7
IL GIOCO D’AZZARDO
2. IL GIOCO D’AZZARDO
2.1.1. IL GIOCO E L’AZZARDO
2.1.2. Il gioco
Il gioco è “un’azione libera, conscia di non essere presa ‘sul serio’ e situata al di fuori
della vita consueta, che nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore;
azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene
vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito, che si
svolge con ordine secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si
circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal
mondo solito.” (Huizinga, 2002)
Questa definizione
4
di gioco, data da Huizinga, storico olandese, nel suo famoso
testo “Homo ludens” del 1948, viene ripresa e criticata da Caillois nel suo “I giochi e
gli uomini” scritto nel 1967. Huizinga lega il concetto di gioco prevalentemente a
quelli di mistero, segreto, maschera perché lo immagina a servizio di una funzione
sacramentale
5
: si presta sempre a una attività ludica, ma questa è strumento di riti
sacri e di conseguenza aliena il gioco dalla sua stessa natura, che è prettamente
ludica. In questo modo non è più gioco, è istituzione: è fondamentale che nel gioco
prevalga la fantasia e il divertimento, che il mistero non sia visto con soggezione
(Caillois, 1981).
Ma ben più grave agli occhi di Caillois appare la descrizione di Huizinga del gioco
avulso da ogni interesse materiale, perché questo porta a escludere dalla
definizione di gioco tutte le scommesse e i giochi d’azzardo che, invece,
rappresentano una realtà importante della vita quotidiana dei vari popoli e
dell’economia dei paesi. Di conseguenza, anche l’aspetto economico è trascurato,
ma Caillois è d’accordo con lo storico olandese nel dire che il gioco non crea nessun
4
Nel testo, successivamente, ne è presente anche un’altra meno dettagliata: “[…] gioco è una
azione, o una occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio,
secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un
fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di ‘essere diversi’
dalla ‘vita ordinaria’” (J. Huizinga, Homo ludens, 2002, Treviso, Einaudi)
5
Concetto che l’autore non esprime soltanto in questa definizione ma che, in realtà, è desumibile in
più parti nel testo.
8
Tendenze evolutive nel settore delle scommesse con premi in denaro: una
indagine esplorativa sul segmento giovanile
vantaggio
6
: il gioco d’azzardo, anche se effettuato a fini di lucro, non crea ricchezza,
la sposta soltanto
7
. Questo è quello che distingue il gioco dal lavoro o dall’arte.
Caillois quindi giunge a dare la propria definizione di gioco, ovvero una attività
essenzialmente:
libera, volontaria, fonte di gioia e divertimento: essere “obbligati” a giocare
sarebbe un controsenso, il gioco perderebbe la sua funzione intrinseca di
divertimento;
separata: il gioco ha un proprio spazio, è circoscritto in precisi limiti di
tempo, è separato dal resto dell’esistenza;
incerta: non è possibile sapere in anticipo il risultato finale, ne lo
svolgimento della stessa; è inevitabile che venga lasciata enorme libertà ai
giocatori di determinarne l’esito;
improduttiva: come già descritto, lo svolgimento del gioco non crea nuove
ricchezze ma semplicemente sposta quella originaria di alcuni giocatori nelle
mani di altri;
regolata: il gioco è composto da regole proprie, diverse dalle leggi ordinarie,
che tutti devono, per il tempo di gioco, rispettare;
fittizia: i giocatori sono consapevoli di far parte di una realtà diversa dalla
solita o, detto in altri termini, di un contesto irreale rispetto alla vita
normale.
Del gioco si è occupato anche Mongardini che, nel suo testo, Saggio sul gioco, lo
esalta: questo rappresenta la migliore espressione di libertà per l’uomo, un modo
per semplificare la complessità della vita quotidiana. Il gioco si avvicina, dal punto di
vista psicologico, ad altre esperienze come il viaggio e l’avventura
8
perché in queste
il soggetto rivendica la propria libertà contro la costrizione del tempo, dello spazio e
del valore. Nel gioco l’uomo riproduce aspetti della sua vita ma con delle finzioni
che alterano la realtà; egli riesce attraverso il gioco a lasciarsi dietro le sue
6
Anzi, Caillois sostiene che il gioco a fine di lucro è sempre improduttivo in quanto la somma delle
vincite di alcuni giocatori è uguale alla somma delle perdite degli altri; inoltre questa somma spesso
è addirittura inferiore, considerando le spese generali, le tasse e i proventi del gestore.
