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CAPITOLO 1
Decrescita e sviluppo
1.1 Introduzione
Ogni giorno la politica, la televisione, i giornali, la scuola, le persone parlano di crescita e di
sviluppo, di aumento o diminuzione del PIL, di produzione industriale, di efficienza dei lavoratori
(pubblici, dato che nel privato si “lavora”) e del rilancio dei consumi.
Siamo cresciuti nella convinzione e nel mito che ogni anno il PIL debba aumentare, in modo che
anche il nostro reddito sia maggiore per poter acquistare più cose, di cui abbiamo ovviamente
bisogno, e così stare meglio. Ai concetti di crescita e sviluppo economico la nostra cultura associa
fantasie e immagini di benessere, speranza e felicità.
Ma fino a quando il Prodotto interno lordo potrà crescere? E con quali conseguenze sull'ambiente e
sulle persone? Prima ancora: questa idea di benessere e felicità associata al consumo e alla
produzione economica-industriale è reale?
Solitamente in tempi di abbondanza e di crescita economica queste domande non vengono poste,
non si sente il bisogno di farsele, ma soprattutto la nostra cultura e il nostro pensiero ( unico ) non ci
insegnano e non ci spingono a farcele.
E ora che siamo in tempi di crisi, crisi causata dalla stessa logica di consumo e di opulenza
illimitata, si discute di capitalismo e del nostro modo di vivere? No, si cercano solo soluzioni per
poter, quanto prima, tornare a consumare e produrre più di prima. Fino a quando?
E' l'unico modello possibile? Rinunciare a questo modo di vivere significa rinunciare al ben-essere?
Gli economisti classici sostengono invece che sia possibile crescere indefinitamente grazie alla
tecnologia, al riciclaggio e all'efficienza energetica e produttiva, tanto che il premio Nobel per
l'economia, Robert Solow, afferma che: “il mondo può, in effetti, andare avanti senza risorse
naturali, cosicché il loro esaurimento è solo un avvenimento, non una catastrofe”.
Non è vero.
Non è vero poiché gli economisti classici e neoclassici, dalle origini fino ad oggi, hanno sempre
considerato la materia e l'energia inesauribili, in poche parole la natura, un bene infinito e quindi
sfruttabile senza riserve. Invece la natura, l'energia, la materia non sono illimitati ma rispondono a
leggi fisiche di degradazione ben definite, in particolare dalla seconda legge della termodinamica.
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Questo analisi trans-disciplinare, tra economia ed ecologia, la dobbiamo a Georgescu-Roegen, che
sostiene la necessità epistemologica di considerare e accettare i limiti della natura. Questi studi
hanno preso il nome di “bioeconomia”.
Accanto a questa teoria ho considerato anche altri contributi come quelli del manifesto politico della
decrescita e quello tradizionale, pre-coloniale, di alcune culture come quella indiana.
Anche ai Paesi in Via di Sviluppo si vuole imporre il nostro modo di pensare e vivere, considerato il
migliore possibile. Solo l'ignoranza ( di altri modi sani di vivere ) e la superbia, tipica del modello
scientifico-capitalistico, possono credere a una menzogna del genere.
1.2 La teoria bioeconomica
1.2.1 Cenni storici
Su quali concezioni del mondo si basa l'attuale paradigma tecnologico-capitalistico?
Verso la metà del diciassettesimo secolo, in Europa, inizia a svilupparsi quel metodo che ancora
oggi, in maniera predominante, guida tutta la conoscenza occidentale, il metodo scientifico.
Il metodo scientifico, i cui capostipiti furono Bacone, Cartesio, Galileo e Newton, cerca di capire
come funziona la natura e non il perché, tramite la separazione dell'osservatore dalla cosa osservata
per sviluppare così un metodo rigoroso di indagine conoscitiva. Inoltre serviva uno strumento
oggettivo e razionale come è la matematica per sancire la divisione tra soggettivo e oggettivo, tra
razionale ed emotivo e definire così questo metodo universale. Con questi propositi si tolse alla
natura e alla realtà tutta qualsiasi componente qualitativa, affettiva e relazionale; la nuova
conoscenza non era improntata alla comprensione del mondo ma al suo dominio, al suo
sfruttamento.
