INTRODUZIONE
Il XIV secolo è noto per essere il secolo della crisi dei due pilastri della cristianità
medioevale, cioè il Papato e l'Impero, con la conseguente e sempre più marcata
affermazione degli Stati nazionali. Si assiste dunque ad una transizione da delle realtà
per loro natura “universali” a delle realtà “individuali”, gli Stati appunto.
Non solo, anche lo stesso Impero si riduce sempre più ad un territorio corrispondente
grosso modo alla Germania e a qualche paese con essa confinante, e la sua valenza
universale è pressoché simbolica. Si tratta cioè della crisi e della fine dell'universalismo
medioevale e dell'inizio di quel processo di disfacimento della Res publica christiana,
che vede nell'episodio dello Schiaffo di Anagni del 1303 il suo avvio e nella Riforma la
sua realizzazione. Ora, questo fenomeno sembra ripetersi, in quello stesso secolo, anche
nella filosofia, in quanto la tradizionale metafisica realista, che caratterizzava le grandi
costruzioni scolastiche di fine XII secolo e di tutto il XIII secolo, lascia sempre più il
posto, con l'occamismo, ad una concezione filosofica che nega ogni realtà
all'universale
1
, assegnando un'esistenza reale solo a ciò che è individuale
2
.
Il crescente affermarsi nelle università della logica terministica, ossia di un tipo di
metodo filosofico fondato sull'analisi dei termini e delle proposizioni, e di un sapere
teologico-filosofico strettamente legato ad esso, insieme al fiorire, tra XIV e XVI
secolo, degli studi umanistici e filologici in quelle stesse università, contribuirono in
misura non minore della crisi degli universalismi a determinare la fine del Medioevo.
Questa transizione dall'universalismo all'individualismo raggiunse il suo compimento
1 Cfr. Vignaux 1990, p. 127; Miegge 1964, p. 16.
2 Non si vuole con ciò dire che prima del XIV secolo non mancassero posizioni anti-realiste, né che il
realismo stesso fosse un fenomeno omogeneo. Né d'altra parte è corretto parlare di nominalismo o
realismo prima del XIV secolo, per quanto già dal XII secolo vi fosse una contrapposizione tra due
sectae, ossia i nominales e i reales (sebbene quest'ultima comprendesse al suo interno posizioni
differenti, accomunate dall'essere in opposizione ai nominales), in merito alla questione della
predicazione, se cioè l'oggetto della predicazione fosse solo un nome o anche una res, come volevano
i reales. Giovanni di Salisbury nel XII secolo riporta nel suo Metalogicon molte e differenti posizioni
in merito alla questione degli universali, contandone all'incirca nove, ad esempio la teoria delle voces,
tipica di Roscellino, quella dei sermones, propria di Abelardo, la teoria delle ideae, che è la forma
classica di realismo e che accomuna autori come Eriugena, Anselmo d'Aosta e Guglielmo di
Champeaux, e per la quale gli universali sono nomi che si riferiscono a cose universali che coincidono
con le idee divine, oppure quella propria di Gilberto di Poitiers, delle formae nativae. Tuttavia, solo a
partire dal XIV secolo, con Ockham si può parlare propriamente di nominalismo, ed esso diventa un
vero e proprio metodo filosofico e il nucleo centrale della scuola occamista, nota anche con il nome di
“via moderna”. Per quanto concerne la distinzione tra le due sectae si veda De Libera, 1999, p. 143; in
merito alla enumerazione delle diverse posizioni sulla questione degli universali proposta da Giovanni
di Salisbury e all'analisi di esse si veda Tarlazzi 2018, pp. 29-70.
3
proprio nel XVI secolo, e ciò si può osservare ad esempio nel fatto che il
Protestantesimo, che proprio in questo secolo nacque, propose una teologia che
attribuiva solo all'anima del singolo fedele la ragione della sua salvezza, negando cioè
alla Chiesa ogni efficacia in tal senso.
Questo stesso individualismo proprio del Protestantesimo caratterizzò il processo di
formazione delle Chiese nazionali, già iniziato in Spagna, Francia e Inghilterra tra XIV
e XV secolo, ciascuna soggetta al potere dei rispettivi Stati, secondo la formula del cuis
regio, eius religio. Questo è un aspetto importante, tra i tanti, per la comprensione
dell'origine della Riforma protestante, perché in Germania il risentimento nei confronti
della Chiesa romana, covato da molti secoli, aveva raggiunto infine nel XVI secolo il
suo culmine ed era pronto ad esplodere, e ciò fu dovuto al fatto che questo paese, non
essendo uno Stato nazionale, non disponeva di conseguenza neanche di una Chiesa
nazionale che potesse impedire l'intervento diretto di Roma, e che quindi potesse
tutelare gli interessi nazionali contro i soprusi del clero corrotto, come invece accadeva
per la Francia, la Spagna e l'Inghilterra
3
. Di conseguenza fu più di tutti la Germania a
subire lo sfruttamento fiscale da parte della Chiesa di Roma che, tramite l'imposizione
di decime e imposte di ogni genere, andava a colpire tanto il popolo, quanto gli stessi
nobili. Non a caso Lutero trovò proprio nei prìncipi tedeschi e nel loro feroce
risentimento anti-romano l'ausilio necessario per realizzare e portare avanti il
programma riformatore.
