5
Gli ultimi decenni del XX secolo, caratterizzati dall’incessante sviluppo
delle tecnologie elettroniche della comunicazione, segnano la nascita delle
‘psicotecnologie’
5
, tecnologie capaci di emulare, estendere, amplificare le
funzioni senso motorie, psicologiche o cognitive della mente. L’avvento dell’era
delle psicotecnologie è contrassegnato dunque dalla transizione “dal dominio
delle tecnologie meccaniche, estensioni sequenziali e specialistiche di singole
funzioni umane, al dominio delle tecnologie elettroniche, che non sono più
estensioni di singole funzioni, ma del nostro sistema nervoso centrale”
6
.
Così come l’invenzione e la diffusione dell’alfabeto e successivamente
quella della stampa hanno determinato la ristrutturazione del pensiero, dei
processi mentali e il passaggio dall’oralità alla scrittura, lo sviluppo dei nuovi
media informatici e la scrittura elettronica sembrano sancire una nuova
trasformazione antropologica. Partendo dall’assunto di McLuhan secondo cui il
passaggio da un medium all’altro non comporta l’annientamento del medium
precedente, ma si attua nel tempo attraverso un processo di inglobamento del
contenuto della tecnologia precedente da parte di quella successiva, l’epoca
attuale è caratterizzata dall’affiancamento e dalla compenetrazione della
scrittura elettronica non sequenziale con quella alfabetica sequenziale.
Caratteristiche peculiari della scrittura elettronica sono l’ipertestualità,
l’interattività e la connettività. L’ipertesto infatti è una scrittura non sequenziale,
composta da una serie di testi associati tra loro attraverso collegamenti o links
che consentono all’utente di poter scegliere interattivamente il proprio percorso
5
D. de Kerckhove, Brainframes, Bologna, Baskerville, 1993, p. 22.
6
P. D’Alessandro, Critica della ragione telematica cit., p. 68.
6
di lettura. L’avvento susseguente degli ipermedia, in cui coesistono testi,
immagini e suoni segna la reintroduzione nella comunicazione di elementi
caratteristici dell’oralità e la nascita della cultura dell’oralità secondaria in cui
oltre alla vista, modalità conoscitiva principale all’interno della civiltà della
scrittura alfabetica, si riafferma l’udito e il parlato.
L’oralità secondaria è dunque una forma di oralità strettamente connessa
e dipendente dalla scrittura e dalla stampa, ma contemporaneamente simile
all’oralità primaria “per il senso della comunità”
7
. La diffusione delle reti
telematiche e dei nuovi media favorisce infatti, così come era avvenuto
all’epoca dell’oralità primaria conseguentemente all’ascolto delle parole parlate,
l’emergere di un senso di appartenenza a gruppi sempre più estesi e
l’affermazione del parlato come un canale privilegiato di comunicazione.
Nella prospettiva di una diffusione sempre maggiore e in tempi sempre più
brevi delle psicotecnologie all’interno delle società informatizzate, le istituzioni
educative si interrogano sul valore dell’introduzione delle tecnologie
informatiche in ambito educativo, sull’utilizzo di nuovi modelli di apprendimento
e sulle loro molteplici, diverse e possibili implicazioni nei processi di
apprendimento dei bambini.
Partendo da quest’ultima riflessione e assumendo come presupposto
teorico la concezione costruttivista dell’apprendimento, secondo cui l’individuo
riveste un ruolo attivo nella costruzione della conoscenza e costruisce la propria
intelligenza attraverso l’interazione sociale, il contesto culturale e la mediazione
7
W. J. Ong, Oralità e scrittura, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 191.
7
degli artefatti tecnologici, la mia tesi si prefigge di studiare la relazione che si
instaura tra i bambini e le tecnologie multimediali utilizzate in ambito educativo.
La trattazione si apre con un excursus della storia della Psicologia dello
sviluppo attraverso le teorie dello sviluppo cognitivo di orientamento
costruttivista elaborate nel corso del ‘900 da Jean Piaget, Lev Vygotskij e
Jerome Bruner.
