.
Gli stessi ed altri concetti erano già stati dibattuti prima dello sviluppo della teoria, ma il
grande merito che Kreps attribuisce a quest’ultima sta nell’aver fornito un linguaggio e una
modellizzazione che ne permettano l’applicazione a diversi contesti e fatti economici.
La Teoria dei Giochi è allora uno strumento per l’analisi economica, uno studio delle
decisioni individuali in un contesto di interdipendenza strategica tale per cui le scelte di un
di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili dalle parti rivali, secondo un
meccanismo di retroazione.
Una teoria è una finzione che permette di avere una visione più o meno soddisfacente del
comportamento di entità del mondo reale, ma resta comunque una finzione, e il suo scopo
è quello di aiutare gli analisti a comprendere e a fare previsioni su ciò che potrà accadere in
un contesto economico, e non di rappresentare la realtà nel suo complesso.
La Teoria dei Giochi si compone di un insieme di modelli matematici, che vengono studiati
con metodo deduttivo, nel tentativo di definire i “dettagli del gioco” (la cui alterazione può
condurre a risultati totalmente diversi), mantenendo però la consapevolezza di non essere
in grado né di definire completamente le condizioni iniziali, né di trascurarne una parte.
Kreps (1992, p.13) riconosce alcuni vantaggi nell’utilizzo di un approccio basato su modelli
matematici formali: a) mettere a disposizione un insieme di classi generali di ipotesi che
permettono di trasferire intuizioni e cognizioni da una situazione all’altra, e di verificarle in
modo incrociato, b) permettere di sottoporre un particolare risultato o intuizione ad una
verifica di consistenza logica interna, c) individuare quali assunzioni stanno veramente alla
base di una particolare conclusione.
La nascita della moderna teoria dei giochi, e con essa il primo tentativo di applicazione alla
scienza economica, è attribuibile alla pubblicazione del libro “Theory of Games and
Economic Behavior” da parte di John von Neumann e Oskar Morgenstern nel 1944; il
matematico e l’economista tedeschi ritenevano che non esistesse ancora nessuna
trattazione soddisfacente riguardo al comportamento economico razionale.
Introduzione
4
La teoria classica dell’oligopolio, analizzata in particolar modo dai modelli di duopolio di
Cournot, Bertrand e von Stackelberg, considera infatti il comportamento dell’impresa
concorrente sotto forma di puro e semplice vincolo; ciascuna impresa si trova quindi nelle
condizioni di poter determinare con esattezza il proprio comportamento ottimale, cioè tale
da massimizzare il proprio guadagno.
Si può parlare in tutte queste situazioni di razionalità individuale o parametrica, nel senso
che ogni soggetto agisce come se il suo comportamento fosse l’unico a poter variare,
mentre quello degli altri individui, ovvero dell’ambiente nel quale si trova ad operare,
fossero parametri per il suo comportamento razionale.
Inoltre, la teoria classica dell’oligopolio si limita a definire la stato finale di equilibrio
raggiunto dai soggetti, senza specificare il particolare processo con il quale è stato
raggiunto.
Il pensiero di von Neumann e Morgenstern fu ben sintetizzato da Hurwicz (1945, p.910):
il comportamento razionale dell’individuo è determinato se il modello di comportamento
degli “altri” può essere assunto a priori. Ma il comportamento degli “altri” non può essere
noto a priori se anche gli altri devono comportarsi razionalmente. Così si arriva ad un
impasse logica.
Per risolvere tale contraddizione si rende necessario il passaggio da razionalità individuale a
razionalità strategica: un soggetto è razionale in senso strategico se considera che
l’ambiente entro il quale opera costituito da altri soggetti razionali in senso strategico, che
egli è parte del loro ambiente, e che essi ne sono consapevoli; un singolo individuo non può
prendere decisioni in condizioni di completa indipendenza, il suo comportamento
influenzerà in modo significativo i comportamenti degli altri soggetti ed i risultati da essi
prodotti.
Ed è proprio a questo proposito che emerge lo “Spirito di decisione” cui fa riferimento
Montgomery, l’animo del manager, leader consapevole che l’impresa vive delle sue azioni,
cambia in conseguenza ad esse, si evolve, migliora ed emerge.
Il passaggio è fondamentale: la razionalità totalizzante della teoria classica pone una visione
meccanicistica di strategia, un’equazione data, la cui soluzione non è che un mero calcolo
matematico.
Ogni impresa ha invece il potere (e aggiungerei il dovere) di agire e influenzare le forze che
le stanno attorno, sia per ottenere i migliori risultati in un ambiente dato, ma soprattutto al
fine di precostituire il contesto più consono alla propria evoluzione.
Introduzione
5
Il successo della Teoria dei Giochi in economia va in gran parte attribuito al fatto che essa
fornisce un linguaggio e degli strumenti per rappresentare ed analizzare le interazioni
competitive di tipo dinamico in molti contesti diversi. (Kreps 1992, p.47)
La sua peculiarità sta dunque nel descrivere il processo dinamico tramite il quale il modello
competitivo (gioco) perviene ad una certa situazione di equilibrio e nell’accentuata
sensibilità al contesto delle combinazioni di strategie dei giocatori e dei possibili equilibri
che possono emergere.
Tuttavia, la dipendenza al contesto pone alla teoria dei giochi un duplice ordine di problemi.
Il primo è quello della “validazione del modello”, vale a dire la misura in cui la
rappresentazione del gioco permette di simulare la reale dinamica dell’interdipendenza
strategica nella particolare situazione in esame.
Il secondo è quello della molteplicità degli equilibri, vale a dire dei criteri in base ai quali
appare ragionevole selezionare tra i diversi equilibri possibili un particolare equilibrio che
viene eletto ad esprimere la “soluzione” del gioco. (Faccipieri 2005, p.44)
Possiamo rendere più concrete queste affermazioni adattandole al contesto economico:
‐ l’importanza delle azioni intraprese dai soggetti non consente di produrre leggi aggregate;
‐ la varietà dei comportamenti ammissibili e delle interdipendenze producibili amplia a
dismisura lo spazio dei risultati conseguibili. (Zaninotto 1992, p.8)
Una volta adottata la finzione basata sull’interazione strategica, ci accorgiamo di non essere
in grado di ottenere una rappresentazione del sistema economico con le stesse
caratteristiche di quella associata alla teoria dell’equilibrio economico generale
concorrenziale.
Il risultato è piuttosto una collezione di configurazioni peculiari derivanti da processi
decisionali multilaterali di carattere simultaneo o sequenziale. (Cellini Lambertini 1996, p.14)
“Mi hanno fatto migliaia di domande. Ma la maggior parte si può ridurre a questo
denominatore comune: cosa occorre per vincere?” (Jack Welch 2005, p.XIII)