Il modello meccanicistico si dimostrò così irresistibile. Tramite relazioni matematiche, chiare e
ordinate, si poteva spiegare tutto l'universo e soprattutto lo si poteva governare. Presto questo
assunto passò dalla scienza alla sociologia e all'economia. Togliendo senso e sentimento alla realtà
naturale questa poteva venire utilizzata per arricchire le proprietà dei suoi membri al di là di ogni
limite, considerando irrazionale il suo non sfruttamento. Voglio però ricordare che il metodo
scientifico è solo uno dei metodi di conoscenza della realtà e che quindi non deve essere assunto, e
non si deve crederlo, migliore o superiore agli altri metodi usati in altre culture.
Oggi un qualsiasi manuale di economia, rappresenta il processo economico come un circolo in cui
la domanda stimola la produzione, che produce reddito che a sua volta produce domanda in un
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processo ricorsivo ipoteticamente illimitato, partendo dall'ipotesi che materie prime, capitale e
lavoro siano infiniti.
Da queste considerazioni parte la critica di Georgescu-Roegen allo sviluppo illimitato.
1.2.2 La legge dell'entropia
Le critiche alla teorica economica neoclassica partono dalla formulazione della seconda legge della
termodinamica che enuncia: “In ogni produzione di lavoro mediante calore una parte dell'energia
impiegata passa da una forma disponibile ad una indisponibile. Detto in altre parole, l'energia sotto
forma di calore subisce inevitabilmente un processo di degradazione, la cui misura è chiamata
entropia” (Bonaiuti). Inoltre è importante ricordare anche il postulato della prima legge della
termodinamica che afferma che “mentre l'energia non può essere né creata né distrutta, può tuttavia
essere trasformata da una forma a un'altra” (Rifkin).
Queste due leggi dovrebbero essere considerate anche nei processi di produzione industriale che
ipotizzano, come visto prima, un processo circolare infinitamente riproducibile. Secondo
Georgescu-Roegen bisogna quindi considerare la finitezza dell'energia e anche della materia (la
questione riguardante la materia sarà discussa più avanti).
Per fare un esempio, ogni volta che si usa un pezzo di carbone o un litro di petrolio si ha la
trasformazione di energia da uno stato disponibile (carbone, petrolio) a uno stato indisponibile
(anidride carbonica e rifiuti), che solitamente è inquinamento.
Una delle conseguenze più importanti è che ogni volta che l'energia passa da uno stato disponibile a
uno indisponibile non sarà poi più utilizzabile per un'occasione futura, causando l'aumento
dell'entropia. L'entropia tende quindi a un massimo.
Si può obiettare che esistono due tipi di risorse energetiche disponibili sulla Terra, quelle non
rinnovabili, o rinnovabili in tempi geologici, e le risorse rinnovabili come quella solare.
L'energia solare però ha alcune caratteristiche che ne rendono difficile un uso consistente; è poco
concentrata, e quindi è necessario raccogliere energia da aree molto vaste per averne quantità
significative. Rimane comunque la questione della degradazione e dell'esaurimento delle materie
prime.
Georgescu-Roegen era convinto che “tanto l'energia quanto la materia subiscono un'irreversibile
degradazione da forme disponibili a forme indisponibili” e da questa convinzione formula una
“quarta” legge che afferma che “ il riciclaggio completo della materia è impossibile”. Questa legge
si dimostra però incompatibile con la struttura delle leggi fisiche a causa di alcune controprove, ma
questo non diminuisce l'importanza dell'enunciato nella maggior parte delle situazioni attuali.
