2
accoppiamenti diretti con alternatori o altro, senza la presenza di riduttori. Inoltre le minori
velocità rendono l’erosione molto minore.
Per rendere più chiare le differenze tra i cicli a fluido organico rispetto a quelli ad acqua, nei
paragrafi 2.2, 2.3 e 2.4 si mostrano alcuni esempi di calcolo. Interessante è notare che i
rendimenti ottenuti sono più alti nel caso dell’acqua, denotando quindi il fatto che la ragione
principale per cui i rendimenti ottenuti con i fluidi organici risultano maggiori per le basse
temperature e potenze non è da ricercarsi nel rendimento termodinamico, bensì nelle varie
proprietà del ciclo sopra descritte.
La tecnologia ORC, nata negli anni 70-80, ha preso piede solamente in questi ultimi quindici
anni, grazie ad aziende specializzate che forniscono impianti standardizzati di facile
installazione. Essa trova applicazione in tutti quei casi in cui la temperatura della sorgente
calda non è elevata, come nella geotermia e negli impianti solari, oppure nel caso in cui le
potenze non sono elevate, come nel recupero del calore dei fumi di scarico da microturbine
a gas oppure da motori a combustione interna fissi e nell’utilizzo delle biomasse. Ciascuna di
queste applicazioni viene esaminata all’interno del capitolo. Si forniscono poi, oltre che una
serie di dati di applicazioni esistenti, anche i dati di impianti ORC standardizzati prodotti dalla
ditta italiana “Turboden”, per avere una panoramica delle potenze più comuni adottate nel
mercato europeo.
Nel capitolo 3, infine, si effettuano alcuni esempi di calcolo di impianti applicati ai trattori
Nel paragrafo 3.1 si prendono in considerazione i dati di numerosi trattori. In particolare, per
ogni motore considerato, si forniscono potenza meccanica, percentuale di energia ai fumi, al
raffreddamento e agli attriti, e da questi si calcolano le potenze relative.
Nel paragrafo 3.2 si esamina un impianto molto semplice, in cui c’è la presenza di un unico
scambiatore di calore con i gas. Per esso si ottengono potenze interessanti, per esempio per
il motore che viene indicato poi con la lettera D, da 74 kW di potenza meccanica, il ciclo
fornisce ulteriori 5.6 kW. Purtroppo questa potenza è necessaria quasi nella sua totalità per
alimentare il flusso d’aria della convezione forzata prevista nel condensatore. Oltre a questo
gravissimo problema, si aggiunge il fatto che le dimensioni del condensatore sono molto
elevate. Il generatore di vapore invece risulta essere di dimensioni assolutamente compatibili
con le disponibilità di spazio nel mezzo agricolo. Un altro punto interrogativo è dato dalla
turbina. La scelta della tipologia da adottare è ricaduta su una turbina ad azione, Curtis a
due salti di velocità. Dai conti risulta un’elevata velocità di rotazione, nonchè dimensioni
dell’ugello decisamente piccole. Questi due fattori potrebbero infatti rendere la costruzione
della turbina più complicata di quanto desiderabile. Non ultimo infatti sono le considerazioni
economiche, che in questa tesi non vengono toccate.
Nel paragrafo 3.3 si studia la maniera di sfruttare anche la potenza di raffreddamento del
motore. Essa assume valori che possono essere interessanti, ma purtroppo è disponibile ad
una temperatura troppo bassa. I numerosi cicli esaminati hanno infatti dato il responso che
non è possibile sfruttare tale energia in quanto i rendimenti ottenuti sono dell’ordine di
appena il 3%.
Nel paragrafo 3.4 infine si è voluto analizzare l’impianto adottato dalla BMW e facente parte
del progetto di ricerca denominato “Turbosteamer”. Anche la grossa casa automobilistica
infatti si sta muovendo in questa direzione. Il suo impianto prevede due circuiti separati. Il
primo, ad alta temperatura, sfrutta il calore dei gas prima della marmitta e parte di quello
dopo la marmitta. Il secondo, a bassa temperatura, sfrutta il calore rimanente dei gas di
scarico, il calore del condensatore del primo circuito, e la potenza di raffreddamento del
motore. Essendo provvisti solamente di una bozza dello schema di impianto, ma di nessun
dato, anche in questo caso si sono dovute stimare potenze e temperature. Per mantenere
una connessione con gli esempi precedenti, sono stati analizzati i medesimi motori,
applicando quindi l’impianto della BMW non ad una auto ma bensì ad un trattore.
Anche qui, come sopra, si è visto che l’utilizzo della potenza di raffreddamento non è
fattibile, anche se sembra difficile che una casa costruttrice come la BMW possa non essersi
resa conta del fatto.