Nell’ambito delle singole concezioni teoriche dello sviluppo mentale, la mia
ricerca si propone di evidenziare il ruolo attribuito da ciascun autore
all’apprendimento e i diversi paradigmi educativi proposti. Il primo capitolo si
conclude quindi con l’esposizione della prospettiva educativa metacognitiva,
teorizzata tra la fine degli anni ’70 e la fine degli ’80 da John Flavell e Ann
Brown e incentrata sullo sviluppo della conoscenza del proprio funzionamento
cognitivo da parte del bambino come presupposto essenziale per il
conseguimento di un apprendimento significativo.
Nel secondo capitolo la trattazione ha come oggetto l’analisi di
metodologie educative basate su paradigmi costruttivisti e collaborativi e
incentrate sull’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche. In riferimento a
ciascun modello trattato, la tesi si prefigge di evidenziare la condizione
psicologica dei bambini sottoposti all’influsso delle innovazioni tecnologiche e
quindi l’emergere di nuove forme di apprendimento. All’enunciazione dei diversi
modelli educativi che giustificano e sostengono l’impiego delle tecnologie
multimediali nei processi di apprendimento, segue la critica all’utilizzo delle
8
tecnologie multimediali in ambito educativo ed un’indagine tecnopsicologica
8
relativa allo studio delle psicopatologie emergenti correlate alla diffusione di
Internet e di ambienti di Realtà Virtuale.
8
D. de Kerckhove conia il termine ‘Tecnopsicologia’ per indicare lo studio della psicologia come
condizione psicologica di persone sottoposte all’influsso delle innovazioni tecnologiche.
9
Primo Capitolo
PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO: CENNI STORICI
1.1. Dalla Psicologia dell’età evolutiva alla Psicologia dello sviluppo:
la prospettiva del Ciclo di Vita
Gli anni ’70 hanno segnato la nascita del nuovo orientamento della
Psicologia del ciclo di vita, che si propone di studiare i cambiamenti psicologici
che avvengono nell’individuo dalla nascita alla morte. Il concepire lo sviluppo
come ciclo di vita ha portato all’ampliamento del concetto di Psicologia dell’età
evolutiva.
L’oggetto principale di questo studio era lo sviluppo dell’individuo dalla
nascita al termine dell’adolescenza e si fondava sul presupposto teorico che il
termine della fase adolescenziale segnasse la conclusione dello sviluppo fisico
e psichico. In questa prospettiva l’adulto era considerato il punto d’arrivo e di
confronto per lo sviluppo precedente e per lo sviluppo seguente e di
conseguenza il bambino e l’adolescente non erano altro che adulti non ancora
compiuti e gli anziani venivano considerati come adulti destinati a perdere
progressivamente le proprie capacità. I cambiamenti intervenuti nella struttura
della popolazione dagli anni ’50 (aumento dell’età media, invecchiamento della
popolazione, calo delle nascite) hanno condotto molti ricercatori a spostare
l’interesse dall’infanzia/adolescenza all’età adulta e alla vecchiaia.
10
Si è giunti alla scoperta che l’età adulta è ancora un età soggetta a
profondi mutamenti, non definitivamente stabilizzata e aperta a nuovi
apprendimenti, modificazioni e sviluppo delle proprie competenze cognitive. A
riguardo dell’età senile, gli studi neurofisiologici hanno evidenziato come la
plasticità neuronale del cervello umano permetta nuove ristrutturazioni e
connessioni e dimostrato come gli anziani non siano destinati alla regressione
delle facoltà intellettive, ma siano ancora aperti alla possibilità di nuovi
apprendimenti.
La prospettiva attuale di studio porta quindi ad una maggiore importanza
rivolta verso il presente, alla situazione attuale vissuta dall’individuo e non più
esclusivamente al suo passato, alle influenze infantili considerate come
determinanti per il proprio futuro. La Psicologia dello sviluppo si propone come
disciplina rivolta allo studio dei mutamenti evolutivi incessanti lungo il corso
della vita, seppur l’età evolutiva classica rimanga il primo momento di sviluppo,
caratterizzato dalla massima plasticità neurofisiologica.
Dai modelli deterministici unicausali al modello probabilistico,
olistico, interazionista, costruttivista.
Alla fine dell’800 si sono affermati nell’ambito delle scienze fisiche,
biologiche e psicologiche i modelli deterministici unicausali. L’adozione di questi
modelli portava la psicologia a spiegare il comportamento umano come
conseguenza di una o poche cause, che lo influenzavano unidirezionalmente e
deterministicamente.
