7
Un primo intervento per aiutare le donne nelle doppie mansioni è
stato l’introduzione del part-time, il quale però si è rivelato spesso un
ulteriore modo per le aziende di regolare la quantità di lavoro necessaria.
La cultura organizzativa influisce sull’utilizzo e sulla gestione del
tempo perché è dalla presenza di determinati valori di base, ad esempio la
valorizzazione delle differenze di genere o della stessa maternità, che
discendono le azioni e gli interventi più o meno family friendly.
Certo, le decisioni variano anche a seconda del settore economico di
riferimento.
In particolare, nel settore del commercio si è assistito negli ultimi anni
ad un allargamento dell’offerta complessiva dei servizi, che ha quindi
avuto come conseguenza la necessità di un ampliamento dell’orario di
lavoro, soprattutto nelle strutture più grandi, ovvero dove i guadagni
possono effettivamente risultare superiori ai costi.
I centri commerciali rappresentano quindi uno dei luoghi dove risulta
maggiormente difficile la gestione degli impegni privati a causa sia di un
orario molto ampio, che richiede una gestione dei turni molto flessibile per
poter coprire la totalità dell’apertura, che del lavoro domenicale, che
potrebbe essere vissuto come un disagio per il tempo che viene tolto alla
famiglia o, più in generale, alle relazioni.
L’argomento sviluppato nella tesi trova origine nei recenti
avvenimenti politici, economici e sociali, che hanno coinvolto il comparto
del commercio in regione.
Tale settore è inserito in una cornice nazionale contraddistinta da un
atteggiamento molto favorevole nei confronti della liberalizzazione
dell’orario di apertura, come molla per lanciare il paese verso una
competizione internazionale sempre più caratterizzata da una presenza
massiccia di grandi gruppi e catene distributive.
L’interesse è sorto dalla serie di proteste che hanno coinvolto i
lavoratori di questa regione, a causa del recepimento della normativa
Bersani con il Testo Unico del Commercio regionale del 2005.
8
Dando uno sguardo nel web, vi sono alcuni blog dove i lavoratori di
questo settore lamentano un peggioramento delle condizioni lavorative, a
causa del personale insufficiente a coprire l’orario di apertura.
Quello che però viene chiesto ai dipendenti, è uno sforzo che non è
sempre detto sia indifferente. Riprendendo la questione della flessibilità
oraria, non è così scontato che basti lavorare lo stesso numero di ore a
settimana per gestire impegni e famiglia; turni molto ampi e complessi
possono richiedere ai dipendenti di convivere con una flessibilità a volte
pesante da sopportare, specie nel caso in cui tali turni cambino troppo di
frequente.
Il primo capitolo, dunque, si occupa del rapporto tra tempo e società.
Le società contemporanee sono caratterizzate da una certa
complessità, in quanto gli individui fanno parte di una serie di istituzioni
diverse tra loro, ognuna delle quali richiede la sua porzione di tempo.
Il tempo è un fatto sociale, e come tale si contrappone alla
dimensione individuale producendo la condizione della scarsità del tempo,
tanto più faticosa da sopportare perché il tempo creato dai gruppi presenta
anche differenze qualitative, in quanto portatore di significati. Un limite
della sociologia è stato il non aver mai considerato la dimensione
individuale nella creazione della temporalità.
Questo si è ripercosso anche nella conflittualità temporale tra
individuo e azienda; il non tenere conto che anche l’individuo può avere
una sua scansione temporale, porta le istituzioni economiche a “imporre”
sempre di più degli orari molto flessibili, perché viene privilegiata l’ottica
interna di tempo, che deve quindi seguire il ritmo della produzione.
E’ difficile che le aziende cerchino autonomamente delle soluzioni
conciliative in quanto, spesso, la cultura organizzativa non lo permette.
Nel secondo capitolo viene riassunto l’andamento dell’orario di lavoro
verso la flessibilità.