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Molti credono che si possa riciclare o riutilizzare completamente quasi ogni cosa ma questo, fino ad
oggi è impraticabile, e comunque per effettuare il riciclaggio occorrono maggiori energie per la
raccolta, il trasporto e la lavorazione dei materiali usati aumentando così l'entropia totale
dell'ambiente. O dai materiali che non vengono riciclati o dall'energia che sprechiamo per riciclare
una sempre maggiore quantità di oggetti, noi produciamo dell'inquinamento.
Questo inquinamento, nell’ecologia industriale, viene chiamato costo esterno. Un costo esterno è il
costo di un effetto imprevisto causato da un certo prodotto o processo che solitamente crea un
danno per l’ambiente e per le persone. L’ecologia industriale propone quindi di contabilizzare nei
bilanci questi costi in modo che i prodotti abbiano un prezzo comprensivo anche delle conseguenze
inaspettate; ma quanto “costa” l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo sulla vita delle
persone? E’ veramente quantificabile? No, non lo è. Allora vengono proposte nuove tecnologie per
risolvere il problema causato senza però considerare che queste comportano l’uso di altri materiali e
di altre energie aumentando così l’entropia del sistema complessivo.
Per dirla con Jacques Ellul: “La storia dimostra che ogni applicazione tecnica, sin dal suo inizio,
presenta alcuni effetti secondari imprevedibili che sono ancora più disastrosi della stessa assenza
della nuova tecnica”. La tecnica è sempre esistita, ma il rapporto tra tecnica e uomini era diverso:
una volta questa aveva funzioni limitate, era uno strumento, ora la tecnica regola ogni aspetto della
nostra vita e non possiamo più farne a meno.
1.2.3 La teoria della produzione
La teoria di produzione neoclassica afferma che i beni prodotti siano una funzione del capitale K,
delle risorse naturali R e del lavoro L, cioè Q = f (K, R, L). Trattandosi di una funzione del tipo
Cobb-Douglas , si può desumere che si possa produrre un qualsiasi input Q riducendo per esempio
le risorse naturali R, se però viene aumentato il capitale o il lavoro.
La teoria neoclassica presuppone quindi una perfetta sostituibilità tra risorse naturali e capitale
prodotto dall’uomo; questo significherebbe che riducendo l’uso di farina o uova (risorsa naturale)
ma aumentando il capitale (forno) o il lavoro (due cuochi invece che uno) si possa cuocere una torta
più grande. Ma questo non è possibile e si può spiegare attraverso la teoria dei fondi e dei flussi di
Georgescu-Roegen.
Georgescu-Roegen separa gli elementi K, R, L in fondi e flussi: il capitale e il lavoro sono
considerati fondi, cioè elementi che possono “entrare ed uscire dal processo con la propria
efficienza immutata”, cioè al termine del processo sono nelle medesime condizioni in cui sono
entrate ( a meno di una piccola parte che però si può ripristinare con certo ammontare di lavoro e
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capitale). I flussi invece sono quegli elementi che vengono utilizzati dal fondo per svolgere il
proprio processo, tipicamente i flussi si identificano con le risorse naturali e i prodotti intermedi in
input e in prodotti finiti e scarti in output. Il modello fondi-flussi, come suggerisce Daly, mette in
evidenza che “ciò che chiamiamo produzione è in realtà la trasformazione di risorse in prodotti
dotati di utilità e in prodotti di scarto. Lavoro e capitale sono agenti di trasformazione (causa
efficiente), mentre risorse, bassa entropia energetica/materiale, sono ciò che viene trasformato
(causa materiale)”. Si può quindi osservare che non esiste sostituibilità tra fondi e flussi, ma solo
complementarietà, e quindi tutte le ipotesi di sostituire risorse naturali con lavoro o tecnologia non
trova fondamento fisico. I dati mostrano che le tecnologie anche se hanno reso più efficienti i
processi produttivi, riducendo la quantità di materiale necessaria alla produzione di una stessa
quantità di beni, il consumo di energie e di materie prime è aumentato in valore assoluto, fatto
dovuto all’incremento delle produzione e del consumo totali.