Ora, ritornando a quanto si diceva prima, questo tratto di generale individualismo
connaturato al Protestantesimo è a mio parere un fenomeno le cui cause sono da
ricercarsi negli accadimenti e nelle dottrine che interessarono i dibatti filosofici e
teologici universitari nel corso del XIV e XV secolo
4
. In questo senso allora l'opera di
Guglielmo di Ockham (1287/88-1349) rappresenta un importante punto di svolta.
3 Cfr. Klein 1983, pp. 10-11.
4 Un esempio in tal senso è il modo in cui Lutero concepisce, come si vedrà più avanti, la grazia e tutto
ciò che è ordinato alla salvezza. Secondo il riformatore ciò che è ordinato alla salvezza e la grazia
stessa si risolvono unicamente nell'accettazione da parte di Dio, che a sua volta non è altro che la
medesima volontà di Dio. Quindi, lungi dall'essere delle realtà assolute, la grazia di Dio e i mezzi di
salvezza non sono altro che la stessa volontà di Dio. Da ciò segue facilmente che la salvezza dipende
unicamente da Dio. In tal senso allora il nominalismo della tarda scolastica sembra avere avuto un
certo ruolo nello sviluppo della dottrina luterana della predestinazione e dell'individualità della
salvezza. In merito si veda De Negri 1967, p. 79. Si veda anche Miegge 1964, p. 87, in cui l'autore
mostra come la teologia nominalistica, che negava quella stratificazione spirituale che il tomismo
aveva introdotto distinguendo tra una natura e una sopra-natura (ossia la grazia), e che considerava
l'uomo come una totalità, abbia influenzato la concezione di Lutero.
4
Dunque, dato che lo scopo della mia trattazione sarà quello di ricercare una continuità
tra l'opera di Ockham e quella di Lutero, sarà opportuno mostrare come quella forma
mentis che si viene sviluppando nel corso del XIV secolo, legata all'analisi logico-
linguistica dei problemi teologici e metafisici e all'idea che in materia di fede la ragione
non abbia alcuna autorità, sia presente anche nel riformatore tedesco.
Vi sono in effetti almeno tre punti fondamentali di contatto fra Ockham e Lutero, dei
quali solo il secondo riguarderà in maniera più diffusa questa mia trattazione: A)
L'opposizione alle costruzioni dottrinali scolastiche e il ritorno alla Scrittura come sola
fonte di certezza in materia di fede (la teologia non è una scienza) B) La questione della
predestinazione e il rifiuto dell'universalismo in generale (la salvezza è per opera di Dio
ed è individuale, non mediata dalla Chiesa) C) La questione politico-ecclesiologica,
strettamente legata a quelle immediatamente precedenti (critica della corruzione e della
mondanità della Chiesa). Come cercherò di mostrare, ognuno di questi punti, eccettuato
ovviamente il primo, è subordinato a quello precedente, cosicché è possibile affermare
che fu proprio quella avversione, in Lutero, verso la teologia scolastica medievale (ma
anche moderna), in special modo quella aristotelico-tomista, a costituire l'essenza e il
motore originario della Riforma, mentre gli aspetti ecclesiologici di essa e i suoi risvolti
pratici furono solo sue necessarie conseguenze.
Insomma, la Riforma fu l'esito ultimo di un lungo processo di critica, confutazione,
polemiche e denunce portate avanti da tutta una serie di teologi, condannati dalla Chiesa
come eretici, che si susseguirono tra la metà del Trecento e il Quattrocento, quali i
seguaci della via moderna, ma anche personalità, legate invece al realismo della via
antiqua, come Wyclif e Hus, quest'ultimo considerato da Lutero stesso un vero e proprio
santo
5
.
