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hanno riconosciuto il sigillo di opera anticipatrice di Francois Rabelais
1
; il poema
nobilita il latino maccheronico dei goliardi, impegnandolo in un testo picaresco sulle
mille avventure di un allegro lestofante, capace di ogni spavalderia ma di animo
nobile e generoso, nato da Baldovina figlia del re di Francia e da Guidone lontano
discendente di Rinaldo.
Il racconto favolistico e comico delle gesta del brigante Baldo e dei suoi
compari, attraverso vicende eroiche e meschine e violenti combattimenti,
restituiscono una visione pesante della società, del potere, della religione del tempo:
per questo Folengo venne espulso dall’ordine benedettino per poi esservi riammesso
solo pochi anni prima di morire e dopo un atto di ravvedimento.
Già la prima figura di Baldo, così come compare nel poema, lo fa idoneo a tutte le
imprese più spericolate: “due spalle belle larghe, il petto rilevato e possente, ma ai
fianchi così sottile che una breve cintura lo cinghia. Tutto nervi nelle gambe, corto
di piede, asciutto di stinche, diritto come un fuso quando cammina e di passo
lieve…”.
Difficile riferire le innumerevoli avventure del protagonista e dei suoi soci,
soprattutto di Cingar, maestro di imbrogli e di beffe ingegnose.
Il mondo contadino è il palcoscenico sul quale si svolge l’azione della banda di
teppisti con a capo il Baldo: un mondo di concretezze, di rapporti corporali, di
grandiose mangiate, senza mai un cedimento alla lusinga dei sentimenti.
1
Era stato tradotto in Francia nel 1606.
3
Il poema di Folengo passa da un’avventura all’altra senza segno di necessità, ma con
una totale, disinvolta aggregazione che in qualche modo rende più spedita e allegra
la lettura.
A parte l’originale scelta di una lingua artificiale come il latino maccheronico,
l’andamento destrutturato del Baldus in qualche modo lo apparenta al Morgante di
Luigi Pulci, in una stagione felice che produsse una serie di opere giocose o
eroicomiche con frequenti contaminazioni linguistiche (lo conferma lo stesso Luigi
Pulci il quale raccolse una sfilza di espressioni dialettali e gergali in un
Vocabolarietto della lingua furbesca
2
).
Travolto proprio come Don Chisciotte dalle favolose avventure dei romanzi
cavallereschi, Baldo forma insieme a Fracasso, Cingar e Falchetto una banda di
farabutti che procede di passo in passo trasformando ogni incontro in occasione di
nuove invenzioni truffaldine; viluppi che continuano anche quando Baldo viene
imprigionato con l’accusa di avere ammazzato il caporione di Cipada, suo paese
natale, da dove partono tutte le avventure del protagonista e della sua banda.
Finalmente Cingar riesce con un imbroglio a liberare Baldo dalla prigione e con lui
ripartono le avventure, sempre più fantastiche, della seconda parte del poema.
Un imbarco a Chioggia finisce col naufragio e l’approdo su uno scoglio, un nero
scoglio, dove Baldo si inoltra in una grotta profonda, una specie di antro infernale
dove, agli ordini di Mercurio, un manipolo di schiavi lavora con alambicchi e
crogioli alla trasmutazione di materie vili in oro e argento.
2
Inserito nel Libro dei vagabondi di P. CAMPORESI, ed. Garzanti.
4
Qui Baldo incontra, “bella grave e leggiadra”, una dama, una gran dama di
nome Manto (da cui il nome di Mantova)
3
, che lo lusinga dichiarandolo il guerriero
più prode al mondo
4
.
Alla fine del suo sproloquio, la dama definisce i termini della saggezza in questo
modo:
“Avere sempre la borsa gonfia di ducati, la qual cosa
più importa e reca più alto onore che star lì a rompersi la
testa sui libri e a perdere il cervello a studiare le stelle”
5
.
Altre avventure proiettano il nostro Baldo in un’evocazione diabolica
notturna in piena regola, con il cerchio di fuoco e la mediazione di una strega; arriva
poi una frotta di diavoli e diavoletti capaci soprattutto di fare un bel po’ di
confusione.
Del resto già dai loro nomi, salvo alcune eccezioni, si capisce che gran parte sono
diavoli da burla: Astarotte, Belzebù, Asmodeo sono diavoli patentati di prima scelta,
poi Alchino, Molcana, Zaffo e Taratar, Ciriel, Melloniel, Zaccara, Scarmiglio,
Paimone, Bombarda e Ciriatto.
Un’area dove si scatena la fantasia di Folengo è proprio nell’invenzione dei nomi;
già in una prima riunione dei saggi di Cipada (“Soloni” li definisce l’autore),
troviamo riuniti intorno ad un tavolo Bertazzo, Mengo, il Gobbo, Cagnana, Gurasso,
3
Curiosa l’etimologia maccheronica per la città natale di Folengo!
4
Qui il poeta coglie l’occasione per lodare anche i Gonzaga, signori di Mantova.
