5
Terra, che sembrano essere rimasti ai margini dei benefici che lo sviluppo tecnologico e
l’apertura dei mercati avrebbero apportato ai Paesi industrializzati.
In particolare, il seguente lavoro ha cercato di mettere in relazione tre elementi: a) il
sistema dei media (logiche ed effetti); b) la Globalizzazione; c) il G8 di Genova.
Fig.1. Livelli di scontro tra i contestatori no-global e il G8 di Genova
Media
La figura 1. intende rappresentare schematicamente i tre differenti livelli nell’ambito dei
quali sono avvenuti gli scontri tra i contestatori no-global e il vertice del G8 di Genova.
Lo scontro vede come protagonisti, oltre ai contestatori e agli otto Grandi, il Governo
italiano che, essendo l’organizzatore del summit, si preoccupa di realizzare il dialogo tra
le parti, svolgendo il ruolo di “mediatore”. Il Governo cerca così di attenuare i punti di
scontro, facendo alcune concessioni anche in vista dell’enorme affluenza di manifestanti
che vedrà scendere tra le strade del capoluogo ligure. Il primo livello di scontro riguarda
quindi la questione dell’ordine pubblico, un problema che è stato enfatizzato
dall’avvento sulla scena dei vertici internazionali del popolo dei contestatori no-global,
vero catalizzatore dell’interesse dei media per gli incidenti che inevitabilmente si
scatenano durante le manifestazioni di piazza.
Allargando il campo di osservazione oltre alla questione sicurezza, potremo individuare
il secondo livello di scontro: l’attuale ordine mondiale globalizzato, che rappresenta il
terreno di “scontro ideologico” tra i contestatori e gli organismi internazionali che
intendono favorire questo tipo di ordine mondiale. La protesta no-global,
contrariamente a quanto suggerirebbe il suo nome, non si indirizza contro la
globalizzazione in quanto tale, ma contro questo particolare tipo di globalizzazione
considerata neo-liberista, quindi esportatrice delle logiche del mercato a livello
internazionale. Quel che viene rivendicato dal popolo dei contestatori è il
Globalizzazione
Ordine Pubblico
No
Global
G8
Governo
6
raggiungimento di una globalizzazione dei diritti degli esseri umani, della solidarietà
verso i Paesi poveri e il rispetto dell’ambiente.
Ampliando ulteriormente il campo di analisi troviamo il terzo livello di scontro: i
media. Questi ultimi hanno rappresentato il palcoscenico sul quale si sono scontrati i
contestatori, il Governo e il G8. Prendendo spunto dal modello “mediatico” della
comunicazione politica
5
, potremo dire che i media sono stati l’arena pubblica in cui
hanno avuto luogo lo scambio e i rapporti di forza tra gli attori protagonisti sulla scena
del G8 di Genova. Attraverso i media sono stati inoltre dibattuti i problemi relativi alla
globalizzazione e alla gestione della sicurezza dei vertici.
Focalizzando l’attenzione sul complesso processo di globalizzazione si possono
osservare le relazioni che legano quest’ultima ai tre grandi attori del G8 di Genova: i
contestatori no-global, il G8, e il sistema dei media.
Come precedentemente accennato, lo scontro ideologico tra i contestatori no-global e il
summit del G8 di Genova, si gioca sul terreno della valutazione degli effetti della
globalizzazione sugli esseri umani e sull’ambiente.
Ponendo al centro del dibattito la questione globalizzazione, osserveremo così due
differenti tipi di valutazione dell’attuale ordine mondiale. Da una parte, i no-global, che
contestano gli effetti positivi che la globalizzazione avrebbe portato ed organizzano la
protesta battendosi per l’avvento di una maggiore solidarietà per i Paesi più poveri, nel
rispetto dei diritti degli esseri umani e della tutela per la salute dell’ambiente; dall’altra
parte, il vertice G8 di Genova, i cui componenti si incontrano per discutere su come
poter dare una governance alla globalizzazione, nonché come risolvere questioni che
riguardano direttamente gli effetti provocati dalla globalizzazione (in primo luogo il
divario tra Sud e Nord del mondo, la tutela dell’ambiente, le minacce alla pace e
sicurezza internazionale).
Da questo punto di vista, i media occupano un ruolo particolare. Questi ultimi, infatti,
non si esprimono né contro, né a favore della globalizzazione, ma instaurano con essa
un complesso tipo di rapporto. Se da un lato lo sviluppo economico, che ha legato in
modo sempre più stretto i rapporti tra i differenti Stati contribuendo alla realizzazione di
un mondo “globalizzato”, ha incentivato altresì il progresso nel campo delle
telecomunicazioni, dall’altro lato, lo sviluppo di nuovi e sofisticati mezzi di
comunicazione ha contribuito a consolidare l’integrazione tra le differenti culture e
l’interdipendenza degli Stati nei rapporti internazionali. Ne deriva, quindi, un duplice
rapporto nell’ambito del quale i media subiscono ed incentivano la realizzazione di un
sistema mondiale globalizzato. A questo duplice tipo di rapporto, volendo, può esserne
aggiunto un terzo: i media, rappresentando l’arena nella quale gli attori politici e i
movimenti sociali esprimono le proprie posizioni, raccontano a loro volta la
globalizzazione. Nel caso del G8 di Genova, nella fase antecedente il summit, i media
hanno cercato di fornire approfondimenti sul dibattito che interessa l’argomento
“globalizzazione”
6
.
5
Secondo il modello “mediatico” della comunicazione politica, lo spazio pubblico che l’interazione tra il
sistema politico, il sistema dei media e i cittadini crea, coincide con lo spazio mediale. I media
rappresentano quindi il palcoscenico su cui si sviluppa l’azione politica, e al tempo stesso sono
interlocutori tra il sistema politico e i cittadini, condizionano la natura dei loro rapporti, obbligano le
istituzioni, i leader, i cittadini ad adattarsi alle logiche che governano la comunicazione di massa
(Mazzoleni, 1998, 26-27).
