Le leggi di riforma disegnano una P.A. che finalmente e soprattutto in
maniera concreta possa organizzarsi al suo interno periodicamente e in tempi
rapidi.
Di conseguenza un impianto organizzativo che sia al contempo dinamico,
duttile, flessibile e pronto ai cambiamenti, per poter vincere la sfida della
modernizzazione e dell’ efficienza.
Tale prospettiva ha indotto il legislatore ad emulare il modello di dinamismo
proprio delle imprese private.
La c.d. privatizzazione del rapporto pubblico impiego ha, dunque, costituito il
presupposto logico-giuridico necessario ed indefettibile per la configurazione
di una nuova e più moderna Pubblica Amministrazione.
L’enorme apparato burocratico, per trasformarsi, deve necessariamente
affrontare e possibilmente risolvere il problema del reclutamento del
personale, della formazione e di una migliore distribuzione territoriale e
professionale delle risorse.
E’ indubbio che il ricorso a forme flessibili di impiego e di assunzione del
personale può, dunque, rappresentare la ricetta vincente per coniugare
nell’agire della P.A efficienza ed economicità.
Il legislatore statale ha finalmente colto tali opportunità, traducendole nella
concreta possibilità, anche in ambito pubblico, di avvalersi delle diverse
forme flessibili di lavoro, dotando le Pubbliche Amministrazioni e gli attori
della contrattazione collettiva, di una serie di strumenti contrattuali, mutuati
dalla norma privatistica, ed idonei a rendere più elastica la disciplina interna
del rapporto di lavoro fino ad arrivare, ove se ne ravvisi l’esigenza, ad una
diversa e più proficua articolazione del rapporto lavorativo.
Sotto il profilo tecnico organizzativo, la principale fattispecie di lavoro
flessibile è il telelavoro, nato dalla ricerca di nuove forme flessibili di
prestazione del rapporto, e sviluppatosi grazie alla diffusione delle tecnologie
informatiche, tanto da divenire oggi prospettiva utile e possibile anche
nell’amministrazione pubblica.
L’art. 4 della legge del 16 Giugno 1998 n. 191 ha poi introdotto
nell’ordinamento italiano il lavoro a distanza (cd telelavoro), “allo scopo di
razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione
attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane”.
Capitolo I
Il Telelavoro
1.1. Definizioni
Si verifica dunque la nascita di nuove forme di collaborazione, di
cooperazione fra imprese e persone.
Altrettante forme di gestione delle informazioni, prendono il via avvicinando
la domanda all’offerta, l’azienda al lavoratore e facendo nascere un nuovo
modo di concepire il lavoro, indipendentemente dal luogo in cui le risorse
sono ubicate.
Il telelavoro è una forma flessibile di lavoro che concerne la modalità di
svolgimento della prestazione la quale non è svolta all’interno dell’ufficio
tradizionale, ma a distanza.
Quando le ICT (Information and Communication Technologies) collegano
forza lavoro, unità produttiva e cliente siamo in presenza di “Telelavoro”;
s’introduce così la mobilità telematica del lavoro piuttosto che della forza
lavoro.
Questo fenomeno incide, infatti, sul modo di rendere la prestazione lavorativa,
potendo diventare lo strumento attraverso cui tener conto di particolari
esigenze, sociali e di vita, di specifiche categorie di lavoratori senza che ciò
però svilisca la qualità del servizio reso.
Inoltre il fenomeno può concretamente rappresentare il mezzo attraverso cui
rendere più efficaci i collegamenti tra diversi uffici, può consentire di
riorganizzare le risorse professionali disponibili, può migliorare e coadiuvare
l’uso delle risorse strumentali.
Il termine americano Telework (telelavorare) è stato coniato nel 1973 da Jack
Nilles
1
, un consulente americano, il quale, ha giocato un ruolo chiave nel
promuovere tale concetto, grazie anche al futurista Francis Kinsman e al suo
libro The Telecommuters.
2
L’ideatore del termine, Nilles, in un’intervista rilasciata alla trasmissione
televisiva “Mediamente
3
” racconta di com’è arrivato a coniare questo termine
circa ventitré anni fa.
E’ utile sapere che prima di coniare questo termine, egli era un esperto di
missilistica e voleva adattare questa tecnologia al mondo reale dove si vive e
si lavora comunicando al telefono l’uno con l’altro, oppure mediante l’uso del
computer.