Quest’ultima coinvolge sempre più lavoratori ma è caratterizzata da
una certa autonomia degli orari solo per alcuni settori dell’economia. Ad
9
esempio nel commercio la flessibilità di entrata e di uscita viene decisa
solo dalla dirigenza dell’azienda.
Nel terzo capitolo viene presentato l’approccio work-life balance,
ovvero un modo di regolare l’orario che tenga conto delle esigenze
variabili delle persone, e soprattutto del fatto che queste possono mutare
di frequente, a seconda dei cambiamenti lungo il corso della vita. Vengono
descritte anche le difficoltà principali che si vivono oggi in Italia e in
Europa nella conciliazione degli impegni familiari e lavorativi.
Nel quarto capitolo, invece, vengono analizzati gli aspetti principali
dell’andamento del commercio, e quali sono le caratteristiche che rendono
più difficoltosa l’applicazione dei principi del work-life balance.
In particolare, si è incentrato il focus sugli effetti del lavoro
domenicale, data la novità della tematica.
Nel quinto capitolo vengono quindi presentati i risultati delle interviste
alle dipendenti dei centri commerciali. Sono state intervistate dipendenti
impegnate in punti di vendita di dimensioni diverse, per avere una visione
più ampia dei differenti tipi di gestione dei turni.
10
CAPITOLO 1
TEMPO E LAVORO
1. Il rapporto tra tempo e lavoro nelle società
contemporanee
Il tempo ha assunto diverse funzioni all’interno delle società
susseguitesi nel corso della storia. La sua funzione principale è stata
sicuramente quella di orientamento all’interno di una sequenza di eventi
naturali e sociali, ovvero l’aver permesso alle persone di distinguere tra
ordine e contemporaneità dei fatti.
E’ però presente anche una seconda funzione: quella di
coordinamento ed integrazione tra le istituzioni sociali.
1
La scansione del tempo si è, infatti, trasformata seguendo
l’evoluzione delle società, e in particolar modo la crescita dell’esigenza di
sincronizzare e coordinare le attività umane; questo bisogno si è
intensificato nei secoli a mano a mano che progrediva la differenziazione
dei ruoli sociali e che cambiavano i modi di produzione.
Gli individui, quindi, sono stati condizionati da questi eventi sociali
nell’organizzazione delle proprie azioni e della propria quotidianità, in
particolare “rubando” momenti al tempo dedicabile all’istituzione-famiglia,
per poter svolgere altri compiti.
La temporalità delle famiglie, oppure, utilizzando un’altra definizione,
l’”economia”
2
del tempo familiare, ha quindi subito molte interferenze da
parte dell’evoluzione del tempo nei sistemi di produzione.
1
Roberta Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, Milano 1998, cit. p. 28.
2
Con questo termine ci si richiama volutamente all’origine greca della parola, stante a
significare “amministrazione della casa, conduzione della famiglia”, legata quindi ad un
contesto domestico. Jane Maree Maher, Jo Lindsay, Suzanne Franzway, Time, caring
11
Un orario di lavoro più lungo, ad esempio, significa certamente
ridotte opportunità per le persone di dedicarsi alle altre funzioni sociali che
fanno parte della loro esistenza, e di essere a tutti gli effetti “un marito/una
moglie, un genitore e un cittadino.”
3
Individui e famiglie fanno sempre più fatica ad incastrare tra di loro le
varie istituzioni all’interno delle quali sono incorporati, in quanto ciascuna
pretende la superiorità sulle altre della propria porzione di tempo; in
particolare questo avviene con l’istituzione-lavoro.
L’attenzione verso la conciliazione dei tempi di lavoro e di vita
privata, però, è molto recente. L’esistenza del problema della
sovrapposizione dei ruoli si è certamente proposta con la sempre
maggiore complessità delle istituzioni, ma vi sono stati anche altri
fenomeni che hanno contribuito ad acuire il livello del contrasto tra tempi
di vita e tempi di lavoro, quali il maggior numero di madri lavoratrici e la
crescita della competizione economica, quest’ultima che ha reso
necessario un maggior numero di persone occupate.