6
Molto interessante a riguardo è l’esempio de Il Corriere della Sera, che ha approfondito le tematiche
legate alla globalizzazione dedicando all’argomento tre tipi differenti di intervento: reportage
contraddistinti dall’icona Globalità sì o no (Nelle maquilas del Salvador, 19.06.2001; Tanzania, dove
ogni abitante ha un debito da bancarotta, 25.06.2001; La guerra di Bové: il mondo non è in vendita,
03.07.2001; Cina e consumismo: pericolo per il pianeta, 09.07.2001; Tonga, terra dimenticata
7
Il G8 di Genova e la mobilitazione della protesta no-global hanno così incentivato
l’apertura di vivaci dibattiti (sovente attraverso i commenti di personaggi dalla fama
internazionale) con i quali si è cercato di fornire valutazioni sugli effetti della
globalizzazione.
L’evento G8 è stato chiaramente costruito come un importante appuntamento
internazionale, non solo per il prestigio e la potenza degli otto Stati membri e per la
delicatezza delle tematiche che sarebbero state affrontate, ma soprattutto per la
preponderante discesa in campo del Popolo di Seattle, che, a partire dagli incidenti
scoppiati nella omonima città statunitense (durante il summit del WTO nel novembre
1999), ha visto lievitare la sua popolarità internazionale ed associare il proprio nome
all’organizzazione di importanti meeting internazionali. La protesta del popolo no-
global viene, per lo più, affrontata come un problema di ordine pubblico e gestione della
sicurezza.
La questione del summit del G8 viene posta al centro del dibattito politico e sociale.
Così come le proteste hanno trasformato il tema globalizzazione in issue
7
, allo stesso
modo la mobilitazione in vista del vertice genovese produce un effetto di tematizzazione
dell’evento G8, costringendo il sistema politico ad includere il dibattito sul G8
nell’agenda di discussione. Alcuni studiosi di comunicazione di massa (Agostini, 1984;
Marletti, 1985) hanno sviluppato il concetto di tematizzazione che era stato
precedentemente teorizzato da Luhmann. Il sociologo tedesco proponeva di sostituire il
concetto di opinione pubblica con quello di temi di opinione, intesi come insiemi
complessi di significati dei quali si “può discutere, avere opinioni uguali, ma anche
differenti” (Luhmann, 1970, 94).
Secondo Marletti il processo di tematizzazione consiste “in uno sviluppo discorsivo che
razionalizza il tema o la controversia politica, fornendo rispetto ad essi elementi
conoscitivi e valutativi che contribuiscono a ridefinirli anche in termini politici” (1985,
72). Nell’ipotesi di Marletti la tematizzazione implica l’approfondimento e la selezione.
In quest’ambito i media svolgono un ruolo fondamentale in quanto hanno la capacità di
aumentare o diminuire l’attenzione nei confronti di un tema
8
e sono gli strumenti
attraverso i quali un tema può circolare ed imporsi all’attenzione del sistema politico e
dei cittadini.
Considerando che “un evento può essere assunto in termini puramente descrittivi, di
notizia d’attualità oppure può essere generalizzato ed associato ad un tema” (ibidem,
69), possiamo sostenere che l’evento G8 di Genova sia stato associato non ad un
semplice tema, bensì alla issue globalizzazione, inducendo così il sistema politico e la
dalla globalizzazione, 18.07.2001); interventi di personaggi dalla fama internazionale sul Tema Globalità
(cardinale Piovanelli, 21.06.2001; J. Ramos-Horta, Nobel per la Pace e dirigente storico del movimento
indipendentista di Timor Est, 26.06.2001; J. Greenberg, presidente e amministratore delegato della
McDonald’s, 27.06.2001; U. Beck, direttore dell’istituto di Sociologia alla Ludwig-Maximilians
Universitaet di Monaco, 02.07.2001; Z. Bauman, professore di Sociologia all’Università di Leeds e
Varsavia, 07.07.2001; K. Annan, Segretario Generale dell’ONU, 10.07.2001; A. Sen, Nobel Economia,
18.07.2001) e approfondimenti dedicati alla serie Icone Globali (la Playstation, 09.07.2001; la Nba,
11.07.2001; le serie tv, 14.07.2001; la Mtv, 15.07.2001; il marchio, 17.07.2001; lo spot, 18.07.2001 ).
7
In seguito alla dimensione internazionale assunta dalla contestazione “no-global” (consacrata tale dopo
il palcoscenico planetario offerto dagli scontri di Seattle) il tema “globalizzazione” viene posto come base
di una controversia politica riguardante le differenti valutazioni degli effetti della globalizzazione sugli
individui e sull’ambiente. Il tema posto a base di una controversia diventa così una issue.
8
Un tema viene inteso come “un elemento di generalizzazione simbolica e di rubricazione d’un
accadimento o d’una situazione singolari, che serve a ridefinire il significato e la portata civile o politica
in rapporto ad altri accadimenti e/o situazioni e problemi” (Marletti, 1985, 66).
8
società civile a prendere posizione su di esso e a dividersi in schieramenti contrapposti.
L’associazione dell’evento G8 alla issue globalizzazione ha così costituito “la fonte
della rilevanza di attualità di un evento che, senza di essa, avrebbe destato forse assai
meno attenzione” (ibidem, 70).
Il sistema dei media ha “costruito” l’evento G8 attraverso la trattazione di diversi temi
(l’organizzazione dell’evento, l’universo della protesta, l’ordine pubblico, i temi sul
tappeto, le indagini parlamentari e giudiziarie, tra i principali) che hanno contribuito ad
arricchire il racconto narrativo dei fatti legati al summit di Genova.
Durante la ricerca svolta sulla stampa nazionale
9
, lo spazio temporale del coverage
giornalistico del G8 di Genova è stato suddiviso nelle fasi prima, durante e dopo il
summit. Si è potuto così osservare come ad ogni differente fase i temi legati all’evento
abbiano variato il loro peso in termini di rilevanza nella copertura offerta loro dai
media
10
.