11
Il comportamento e lo sviluppo venivano ricondotti all’influenza
dell’ambiente nel Comportamentismo e all’influenza dei fattori biologici nella
Psicanalisi. Il Comportamentismo spiegava il comportamento come
deterministicamente e unidirezionalmente influenzato dall’ambiente e dagli
stimoli che provenivano da esso, senza alcuna considerazione nei confronti
dell’azione individuale. La Psicanalisi invece spiegava il comportamento come
risultato dell’azione della pulsione, un‘energia psichica di produzione endogena
e derivazione istintuale. Sigmund Freud quindi riconduceva il comportamento
umano all’azione della pulsione sessuale e della pulsione di morte, volta alla
distruzione.
Nel corso del ‘900 a partire dalle scienze fisiche e successivamente in
quelle biologiche e umane, i modelli deterministici sono stati sempre più messi
in discussione. Si affermava la visione sistemica e dinamica, caratterizzata da
reciproche modificazioni e interazioni delle variabili lungo il tempo. Di
conseguenza veniva meno la distinzione tra variabile indipendente e variabile
dipendente e ciascuna variabile poteva essere sia causa e sia effetto di altre.
Alle previsioni deterministiche, basate sulla causalità lineare, si sostituivano le
previsioni probabilistiche che studiavano le diverse variabili presenti nel sistema
e i processi che le regolavano.
Determinanti nel processo di passaggio dai modelli
deterministici/unicausali ai modelli contemporanei sono state le elaborazioni
teoriche di Lev Vygotskij, Heinz Werner e Jean Piaget, pionieri del
Costruttivismo, che affermarono per la prima volta il ruolo attivo della mente
12
umana e la sua capacità di rielaborare informazioni e dare significato al mondo.
Il comportamento non poteva più essere spiegato come deterministicamente
consequenziale alle influenze ambientali e biologiche, ma la mente assumeva
un ruolo centrale nelle relazioni con l’ambiente e con l’organismo.
Oltre al Costruttivismo fondamentale è stato l’apporto della teoria di Kurt
Lewin che, attraverso l’adozione della prospettiva interazionista/sistemica,
sottolineava l’importanza dello studio globale dell’individuo e delle relazioni che
si stabiliscono tra lui e l’ambiente. Al centro del suo studio veniva posta la
relazione tra individuo e ambiente ed in particolare il modo di concepire
l’ambiente da parte dell’individuo.
Attraverso questi importanti passaggi la psicologia contemporanea dello
sviluppo si è orientata verso un modello di tipo probabilistico, olistico,
interazionista e costruttivista. L’individuo e l’ambiente formano un sistema
integrato e dinamico, nel quale sono elementi inseparabili e caratterizzati da
interazione dinamica e in cui gli aspetti cognitivi, emotivi, affettivi e sociali
vengono considerati nelle loro reciproche interazioni.
13
1.2. Concezioni dello sviluppo: Piaget, Vygotskij, Bruner
Piaget, Vygotskij e Bruner vengono considerati i tre maggiori protagonisti
della ricerca psicologica dello sviluppo nel corso del ‘900. Partendo da un
comune approccio costruttivistico della conoscenza, sono giunti alla definizione
di teorie distinte inerenti lo sviluppo della mente, ma comunemente
caratterizzate da un orientamento interdisciplinare.
1.2.1. Jean Piaget (1896-1980): la teoria dello sviluppo mentale
Piaget, biologo di formazione, è l’autore che ha maggiormente contribuito
a dare agli studi psicologici un carattere scientifico e sperimentale. Attraverso la
sua ricerca sullo sviluppo psicologico infantile si propone di delineare una teoria
della formazione della conoscenza, ovvero un’epistemologia genetica.