Inoltre la riscoperta della classicità, che segnò l'avvento dell'umanesimo e del
rinascimento, accompagnata da un movimento di riforma religiosa, noto con il nome di
Devotio moderna, che predicava il ritorno alla Sacra Scrittura contro l'arido formalismo
della logica di scuola e una pratica di vita che prendesse a modello l'ideale evangelico,
5 Cfr. Martin Lutero, De servo Arbitrio, in D. Martin Luthers Werke. Kritische Gesamtausgabe, V ol. 18,
(a cura di) H. Bohlaus, Weimar, 1908, p. 651; (trad. it.) Il servo arbitrio, (a cura di) F. De Michelis
Pintacuda, Torino, Claudiana, 2017, pp. 220-221: “Quot sanctos putas exusserunt et occiderunt iam
aliquot saeculis soli illi inquisitores haereticae pravitatis? Velut Iohannem Hussum et similes, quorum
saeculo non dubium est multos viros sanctos vixisse eodem spiritu...” [Quanti santi, credi, i soli
inquisitori dell'eresia non hanno già mandato al rogo e ucciso in qualche secolo? È il caso di Jan Hus e
di uomini come lui; e alla loro epoca sono indubbiamente vissuti molti altri uomini santi, animati dal
medesimo spirito...].
5
non poterono che costituire un ulteriore motore di disgregazione del tradizionale sapere
scolastico di cui la Chiesa si era servita.
Lutero fu il prodotto e la sintesi di tutte queste tendenze: in lui infatti notiamo un
atteggiamento di forte opposizione verso il sapere di scuola, la critica alla
mondanizzazione della religione e il richiamo, come vedremo, a molte delle principali
posizioni fatte proprie dalla via moderna, sebbene con questo termine s'intendesse
semplicemente un movimento che, dal punto di visto filosofico, accomunava
orientamenti caratterizzati tutti da un anti-realismo, mentre da un punto di vista
teologico comprendeva posizioni anche radicalmente differenti. Ad esempio,
relativamente alla questione della grazia e della predestinazione, sotto la dicitura di “via
moderna”, venivano inseriti teologi dalle opinioni anche radicalmente opposte
6
: vi erano
infatti coloro che, come Ockham o Gabriel Biel, erano piuttosto ottimisti circa le
possibilità dell'uomo di essere artefice della propria salvezza
7
, tanto che furono poi
accusati di pelagianesimo, sebbene come vedremo tale accusa debba essere
ridimensionata. Altri teologi invece, come Ugolino da Orvieto, Gregorio da Rimini o
Thomas Bradwardine, la cui opera principale fu chiamata significativamente De causa
Dei contra Pelagium, conclusero che senza la grazia di Dio gli uomini erano del tutto
incapaci di ottenere il Suo favore
8
.
Comunque sia, l'influenza che tutti questi pensatori esercitarono su Lutero, durante il
suo periodo di studi a Erfurt (1501-1505) e anche dopo essersi fatto monaco
agostiniano, fu notevole, ma quella stessa università era anche un centro della cultura
umanistica, diametralmente opposta a quella scolastica, ed infatti a partire dal
Quattrocento si manifestò in molte università un contrasto tra umanesimo e scolastica.
Ad esempio l'università di Vienna, sul finire del XV secolo, vide una rivolta di umanisti
contro la scolastica
9
. Questo conflitto si esacerbò poi nel XVI secolo, tant'è vero che
molte università videro diminuire sempre più il numero dei loro studenti a causa della
difficoltà e della sterilità della filosofia che in esse veniva praticata, la quale non faceva
altro che generare divisioni e contrapposizioni, come quelle tra albertisti, tomisti,
scotisti (via antiqua) e occamisti (via moderna).
Ora, sebbene l'umanesimo sia una delle concezioni più distanti dal pensiero di Lutero, in
6 Cfr. McGrath 2016, p. 85.
7 Cfr. Vignaux 1990, p. 159.
8 Cfr. McGrath 2016, p. 85.
9 Cfr. ivi, p. 82.
6
quanto ai suoi occhi l'essere umano non sarebbe nient'altro che un peccatore
incorreggibile e quindi meritevole solo di condanna eterna, tuttavia vi è almeno un
elemento in esso che egli ha ereditato, e cioè, come dicevamo, il totale disprezzo per la
cultura tradizionale del Medioevo, in particolar modo verso tutte quelle distinzioni
considerate oscure e futili sottigliezze e quelle “infinite altre loro sciocchezze
metafisiche”
10
, tipiche di quelli che egli chiama “sofisti”, e cioè tutti coloro che hanno
filosofato in maniera vana e sterile nelle questioni di fede, non ricercando, secondo
Lutero, la verità, ma piuttosto il vantaggio della Chiesa e del Papato, tant'è vero che un
sinonimo di “sofista”, in questo contesto, è anche “papista”, termine assai ricorrente in
molti Riformatori.