Il G8 diventa media event
11
per la portata internazionale della contestazione che fa
mobilitare migliaia di individui uniti dalla comune rivendicazione di una
“globalizzazione dei diritti”. La mobilitazione dei contestatori in vista del G8 è stata
raccontata dai media come un “contro-evento” dal contenuto altamente spettacolare.
L’informazione fornita dai media a riguardo ha cercato di esaltare gli aspetti più idonei
alla necessità di confezionare nel migliore dei modi possibili il prodotto-notizia.
L’effetto di spettacolarizzazione è particolarmente evidente nel caso dell’informazione
televisiva. “La televisione richiede spettacolo e crea spettacolo” (Statera, 1986, 22).
Osservano Dayan e Katz:
“Oltre a costruire la cornice semantica dell’evento televisivo, la televisione costruisce una cornice
attorno alla cornice. Essa organizza le circostanze di fruizione, mettendo attorno all’evento – prima e
dopo – altri programmi che lo fanno apparire come l’unica realtà importante. In questo caso la
televisione sottomette gli spettatori ad un complesso rito di passaggio, sovvertendo l’usuale definizione di
ciò che è “ importante”, “reale” o “serio” (Dayan e Katz, 1992, 114-115).
I programmi di attualità si concentrano così sui dibattiti che riguardano l’evento e le
issue che l’evento stesso contribuisce ad evidenziare, focalizzando l’attenzione dello
spettatore sull’importanza (a volte fittizia) della celebrazione dell’evento.
La necessità di costruire lo spettacolo politico, in particolare, stimola i media a creare,
riferire e redigere le notizie modellandole in modo da attrarre il pubblico. In un simile
contesto, “la drammatizzazione, la semplificazione e la personificazione (compresa la
personificazione di tendenze storiche e di istituzioni sociali per mezzo di leader e
nemici) sono strumenti tipici, soprattutto nei titoli di testa e nelle affermazioni
chiave”(Edelman, 1988, 85).
Nel raccontare il susseguirsi degli accadimenti legati al summit del G8, i media, hanno
enfatizzato i toni conflittuali tra le parti, creando dei veri e propri blocchi contrapposti:
il G8 e gli anti-G8, il GSF e il Governo; il GSF e le forze dell’ordine; l’Opposizione e la
Maggioranza.
9
Il presente lavoro utilizza i dati raccolti durante nove mesi di monitoraggio su quattro importanti
quotidiani nazionali: La Stampa, La Repubblica, Il Corriere della Sera e Il Giornale.
10
Nel caso del G8 di Genova il tema ordine pubblico ha mantenuto in tutte e tre le fasi la maggior
percentuale di trattazione, divenendo la questione saliente che ha animato i dibattiti politici ( § 3.3.).
11
Con “media event” intendiamo una vicenda il cui significato, attraverso l’intervento dei media, viene
“dilatato e stravolto” trasformando il fatto stesso in un evento spettacolare. Una buona analisi della messa
in scena delle “grandi cerimonie” dei media (come diretta conseguenza della loro necessità di
spettacolarizzare gli eventi) si trova in Dayan e Katz, 1992.
9
I riflettori dei media si sono accesi su particolari personaggi, aumentando la visibilità e
la popolarità di alcuni piuttosto che di altri.
Lo spettatore ha così potuto assistere ad uno scontro di “persone” che sono diventate il
simbolo delle istituzioni o movimenti sociali che rappresentavano.
La protesta ha quindi acquisito visibilità attraverso i volti di Vittorio Agnoletto
(portavoce del GSF) e di Luca Casarini (portavoce delle Tute Bianche); l’uno emblema
della rivolta gandhiana basata sulla non-violenza, l’altro, effige della disobbedienza
civile organizzata in metaforici attacchi al fantomatico potere rappresentato dall’Impero
degli Stati industrializzati
12
.
I principali volti del Governo italiano sono stati il presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi, il ministro dell’Interno, Claudio Scajola ed il ministro degli Esteri, Renato
Ruggiero
13
.
Infine, l’immagine dell’ordine pubblico è stata principalmente associata con quella del
capo della polizia, Gianni De Gennaro, miracolosamente sopravvissuto alla bufera del
dopo Genova che ha coinvolto l’intera organizzazione e gestione dell’ordine pubblico.
Dalla ricerca di spettacolarizzazione delle notizie riguardanti il summit del G8, i media
hanno dato la precedenza alle questioni legate alla protesta e all’ordine pubblico,
mettendo in secondo piano le problematiche che avrebbero dovuto ricevere la maggiore
copertura, i temi del summit e del contro summit.
La notizia confezionata dai media che sarà resa disponibile al consumo degli spettatori
subisce un trattamento nell’ambito dei processi produttivi e seguendo alcune “logiche”
proprie dei mezzi di comunicazione. Si tratta del cosiddetto newsmaking ( Elliot, 1972;
Altheide, 1976; Schlesinger, 1978; Wolf, 1985), le pratiche che guidano le varie fasi di
selezione e trattamento degli eventi, al fine di adeguare le notizie ai format dei media.
Non tutti gli eventi possiedono i requisiti necessari per poter essere trasformati in
notizia; la notiziabilità (newsworthiness) è costituita dal complesso dei requisiti che
occorrono ad un evento per poter acquisire l’esistenza pubblica di notizie (Wolf, 1985,
190-191). La notiziabilità risulta essere connessa con i processi di routinizzazione e di
standardizzazione delle pratiche produttive; le organizzazioni giornalistiche hanno
bisogno di avvalersi alla routine per far fronte agli avvenimenti imprevisti ( Tuchman,
1973, 160).
La notizia trasmessa dai media risulta così essere il prodotto di un processo organizzato
che implica una prospettiva pratica sugli eventi, “finalizzata a rassemblarli, a dare
valutazioni semplici e dirette sui loro rapporti, e a fare ciò in maniera capace di
intrattenere gli spettatori” (Altheide, 1976, 112).