L’epistemologia genetica ha come oggetto di studio l’origine della
conoscenza e i meccanismi che consentono il suo realizzarsi. Piaget si propone
di rispondere a diversi interrogativi sulla formazione dell’intelligenza nel
bambino, sulla sua eventuale presenza fin dalla nascita, sulla possibilità che sia
il frutto dell’accumularsi di molteplici esperienze o che sia il risultato
dell’interazione dell’organismo con l’ambiente. Scegliendo quest’ultima ipotesi,
nel 1936 spiega lo sviluppo dell’intelligenza, “mezzo particolarmente efficace di
cui l’uomo dispone per agire sulla realtà circostante, ampliando così la portata
del suo adattamento biologico”
1
, attraverso i processi di assimilazione e di
1
A. Bombi, Lo sviluppo cognitivo, in Manuale di psicologia dello sviluppo, a cura di A. Fonzi,
Firenze, Giunti, 2001, p. 169.
14
accomodamento. Lo sviluppo dell’intelligenza è quindi caratterizzato da un
equilibrio dinamico, che frequentemente si rompe per ricostituirsi ad un livello
più elevato. Questo equilibrio si realizza fra un processo di assimilazione dei
dati dell’esperienza a schemi mentali, inizialmente di ordine percettivo motorio e
successivamente predicativi già presenti nell’individuo, ed un processo di
accomodamento cioè di modificazione degli schemi in funzione della realtà
assimilata, quando l’esperienza è eccessivamente nuova e non si può adattare
ad essi. Queste due funzioni complementari, garantendo un equilibrio tra
continuità e cambiamento, guidano gli scambi tra organismo e ambiente e
determinano l’adattamento e l’accrescersi del patrimonio dell’individuo, che
rende possibili successivi e sempre più avanzati adattamenti.
L’adattamento o accordo del pensiero con le cose costituisce la “prima
invariante funzionale” a cui si affianca l’organizzazione o accordo del pensiero
con se stesso, costituendo la “seconda invariante funzionale”. Infatti qualsiasi
comportamento intelligente presuppone un’organizzazione, che rappresenta la
tendenza del funzionamento cognitivo a costruire delle strutture/sistemi che
essendo totalità organiche presentano leggi e proprietà peculiari. In un sistema
il tutto non è soltanto la somma delle parti, ma l’agire di ciascun elemento è
strettamente correlato agli altri e ciascuna trasformazione che si realizza
interessa il sistema organizzato nel suo insieme.
Lo sviluppo cognitivo appare come un processo orientato al
raggiungimento di stati di equilibrio sempre maggiori, attestando un elevato
grado di coerenza nello sviluppo raggiunto da un bambino in un preciso
15
momento relativamente a differenti competenze e abilità. Il soggetto non può
quindi compiere consistenti progressi senza che ciò abbia comportato una
modificazione di tutta la struttura. Essendo una invariante funzionale,
l’organizzazione è attestata a tutte le età, seppur muti progressivamente le sue
forme di organizzazione.
Le strutture delle mente: gli schemi
“Gli schemi sono l’unità più elementare della conoscenza e il loro sviluppo
avviene attraverso l’interazione con l’ambiente per mezzo di assimilazione e
accomodamento”
2
. Nelle prime fasi dello sviluppo si può parlare di schemi
senso motori, sequenze unitarie di percezioni ed azioni; successivamente al
secondo anno di vita del bambino emergeranno gli schemi mentali. Ricorrente
in Piaget è l’utilizzo del termine di schemi di assimilazione, intesi come elementi
attivi che consentono di acquisire dati dalla realtà, comprenderla e agire su di
essa.
Il concetto di stadio
Nel sistema piagetiano, lo sviluppo intellettuale del bambino viene
descritto come una progressione di stadi, di periodi successivi, caratterizzati da
livelli qualitativi sempre più elevati rispetto agli stadi precedenti. Seguendo il
principio dell’integrazione gerarchica tra stadi, le acquisizioni raggiunte in
ciascuno stadio non vengono perse con il raggiungimento dello stadio
2
M. Levorato, Lo sviluppo cognitivo, in Manuale di psicologia dello sviluppo, a cura di L.
Camaioni, Bologna, Il Mulino, 1993, p.182.
16
susseguente, ma vengono acquisite, ristrutturate e diventano parte integrante
dello stadio superiore. Le modificazioni cominciano ad avvenire all’interno dei
singoli stadi e, attraverso una fase preparatoria di assimilazione ed
accomodamento, raggiungono la maturità funzionale che sancisce il passaggio
ad uno stadio più evoluto. La teoria stadiale evidenzia come per Piaget lo
sviluppo intellettuale non sia soltanto un processo continuo, governato
dall’organizzazione e dall’adattamento, ma si tratti anche di un processo
discontinuo, in cui si susseguono livelli qualitativamente sempre più evoluti.