Un buon esempio del tentativo di ottenere una supremazia nella
gestione del tempo da parte delle istituzioni economiche è l’orario di
apertura dei centri commerciali. Senza una gestione dell’orario attenta sia
ai bisogni delle persone, che soprattutto al diritto di “possedere” il proprio
tempo, le persone impiegate in questo settore potrebbero fare molta fatica
a gestire la loro vita, a causa dell’orario di apertura ampio, e dell’oggettiva
difficoltà di creare una turnazione che consenta alle persone una certa
regolarità negli impegni.
labour and social policy: under standing the family time economy in contemporary
families, “Work Employment Society”, (2008), n° 22, cit. p. 547.
3
Cameron Allan, Rebecca Loudoun, David Peetz, Influences on work-non-work conflict,
“Journal of Sociology”, (2007), n°43, cit. p. 224.
12
2. Tempo dei gruppi e tempi individuali
2.1 La dimensione temporale come creazione sociale
Il tempo ha un ruolo chiave nella delineazione delle politiche sociali e
degli interventi anche aziendali rivolti a migliorare la qualità del lavoro e
della vita delle persone. Si può assistere ad una vasta gamma di azioni
che vanno in questa direzione, ovvero di progetti mirati alla gestione del
tempo. Si possono ad esempio osservare, interventi ministeriali, accordi
aziendali, iniziative locali o regionali, o addirittura progetti europei che
coinvolgono attori pubblici e privati.
4
Tali progetti servono a risolvere un conflitto che viene sempre più
avvertito nelle società contemporanee e che riguarda la scarsità del
tempo. Tale ostilità trae origine dall’esistenza contrapposta di due diverse
tipologie di tempo, quali il tempo collettivo e dei gruppi, e il tempo
individuale.
In sociologia solo dagli anni settanta si è cominciato ad avviare una
valutazione sul concetto di tempo e sulla letteratura precedente che ad
esso faceva riferimento; tuttavia, quest’ultimo gioca sempre più un ruolo
molto importante nella relazione tra individuo e società. Una riflessione più
approfondita sul rapporto tra tempo e individui potrebbe aiutare tutte le
azioni mirate al sostegno individuale nella gestione dei diversi tipi di
temporalità che le persone si trovano ad affrontare, dai tempi familiari, al
tempo del lavoro e infine quelli delle città.
Gli studi sul ruolo del tempo nella società sono stati in realtà molti, da
quelli di Durkheim e Mauss, alle scuole di pensiero di Elias e di Luhmann.
Gli argomenti trattati da questi autori hanno riguardato la definizione del
tempo, la sua funzione, l’evoluzione di questo concetto nella storia e il
senso del tempo dal punto di vista dell’individuo.
4
R. Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, …, cit. p. 117.
13
Agli albori della sociologia, la scuola di Durkheim mise in luce come
la suddivisione del tempo laico derivi dalla scansione e dalla ciclicità delle
feste e dei riti religiosi, rendendo il tempo stesso un fatto religioso e di
conseguenza sociale. La sua natura è stata quindi interpretata come
qualitativa, in quanto portatrice di significati. Il pensiero durkheimiano,
inoltre, affermava costantemente la superiorità della coscienza collettiva
su quella individuale, e il tempo era visto come la forza regolativa per
eccellenza della società e dei gruppi. Per Durkheim il tempo è
considerabile come una delle categorie fondamentali per comprendere la
totalità della realtà, assieme allo spazio, al genere, al numero; come tale
non può provenire dal singolo individuo.
5
Sorokin e Merton (1937) hanno integrato questo pensiero “ribadendo
che il tempo, nato dal bisogno collettivo di coordinare le attività sociali,
riflette il ritmo della vita collettiva.”