7
“C’è spostamento di proprietà, ma non produzione di beni.” (R. Caillois, I giochi e gli uomini. La
maschera e la vertigine. 1981, Fabbri – Bompiani, Sonzogno, ETAS)
8
Concetto ripreso più tardi anche da Delbecchi, il quale spiega che gli uomini vivono il gioco
semplicemente perché gli offre loro la possibilità di vivere una avventura
9
IL GIOCO D’AZZARDO
preoccupazioni per il tempo limitato di gioco: l’uomo è consapevole della sua
finzione, della sua durata temporanea, di quelle regole che se infrante
cancellerebbero il gioco stesso. Egli critica i sociologi che hanno dedicato pochissima
attenzione al gioco che invece, se studiato con la giusta attenzione, rivela molti
aspetti interessanti della vita umana: “[e]sso è la forma stessa della socialità e un
elemento essenziale di tutti i processi sociali” (Mongardini, 1989). L’uomo entra
molto frequentemente nel mondo fittizio del gioco per alleggerire, se non proprio
saltare, la realtà: nel gioco l’individuo è più distante da essa e al tempo stesso più
rilassato perché sa di agire in un mondo fittizio dove il risultato ottenuto dipende
solamente dalla sua abilità nel gioco stesso. L’adulto non solo gioca per alleggerire
la pressione della realtà ma anche per appropriarsi simbolicamente di una realtà
che altrimenti gli il resterebbe estranea: questa ipotetica capacità e voglia di
controllare la realtà tramite il gioco crea euforia nell’individuo.
2.1.3. Classificazione dei giochi
Volendo trattare una divisione dei giochi non si può non richiamare nuovamente
Caillois il quale è, ancora oggi, citato dai molti autori che scrivono di gioco
d’azzardo, in quanto è sua la più famosa classificazione dei giochi in quattro
categorie principali:
Agon. Rappresenta la competizione e vi rientrano giochi come il calcio, le
biglie, la dama, gli scacchi, giochi dove gli individui partono da condizioni
paritarie di partenza e l’esito finale dipende solo e unicamente dalle loro
abilità. Colui che vince, vi riesce solo ed esclusivamente per propri meriti
personali, perché non possono essere presenti fattori esterni (il caso ad
esempio) che hanno condizionato la prestazione vincente.
Alea. È la parola latina che indica il gioco dei dadi il quale simboleggia il
dominio della fortuna: con questa parola vengono designati tutti quei giochi
dove non conta alcuna abilità, nei quali si effettua uno scontro col destino.
“L’agon è una rivendicazione della responsabilità personale, l’alea un
abdicazione della volontà, un abbandono al destino” (Caillois, 1981). Mentre
nei giochi di abilità il denaro posto in palio viene vinto da colui che dimostra
maggiore destrezza, professionalità, allenamento in quel dato gioco, l’alea
10
Tendenze evolutive nel settore delle scommesse con premi in denaro: una
indagine esplorativa sul segmento giovanile
non permette di guadagnare denaro ai più intelligenti ma, al contrario,
elimina ogni abilità superiore e pone tutti i giocatori uguali “di fronte al cieco
verdetto della sorte”.
9
Mimicry. Parola inglese che indica il mimetismo, indica che è possibile
attraverso il gioco costruirsi dei personaggi illusori, immaginari e
comportarci di conseguenza: il soggetto si immedesima in un personaggio,
spesso attraverso un travestimento, abbandona momentaneamente la
propria realtà per accedere a un'altra fittizia, facendo credere a tutti gli altri
di essere qualcun altro.
10
Ilinx. Giochi che si basano sulla ricerca della vertigine, attraverso i quali si
vuole momentaneamente distruggere la stabilità della percezione e far
cadere nel panico la propria lucida coscienza: “si tratta di accedere a una
specie di spasmo, di trance o smarrimento che annulla la realtà con
vertiginosa precipitazione”.
2.1.4. Il gioco d’azzardo
Marina D’Agati, autrice di varie pubblicazioni sul gioco d’azzardo, critica la
contrapposizione classica basata sull’antinomia alea/agon teorizzata da Caillois in
quanto ritiene che sia preferibile intendere queste due tipologie come “poli”
estremi di un continuum nel quale si susseguono giochi d’azzardo con diversi gradi
di alea e abilità (agon): in effetti, fa notare l’autrice, esistono giochi d’azzardo
dipendenti esclusivamente dalla sorte (alea), mentre non ne esistono di abilità pura
in quanto è sempre presente, anche se in minima parte, la fortuna.
In realtà c’e da fare una precisazione che riabiliterebbe la visione puramente
dicotomica proposta da Caillois: egli infatti fa riferimento a una classificazione dei
giochi in generale, non dei giochi d’azzardo. Considera nella categoria dei giochi di
abilità pura la dama e gli scacchi che non sono giochi basati sull’azzardo.