Bisognava trovare un nome per questo nuovo fenomeno. Nilles trovò due
parole: la prima, telependolarismo (telecommuting) poneva l’accento sullo
spostamento quotidiano per andare a lavoro; l’altra, telelavoro (telework).
Era questo, un termine più ampio, che include anche il telependolarismo e
forme come il lavoro svolto insieme a persone che non si trovano nella stessa
città, ma magari sono dall’altra parte della terra.
In Europa il termine inglese telework o telelavoro è stato reso popolare
tramite il suo utilizzo da parte dell’Unione Europea, la quale ha sponsorizzato
una considerevole ricerca in questo campo, in particolare nel modo d’impiego
del telelavoro per sviluppare attività economiche e creare opportunità di
lavoro nelle aree rurali o in luoghi con problemi economici.
1
Nilles ha coniato anche la felice espressione “l’edificio complesso”, l’idea che dobbiamo avere un edificio
per uffici, imponente per dimostrare il nostro valore ed il prestigio. Se non fosse stato per l’edificio
complesso, molti di noi potrebbero lavorare da casa
2
Kinsman F. (1987), The Telecommuters, Wiley, New York.
3
L’intervista è consultabile sul sito internet della trasmissione all’indirizzo: www.rai.it/mediamente.
Nel Libro Bianco della Commissione Europea, fortemente voluto nel 1993
dall’allora presidente Jacques Delors, le nuove tecnologie dell’informazione e
della comunicazione (T.I.C), ed in particolare il telelavoro, svolgono un ruolo
decisivo per la competitività europea. In particolare il telelavoro è considerato
come un fenomeno sociale significativo, il cui buon esito può solo discendere
da un approccio interdisciplinare con elementi tecnologici, organizzativi e
umani, poiché si tratta di un’innovazione complessa.
Da un punto di vista concettuale, il telelavoro può definirsi come l’esecuzione
di un lavoro a distanza, in collegamento diretto con una sede centrale di
lavoro o con altre sedi (ad esempio quelle di clienti) mediante l’impiego più o
meno intensivo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Da questa prima definizione si possono dedurre alcune fra le principali
caratteristiche del telelavoro:
la delocalizzazione (siamo vicini tecnicamente, ma distanti fisicamente);
l’utilizzo di sistemi informativi e telematici;
l’esistenza di una rete di comunicazione;
la modifica della struttura organizzativa tradizionale;
la flessibilità di erogazione, impiego e gestione del lavoro.
E’ opportuno precisare che non sono poche le persone, fra sociologi,
economisti, sindacalisti e, in minima quantità, giuristi che hanno tentato di
dare una definizione più o meno completa del telelavoro, tenendo presente i
cinque elementi sopra elencati.
Come vedremo successivamente, un grande sforzo è stato fatto per cercare di
definire e classificare il telelavoro in funzione del tipo di articolazione
spaziale organizzativa che è alla sua base.
Varie sono le definizioni che sono state date di telelavoro, allo scopo di
sottolineare l’importanza della telematica a partire dalla delineazione degli
stessi confini di studio.
L’elemento comune fra tutti gli aspetti del telelavoro è l’uso dei computers e
delle telecomunicazioni per cambiare la geografia già accettata del lavoro.
Alcuni lo hanno definito come una“qualsiasi
4
attività alternativa di telelavoro
che faccia uso delle tecnologie della comunicazione, non richiedendo la
presenza del lavoratore nell’ambiente tradizionale dell’ufficio” a quella di una
“qualsiasi attività svolta a distanza dalla sede dell’ufficio o dell’azienda per
cui si lavora, quindi anche senza ricorrere a strumenti telematici”
5
.
A chi giuridicamente parlando la considera una “prestazione di chi lavora con
un videoterminale topograficamente al di fuori delle imprese cui la
prestazione inerisce
6
”, a chi lo vede nella “modalità flessibile di lavoro a
distanza, svolto utilizzando mezzi informatici e di telecomunicazione per una
sistematica interazione con l’azienda o l’ente”
7
.
C’è anche chi detta alcune condizioni affinchè il telelavoro sia denominato
come tale “esista una delocalizzazione dell’attività rispetto alla sede
tradizionale di lavoro; si usino strumenti telematici nello svolgimento del
lavoro; l’attività svolta a distanza abbia caratteristiche di sistematicità; esista
un rapporto di lavoro basato su un contratto in esclusiva
8
.