6
Secondo Elias, inoltre, il concetto di tempo si trasforma con
l’evoluzione delle società, e viene tramandato di generazione in
generazione. Con l’avvento di Galileo ad esempio la società è giunta ad
una concezione duale del tempo; da un lato il tempo sociale, regolatore
degli eventi nella società, e dall’altro il tempo fisico e reale, obbediente alle
leggi della natura e oggetto di ricerca scientifica. Ciò si contrappose ad
una visione temporale di stampo tolemaico che vedeva la suddivisione del
tempo come dipendente dalla volontà divina.
Elias però ha portato la definizione del tempo ad un ulteriore livello di
astrazione, rispetto a Durkheim, descrivendo la stessa oggettività del
tempo fisico come “prodotto collettivo di un gruppo di uomini fra loro
interdipendenti;”
7
quindi esso è solo apparentemente indipendente dagli
uomini. Proprio perché creazione umana, esso appare come oggettivo;
ma è tale solo in quanto frutto del pensiero collettivo.
5
R. Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, …, cit. p. 22-23.
6
Ibid., cit. p. 25.
7
Ibid., cit. p. 29.
14
Anche Luhmann ha adottato una “prospettiva evolutiva per spiegare
la concettualizzazione del tempo”
8
. Nella sua opera, è arrivato addirittura
ad annullare definitivamente la dimensione individuale. Egli ha inserito
invece la dimensione del mutamento, affermando che le società
reagiscono alla loro complessità crescente attuando anche un
cambiamento nella stessa struttura temporale. Con Luhmann il tempo
arriva a possedere una precisa funzione di coordinazione, diventando uno
strumento di integrazione. E’ la differenziazione funzionale stessa che
impedisce di riferire il tempo alle singole vite.
Tutti questi esempi mettono chiaramente in luce come sin dalle
origini la sociologia abbia dedicato ampi spazi solo alla dimensione
collettiva della temporalità e al tempo come istituzione sociale
9
, ma pochi
alla ricerca dell’equilibrio tra le “esigenze di distinte istituzioni sociali e il
tempo individuale”
10
.
Le stesse azioni mirate al sostegno della gestione temporale delle
famiglie non potrebbero mai raggiungere ogni singolo individuo; tuttavia è
possibile ridurre e disaggregare la consistenza dei gruppi di riferimento,
per avvicinarsi sempre di più alla copertura di un maggior numero di
situazioni diverse.
A questo punto, avendo preso atto del legame anche simbolico tra
collettività e creazione del tempo, ci si può chiedere: qual è l’autonomia
individuale nei confronti delle norme temporali della società?
2.2 La conflittualità temporale tra individuo e società
La società complessa, in cui gli individui sono inseriti, è composta da
un insieme di istituzioni diverse, ognuna delle quali segue un proprio
8
R. Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, …, cit. p. 31.
9
Per Istituzione in questo caso si intende: “Qualsiasi forma di credenza, di azione e di
condotta riconosciuta, sancita e stabilmente praticata da una collettività. Siffatto modo di
concepire le Istituzioni ha origine con Spencer, che lo ha ripreso dal linguaggio
antropologico dell’Ottocento, e si consolida con l’opera di Durkheim.” Tale definizione è
stata ripresa da: Luciano Gallino, Dizionario di Sociologia, Torino 2006, cit. p. 393.
10
R. Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, …, cit. p. 36.
15
ordine temporale; poiché l’individuo fa parte contemporaneamente di più
istituzioni, deve cercare di armonizzare nel suo tempo quotidiano queste
diverse temporalità e trovarvi un equilibrio, preservando il più possibile
tutte le proprie necessità, di qualunque genere esse siano, ed i propri
ritmi.
11
Queste istituzioni sono diventate oggi dei mondi autonomi, mentre
anticamente vi era un ordine superiore, ovvero la religione, che funzionava
da collante tra di essi.