9 Agon e Alea sono due concetti diametralmente opposti ma che permettono entrambi di creare una
condizione artificiale di perfetta uguaglianza dei giocatori, almeno in partenza: artificiale perché
nulla nella vita reale è certo, tanto meno le probabilità o i meriti, mentre invece nel gioco sia che si
tratta di fortuna, sia che si tratta di abilità, inizialmente si parte da una condizione di uguaglianza
valevole per tutti i giocatori.
10
Questa è la categoria di gioco che più si avvicina alla definizione data da Huizinga.
11
IL GIOCO D’AZZARDO
D’altronde non sarebbe potuto essere altrimenti visto che per definizione del nostro
codice penale all’articolo 721“[…] sono giuochi di azzardo quelli nei quali ricorre il
fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria”
11
.
Per poter parlare di gioco d’azzardo quindi, secondo la legge italiana, è necessario il
concorso di due elementi: la vincita o la perdita del gioco deve dipendere, in tutto o
in parte, dal caso e il gioco deve essere praticato con finalità di lucro da parte dei
giocatori.
Secondo D’Agati, l’abilità non darebbe origine a una categoria propria di giochi
d’azzardo ma semplicemente sarebbe un attributo che, in modo variabile e a
seconda del gioco, attenuerebbe la componente aleatoria del gioco. Il loro
frequente combinarsi “impone la rinuncia a una distinzione netta tra esse, ma non
la rinuncia a ogni forma di distinzione” (Cardano, 2003). Questa operazione è
ottenibile attraverso la “teoria degli insiemi sfuocati” che permette di esprimere sia
l’appartenenza in forma “forte” di un gioco a una categoria, sia forme “deboli” di
appartenenza, sia, infine, forme di appartenenza multipla secondo la quale un
determinato gioco presenta simultaneamente caratteristiche di entrambi le
categorie
12
.
Ipotizzando quindi un continuum con ai due estremi i poli “abilità pura” e
“aleatorietà pura”, con in mezzo varie forme ibride che combinano le due
componenti, avremo quattro categorie di giochi d’azzardo, escludendo una
ipotetica quinta categoria riguardante l’abilità pure che, come abbiamo già detto,
non può esistere in questo contesto (D'Agati, 2005):
Giochi con alto grado abilità, nei quali il giocatore è in grado di influenzare il
risultato. Il poker è l’unico gioco d’azzardo che può rientrare in questa
categoria: non si può far riferimento all’abilità pura perché in ogni caso parte
del risultato dipende dalle carte distribuite dal dealer, anche se poi
11
Codice Penale italiano, Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, testo vigente.
12
“Nella teoria degli insiemi sfuocati l’appartenenza del generico elemento x all’insieme sfuocato A è
espressa da una funzione continua i cui valori sono compresi nell’intervallo tra 0 e 1. Per l’elemento x
un valore di appartenenza ad A pari a 0 indica che x non gode per nulla delle proprietà che
definiscono A; un valore d’appartenenza pari a 1 indica che x gode integralmente di tali proprietà.
Valori d’appartenenza intermedi indicano, intuitivamente, l’intensità della relazione di affinità tra x e
A” (M. Cardano, Tecniche di ricerca qualitativa. Percorsi di ricerca nelle scienze sociali. 2003, Roma,
Carocci)
12
Tendenze evolutive nel settore delle scommesse con premi in denaro: una
indagine esplorativa sul segmento giovanile
successivamente a questo entra in gioco l’abilità del giocatore nello sfruttare
quelle date carte
13
.
Giochi con grado di abilità medio, nei quali il giocatore sceglie il risultato
(presunto) più probabile. Vi rientrano le scommesse ippiche e sportive, il
Totocalcio, il Totogol: attraverso conoscenze e informazioni tecniche sulle
squadre di calcio, oppure sullo stato di forma dei cavalli, i giocatori sono in
grado di mettere in mostra un certo grado di abilità
14
.
Giochi con grado di abilità basso, nei quali il giocatore deve essere bravo
semplicemente a gestire il gioco: conoscenza delle regole, allenamento,
ripetute esposizione a simili decisioni problematiche. Ne è un esempio il
Black Jack.
Giochi con nessun grado di abilità, ovvero di alea pura, nei quali il giocatore
non ha nessuna possibilità di prevedere ne influenzare il risultato
dell’evento
15
(Nisbett, et al., 1989) (Elster, 1989). Rientrano in questa
categoria il Bingo, le lotterie nazionali e istantanee, il SuperEnalotto, la
Roulette.