5
Idea questa in chiara polemica con gli statuti di armonia culturale del Rinascimento.
5
Zanardone, Garapino e Slanzafoiada. Non è difficile immaginare quali sagge
decisioni potranno sortire da questi Soloni!
Ma ecco che, a forza di agitarsi in ogni direzione, Baldo precipita in un Inferno quasi
dantesco popolato da “tante streghe quante sono le nere mosche che genera l’arida
Puglia”, e una squadra di prostitute alle quali, ora in veste di moralista, Baldo
perdona gli amori furtivi “chè una colpa è mezzo perdonata se sotto coltre si mantien
celata”.
Quest’avventura infernale di Baldo si conclude con l’ingresso in una grande,
enorme zucca vuota dove l’ “eroe” si ritrova in compagnia di “poeti, cantastorie e
astrologhi, che inventano, cantano, indovinano i sogni alla gente e hanno empito i
loro libri di fole e cose vane”.
Proprio come Teofilo Folengo, che infatti si ritrova anche lui dentro la zucca,
(“zucca mihi patria est”, dice alla fine del poema), come autore di questa lunga fola
maccheronica, così in linea con l’Italia maccheronica di questi anni!
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Capitolo 1
“Con una penna e un foglio di carta… mi prendo gioco
dell’universo!”: Teofilo Folengo
Chi è Girolamo Folengo?
Girolamo Folengo è Teofilo Folengo, don Teofilo Folengo, nome che prenderà al
momento della professione religiosa come benedettino
6
.
Teofilo Folengo: alias Merlin Cocai, alias Limerno Pitocco, l’altro pseudonimo,
molto probabilmente meno noto del primo, insolito come il primo, ma ugualmente
brioso, estroso, piacevole a pronunciarsi!
Un monaco, un letterato, un umanista.
Molti passi indietro nel tempo: 1491 è l’anno e Mantova il luogo.
La remota storia di quest’uomo comincia qui!
6
Figlio di un notaio mantovano e ottavo di nove fratelli, Gerolamo venne avviato alla vita religiosa
sin dal 1508, prendendo il nome di Teofilo; visse in diversi conventi del Veneto fino al 1524, anno in
cui uscì dall’Ordine benedettino per diventare precettore privato dei figli di Camillo Orsini e
stabilirsi a Venezia.
7
Una storia non tanto lunga (nel 1544 è già finita!)
7
; piuttosto una storia di un
lungo peregrinare, da un monastero ad un altro, da una congregazione ad un’altra:
Brescia, San Benedetto Po, Cesena, Parma, Palermo.
Una formazione tutta monastica la sua, ma i monasteri di allora non erano luoghi di
una cultura separata, e le sue peregrinazioni gli permisero anche di venire in contatto
con ambienti culturali diversi, a differenza dei suoi precursori macaronici padovani,
rimasti tutti rinchiusi in una loro tradizione locale.
Era dialettofono il Folengo, ma anche toscanofono (nel senso che il suo
volgare si orientava verso la toscanizzazione) e latinofono; coltivò assiduamente il
genere maccheronico-goliardico, riuscì di fatto a mostrare le possibilità artistiche di
questo linguaggio (inventato a fine Quattrocento dagli umanisti delle corti padane
facendo interferire latino e dialetti e che aveva largo seguito nella cultura veneta di
allora), riscattandone il carattere di esercizio parodistico ed elevandolo a strumento
stilistico-letterario vero e proprio.
Attraverso il suo personalissimo linguaggio, un impasto tra forme del latino classico
e lessico dialettale, Folengo riuscì a dare un ritratto assolutamente anticonvenzionale
della realtà sociale del suo tempo.
Quanto al latino, era pratico dei diversi usi, e in particolare di quello degli ambienti
ecclesiastici, ma per lui scrittore contavano di più quelli d’uso letterario, dal
bergamasco (che dalla fine del Quattrocento aveva avuto una larga produzione), agli
altri che oggi noi possiamo conoscere attraverso la commedia plurilingue.
7
Teofilo Folengo, poi Merlinus Cocaius, nacque a Mantova l’8 novembre 1491 e morì a Bassano del
Grappa il 9 dicembre 1544.
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Era interessato non a registrare il lessico dei dialetti, ma a cogliere i loro tratti
caratteristici, che riproduceva, accentuandoli. Non tanto le parole in sé lo
appassionavano, ma il loro farsi, il loro mutarsi e deformarsi. Non il singolo
vocabolo, bensì il procedimento di formazione e deformazione delle parole.
Il macaronico non è polemica contro il latino, non è polemica contro Pietro Bembo,
né rivendicazione dei dialetti, ma è il linguaggio funzionale ad un’opera che unisce
tra loro diversi elementi, modelli, contenuti, strutture, vocaboli, che tiene insieme
ciò che allora si distingueva e si contrapponeva.
Pare si sia trovato sempre in mezzo alle polemiche don Teofilo da Mantova:
nelle controversie sulla fede e sulla riforma della chiesa, che, in quegli anni,
appassionavano, prima di dividerla, la cristianità e poi nelle discussioni sulla
questione della lingua.