3
1 I cicli diretti a vapore
1.0 Generalità
Come già annunciato nell’introduzione, questo capitolo ha lo scopo di ricordare al lettore le
caratteristiche peculiari di tutti gli impianti a vapore, sia esso proveniente dall’acqua che da
qualsiasi altro fluido.
Un ciclo diretto è un ciclo termodinamico che permette di trasformare parte dell’energia
interna di un fluido caldo in lavoro meccanico.
Essi si contrappongono ai cicli inversi dove la trasformazione avviene nel senso opposto, cioè
dove si trasforma il lavoro in calore.
L’ulteriore precisazione “a vapore” serve per distinguerli dai cicli diretti a gas in quanto si
prende in considerazione cicli ove il fluido di lavoro non si mantiene sempre in forma
gassosa ma cambia fase, diventando quindi anche liquido.
Nei cicli a gas invece non c’è il cambiamento di fase.
Naturalmente i cicli a vapore e a gas presentano i loro particolari vantaggi e svantaggi,
altrimenti non se ne giustificherebbe l’esistenza contemporanea nella tecnica industriale.
Preannunciando quanto verrà ampliato in modo più completo nei successivi paragrafi, si può
dire che i cicli a vapore permettono di ottenere rendimenti più elevati in quanto le spese di
compressione, necessarie nel ciclo, sono modeste, a differenza di quanto accade per i cicli a
gas,dove queste spese sono dello stesso ordine di grandezza del lavoro ottenuto tramite
l’espansione; questo è dovuto al fatto che nella fase di compressione il fluido si trova allo
stato di liquido e quindi il lavoro necessario per unità di massa è molto più piccolo rispetto a
quello necessario per comprimere la stessa quantità di fluido presente invece allo stato
gassoso.
Gli svantaggi più importanti invece sono la complessità di impianto che prevede un
evaporatore ed un condensatore, apparecchiature piuttosto ingombranti, e la lentezza
nell’attivazione e nella preparazione dello stesso (anche parecchie ore).
Il fluido di lavoro più usato è l’acqua. Esso infatti presenta importanti caratteristiche come
l’abbondanza in natura, la grande capacità termica, la possibilità di cambiare fase in
condizioni termodinamiche di temperatura e pressione compatibili con i materiali di
costruzione delle turbine e del resto dell’impianto.
Le possibilità di questo fluido sono comunque limitate ad un certo campo di applicazioni, che
non comprendono quelle a temperatura bassa, dove si preferisce l’utilizzo dei fluidi organici.
Questa parte verrà approfondita nel successivo capitolo.
1.1 I cicli ideali Rankine ed Hirn
I cicli Rankine ed Hirn sono dei cicli ideali di riferimento per i cicli diretti a vapore. La
differenza tra i due sta nel fatto che nel ciclo Rankine le condizioni del vapore prima
dell’ingresso in turbina sono di vapore saturo secco, mentre nel ciclo Hirn il vapore viene
surriscaldato.
Ciclo Rankine
Si consideri la figura 1.1.1, e di essa la curva 1 2’ 3’ 4’. Il ciclo si compone di 4 fasi:
- compressione adiabatica isoentropica 1-2 del fluido che si trova allo stato liquido;
per far questo è necessaria una fornitura di lavoro da parte di una pompa, lavoro
che è comunque piccolo rispetto alle altre quantità in gioco nell’impianto
- fornitura di calore a pressione costante 2-3’, il fluido in questo passaggio prima si
riscalda fino a raggiungere il limite inferiore della curva di Andrews, poi evapora, fino
a raggiungere il limite superiore. L’adduzione di calore è ottenuta tramite un
apparecchio chiamato generatore di vapore.
4
- espansione adiabatica isoentropica 3’-4’ in turbina; qui una parte dell’energia
termica contenuta nel vapore si trasforma in energia meccanica che viene raccolta
dalle pale della turbina.
- sottrazione di calore a pressione costante 4’ -1; il fluido pertanto condensa
riportandosi nella condizione 1, pronto per subire un’altra compressione da parte
della pompa.
Figura 1.1.1 – Ciclo diretti a vapore su diagramma entropia – temperatura : la linea continua
è riferita al ciclo Hirn, mentre la variante tratteggiata appartiene ad un ciclo Rankine.
Ciclo Hirn
In tal caso vi è anche surriscaldamento del vapore. Pertanto riconsiderando la figura 1.1.1 la
curva da considerare è quella completamente in tratto continuo 1 2’ 3’ 3 4.
Rispetto al ciclo Rankine, la fornitura di calore a pressione costante si prolunga fino al punto
3, dove il fluido si troverà nelle condizioni di vapore surriscaldato.