Il termine istituzione è stato spesso utilizzato per indicare elementi
diversi tra loro. Se nel paragrafo precedente ne veniva messo in luce il
significato normativo e legato ai valori, in questo caso, ci si riferisce a
questo termine come sinonimo di organizzazione, quindi come a “un
gruppo organizzato, un’associazione, una collettività che persegue uno
scopo in maniera sistematica, seguendo procedure stabilite, dividendo il
lavoro tra i membri, vincolandoli a rispettare certe norme di
comportamento a seconda delle situazioni.”
12
Riprendendo il discorso principale, “le diverse istituzioni possono
entrare in concorrenza tra loro e determinare sovrapposizioni e conflitti tra
i rispettivi tempi sociali e (…) rivendicare la priorità (…), in termini sia di
richieste di tempo che di rilevanza dal punto di vista normativo. In altre
parole, oltre al problema organizzativo (…), possono sorgere conflitti tra
tempi sociali differenti qualitativamente, in quanto espressione di
significati e valori non comparabili e/o contrastanti tra loro.”
13
Ciascuna di queste istituzioni attua delle pressioni molto forti sugli
individui, affinché essi dedichino la maggior parte delle attenzioni alle
istanze di cui tale istituzione è portatrice. Queste pressioni, però, creano a
lungo andare la sensazione della “scarsità del tempo”.
L’individuo si deve quindi muovere tra un’organizzazione del tempo
che gli viene imposta dalle istituzioni di cui è parte, e l’esigenza personale
di trovare un senso al proprio tempo e ai propri progetti di vita.
11
R. Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, …, cit. p. 36.
12
L. Gallino, Dizionario di Sociologia, …, Cit. p. 395.
13
R. Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, …, cit. p. 37.
16
Ho trovato particolarmente interessante la riflessione su questo tipo
di disagio contenuta nel testo della Bartoletti, “Tempo e lavoro nella
società postindustriale”; l’autrice parte dalla critica alla prospettiva della
teoria sistemica, perché quest’ultima ha definito la scarsità di tempo
semplicemente come l’impossibilità di aderire a tutte le occasioni che
vengono proposte agli individui, ignorando totalmente la dimensione
soggettiva. Il fatto di tralasciare questo elemento fa sì che la teoria di
stampo struttural funzionalista non riesca a spiegare la dimensione della
conflittualità in riferimento al tempo, che è invece molto sentita all’interno
delle società contemporanee.
Alla base della costruzione del senso del tempo, infatti, c’è la facoltà
di poter gestire quest’ultimo autonomamente, il prenderne possesso.
Portando la riflessione ad un livello più astratto, la società
contemporanea è chiamata la società del lavoro, ma il lavoro in sé sta
perdendo la sua centralità ed è il tempo quello che è diventato il soggetto
privilegiato di attenzione da parte di aziende, lavoratori, governi e
sindacati.
Il passaggio da un modo di produzione fordista ad uno più flessibile
ha reso il tempo una risorsa strategica per l’apparato economico, perché è
su questo lato che si gioca la competizione, sia per l’industria che nel
terziario privato.
Dal lato della produzione esso rappresenta un costo, e quindi una
sua riduzione comporterebbe una diminuzione dei costi stessi, mentre dal
lato organizzativo rappresenta una risorsa e un suo controllo capillare
porterebbe a miglioramenti nell’intero sistema produttivo, ad esempio
eliminando i tempi morti.
Per quanto riguarda la produzione materiale dei beni, tutto questo si
traduce in flessibilità rispetto alle oscillazioni della domanda. Per quanto
riguarda i servizi, invece, in de-sincronizzazione rispetto agli orari di lavoro
degli utenti.