13
Ricevere 7 e 2, la mano più debole, in partenza, in un tavolo “sit&go” di texas hold’em, e ricevere
coppia di assi, al contrario la mano più forte, dà statisticamente probabilità molto diverse di vittoria
finale. Ovviamente i giocatori non influiscono sulla distribuzione delle carte del dealer, di
conseguenza questa è alea pura; successivamente entrano in gioco le tecniche e l’abilità dei
giocatori, in grado anche di ribaltare le probabilità di vittoria originarie. “[…] l’esperienza e la bravura
eventuali del giocatore nelle strategie da mettere in atto e nelle mosse consentite sono sempre
successive alla definizione dello scenario fortuito (ad esempio, la distribuzione del mazzo di carte o il
lancio dei dadi)” (M. D’agati, Giocare d’azzardo. Rituali e credenze tra incanto e disincanto, 2005,
Torino, Librerie Stampatori)
14
Basti pensare alle interviste effettuate da D’Agati e riportate nel suo libro nei quali i giocatori di
Totocalcio che si definiscono “seri” e “assidui” si guardano tutte le partite in televisione, studiano le
formazioni, studiano i precedenti tra le squadre, etc.
15
Si fa riferimento ai concetti di “fallacia di Montecarlo” o “fallacia del ritardo”, descritta da Nisbett
e Ross e da Elster, e alla “illusione del controllo” teorizzata da Langer. Nel primo caso si fa
riferimento alla applicazione del calcolo delle probabilità dove questo non può essere usato, come
nei giochi di alea pura. Il secondo aspetto si riferisce ai giocatori che si illudono di poter controllare o
incidere sull’esito di un gioco quando ciò non è possibile: questi accedono a un mondo di credenze
magico – mistiche composto da pratiche oniriche, numerologiche e superstiziose e dominate da
“esperti” lottologi e maghi che, a pagamento, effettuano calcoli statistici probabilistici sull’uscita dei
numeri ritardatari e studi sui concorsi passati. Questi puntano sulla ignoranza in materia dei giocatori
e sulla loro voglia di vincere al gioco, mettendo a punto una vera e propria truffa.
13
IL GIOCO D’AZZARDO
FIGURA 1: LE DIVERSE CATEGORIE DI GIOCO D'AZZARDO
Tanti altri autori hanno trattato il tema del gioco d’azzardo cercando di darne
ognuno una propria definizione.
Secondo Ladouceur i giochi d’azzardo per essere tali devono presentare tre
condizioni fondamentali (Ladouceur, et al., 2000)
1. il giocatore deve scommettere del denaro o un oggetto di valore;
2. questa scommessa una volta giocata non può essere più ripresa;
3. l’esito del gioco dipende dal caso
Dickerson sottolinea come la definizione di questa tipologia di giochi è ora troppo
allargata ora troppo ristretta: la si usa per indicare il coinvolgimento in qualsiasi
situazione dall’esito imprevedibile e passibile di rischio, mentre altre volte la si
utilizza in senso restrittivo per indicare i soldi giochi praticati nei casinò o nelle
attività clandestine. Come spesso accade la definizione migliore è nel mezzo: i giochi
d’azzardo sono quelle forme ludiche dove la posta che viene vinta è in denaro, cioè
quelle forme tipiche di gioco che sono “commercializzate” (Dickerson, 1993).
La definizione di questi giochi era già presente nell’enciclopedia inglese, la
Encyclopedia of the Social Sciences, fin dagli anni ’30 e moltissimi autori a partire da
quegli anni diedero il proprio contributo fornendo delle definizioni che possono
essere così riassunte: il gioco d’azzardo è un processo nel quale due o più soggetti si
accordano e si impegnano, volontariamente e reciprocamente, a cedere una posta a
seconda del risultato di un evento futuro il cui esito è incerto (Devereux, 1968;
Stocking, 1934; Kusyszyn, 1984).
14
Tendenze evolutive nel settore delle scommesse con premi in denaro: una
indagine esplorativa sul segmento giovanile
Anche nella Enciclopedia Treccani è presente una esauriente definizione del gioco
d’azzardo
16
: “Attività ludica in cui ricorre il fine di lucro e nella quale la vincita o la
perdita è in prevalenza aleatoria, avendovi l'abilità un'importanza trascurabile. Ne
esistono svariati tipi, dai più antichi, come il gioco dei dadi (azzardo deriva
dall'arabo az-zahr, che significa dado), a quelli più recenti effettuati con apparecchi
automatici o elettronici. Possono dar luogo a una condizione patologica di
dipendenza consistente nell'incapacità cronica di resistere all'impulso al gioco, con
conseguenze anche gravemente negative sull'individuo stesso, la sua famiglia e le
sue attività professionali.”