La fase 3-4 è sempre un’espansione adiabatica isoentropica, solamente che in questo caso il
titolo di vapore a fine espansione è maggiore rispetto a quello del ciclo Rankine,
consentendo pertanto una minore usura delle pale delle turbine, sensibili agli urti delle
goccioline di umidità.
La fase 4-1 rimane sempre una sottrazione di calore a pressione costante.
1.2 I cicli reali
Figura 1.2.1 Ciclo Rankine ed Hirn reali tracciato sopra il ciclo ideale
I cicil ideali illustrati nel paragrafo precedente presentano alcune differenze rispetto quelli
reali.
Ciclo ideale
Ciclo Reale
5
Prendendo per esempio in considerazione il ciclo Hirn rappresentato in figura 1.2.1 si può
dire che, in realtà, la fornitura di calore 1-3 non può essere a pressione costante a causa
delle perdite di carico necessarie per il deflusso del fluido nei tubi del generatore di vapore.
Stessa osservazione naturalemente va fatta per il deflusso all’interno del condensatore, per
cui anche il tratto 4-1 si presenta leggermente inclinata.
Per quanto riguarda la compressione 1-2 e l’espansione 3-4, esse non possono essere
considerate isoentropiche a causa delle irreversibilità nella pompa e nella turbine. Il risultato
di quanto detto è una diminuzione del rendimento del ciclo, a parità di condizioni al
contorno, in quanto l’area dello stesso viene a diminuire in modo non trascurabile.
1.3 Tecnologie per migliorare i rendimenti
Lasciando perdere tutte le particolarità costruttive dei singoli elementi, che fanno parte
dell’”arte” della costruzione e dei dettagli ingegneristici, si possono evidenziare alcuni trucchi
usati spessissimo nei grossi impianti e che consentono grandi migliorie ai rendimenti degli
stessi. Lo scopo è quello di ingrandire l’area del ciclo (che corrisponde ad un aumento del
rendimento). Ciò si traduce nelle seguenti azioni:
- alzare la pressione di adduzione di calore;
- diminuire la pressione di sottrazione di calore;
- spostare a destra e a sinistra rispettivamente le curve di espansione e di
compressione.
Aumentando la pressione di compressione, si ottiene effettivamente un ingrandimento
dell’area, purtroppo però si vengono a creare problemi inerenti il titolo di fine espansione.
Alzando la pressione, infatti, il punto 3 si sposta verso sinistra, e quindi anche il punto 4 di
fine espansione si troverà spostato a sinistra. Si ricorre pertanto al cosiddetto
risurriscaldamento, che consiste in un fornitura di calore eseguita sul vapore che esce dal
primo stadio di espansione. Nella pratica si tratta perciò di modificare la turbina di
espansione suddividendola in uno o più compartimenti.
Si nota che il risurriscaldamento, oltre a risolvere il suddetto problema, sposta la curva di
espansione verso destra, provocando un ulteriore ingrandimento dell’area.
Si nota altresì che è necessario che la T3 (detta anche TIT cioè temperatura di ingresso
turbina) non superi una certa soglia per motivi di carattere tecnologico, ed infatti nella figura
1.3.1 questo è reso ben evidente dal fatto che le temperature prima dell’ingresso in turbine
non superano un livello massimo
Figura 1.3.1 – Risurriscaldamento nel ciclo Hirn
Diminuendo la pressione di fine espansione si riesce ad abbassare la curva 4-1. Solitamente
gli impianti ad acqua possiedono uno scambiatore di calore isolato dall’esterno, pertanto la
6
pressione viene resa minore di quella atmosferica, e si arriva a circa 5kPa, alla quale
corrisponde una temperature di circa 33 °C.
Esiste un altro metodo per incrementare il rendimento, questa volta a scapito della potenza.
La zona di adduzione di calore nel grafico può essere scomposta, per un ciclo Hirn, in 3
settori, ciascuno dei quali si riferisce rispettivamente all’economizzatore (dove l’acqua viene
scaldata), al vaporizzatore e al surriscaldatore. La prima di queste tre fasi è quella a più
basso rendimento. Si può facilmente dimostrare che, l’utilizzo di parte del calore del vapore
surriscaldato per riscaldare l’acqua, aumenta il rendimento, anche se a scapito della Potenza
meccanica in uscita. Questa tecnologia, utilizzata in tutti gli impianti, è detta rigenerazione.
La figura 1.3.2 illustra un ciclo Hirn con rigenerazione. La linea tratteggiata sta ad indicare il
vapore spillato nel punto A ed inviato a monte dell’impianto.
Gli spillamenti possono arrivare anche ad un numero di otto.
Figura 1.3.2 – Ciclo Hirn con rigenerazione
È superfluo ricordare che ciascuno di questi accorgimenti tecnici comporta un costo non
indifferente, pertanto la loro applicazione è basata, prima di tutto, su considerazioni di
carattere economico.