4
Martin Bangeman, Commissario europeo
5
Domenico De Masi, sociologo
6
Gino Giugni, giurista
7
Franco Morganti, Databank
8
Giampiero Bracchi, Sergio Campodall’Orto, L’impresa n. 195
1.2.Telelavoro e lavoro a distanza
Le definizioni riportate precedentemente si fondano sulla centralità delle
innovazioni organizzative facilitate dalle T.I.C (Tecnologie dell’informazione
e della comunicazione).
L’innovazione probabilmente più importante sulla definizione di telelavoro è
contenuta nell’art.2 del D.P.R n. 70/1999
9
, che fornisce la nozione della
fattispecie: si tratta della prima definizione di telelavoro contenuta in un testo
normativo nel nostro paese.
Il regolamento, innanzi tutto, ha posto fine ad una confusione terminologica
nella quale è incorsa la legge 191/98, che dopo aver utilizzato nella rubrica
dell’art. 4 il termine “telelavoro”, nel testo parla di “lavoro a distanza”.
Lavoro a distanza e telelavoro identificano due nozioni differenti, tra le quali
intercorre un rapporto di genere a specie.
In termini molto grossolani, può dirsi che il primo descrive la semplice
delocalizzazione dell’attività rispetto al centro di imputazione dei risultati,
mentre il secondo vi aggiunge il requisito dell’utilizzazione di una tecnologia
informatica e telematica. La legge del 1998 confonde i due termini, e non è
certo l’unico a farlo.
Il regolamento, invece, ha correttamente precisato che per “lavoro a distanza”
deve intendersi “telelavoro” (art.2, lett.a).
Vengono perciò in rilievo tre elementi, che si combinano tra loro:
_la delocalizzazione dell’attività lavorativa;
_l’utilizzazione di un ICT;
_il legame con l’amministrazione.
9
9
Si tratta del D.P.R. 8 marzo 1999 n. 70 relativo al “Regolamento recante disciplina del telelavoro nella P.A,
a norma dell’art. 4, comma 3, della l. 16 giugno 1998, n. 191”, pubblicato in G.U. Serie Generale n. 70 del
25 marzo 1999.
E’ il caso di soffermarsi più da vicino su alcune implicazioni di questa
definizione.
Innanzitutto, il regolamento si rivolge esclusivamente al personale già in
servizio nella pubblica amministrazione che decide di far ricorso al telelavoro.
Il regolamento si pone nella scia della contrattazione collettiva del settore
privato, che finora si è occupata semplicemente della trasformazione dei
lavoratori interni in telelavoratori, dando ovviamente per pacifica la natura
subordinata della prestazione.
In un certo senso si può dire che il regolamento è stato poco lungimirante,
prevedendo solo la trasformazione dei dipendenti interni in telelavoratori e
non volendosi invece proiettare nel futuro, in una situazione nella quale
l’amministrazione interessata potrebbe assumere direttamente telelavoratori.
1.3. Il telelavoro e le sue forme
Esclusi i problemi classificatori, rimane ancora da identificare per bene la
figura. La prima caratteristica del telelavoro, come si è visto, è la
delocalizzazione. Il lavoro può svolgersi in qualsiasi luogo, collocato
topograficamente fuori dalla sede di lavoro, dove la prestazione sia
tecnicamente possibile (rispettivamente, art. 2, lett. b; art. 5, comma 1).
La delocalizzazione del posto di lavoro tramite le ICT non comporta solo
un’inversione della tradizionale relazione di distanza nel lavoro- non è più il
luogo di lavoro ad essere distante e che va raggiunto, ma sono i referenti del
proprio lavoro (azienda, colleghi, clienti, utenti, etc) ad essere distanti e con i
quali si può interagire in tempo di lavoro: il lavoro diviene più flessibile e
rispondente alle esigenze individuali, organizzative, sociali.
Dalle esperienze maturate, è possibile ricavare una tipologia delle forme di
telelavoro che va dall’estremo delle soluzioni più consuete, basate sulla
possibilità della comunicazione tra strutture di lavoro delocalizzate, a quello
delle soluzioni più radicali, in cui è il posto di lavoro che subisce le maggiori
trasformazioni rispetto agli ambiti, ai modi e alle tradizionali coordinate
spazio-temporali.
-Telelavoro a domicilio
In questa tipologia di telelavoro, il lavoratore, sia se svolge attività dipendente
(home based), sia autonomo (soho), utilizza strumenti e supporti in grado di
consentire una piena ed efficace autonomia di lavoro (telefono, computer, fax,
modem) svolgendo i suoi compiti da casa. L’interazione con l’ufficio può
essere su base costante o saltuaria. L’attività del telelavoratore può attuarsi
esclusivamente presso la sua abitazione o, periodicamente, presso la sede
centrale dell’azienda di appartenenza o presso i clienti.