Ha trentacinque anni Folengo e la sua prima opera, vera, completa, è già fatta, è già
pronta: un poemetto in ottave, Orlandino (1526), in cui viene rielaborata la storia
tradizionale della nascita e dell’infanzia di Orlando.
Poi l’anno seguente, un altro titolo, Chaos del triperuno, per un’opera mista
di prosa e versi, in latino, in volgare e in macaronico, che contiene, seppur in modo
vago, i problemi che lo avevano portato fuori dall’ordine.
Del 1533 è un poema in ottave sulla vita di cristo, L’umanità del figliuolo di Dio, e
questa stessa data portano: un volume che contiene i Pomiliones, ovvero i dialoghi
latini del fratello di Teofilo, Giambattista; un poemetto in latino umanistico, Janus, e
una raccolta di poesie, Varium poema, anche questa in latino.
9
Non abbandona il latino umanistico neanche per l’Hagiomachia, ovvero
l’elaborazione delle diciannove passioni dei martiri.
E’ poi la volta della Palermitana, opera in terzine d’ispirazione dantesca (tre sono i
libri e trenta i canti), in cui c’è , da parte dell’autore, la volontà di alludere,
attraverso il racconto della propria ricerca spirituale, ad una palingenesi della chiesa
e dell’umanità.
Quanto alle opere italiane, sono saggi di opere nuove sia sul piano più
specificatamente letterario dei metri e delle forme del poema, sia su quello del
contenuto: un tentativo di scrivere un nuovo poema morale-teologico, mediante il
quale prendere parte ai dibattiti sulla riforma della chiesa e, in scala minore, della
vita monastica.
Folengo si rivela in continuità e nello stesso momento in rottura con il proprio
tempo; dopo Dante, egli ritentava il poema teologico e profetico, avendo presente sia
la Commedia sia l’Orlando furioso.
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IL “BALDUS”
L’elaborazione dell’opera macaronica folenghiana aveva avuto un’andatura
parallela a quella del poema ariostesco: nel 1517, proprio un anno dopo la prima
edizione dell’ Orlando furioso, Folengo aveva fatto stampare il Liber macaronices
8
,
nel quale il suo “Baldus” si chiudeva con l’ultimo verso dell’ Eneide (“e l'anima di
vita sdegnosamente sospirando uscì”), esattamente come il poema di Orlando,
furioso, infuriato, pazzo, matto d’amore.
Nel 1521, a distanza soltanto di qualche mese, erano uscite queste due opere, quella
di Ariosto e quella di Folengo: il primo si era cimentato in un lavoro di lima, il
secondo invece, in una profonda, completa rielaborazione. E un indizio minimo, ma
significativo del cambiamento di prospettive, era il verso finale dell’Eneide, che,
non più sigillo estremo del poema, chiudeva uno dei 25 libri (originariamente erano
17).
Quando nel 1530 l’Ariosto ultima il suo capolavoro, il Folengo termina la
terza redazione del Baldus (le redazioni sono quattro, nell’ordine tradizionalmente
siglate come P, T, C e V, rispettivamente del 1517, 1521, 1539-40 e 1552 postuma).
Che cosa rappresenta il Baldus?
Il Baldus è l’espressione migliore del riso del XVI secolo, che è quello
maccheronico. Riso picaresco, burlesco, grottesco, umoristico, satirico, ironico che
8
E’ l’opera più nota di Folengo, detta anche Opus maccaronicum o Maccheronee, raccolta in quattro
redazioni diverse tra loro; contiene Zanitonella, narrazione dell’amore non corrisposto di Zani per
Tonella, Moscheide, poema eroicomico sulla guerra tra le mosche e le formiche, una serie di
epigrammi e il Baldus, poema in esametri sulle avventure di Baldo, discendente di Rinaldo, che ebbe
una forte influenza sull’opera di Rabelais.
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emerge proprio nella comicità di Folengo, il quale si serve di questo poema
sostanzialmente per deridere il latino erudito.
Avventure strampalate, poetiche, oniriche, che sbeffeggiano continuamente la logica
e i nobili sentimenti in una visione ludica, completamente folle, grottesca del
mondo.
Confrontata con quella del poema ariostesco la struttura del Baldus è lineare
e si presenta in questo modo: la narrazione si apre con la presentazione dei genitori
dell’eroe eponimo, Guido, o meglio Guidone il prode e Baldovina, e col racconto del
loro innamoramento.
“ A causa loro il petto di Baldovina arde come una
fornace, né Guido è arrostito di meno dentro le budella: il
mangiare le diverse vivande, i bicchieri e i calici (per mezzo dei
quali Venere regna e Cupido), il canto durante il banchetto e i
dolci liuti, gli arpicordi, le lire e tutta la varia musica li
intrappolano con lacci, li bruciano dentro e li privano della
ragione. Amore vittorioso aveva vuotato contro di loro cento
faretre così che non ci fosse più alcun punto delle loro carni
dove il boia Amore potesse scagliare dei dardi.”
[…]