17
Croce, insieme ad altri autori scrisse che il gioco d’azzardo ha anche la funzione di
sperimentare emozioni, la possibilità di creare una parentesi artificiale rispetto alla
propria vita reale dove potersi immergere e mettersi alla prova (Croce, et al., 2001);
è uno spazio simbolico che permette di rompere la routine della vita quotidiana con
un risultato imprevedibile, di aprire una parentesi con l’illusione di poter controllare
la realtà mettendosi di fatto alla prova (Croce, 2002).
Non si possono dimenticare infine le definizioni di Thomas con la quale si apre il
lavoro, “[i]l gioco d’azzardo è un impulso congenito in dotazione al corredo
biologico di entrambe le specie, animale e umana”, e quella di Caillois secondo il
quale i giochi d’azzardo sono “giochi umani per antonomasia” nelle quali entrambi
sottolineano il legame indissolubile e originario che esiste tra l’uomo e il gioco
basato sull’aleatorietà.
2.1.5. Classificazioni dei giochi d’azzardo
Alcuni autori, oltre che darne una definizione, hanno posto l’attenzione anche su
come differenziare i giochi d’azzardo. Nel capitolo 6.2 è descritta l’attuale
distinzione in otto segmenti di gioco, ma nel tempo gli autori hanno descritto i vari
segmenti di gioco in modo non sempre eguale.
Guerreschi risolve la questione in maniera molto semplice dividendo i giochi tra
quelli praticati dentro i casinò e quelli fuori (Guerreschi, 2000).
16
Nel proprio scritto, l’autrice Marina D’Agati, esalta le definizioni presenti nell’Enciclopedia delle
Scienze Sociali inglese sottolineando, erroneamente, come non ci sia una analoga definizione
nell’enciclopedia italiana
17
www.treccani.it
15
IL GIOCO D’AZZARDO
Imbucci ne individua quattro tipologie: i giochi di recinto, fruibili solo in specifici
ambiti come i casinò; i giochi pubblici offerti dallo Stato e dai suoi concessionari; il
gioco privato, quello che avviene tra privati cittadini in case private; quello
clandestino, ovvero illegale (Imbucci, 1999).
Izzo anche ne individua quattro tipologie – giochi da casinò, con le carte, con i dadi
e altri giochi da casinò – ma la sua differenziazione appare alquanto imprecisa, visto
che molti giochi, come molti giochi di carte e gli stessi dadi, potrebbero appartenere
a più categorie da lui elencate. (Izzo, 1998)
Una divisione molto più semplice è quella operata da Bergler, il quale pone ai due
estremi i giochi di puro azzardo (Roulette, dadi, etc.) e i giochi di ragionamento
puro, quindi non d’azzardo (come gli scacchi) per porre in mezzo i giochi nei quali
azzardo e abilità si combinano in percentuali diverse: poker, bridge, corse dei
cavalli, etc. (Bergler, 1974).
2.2. BREVE STORIA DEL GIOCO D’AZZARDO
Appare utile accennare gli aspetti salienti che hanno caratterizzato il gioco
d’azzardo dalla sua nascita ad oggi.
La parola “azzardo” deriva dal francese “hasard” che a sua volta proviene dall’arabo
“zarah” che significa dado. Proprio il gioco dei dadi infatti rappresenta il primo gioco
d’azzardo della storia anche se è impossibile datarne l’origine con precisione visto
che sono parte integrante della cultura di ogni popolo. Si hanno notizie di
scommesse sui giochi d’azzardo fin dal 4000 a.C. in paesi come l’antico Egitto, la
Cina, l’India e il Giappone: antichissimi manoscritti testimoniano forti scommesse
sul gioco dei dadi e sulle corse dei carri, “ma è lecito pensare che i giochi d’azzardo
siano nati quasi contemporaneamente all’umanità stessa” (Guerreschi, 2000). Lo
stesso Huizinga specifica come l’homo faber avesse al contempo una parte ludens
intrinseca fin dalla sua nascita e come addirittura la cultura fosse nata
contemporaneamente se non dopo al concetto di gioco (Huizinga, 2002). Anche
Caillois non esita nel dire che il gioco è un concetto intrinsecamente legato
all’umanità stessa: “Solo la mente umana, infatti, è stata in grado di concepire
16
Tendenze evolutive nel settore delle scommesse con premi in denaro: una
indagine esplorativa sul segmento giovanile
giochi che, anziché basarsi sull’abilità o sulla particolari caratteristiche fisiche di un
elemento, si basassero esclusivamente sul caso” (Caillois, 1981).
Nel corso dei secoli e con il progredire della storia umana i giochi d’azzardo hanno
cominciato a diffondersi e a entrare nel tessuto sociale ed economico di molti paesi.