“Le esigenze organizzative della produzione condizionano quindi la
configurazione del tempo di lavoro e, a cascata, dei tempi sociali: gli orari
17
di lavoro richiesti da un sistema di produzione flessibile tendono a
colonizzare spazi prima destinati al riposo (la notte, i giorni di festa) e non
solo sono sempre più differenziati, anche all’interno di una stessa impresa,
ma la loro variabilità è tendenzialmente etero diretta dal punto di vista del
lavoratore, in quanto è adattata ad esigenze di competitività nel
mercato.”
14
In realtà, nel contesto di una discussione più ampia sui meriti delle
soluzioni di orari più flessibili, ovvero sul fatto che esse possano essere
positive per entrambe le parti, lavoratori e imprese, la preferenza per orari
più tradizionali e standardizzati può apparire però contraddittoria e forse
accompagnata da una certa retorica.
D’altronde il lavoro flessibile deve ancora essere implementato nella
maggior parte dei luoghi di lavoro, e le preferenze per orari più tradizionali
persistono solo in assenza di un modello più visibile di flessibilità.
Il 66% dei dipendenti in Europa, ad esempio, prevede ancora una
gestione dell’orario controllata dall’azienda, senza possibilità di
cambiamento. E’ solo nei paesi del Nord Europa e in Olanda che più della
metà delle aziende prevede per i lavoratori alcune modalità di controllo del
proprio tempo.
Nei casi in cui sia stata applicata una forma di lavoro più flessibile,
questa sembra avere un effetto positivo nel bilanciare vita lavorativa e vita
privata. Infatti, la piccola percentuale di lavoratori che ha un certo controllo
sui propri orari lavorativi è quella che presenta livelli più alti di
soddisfazione a tale riguardo.
Il problema della conciliazione dei tempi è quindi diffuso tra tutti i
paesi e coinvolge la maggior parte dei lavoratori, ma, come si vedrà più
avanti, è particolarmente sentito dalle donne, in particolare dalle madri, a
causa del carico ineguale di lavoro domestico.
15
14
R. Bartoletti, Tempo e lavoro nella società postindustriale, …, cit. p. 113.
15
Istat, Conciliare lavoro e famiglia: una sfida quotidiana, Roma 2008, cit. p. 11.
18
3. La conflittualità temporale tra individuo e azienda
Proseguendo nell’analisi della conflittualità temporale tra individuo e
collettività, dopo aver affermato come sia il lavoro quello che impone i ritmi
alle persone, si vuole ora vedere quello che accade all’interno dei luoghi di
impiego.
Come già ribadito, generalmente nei luoghi di lavoro, è presente una
concezione del tempo ben definita e facente pressioni sulla temporalità
individuale.
Alcuni autori, dell’università di Harvard, mettono in luce come il
pensiero prevalente tra i dirigenti sia spesso quello che il “darla vinta” agli
impiegati, in termini di gestione del tempo, significherebbe una perdita per
l’organizzazione. Le aziende si può dire che vedano il contrasto tra tempi
diversi quasi come un “gioco a somma zero”
16
, in cui se una delle due
parti ci guadagna l’altra ci rimette per forza.
Spesso l’armonizzazione tra tempi di vita e tempi di lavoro è
considerata come un problema irrilevante a fronte di altre questioni più
preponderanti, tra tutte la competizione globale, qualunque sia il costo
umano. Il profitto e l’efficienza di breve termine sono quindi sovente posti
innanzi alle questioni sociali.
C’è però un link molto forte anche con le performance
dell’organizzazione; oltre che per l’individuo, infatti, vi sono delle
conseguenze positive in seguito ad un utilizzo bilanciato del tempo per il
luogo di lavoro stesso.
Il raggiungimento di un miglior bilanciamento tra vita privata e lavoro,
infatti, può portare a una forza lavoro più produttiva, motivata, meno
stressata, che si sente più tenuta in considerazione. Dal punto di vista del
management, questo traguardo porta anche ad una riduzione
dell’assenteismo, all’essere apprezzati come datori di lavoro, al trattenere
16
Stewart Friedman, Perry Christensen, Jessica Degroot, Work and life: the end of the
zero-sum game, “Harvard Business review on work and life balance”, (2000), cit. p. 1.