- Telelavoro in centri satellite o di vicinanza
Questa modalità di telelavoro consente all’impresa di delocalizzare parte della
propria attività in aree geograficamente distanti dalla sede centrale, per
rispondere ad esigenze strategiche (presenza in nuovi mercati), gestionali
(riduzione dei costi) o operative (creazione di una struttura più diffusa e
capillare). L’impiego delle tecnologie può consentire il collegamento
operativo tra la sede centrale, dove permangono le funzioni di controllo o
anche di produzione dell’offerta, e le sedi decentrate.
In questo caso il lavoratore, invece di recarsi in ufficio, si sposta presso un
centro vicino alla sua abitazione attrezzato per il telelavoro. Da lì entra in
contatto con la sua azienda, scambia i dati, carica i programmi e quant’altro
gli sarà necessario per pianificare e svolgere il suo lavoro.
- Telelavoro da centri di lavoro comunitario (telecottage o telecentri)
Si tratta di lavoro a distanza svolto presso strutture di lavoro fornite di
un’ampia gamma di tecnologie telematiche, con una serie di servizi qualificati
di assistenza e di supporto agli utenti. Di norma realizzati da parte di terzi su
requisiti e specifiche funzionali definite da tali soggetti, possono essere gestiti
dagli stessi soggetti promotori, siano essi pubblici e privati (società a capitale
misto pubblico-privato, società private, cooperative no profit). Queste
strutture possono configurarsi come uffici satellite condivisi da più imprese,
che si ripartiscono i costi dell’impianto e delle apparecchiature, oppure
strutture di libero accesso.
Le finalità dei telecentri promossi dalla PA sono di tipo prevalentemente
politico-sociale e si concretizzano nella ricerca di benefici per la collettività
(riduzione di inquinamento e di traffico, mobilità, rivalutazione aree depresse,
et) e/o di benefici di singole aziende, soprattutto di piccole e medie
dimensioni.
Anche la PA utilizzatrice del centro può cercare ritorni nell’incremento
dell’efficienza interna e di servizio verso i cittadini.
In ogni caso, l’utilizzo di queste strutture permette di dar vita ad uno “spazio
comunitario” di lavoro, che rende disponibili anche servizi collettivi per i
lavoratori (sale per riunioni o conferenze, posti di ristoro, etc) e che, quindi,
possono rappresentare un punto di riferimento e un luogo di socializzazione
per i telelavoratori.
- Telelavoro office-to-office
Si tratta di una forma di telelavoro che si va sempre più diffondendo e che
consiste nell’esercitare un lavoro di gruppo, mettendo in collegamento il
lavoro svolto da uffici distanti geograficamente o da singoli professionisti.
Coadiuvati dall’utilizzo di Internet, di tecniche groupwear e videoconferenza,
si possono scambiare opinioni, idee, sfruttando in modo economico ed
efficace le sinergie per lo sviluppo di importanti progetti.
- Telelavoro mobile
Non esiste un luogo fisso di lavoro, ma tanti luoghi quante sono le sedi in cui
è possibile svolgere determinate attività. Il lavoro si svolge da una postazione
mobile, tipicamente composta di un PC portatile, un fax modem e un telefono
cellulare. Con quest’attrezzatura il lavoratore può, ad esempio recarsi dai
clienti e, da lì, collegarsi con l’ufficio per inviare ordini, aggiornare
quotazioni, fare teleconferenza con esperti e tecnici in sede.
Gruppo virtuale
E’ un gruppo di cooperazione tra persone reso possibile dall’apporto
dell’interazione creativa e dell’informatica. Questa modalità permette lo
sviluppo di sinergie e collaborazioni, lo sviluppo di nuove figure
professionali, la riduzione dei tempi e la migliore qualità del lavoro. Si tratta
in sostanza di una modalità di telelavoro di tipo collettivo in cui i lavoratori
condividono uno spazio virtuale.
- Azienda virtuale
L’azienda virtuale è un’azienda che esiste soltanto in rete, che non occupa uno
spazio fisico delimitato, bensì siti Web. La sua offerta può riguardare la
fornitura dei prodotti, l’erogazione di servizi, da quelli più tradizionali a quelli
più innovativi. I vantaggi di questo tipo di struttura, completamente basata
sull'utilizzo delle ICT, sono immediatamente evidenti: azzeramento dei costi
fissi, accesso a un mercato illimitato, massima flessibilità organizzativa.