• Lo stadio sensomotorio (0-2 anni)
Lo stadio sensomotorio si sviluppa lungo il corso dei primi 2 anni di vita del
bambino e costituisce la forma di comportamento intelligente più semplice.
Attraverso lo studio dell’intelligenza sensomotoria Piaget si prefigge lo scopo di
verificare l’ipotesi che lo sviluppo sia caratterizzato da momenti di assimilazione
alternati a momenti di accomodamento. Per una descrizione più analitica dei
comportamenti, lo stadio sensomotorio viene distinto in 6 ulteriori stadi. Durante
lo svolgersi di questi, le condotte del bambino si fanno sempre più complesse,
si consolidano e si integrano con quelle precedenti.
1) Primo stadio (0-1,5 mesi): esercizio dei riflessi
Nel corso del primo mese di vita l’attività del bambino appare
caratterizzata da una motricità attivata dai riflessi. Seppur gli studi attuali
abbiano evidenziato abilità percettive nuove e sconosciute negli anni delle
17
ricerche piagetiane, Piaget coglie l’importanza della presenza di schemi
innati, che in questa fase si consolidano attraverso l’esercizio. I riflessi della
suzione, visione, audizione, prensione vengono esercitati, applicati a
situazioni diverse e sempre maggiori e si potenziano tramite il loro stesso
esercizio.
2) Secondo stadio (1,5-4 mesi): i primi adattamenti non innati e le reazioni
circolari primarie.
Il bambino acquisisce i primi adattamenti non innati che vanno ad
integrarsi ai processi riflessi. A differenza dei comportamenti riflessi che
vengono ripetuti, continuamente esercitati senza però sviluppare nuovi
apprendimenti, gli adattamenti acquisiti portano l’individuo ad apprendere
nuovi dati dall’ambiente ed a integrarli nei propri schemi.
Il bisogno di ripetizione (es. il toccare per caso con una mano una parte
del proprio corpo e successivamente cercare di ripetere il movimento per
riscoprire o conservare quel risultato nuovo) viene definito reazione circolare
primaria
3
che non è semplice ripetizione automatica di una condotta, ma
implica la scoperta e la conservazione del nuovo comportamento e nasce
dalla sintesi di assimilazione e accomodamento.
Ha inizio inoltre la coordinazione tra loro di alcuni schemi, in cui due
schemi vengono ad attivarsi parallelamente e contemporaneamente: visione
e audizione, visione e prensione, prensione e suzione. In questa fase il
3
Primaria in quanto le azioni sono centrate sul corpo del bambino.
18
bambino comincia a riconoscere i volti umani e i suoni familiari, seppur in
questo stadio non si possa ancora parlare di intelligenza, in quanto i
comportamenti presenti sono un prolungamento dell’attività riflessa, sono
privi di intenzionalità e sono frutto di sviluppo casuale.
Il neonato fino a 4 mesi vive ancora in una condizione di egocentrismo
radicale, caratterizzata dall’assenza della consapevolezza di se stesso e
dell’esistenza di una realtà esterna.
3) Terzo stadio (4-8 mesi): le reazioni circolari secondarie
Con questa fase il bambino appare più consapevole della realtà
circostante e si impadronisce delle reazioni circolari secondarie, mettendo in
atto ripetutamente alcuni comportamenti che hanno prodotto un risultato
interessante in relazione all’ambiente esterno. Pur cominciando a
riconoscere la realtà circostante e le proprietà delle cose intorno a lui, il
bambino non è ancora capace di esplorazione volontaria in quanto non
distingue tra mezzi e fini e non è in grado di dar vita a ricerche che abbiano
come scopo il ritrovamento di oggetti fuori dal suo campo percettivo.
4) Quarto stadio (8-12 mesi): la coordinazione degli schemi secondari e la
loro applicazione a situazioni nuove
Questa fase dello sviluppo del bambino segna la comparsa
dell’intelligenza sensomotoria e la distinzione tra mezzi e fini.