Fra I giochi “moderni”, il primo di cui si hanno notizie certe è la scommessa ippica,
tra il XII e XIII secolo, mentre nel XVI secolo in Italia e in Inghilterra vengono
introdotte le prime lotterie.
La ricostruzione storica delle vicende legate all’evoluzione e diffusione della lotteria
in Italia, per la precisione a Venezia, la si deve allo storiografo della Serenissima
Repubblica Marin Sanudo che, grazie alla sua raccolta scrupolosa, ci ha tramandato
una impressionante quantità di dati e informazioni (Imbucci, 1999). Alla luce di tali
elementi, si ritiene che la prima lotteria italiana sia stata promossa a Venezia, il 18
Febbraio 1522 (Fiorin, 1997) ad opera di tale Girolamo Bambarara, uno
straccivendolo, che dava la possibilità di giocare a chi voleva “vadagnar metendo
poco cavedal a fortuna
18
” (Sanudo, 1879 - 1903). La settimana seguente Sanudo
annotava nei suoi Diarii che l’attesa per questa forma primitiva di lotteria era
sempre maggiore e che si mettevano in palio beni sempre più preziosi: tessuti
pregiati, ambre, perle. Per questo motivo le autorità cominciarono a prestare
attenzione al fenomeno crescente controllando che le estrazioni siano regolari. Ma
già il 28 Febbraio la situazione appariva ormai inaccettabile e fuori controllo, così le
autorità vietarono la lotteria, pena multa e reclusione. Ma il 7 Marzo lo stesso
governo a indisse un grande lotto mettendo in palio gioielli per un valore di 32 mila
ducati oltre a tessuti e denaro contante. Il divieto era una premessa al monopolio:
lo Stato aveva capito subito le potenzialità del gioco e si era fatto unico titolare
dello stesso. Lo stesso Sanudo scriveva nelle sue annotazioni che “atento il bisogno
dil denaro
19
” da parte dello Stato per via delle grandi spese in termini di politica di
terraferma e per la lotto con il Turco. Del resto le stesse motivazioni finanziarie
erano all’origine del gioco del lotto di Genova.
Dopo altre 2 lotterie nel mese di Marzo, Aprile e Maggio, la Serenissima decise di
cambiare politica, non gestendo più direttamente la lotteria ma affidandola a privati
18
Guadagnare mettendo puntando denaro sulla sorte.
19
Sottolinea che lo Stato aveva bisogno di denaro.
17
IL GIOCO D’AZZARDO
i quali versavano subito il corrispettivo dei premi stabiliti curando poi lo
svolgimento del gioco come da accordi.
Le lotterie continuavano costanti, lo Stato era riuscito a mettere sotto controllo un
fenomeno che poteva diventare pericoloso e al tempo stesso aveva trovato il modo
per poterci lucrare sopra. Il Sanudo esprimeva i dubbi su questo gioco, specificando
che lui non ci aveva mai giocato perché lo vedeva come una cosa illecita e da baro
20
.
Turbamenti che lo Stato non ha mai avuto, così come ripensamenti legati all’etica e
la morale: d’altronde, se pensiamo che una delle prime vincitrici della lotteria
veneziana era una monaca di un convento, si capisce presto come qualsiasi dubbio
di tipo moralistico non ci sia mai stato.
Sempre nel XVI Secolo si possono rinvenire le origini del gioco del lotto: il
matematico Benedetto Gentile nel 1575 ne illustrava la struttura che sembra
derivare dal cosiddetto “gioco del Seminario” assai diffuso a quel tempo presso la
Repubblica genovese per l’elezione a sorteggio dei membri del Maggior Consiglio
della Repubblica (Imbucci, 1997). Tra i nomi dei 120 candidati (i cosiddetti “padri”),
messi in una urna, ne venivano estratti a sorte cinque ogni sei mesi. In seguito però i
padri vennero diminuiti a novanta, ognuno contrassegnato da un numero d’ordine:
nacque così la pratica di estrarre cinque numeri su novanta disponibili, proprio
come ancora si usa fare oggi per le estrazioni del Lotto.
Il gioco venne legalizzato nel 1735, sempre a Genova, con il nome di “gioco delle
zitelle” in quanto era una lotteria pubblica i cui proventi erano destinati alla
costituzione della dote per le ragazze meno abbienti. Da quel momento il gioco si
diffuse nelle maggiori città della penisola: a Napoli, Milano, Venezia, Torino e Roma
(Macry, 1997). Nel tempo si manifestarono ripetuti tentativi di censura con editti
(anche ecclesiastici) che bloccavano il gioco seguiti da altrettanti provvedimenti che
lo ripristinavano nel momento in cui risorgeva spontaneamente. Ed è così,
riuscendo a rigenerarsi sempre nel corso dei secoli, che si è tramandato, nella sua
formula intatta e originaria, fino ai giorni nostri.