Il materiale che giunge nelle redazioni giornalistiche deve essere “filtrato” al fine di
rilevare le notizie che possono meglio essere rappresentate attraverso i media. A tal
scopo vengono utilizzati dei criteri di selezione delle notizie, che corrispondono
12
Dal punto di vista comunicativo, la ricerca di una maggiore visibilità offerta dai media ha spinto il
movimento delle Tute Bianche (soprattutto attraverso il suo leader Casarini) ad adottare una strategia di
linguaggio costruito intorno alla metafora che rievoca volutamente scene di battaglie medioevali ( §
4.3.6.). I media hanno così potuto enfatizzare lo scontro tra gli attori sulla scena di Genova, giocando
anche con l’immagine (fornita dalle Tute Bianche) del potere elitario assediato intorno alle mura del
proprio castello dal popolo dei contestatori.
13
Ruggiero è stato direttore generale del WTO, una delle organizzazioni internazionali più criticate dal
popolo dei contestatori.
10
all’esigenza di routinizzare il processo di selezione per renderlo maggiormente
assolvibile e gestibile
14
.
La logica dei media richiede che sia data una maggiore attenzione ai valori-notizia
(news values)
15
di tipo spettacolare, questo perché “fa più notizia” ciò che altera la
routine. Così sulla scena del G8 di Genova, hanno ottenuto un maggior risalto nella
trattazione degli accadimenti i temi legati al mondo della protesta (enfatizzando le
“minacce” dei contestatori) e le scene di guerriglia urbana durante il summit. Al
contrario, i momenti “pacifici” della protesta, così come la settimana del Public Forum
16
organizzato dal GSF ha trovato uno spazio alquanto limitato nei racconti del sistema
informativo.
Dal punto di vista materiale, la necessità di dare la copertura più completa possibile
all’evento ha visto l’impiego massiccio di risorse e l’aumento dello spazio informativo
dedicato al G8. Oltre ai vari approfondimenti e speciali, il G8 ha realizzato una vera e
propria mobilitazione culturale e mediatica intorno a sé: sono stati aperti siti on line per
fornire maggiori informazioni e per consentire al pubblico dei cittadini di poter
esprimere proprie opinioni a riguardo, sono nate nuove emittenti per seguire il G8 (è il
caso di Radio Gap), sono state dedicate lunghe dirette per tenere costantemente
informati gli spettatori sugli sviluppi delle proteste (Primo Canale).
L’evento G8 ha rappresentato una sconfitta per il gigante Rai e le sue enormi risorse,
mentre ha innalzato allo status simbolico del Davide che sconfigge Golia, la piccola
emittente ligure Primo Canale, che, grazie alla sua maggiore flessibilità organizzativa e
la sua perfetta conoscenza del “campo di battaglia” ha fornito la migliore e più
apprezzata copertura dell’evento.
Tra gli effetti dei media acquisisce notevole importanza l’effetto di costruzione
dell’agenda setting (McCombs e Shaw, 1972), ovvero, l’influenza dei media sulle
percezioni dei temi politici e sociali da parte del pubblico dei cittadini.
Scrive Shaw:
“in conseguenza dell’azione dei giornali, della televisione e degli altri mezzi di
informazione, il pubblico è consapevole o ignora, dà attenzione oppure trascura, enfatizza
o negligé, elementi specifici degli scenari pubblici” (Shaw, 1979, p. 96).
L’effetto di costruzione dell’agenda setting creerebbe una corrispondenza tra l’ordine di
importanza delle issues coperte dai media e l’ordine di importanza che il pubblico
percepisce sulle issues; questo significa che il grado di rilevanza attribuito ai temi dai
mezzi di informazione influenzerebbe le priorità accordate dal pubblico ai medesimi
temi
17
.
14
Gans (1979) individua alcune caratteristiche dei criteri di selezione delle notizie: questi devono essere
applicabili facilmente e rapidamente, devono essere flessibili, relazionabili e comparabili, facilmente
razionalizzati ed orientati all’efficienza.
15
Secondo Golding-Elliot (1979) i valori-notizia sarebbero usati in due modi: a) come criteri per
selezionare (dal materiale disponibile alla redazione) gli elementi da includere nel prodotto finale; b)
come linee-guida nella presentazione del materiale (suggerendo a quali elementi dare priorità nella
preparazione delle notizie da presentare al pubblico. I valori-notizia sono intesi come qualità degli eventi
o della loro costruzione giornalistica, la cui relativa assenza o presenza li raccomanda per l’inclusione in
un prodotto informativo (p.114).
16
Al Public Forum di Genova hanno partecipato in qualità di relatori illustri personaggi dalla fama
internazionale come Susan George, don Luigi Ciotti, Riccardo Petrella, José Bové, Walden Bello, Oronto
Douglas e Bernard Cassen.
17
L’assunto teorico di fondo dell’agenda setting prevede che gli elementi che hanno maggior rilievo
nelle rappresentazioni offerte dai media assumono lo stesso rilievo anche nelle rappresentazioni elaborate
11
Nel caso del G8 di Genova, l’insistenza sulla questione dell’ordine pubblico e la
massiccia presenza di immagini che si riferiscono agli incidenti ed agli scontri,
avrebbero avuto come effetto quello di ridurre l’evento G8 e la protesta no-global ad un
problema di gestione della sicurezza.
Tav.1. Le logiche e gli effetti dei media in relazione al vertice G8 di Genova
Logiche ed Effetti dei Media
in relazione all’Evento G8 di Genova
Set teorico
di riferimento
1. Il G8 di Genova posto al centro del dibattito politico e sociale.
2. Racconto dell’evento G8 attraverso i temi de: l’organizzazione del
summit; le proteste; l’ordine pubblico; i temi del summit e del contro
summit; lo scontro politico; le indagini giudiziarie e parlamentari.
1.Tematizzazione
(Luhmann, 1970;
Agostini, 1984;
Marletti, 1985)
3. G8 come evento di importanza internazionale destinato ad attrarre
migliaia di contestatori.
4. Esaltazione degli aspetti conflittuali tra: a) il G8 e gli anti G8;
b) il GSF e il Governo; c) il GSF e le forze dell’ordine;
d) la Maggioranza e l’Opposizione.