19
presso di sé i lavoratori migliori, e a massimizzare la quantità ottenibile di
lavoro.
17
In seguito ad una meno buona organizzazione del tempo, hanno
conseguenze negative sulla vita privata gli aspetti che riguardano in
questo caso la durata e la presenza delle pause, la necessità di ultimare il
lavoro a casa, gli straordinari, l’avere arretrati in sospeso in caso di
malattia.
Il management ha quindi un ruolo chiave nel neutralizzare le
pressioni legate all’orario di lavoro, e questo è un aspetto che credo si
possa ritrovare tranquillamente anche nel caso preso in esame. Le stesse
politiche e azioni volte a migliorare il rapporto vita-lavoro sono inefficaci
senza il monitoraggio dei dirigenti, soprattutto nel caso dei lavori a turno.
Nel caso di studio preso in esame, non è ovviamente possibile
scegliere autonomamente quando svolgere le proprie ore, data la natura
del contesto in questione, ma un orario spezzato e la necessità di coprire
una gamma di ore troppo ampia riducono sensibilmente la facoltà di
gestire le ore al di fuori del tempo di lavoro, spesso anche a causa della
mancanza di regolarità.
4. Legame tra tempo e cultura organizzativa
4.1 Introduzione
Un elemento da tenere in considerazione a proposito delle aziende e
delle loro azioni a sostegno della temporalità, è l’impatto sulla cultura
organizzativa.
Quest’ultima, infatti, pone dei freni non irrilevanti ad una corretta
implementazione delle azioni a sostegno del bilanciamento dei tempi.
17
Cameron Allan, Rebecca Loudoun, David Peetz, Influences on work-non-work conflict,
…, cit. p. 223.
20
Stando ai risultati di alcune ricerche compiute in ambito
anglosassone, alcune politiche family-friendly hanno certamente delle
conseguenze nella cultura organizzativa
18
; tuttavia, a dispetto anche della
presenza del concetto del work-life balance nella letteratura manageriale
stessa, è sempre presente una certa resistenza al cambiamento
culturale
19
.
Se queste trasformazioni introdotte da una maggior attenzione alle
problematiche familiari, apparentemente conducono nella direzione
strategica desiderata, tuttavia vecchi, impliciti, profondi e consolidati
assunti di fondo possono continuare concretamente ad influenzare
l’ambiente di lavoro
20
.
Le culture organizzative affondano le loro radici in credenze a loro
volta radicatissime che riguardano il genere, la natura del lavoro e
l’impiegato ideale; tutto ciò è il riflesso, ad un livello più esterno, delle
norme della società di appartenenza, che sono spesso sottintese,
addirittura inconsce, ed è per questo che il cambiamento è così difficile
21
.
4.2 Il lavoratore ideale
La cultura prevalente quindi vede il lavoratore ideale come colui che
è disposto a cedere il più possibile del proprio tempo alle aziende; non è
un caso se il work-life balance si sia interessato soprattutto dei diversi
ordini di effetti negativi che il lavoro straordinario può portare alle persone.
Senza cambiamenti profondi all’interno di queste sfaccettature
culturali, rimarranno per sempre delle barriere all’adozione di politiche a
sostegno delle famiglie e dell’organizzazione del tempo, come pure la
pervasività della lunghezza del tempo di lavoro e una certa noncuranza
delle problematiche che ne potrebbero derivare per i dipendenti.
18
Samantha Callan, Implications of family-friendly policies for organizational culture:
findings from two case studies, …, cit. p. 674.
19
Ibid., cit. p. 673.
20
Ibid., cit. p. 675.
21
Ibid., cit. p. 675.