20
“A tal lothi io Marin Sanudo fin quì non ho voluto risegar alcun denaro, perché parmi esser cosa
inlicita et forsi potria esse bararia”. (M. Sanudo, I Diarii, a cura di R. Fulin e altri, Venezia 1879 –
1903)
18
Tendenze evolutive nel settore delle scommesse con premi in denaro: una
indagine esplorativa sul segmento giovanile
Tra il Settecento e l’Ottocento Napoli divenne la capitale del Lotto il quale viene
definito dalla scrittrice Matilde Serao “acquavite” di Napoli, una sorta di droga per
sopravvivere (Strazzullo, 1987). La Serao spiegava che “il lotto è il largo sogno che
consola la fantasia napoletana” (Serao, 2000), un qualcosa che infonde speranza nei
napoletani che ogni settimana si indebitano, impegnano i capi di biancheria migliori
per comprarsi un biglietto del lotto; il dispiacere più grande per un napoletano,
aggiungeva l’autrice, non era di non aver mangiato, ma di non essere riuscito a
comprarsi un biglietto del lotto. Ancora oggi Napoli è tra le città italiane dove il
gioco del lotto è maggiormente diffuso.
Come già in parte anticipato precedentemente, gli atteggiamenti delle autorità civili
e religiose si alternarono tra permissivismo e proibizionismo, eternamente
condizionate da un fenomeno pericoloso ma troppo vantaggioso per le casse dello
Stato. Anche i letterati presero posizione: Dante Alighieri nell’undicesimo canto
dell’Inferno (vv. 40 – 45) scriveva: “Puote omo avere in sé man vïolenta/ e ne’ suoi
beni; e però nel secondo/ giron conviene che sanza pro si penta/ qualunque priva sé
del vostro mondo,/ biscazza e fonde la sua facultade,/ e piange là dov’esser dé
giocondo”
21
(Alighieri, 1960). Dante equiparava la frequentazione delle bische e il
dissipamento del proprio patrimonio alla violenza effettuata su se stessi o sugli altri:
chi si macchia di queste colpe è condannato a pentirsene inutilmente nel secondo
girone, quello dei lussuriosi. Torquato Tasso, nel XVI Secolo disse “Azzardo.
Ben gioco è di fortuna audace e stolto/Por centra il poco e incerto il certo e il
molto” (Ferrazzi, 2010): egli spiegava che il gioco d’azzardo è un gioco basato sulla
fortuna, rischioso e caro agli stolti perché contrappone ciò che è poco e incerto con
ciò che invece è certo e di grande quantità. Il 10 Dicembre 1513 Niccolò Machiavelli
scrisse una lettera al suo amico Francesco Vettori durante il suo periodo di esilio a
Sant’Andrea in Percussina, nella quale descriveva la propria giornata: egli parlava
del proprio pomeriggio passato a giocare a carte cercando di immedesimarsi nei
giocatori d’azzardo, così da diventare canaglia anch’esso e scorretto per il guadagno
di qualche soldo (Machiavelli, 1963). Machiavelli esprimeva un giudizio totalmente
negativo del gioco e dei giocatori d’azzardo, evidenziando come questo gioco
21
L’uomo può essere violento contro se stesso o contro i propri beni; quindi conviene che si penta
inutilmente nel secondo girone. Chiunque si suicida, frequenta le bische e dissipa il proprio
patrimonio piange lì dove dovrebbe essere lieto (nel mondo)
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IL GIOCO D’AZZARDO
rappresentasse, in piccola scala, la vita politica nella quale Machiavelli, attraverso
tattica e pratiche talvolta scorrette, cercava di guadagnare qualcosa.
Nel 1657 il filosofo Blaise Pascal inventò la Roulette, anche se già nel medioevo
esistevano giochi basati sul giro della ruota che alla fine identificavano un numero
vincente. Fu del 1895 l’invenzione delle prime slot machine, ad opera
dell’americano Charles Fay, mentre nello stesso periodo, parallelamente alla nascita
delle prime squadre di calcio, nacquero le prime scommesse sul calcio, antenate
delle scommesse sportive.
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Tendenze evolutive nel settore delle scommesse con premi in denaro: una
indagine esplorativa sul segmento giovanile
3. INQUADRAMENTO FENOMENOLOGICO E SOCIOLOGICO
3.1. PERCHÉ SI GIOCA?
“In un modo o nell’altro tutti giochiamo. Non ha importanza che correre un rischio
vi sembri o meno una cosa riprovevole; nella vita succede a tutti, continuamente”
(Willans, 1996).