5. Personalizzazione nella lettura dello scontro tra il sistema politico e i
movimenti sociali: a) Agnoletto (GSF); b) Casarini (Tute Bianche);
c) Berlusconi, Ruggiero, Scajola (Governo); De Gennaro (Polizia)
6. Attenzione particolare al mondo no-global (enfasi delle “minacce” del
popolo dei contestatori); attrazione delle scene di guerriglia urbana.
2. Spettacolarizzazione
(Edelman, 1988;
Dayan e Katz, 1992)
7. Attenzione ai valori-notizia di tipo spettacolare.
8. Centinaia di giornalisti inviati a Genova; programmi televisivi speciali
( Porta a Porta; “Terra!”; Frontiere;TG2 Dossier; TG3 Primo Piano;
Stracult; Speciale G8);approfondimenti sui quotidiani e settimanali;
edizioni straordinarie (Il Manifesto del 23 luglio 2001; speciale
“Carta” immagini dal G8);apertura siti on line per maggiori
informazioni in “tempo reale” e per dibattiti con i lettori (forum on
line, diretta televisiva (Primo Canale); nascita di nuovi emittenti
(Radio Gap).
3. Newsmaking
(Elliot, 1972;
Altheide, 1976;
Schlesinger, 1978;
Tuchman, 1978;
Golding-Elliot, 1979;
Gans, 1979;
Wolf, 1985)
9. Maggior copertura della issue Ordine Pubblico; riduzione
dell’evento G8 ad un problema di gestione della sicurezza a scapito
dei temi trattati in agenda durante il summit e dei temi della protesta.
4. Agenda Setting
(McCombs e Shaw, 1972)
dal pubblico. L’ipotesi di fondo di questi studi è che il grado di rilevanza attribuito ai temi dai mezzi di
informazione influenza la priorità che il pubblico accorda a questi stessi temi (McCombs, 1996, 130).
12
Il seguente lavoro si appoggia su alcune idee fondamentali che possono essere suddivise
in tre differenti gruppi: a) il sistema dei media e il G8 di Genova; b) la globalizzazione, i
media e il G8 di Genova; c) il sistema politico, i media e i movimenti sociali.
Nel primo gruppo si intende evidenziare l’interazione del sistema dei media con
l’evento G8 di Genova: la presenza dei mezzi di comunicazione e la loro trattazione
dell’evento hanno spettacolarizzato il G8, nonché incentivato un processo di
tematizzazione dell’evento stesso, ponendolo al centro del dibattito del sistema politico.
Inoltre, i media hanno coperto l’evento concentrandosi sugli aspetti legati all’ordine
pubblico e fornendo un effetto di personalizzazione dei protagonisti sulla scena di
Genova. In questo contesto nasce la necessità di ridimensionare la portata degli incontri
internazionali del tipo del G8, riducendone la spettacolarità fornita dal sistema dei
media.
Nel secondo gruppo si pone l’accento sui rapporti tra la globalizzazione, il G8 di
Genova e i media. Dall’interazione di questi elementi sono nate le conclusioni che la
globalizzazione, in seguito agli scontri di Seattle ’99, si è definitivamente trasformata da
semplice tema ad una vera e propria issue, posta al centro del dibattito interno ed
internazionale. La globalizzazione è stata la cornice tematica del vertice del G8 di
Genova, il terreno ideologico di scontro tra i no-global e il G8. Inoltre, come
precedentemente affermato, all’evento G8 è stata associata la issue globalizzazione: in
tal modo è stato notevolmente ampliato il significato simbolico di un evento che,
altrimenti, avrebbe ottenuto una minore risonanza.
I media hanno instaurato un triplice rapporto con la globalizzazione: subiscono,
incentivano e raccontano la globalizzazione. In questo contesto nasce la necessità di
dare una governance al processo di globalizzazione.
Nell’ultimo gruppo sono stati messi in relazione il sistema politico (nella sua dicotomia
Maggioranza-Opposizione), i media e i movimenti sociali. Il caso del G8 di Genova ha
visto il massiccio impiego delle immagini anche all’interno dello scontro politico del
dopo G8, evidenziando il debole ruolo fornito dall’Opposizione come contro parte di
una Maggioranza che, al contrario, si è sempre presentata unita e ben compatta.
L’Opposizione ha risentito della mancanza di una leadership carismatica.
Nel confronto con il Governo, i movimenti sociali, inoltre, non hanno ottenuto il
riconoscimento di legittimità necessario per sviluppare un processo di negoziazione tra
le parti; la possibilità di regolare attraverso la negoziazione i conflitti “dipende dalla
capacità del sistema di dominazione di aprire canali politici di trattamento delle
domande collettive e dalla volontà dei movimenti di investire una parte delle loro
risorse nell’azione istituzionale” (Melucci, 1977, 115).
Da qui sorge la necessità di valorizzare maggiormente il dialogo tra le parti
(Maggioranza, Opposizione e movimenti sociali) e di cercare una maggiore coesione
all’interno dell’Opposizione.
La ricostruzione che segue utilizza dati raccolti durante nove mesi di monitoraggio sui
quattro principali quotidiani nazionali (La Stampa, La Repubblica, Il Corriere della
Sera, Il Giornale) a partire dall’inizio di gennaio per giungere alla fine di settembre
2001. Il materiale utilizzato per una maggiore completezza degli accadimenti è stato
ripreso anche da Il Sole 24 Ore e da Il Manifesto, nonché da importanti riviste nazionali
come L’Espresso, Panorama, Famiglia Cristiana, Limes, Carta, Latinoamerica.
Per quanto riguarda la televisione, sono stati analizzati i principali telegiornali nazionali
(TG1, TG3 e TG5) durante la settimana del vertice del G8 (dal 16 al 22 luglio 2001),
con un’attenzione particolare per le due giornate “critiche” del 20 e 21 luglio, quando il
colosso RAI dimostra un’evidente impreparazione di fronte al verificarsi di un evento
13
totalmente spiazzante come la morte di un giovane manifestante e lo scoppio della
“guerriglia urbana” per le strade di Genova.
Sono stati inoltre visitati alcuni siti web, dai quali è stato possibile trarre utili
informazioni e materiale.