In un passo del De captivitate babylonica ecclesiae relativo alla transustanziazione,
Lutero mostra questo suo atteggiamento, cioè il suo sprezzante rifiuto del sapere
scolastico, frutto dell'uomo in quanto non fondato sulla Sacra Scrittura:
Quod feci, quia vidi Thomistarum opiniones, sive probentur a Papa, sive a Concilio, manere
opiniones, nec fieri articulos fidei, etiam si angelus de coelo aliud statueret. Nam, quod sine
scripturis asseritur, aut revelatione probata, opinari licet, credi non est necesse...
[E così ho agito, perché ho visto che le opinioni dei tomisti, per quanto approvate da un papa o
da un concilio, rimangono opinioni, e non diventano articoli di fede, neanche se un angelo dal
cielo stabilisse diversamente. Infatti, quel che viene affermato senza le Scritture o una
comprovata rivelazione è opinabile, ma crederlo non è necessario...]
11
Oppure ancora:
Sed et Ecclesia ultra mille ducentos annos recte credidit, nec usquam nec unquam de ista
transsubstantiatione - portentoso scilicet vocabulo et somnio - meminerunt sancti patres, donec
cepit Aristotelis simulata philosophia in Ecclesia grassari, in istis trecentis novissimis annis, in
quibus et alia multa, perperam sunt determinata...
10 Cfr. Martin Lutero, De captivitate babylonica ecclesiae; in D. Martin Luthers Werke. Kritische
Gesamtausgabe, V ol. 6, (a cura di) H. Bohlaus, Weimar, 1888, p. 518; (trad. it.) La cattività
babilonese della Chiesa, (a cura di) F. Ferrario-G. Quartino, Gravellona Toce (Vb) , Claudiana, 2006,
p. 145.
11 Cfr. Martin Lutero, De captivitate babylonica ecclesiae; in D. Martin Luthers Werke. Kritische
Gesamtausgabe, V ol. 6, (a cura di) H. Bohlaus, Weimar, 1888, p. 508; ivi, pp. 101-103.
7
[Per oltre milleduecento anni, la Chiesa ha creduto osservando la retta dottrina, e i santi padri in
nessun luogo hanno mai fatto cenno a questa transustanziazione (una parola e una fantasticheria
davvero portentose!), finché la falsa filosofia di Aristotele non ha cominciato a farsi strada nella
Chiesa in questi ultimi trecento anni, in cui molte altre questioni sono state definite a
sproposito...]
12
Insomma, per Lutero la filosofia ha per secoli invaso il dominio della fede, perché gli
uomini, sollecitati dalle passioni che derivano loro dal peccato originale, hanno tentato
di sostituirsi a Dio, facendo credere come dogmi di fede nient'altro che le loro fantasie.
Perciò Lutero se era così maldisposto verso l'applicazione della filosofia alle questioni
di fede, non lo doveva essere, invece, verso quella filosofia, come quella occamista, che
aveva escluso sé stessa dal campo d'indagine proprio della teologia.
Così sia la via moderna, sia i movimenti ereticali di fine Trecento e inizio Quattrocento,
sia la cultura umanistica tendevano tutti ad un medesimo obiettivo, la dissoluzione del
mondo medievale. La prima attaccò direttamente la teologia e il sapere, i secondi
denunciarono la corruzione del clero, mentre la terza sferrò violenti assalti alla cultura
scolastica medievale in generale, evidenziandone quelle che considerava barbarie del
linguaggio e totale assenza d'intelligibilità di concetti e definizioni.
Lutero si situa al centro di queste tre forze, ed infatti, come abbiamo visto e vedremo, lo
ritroveremo occupato in tutti e tre questi ambiti nella sua lotta contro la Chiesa.
1) OCKHAM, LUTERO E LA SCOLASTICA
1.1) IL DIBATTITO SULLA SCIENTIFICITÀ DELLA TEOLOGIA
Il rifiuto e l'avversione per la Scolastica da parte di Lutero, condivisi d'altra parte da
tutta la tradizione umanistica, dovettero essere non solo il risultato della constatazione
della futilità e vanità delle dispute di scuola, ma anche l'esito di una conoscenza
approfondita del pensiero di Ockham, cui Lutero aveva potuto attingere tramite gli
scritti di Gabriel Biel
13
(1415-1495), esponente della via moderna e seguace del filosofo
12 Cfr. Martin Lutero, De captivitate babylonica ecclesiae; in D. Martin Luthers Werke. Kritische
Gesamtausgabe, V ol. 6, (a cura di) H. Bohlaus, Weimar, 1888, p. 509; ivi, p. 109.
13 Cfr. Miegge 1964, p. 84.
8