Huizinga, nel 1938, spiegava che l’homo ludens, l’uomo che gioca, è contraddistinto
da una funzione umana fondamentale, il gioco, e che per questo motivo la sua
definizione possa essere accostata, con pari rilevanza, a quella di homo sapiens e
homo faber (Huizinga, 2002; Tettamanzi, 2002): perché, se è vero che l’uomo è
caratterizzato dal suo sapere, dalla sua intelligenza e dalle sue attività, non si può
negare che da sempre l’uomo gioca. Il concetto di gioco è addirittura antecedente
rispetto a quello della cultura, in quanto questa prevede, per esistere, una
convivenza umana, mentre gli animali, che fin dalla loro esistenza giocano, “[…] non
hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare” (Huizinga, 2002). Al
contrario l’uomo non avrebbe aggiunto nessuna caratteristica peculiare al concetto
stesso di gioco, proprio perché gli animali giocano allo stesso modo degli uomini,
riproponendone tutte le caratteristiche essenziali (ibidem).
Appare chiaro quindi che il gioco è innato nell’uomo ma questo non significa che
esso assolva semplicemente a funzioni meramente biologiche o fisiologiche, perché
vorrebbe dire sminuirne l’importanza. Il gioco è una funzione umana che contiene
un suo senso, ognuno ha un suo significato peculiare. Psicologi, sociologi e altri
studiosi cercano di capire questi significati e il ruolo che il gioco ricopre nella vita
delle persone: si gioca, secondo loro, per puro gusto di imitazione, per rilassarsi, per
allenare l’autocontrollo e per molte altre motivazioni che però lasciano intendere il
gioco come “strumentale”, come una attività svolta sempre in funzione di un’altra.
Questo è invece un concetto assoluto, in grado di essere fine a se stesso, slegato da
qualsiasi grado di civiltà; la realtà del gioco è un qualcosa che si estende al di sopra
del mondo umano e animale, è irrazionale “poiché il fatto che sia basata sulla
ragione la limiterebbe al mondo umano” (Huizinga, 2002). Il gioco è un qualcosa di
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INQUADRAMENTO FENOMENOLOGICO E SOCIOLOGICO
innegabile: si possono negare tante astrazioni come la bellezza, la verità, Dio, ma
non il gioco (ibidem).
Angela Willans (Willans, 1996), con riferimento alla forma di gioco d’azzardo, è dello
stesso parere di Huizinga, convinta che la condizione di giocatore d’azzardo sia
innata nell’uomo, dato che in ogni momento della vita e in ogni età egli affronta il
rischio e la sorte: i bambini scommettono su ogni cosa sia loro possibile cercando di
porre una posta in gioco per ogni loro divertimento; lo stesso fanno gli adulti che
non riescono a concepire come interessante e divertente un gioco se questo non
comporti il rischio, il ricorso alla fortuna e una possibilità di vincita in denaro.
Zola invece riteneva che l’uomo gioca per incanalare le frustrazioni della vita che
potrebbero diventare distruttive e per condividere i successi e i valori della classe
media, altrimenti irraggiungibili (Zola, 1963).
Entrando nello specifico, le motivazioni che spingono gli individui a giocare
d’azzardo sono ricollegabili al desiderio di vincere denaro, di una vita sociale
migliore, di vincere la noia e provare euforia (Willans, 1996).
3.1.1. Denaro
Il movente economico è sicuramente tra le motivazioni principali che spingono a
giocare d’azzardo (Devereux, 1968), in quanto si ritiene che non sia di certo il
risparmio a determinare la via di uscita dalle ristrettezze economiche ma che lo sia
soltanto una grande vincita al gioco (Zola, 1963). Tec analizzando i giocatori di
totocalcio in Svezia aveva notato che questi più degli altri sono interessati a
migliorare le loro prospettive di lavoro e che sono più insoddisfatti del loro salario
rispetto a chi non gioca: pensavano al Totocalcio come modo per migliorare il
proprio tenore di vita (Tec, 1964).
La maggior parte degli individui è convinta che scommettere sia una tecnica per
arricchirsi in maniera, apparentemente, molto semplice: giocare due numeri al
lotto, grattare con una moneta un gratta e vinci è tecnicamente semplicissimo, ma è
statisticamente molto complicato riuscire a vincere. È per questo motivo che la
maggior parte dei giocatori abituali sono “a bagno” (Altavilla, 1963) ovvero in
perdita, ma ciononostante credono, ogni volta, che la puntata successiva a quella