Nell’accezione più comune, il telelavoro è considerato come lavoro a
domicilio, mentre è poco probabile che quello che ha come riferimento
l’abitazione continui a essere il modello principale di telelavoro, dal momento
che proprio qui si trovano spesso le maggiori barriere, come la mancanza di
spazio, il conflitto con le normali attività domestiche, senza contare gli aspetti
fiscali, legali e assicurativi. Le ipotesi più evolute e moderne non confinano il
telelavoro in un unico spazio fisico ma considerano la possibilità di utilizzare,
a seconda dei casi, una gamma di possibili alternative (l’ufficio tradizionale,
l’ufficio satellite, l’ufficio di un cliente o di un collega, la casa….).In questo
modo, lavorare in molti luoghi diversi può
facilitare l’affermazione di nuove forme di lavoro e di collaborazione, non
soggette a vincoli geografici.
1.4. Vantaggi e problematiche
Le nuove modalità di lavoro a distanza possono incontrare le esigenze di
flessibilità delle aziende e dei lavoratori e possono risolvere con grande
semplicità e a costi contenuti il problema della mobilità che assilla sempre di
più la vita delle città. La diffusione delle ICT, che uniscono una grande
potenza e una grande semplicità d’utilizzo, rende ormai facile introdurre il
telelavoro, con vantaggi diretti e opportunità per tutti, fra cui i principali
possono tradursi:
-per i lavoratori, in termini di migliore qualità della vita e riduzione dei costi,
dovuti alla sottrazione dei costi fisici, psichici e economici del pendolarismo
intra o interurbano, alla minore subordinazione alle forme ed ai ritmi del
lavoro, alla maggiore autonomia realizzativa, al maggior tempo libero;
-per la società più in generale, in termini di benefici per l’ambiente e la
mobilità, la possibilità di integrare gruppi svantaggiati, di creare nuovi servizi
e aumentare la loro qualità, la maggiore diffusione delle nuove tecnologie e
delle competenze per utilizzarle, la possibilità di contribuire allo sviluppo
economico di regioni lontane o difficilmente accessibili e di zone geografiche
che altrimenti avrebbero scarsa rilevanza.
Passare da un lavoro organizzato in modo tradizionale ad un altro, articolato
in una rete di relazioni, di scambi, di aree di business, com’è il telelavoro,
comporta una rivoluzione dei modi di essere e di operare delle organizzazioni
e dei lavoratori. Problemi di ristrutturazione e destrutturazione di alcune
variabili in gioco, quali il tempo, il lavoro, lo spazio, le relazioni
interpersonali ed interorganizzative, impongono alcune riflessioni ed
un’adeguata preparazione.
L’applicazione su vasta scala del telelavoro dovrebbe provocare profondi
mutamenti nel mondo del lavoro, facendo sentire i suoi effetti sia dal punto di
vista economico sia da quello psicologico e sociale.
Per quanto riguarda l’aspetto economico i vantaggi derivanti dal telelavoro
sono principalmente quelli legati alla soddisfazione delle direttive aziendali in
campo di flessibilità e al recupero di aree depresse.
Il telelavoro risponde, indubbiamente, a molte delle esigenze che le imprese
moderne sentono a causa delle nuove condizioni economiche del mondo post-
industriale.
Notevoli opportunità s’intravedono anche nel campo dello sviluppo e del
recupero di aree depresse.
L’indipendenza da infrastrutture, che non siano quelle necessarie ad una
attività telematica, permetterebbe di creare centri di telelavoro anche in zone
che precedentemente erano state penalizzate proprio dalla mancanza di buoni
collegamenti stradali, di una vita economica vivace etc.
In questo senso, politici e studiosi hanno evidenziato i potenziali vantaggi per
il meridione: nel campo del telelavoro il sud potrebbe, infatti, partire da una
buona posizione, visto che l’elevato numero di laureati di cui dispone
potrebbe offrire una elasticità mentale e una capacità di simbolizzazione
indispensabile per questo tipo di attività.
Numerosi sono gli studiosi
10
che elencano alcune ripercussioni negative che
l’applicazione del telelavoro comporterebbe anche da un punto di vista
economico.
A suscitare la diffidenza delle imprese, poi, ci sono i costi di installazione e
gestione delle attrezzature necessarie per il telelavoro: secondo molti si tratta
10
G. Lanzavecchia, ”Il lavoro di domani”, Roma, 1996.