La prima parte di questo lavoro, in particolare, ha voluto concentrare la sua attenzione
sulla nuova realtà internazionale rappresentata dalla globalizzazione (capitolo primo),
concentrandosi sulle istituzioni internazionali che sono oggetto di aspre critiche da parte
del movimento no-global (FMI, WTO e Banca Mondiale), sulle caratteristiche di questo
sistema, sulle nuove tematiche che la globalizzazione ha imposto nelle agende di
discussione e con la consapevolezza che questo tipo di organizzazione è stato
prevalentemente incentivato dalla superpotenza americana a partire dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale.
Il secondo capitolo, invece, si concentra sulle tematiche che hanno riempito l’agenda dei
rappresentanti degli otto Paesi al G8 di Genova, le quali sono, inevitabilmente, legate
agli effetti della globalizzazione.
La seconda parte del lavoro intende mettere in luce le logiche e gli effetti dei media nel
raccontare l’evento G8 di Genova, distinguendo le tre differenti fasi temporali della
narrazione mediatica: prima (capitolo quarto), durante (capitolo quinto) e dopo
(capitolo sesto) il summit dei Grandi. Il capitolo terzo introduce alcune considerazioni
generali sull’importanza accresciuta di questi tipi di vertici internazionali e
sull’attenzione che i media hanno concentrato sull’incontro genovese; inoltre,
nell’ambito del capitolo, verranno illustrati i principali dati raccolti durante il
monitoraggio dell’informazione legata al summit di Genova su quattro dei principali
quotidiani nazionali (La Stampa, La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Giornale).
Come ricordato precedentemente, il presente lavoro, si è sviluppato cercando di mettere
in relazione l’ evento G8 di Genova, l’attuale sistema mondiale globalizzato e il sistema
dei media. Il G8 di Genova ha rappresentato un caso talmente complesso ed eclatante
nel suo genere che potrebbe essere raccontato utilizzando differenti vie interpretative.
La strada scelta in questo caso rappresenta solamente un approccio, non l’unico.
L’intento del lavoro abbraccia tuttavia l’ambizione di fornire la visione più globale
possibile, senza cadere nella superficialità.
14
Capitolo primo
Il sistema mondiale nell’era della globalizzazione
“Cos’è, in definitiva, la globalizzazione? Certo, si può vederla come un modo ipocrita di dare un altro
nome all’americanizzazione. Ma di fatto, è solo il risultato banale, logico e prevedibile dell’apertura dei
confini, della soppressione delle distanze, di una modifica dello spazio e del tempo,
dell’interpenetrazione delle culture, della moltiplicazione dei mercati”
1
.
1.1. Un nuovo ordine mondiale
Ci sono due date alle quali non si può fare a meno di riferirsi nel momento in cui si
cerca di comprendere quel fenomeno complesso, etichettato con il nome semplicistico
di “globalizzazione” che da alcuni anni sembra ormai aver caratterizzato la struttura
portante del sistema mondiale; da un punto di vista altamente simbolico, il 1989, con il
crollo del muro di Berlino e il 1991, con lo smembramento dell’URSS, hanno
significato il definitivo crollo di quel sistema bipolare che aveva contraddistinto la
storia del pianeta a partire dalla fine della seconda tragica guerra mondiale (1945). Per
oltre quarant’anni il sistema internazionale mondiale è stato diviso dall’appartenenza, o
meno, alla sfera d’ influenza di una delle due super potenze che daranno vita alla
cosiddetta “guerra fredda”: gli USA e l’URSS.
I due Stati hanno rappresentato due modelli differenti di organizzazione politica, sociale
ed economica, diventando il simbolo di due sistemi di valore spesso classificati come
contrapposti ed antagonisti. Dal punto di vista politico gli Usa avevano abbracciato una
democrazia liberale, basata su libere elezioni, sulla competizione tra differenti partiti e
sulla libertà d’opinione, mentre l’organizzazione economica era a stampo capitalistico,
basata quindi sulle leggi del mercato e sull’iniziativa privata, rinnovata e corretta dalle
riforme avviate dal New Deal.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’URSS era ancora “il solo Paese a regime
politico comunista in cui il potere fosse interamente nelle mani di un unico partito, dove
esistesse una sola dottrina ufficiale, il marxismo-leninismo, e un sistema economico
pianificato dallo Stato” (Cracco, Prandi, Traniello, 1992, 574).
Il rischio che il conflitto ideologico potesse degenerare in un conflitto armato contribuì
alla creazione di un organismo internazionale, l’ONU (Organizzazione delle Nazioni
Unite), nell’ambito della quale i maggiori Stati vincitori della seconda guerra mondiale
si assumevano uguali e rilevanti responsabilità nel mantenimento della pace. Si sperava,
altresì, che la collaborazione tra gli USA e l’Unione Sovietica potesse continuare anche
1
J. Daniel, Lo scontro di civiltà tra ricchi e poveri, “La Repubblica”, 15 luglio 2001.
15
dopo la fine della guerra. L’Organizzazione fu creata con la conferenza di San Francisco
(aprile-giugno 1945) e vi parteciparono, all’inizio, 50 Stati fondatori.
1.1.1. Le organizzazioni internazionali nel “mirino” dei contestatori no-global
E’ in un periodo estremamente delicato per la ripresa economica internazionale dopo lo
choc bellico che vengono istituite quelle organizzazioni internazionali che oggi sono
maggiormente contestate dal popolo no-global: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario
Internazionale e il GATT (che non è un’organizzazione internazionale), dalle cui ceneri
nascerà nel 1994 l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Comba, 1995).
La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Nel 1944 in seguito alla
conferenza di Bretton Woods vengono create due istituzioni basilari dell’organizzazione
neo-liberista internazionale: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
Originariamente lo scopo della Banca Mondiale era quello di aiutare la ricostruzione dei
Paesi usciti dalla Seconda Guerra Mondiale, ma in seguito, dal momento che l’Europa
poteva ricevere aiuti finanziari da altre parti (soprattutto attraverso il Piano Marshall ),
la Banca si è orientata verso il sostegno dello sviluppo dell’economia dei Paesi più
deboli, erogando direttamente prestiti.
Il FMI si pone tra i principali obiettivi quello di: a) promuovere la cooperazione
monetaria internazionale, attraverso un’istituzione permanente che assicuri un
meccanismo di consultazione e di collaborazione sui problemi monetari internazionali
(art.1, n.1); b) facilitare l’espansione e lo sviluppo armonico del commercio
internazionale che deve contribuire all’instaurazione e conservazione di alti livelli di
occupazione e di reddito effettivo, nonché allo sviluppo delle risorse produttive di tutti
gli Stati membri (art.1, n.2); c) promuovere la stabilità dei rapporti di cambio tra gli
Stati membri (art.1, n.3); d) appoggiare l’istituzione di un sistema multilaterale dei
pagamenti per le transazioni correnti fra gli Stati membri e l’eliminazione delle
restrizioni valutarie che ostacolino lo sviluppo del commercio internazionale (art.1, n.4);
e) ispirare fiducia agli Stati membri, mettendo a loro disposizione, con appropriate
cautele, le sue risorse alle quali possono attingere gli Stati in difficoltà, in modo da
assicurare agli stessi la possibilità di correggere gli squilibri della bilancia dei
pagamenti, senza ricorrere a misure rovinose per la prosperità nazionale o internazionale
(art.1, n.5).
Dal GATT al WTO
2
. Un importante pilastro sul quale avrebbe dovuto fondarsi la
struttura giuridica del neo-liberismo post-bellico sarebbe dovuto essere
l’Organizzazione Internazionale del Commercio (ITO), che però non entrò mai in
vigore: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non provvidero alla ratifica del trattato
istitutivo dell’Organizzazione, la cosiddetta Carta dell’Avana (dal nome della città nella
quale venne redatto il documento nell’ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sul
2
La creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ( WTO ) implica una trasformazione della
struttura istituzionale del GATT: mentre quest’ultimo era un contratto tra nazioni alle cui norme ciascun
Paese poteva opporre un veto oppure sottrarsi, la nuova istituzione è una “personalità legale” come le
Nazioni Unite o la Banca Mondiale, cosicché i suoi regolamenti sono vincolanti per i suoi membri.
16
commercio e l’occupazione). Ma il progetto non naufragò completamente: 23 Stati
rielaborarono e completarono la IV parte del documento, che venne infine sottoscritto
nell’ottobre del 1947, prendendo il nome di Accordo generale sulle tariffe doganali ed il
commercio (GATT). L’Accordo generale si fondava sui principi di: libertà degli
scambi, non discriminazione e reciprocità. Delle modifiche che vennero introdotte in
seguito, è importante ricordare l’aggiunta, nel 1964, di una nuova parte all’Accordo
generale: la quarta, per favorire il commercio dei Paesi in via di sviluppo (PVS).
L’Accordo generale si trasformerà in una vera e propria organizzazione internazionale
in seguito agli accordi dell’Uruguay Round, sottoscritti a Marrakech il 15 aprile 1994.
Viene così istituita l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).
Rispetto al GATT, il WTO impone ai suoi membri un modello di sviluppo neo
liberista più accentuato che da un lato dà spazio a settori di più vasta portata (gli
investimenti che incidono sugli scambi internazionali, TRIMS; i diritti di proprietà
intellettuale riguardanti il commercio, TRIPS; i servizi, GATS), e dall’altro “tocca
aspetti apparentemente collaterali al commercio internazionale (ambiente, rapporti
Nord-Sud, aspetti relativi al dumping sociale), caratterizzandosi quindi come punto di
riferimento e di azione rilevante, insieme al Fondo monetario internazionale, per la
regolamentazione dei fenomeni della globalizzazione dei mercati” (Porro, 1999, 23).
1.1.2. Le critiche alla triade FMI - Banca Mondiale – WTO
Secondo i contestatori dell’attuale sistema mondiale globalizzato i governi nazionali
hanno ceduto molto del loro potere alla “nuova trinità istituzionale
3
” formata dal Fondo
Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dall’Organizzazione Mondiale del
Commercio.
Problemi quali la povertà, la disoccupazione, la disuguaglianza, l’influenza delle grandi
imprese sul potere politico, la stagnazione economica e il degrado ambientale non sono
problemi nuovi che la società si trova improvvisamente ad affrontare. In passato si
ricorreva ai meccanismi democratici di governo ed alla mobilitazione sociale a livello
nazionale. “Quando però le grandi imprese sono divenute sempre più globali e quando
delle istituzioni sopranazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca
Mondiale e il GATT sono divenuti progressivamente più potenti, questi strumenti si
sono dimostrati ogni giorno meno efficaci” (Brecher e Costello, 1995, 13-14).
Particolarmente criticate sono le politiche di aggiustamento strutturale adottate dalla
Banca Mondiale e dal FMI. I programmi di aggiustamento strutturale sono
indispensabili per poter accedere ai prestiti; per perseguirli “i governi vengono
incentivati a snellire l’apparato statale con privatizzazioni e licenziamenti nel settore
pubblico, a ridurre le barriere doganali, a esportare di più, a ridurre drasticamente
tutti i finanziamenti statali, a contenere l’inflazione mediante strategie monetarie
restrittive e alti tassi di interesse e infine a ridurre il livello dei salari” (ibidem, 22).
La liberalizzazione degli scambi e l’assoluta mobilità dei capitali promosse
dall’istituzione di organismi internazionali (anche a livello regionale) favoriscono la
libertà delle multinazionali di spostarsi, a seconda delle maggiori prospettive di profitto,
incontrando sempre un minor numero di ostacoli. “Una simile “libertà” per le grandi
imprese si configura come una restrizione delle libertà dei governi e dei cittadini:
3
La frase è del diplomatico colombiano Luis Fernando Jaramillo.
17
l’istituzione del WTO rappresenta in effetti un audace colpo di stato globale” (ibidem,
79).
Oggi, l’architettura mondiale dell’economia, della finanza e della politica che abbiamo
ereditato dal passato deriva soprattutto dalla conferenza di Bretton Woods del 1944. Ma
all’epoca occorreva affrontare i problemi post-bellici; una parte non indifferente
dell’Asia e dell’Africa era ancora sotto una qualche forma di dominio coloniale e quindi
di certo non in grado di opporsi alla spartizione internazionale del potere imposto al
mondo dalle potenze alleate. Povertà ed incertezza economica venivano tollerate più di
quanto non lo siano oggi; la difesa internazionale dei diritti umani era ancora un’idea
molto fragile, mentre la democrazia non era vista come un “principio globale”. Da
allora il sistema mondiale ha subito profondi cambiamenti. In questo nuovo contesto
internazionale “la forza delle proteste globali riflette in parte una nuova mentalità, una
nuova tendenza a sfidare l’establishment mondiale ed è, in larga misura, l’equivalente
globale delle proteste interne alle nazioni, associate ai movimenti dei lavoratori e al
radicalismo politico”
4
.
Lo scenario dei rapporti internazionali si è notevolmente modificato nel corso della
seconda metà del XX° secolo; parallelamente le priorità che il sistema politico deve
affrontare sono mutate e notevolmente ampliate. Il mondo di Bretton Woods non è
quello di oggi e per questo motivo la sua struttura istituzionale andrebbe rivista e
modificata.
Oggi si avverte la necessità di riflettere sugli impegni che l’etica globale detta non
soltanto al sistema politico, ma anche alla società civile. Occorre estendere il ruolo delle
istituzioni sociali in ogni Paese. In un’epoca nella quale i rapporti umani sono sempre
più intrecciati ed interdipendenti, un compito estremamente delicato deve essere
affrontato dalle organizzazioni internazionali messe al servizio del mondo; in questo
senso “la protesta globale degli attivisti di tutto il mondo può davvero essere
costruttiva, ma perché lo sia questi movimenti vanno giudicati per le domande globali
che pongono, più che per le risposte apparentemente contrarie alla globalizzazione
contenute nei loro slogan”
5
.
I contestatori dell’attuale sistema mondiale globalizzato puntano il dito contro la
prevalenza degli interessi economici a scapito della gestione politica
dell’organizzazione dei rapporti internazionali. La classe politica non farebbe altro che
gestire una struttura già regolata da un’ideologia improntata sull’assoluta priorità al
profitto privato. In un simile contesto, ad essere sotto accusa non sarebbe la
“globalizzazione” (intesa come fase storica verso la quale si è indirizzato il sistema
mondiale, trascinato dalla corrente del progresso tecnologico), ma la gestione
“ultraliberale” di questa globalizzazione che porta ad essere “di fronte a un’ideologia
politica a vocazione totalitaria ”
6
.
4
Amartya Sen, Globalmente rassegnati, intervento dell’economista premio Nobel 1998 in “Domenica”,
supplemento de “Il Sole 24 ore”, 08 luglio 2001.
5
Ibidem.
6
Intervento di Viviane Forrester ne “Il Corriere della Sera”, 15 luglio 2001. Viviane Forrester è scrittrice
e saggista francese, autrice di L’orrore economico e di Una strana dittatura, Ponte alle Grazie editore.
18
1.1.3. Globalizzazione come sinonimo di americanizzazione?
La globalizzazione è il nuovo ordine mondiale nell’ambito del quale vengono stabiliti i
rapporti economici, politici, sociali, culturali tra gli individui organizzati negli Stati,
nelle multinazionali, nelle organizzazioni internazionali e nelle varie organizzazioni non
governative. La globalizzazione è la realtà del mondo che si è affacciato alla finestra del
terzo millennio: per gli sviluppi senza precedenti che hanno conosciuto il sistema delle
telecomunicazioni e dei trasporti oggi il pianeta appare unito da una fitta rete di rapporti
che coinvolgono pressoché ogni aspetto della vita delle persone. Si tratta di una realtà
che “genera spazi contradditori caratterizzati da contestazioni, differenziazioni interne,
continui sconfinamenti” (Sassen, 2002, 33); ma che non può regredire spontaneamente,
né essere arrestata se non attraverso quello che Cecchi Paone definisce come “un atto di
imperio” imposto “con la violenza militare di una fantomatica superpotenza planetaria
no-global” (Cecchi Paone, 2002, 9).
Il processo di globalizzazione ha subito una forte accelerazione nel corso della seconda
metà del XX° secolo: a partire dal momento in cui gli Stati Uniti sono definitivamente
usciti dalla fase del loro “isolazionismo internazionale” per partecipare attivamente alla
gestione dei rapporti internazionali.
Tab.1.1. La globalizzazione americana: 2000
7
Usa
Area euro
Giappone
Bilancia commerciale - 447,09 + 48,75
+ 116,72
In % sul PIL - 4,5 0,8 2,5
Partite invisibili + 78,61 - 14,65
- 47,63
In % sul PIL 0,8 - 0,2 -1,0
Flussi finanziari 399,37 1,2
75,54
In percentuale sul PIL
4,0 - -1,6
Fonte: Servizio Studi IntesaBci su dati Ifs (International financial statistics)
Da “CorrierEconomia”, supplemento de “Il Corriere della Sera”, 16 luglio 2001
La spinta verso il raggiungimento di un sistema mondiale sempre più globalizzato è
stata data dall’organizzazione neo-liberista del commercio promossa dagli Stati Uniti
con l’appoggio degli Stati occidentali. Alla fine della seconda Guerra Mondiale gli USA
si ritrovano con una eccezionale capacità produttiva incentivata e accresciuta durante gli
anni della guerra. L’enorme mobilitazione di mezzi economici e di risorse finanziarie
degli USA avevano avuto un carattere determinante nella sconfitta della Germania.
7
Saldi delle bilance dei pagamenti, nel 2000, e gli investimenti all’estero, cioè i flussi finanziari – dove i
numeri positivi segnalano un afflusso di capitali – in miliardi di dollari ai seguenti tassi di cambio medi:
yen/dollaro 107,79; dollaro/euro 0,924.