1.2.4 Conclusioni
Gli studi di Georgescu-Roegen hanno dimostrato che la teoria economica neoclassica ha alla base
concetti, errati, di illimitatezza e di sostituibilità delle risorse naturali; questo però è un aspetto che
non riguarda solo l’economia ma molte, se non tutte , le scienze basate sulla logica meccanicistica
della realtà. E’ proprio di tutte le scienze basate sul metodo scientifico studiare un aspetto della
realtà scindendolo dal Tutto in cui è compreso.
Ciò necessita di una riformulazione del pensiero scientifico, e quindi anche economico, che
consideri non solo la natura matematica e “oggettiva” del reale ma anche i suoi aspetti dialetti e
sociali. Può essere lo sviluppo sostenibile questa alternativa?
Rispondo con l’ausilio di alcuni dati: la popolazione americana, pari al 4,5 % della popolazione
mondiale consuma il 40% delle risorse mondiali, un cittadino americano consuma 4 volte l’energia
di un italiano, 150 volte quelle di un tanzaniano, 1000 volte quello di un ruandese, (senza
considerare che in Usa i poveri sono circa 40 milioni che quindi consumano molto meno).
Per ulteriori valutazioni si usa spesso l’impronta ecologica: l’impronta ecologica è la relazione tra il
consumo umano di risorse naturali e la capacità della Terra di rigenerarle; l’impronta ecologica
americana è di 9,6 ettari pro capite rispetto a una media mondiale di 1, 9 ettari pro capite, se anche
si utilizzasse come parametro di riferimento la biocapacità americana pari a 4,4 ettari pro capite,
resta comunque un deficit pro capite di 5, 2 ettari pro capite. Cosa significa questo? Che se gli
americani sfruttassero al massimo le risorse del loro paese, per mantenere il loro stile di vita,
dovrebbero comunque sottrarre risorse ad altri popoli. Discorso analogo lo si può fare per la
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maggior parte dei paesi europei; la Germania ha una biocapacità di 1,9 ma consuma ben 4,2 ettari
pro capite, l’Italia ne consuma 4,8 a confronto con una biocapacità di 1,2 ettari pro capite.
Dobbiamo svilupparci ancora?
1.3 Progetto di decrescita economica
1.3.1 Premessa
Questa tesi presenta nel titolo la locuzione “Paesi in Via di Sviluppo”; ma cosa pensiamo quando ne
sentiamo parlare? Pensiamo a paesi poveri, economicamente poveri, dove per qualche motivo
ontologico, come la loro cultura arcaica e tribale, non stanno “bene” come noi.
Nel XX secolo il Primo Mondo e organismi internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo
Monetario Internazionale, hanno cercato di esportare il nostro ben-essere (o ben-avere) proponendo
a questi Paesi, ma più spesso imponendo loro, ricette economiche già applicate in Occidente come
l'apertura a un mercato ultra-liberista e l'uso di tecnologie avanzate come le biotecnologie e i
concimi chimici per l'agricoltura, senza considerazioni delle loro culture, tradizioni, peculiarità
territoriali e storiche.
Ma sappiamo tutti come sono andate le cose: aumento della fame, della siccità e delle malattie, in
poche parole si è passati dalla povertà alla miseria; nonostante ciò continuiamo a proporgli, con
ancora maggiore insistenza, il nostro modello di sviluppo.
E' quindi auspicabile continuare a proporgli questo modello? Inoltre, in base ai dati illustrati nella
conclusione del paragrafo precedente, questa situazione è sostenibile per il futuro del Pianeta Terra?
Rileggendo quei dati, è così assurdo chiedersi se il primo ostacolo alla loro sussistenza sia il nostro
modello di vita?
Io credo che il loro ben-essere sia intimamente legato e condizionato dal nostro ben-avere, è per
questo che ho deciso di analizzare prima la nostra società opulenta, poi di analizzare una proposta
per uscire dalla dipendenza dei consumi anche attraverso esperienze reali e alternative, per
concludere con uno sguardo sui paesi non industrializzati ma ugualmente ricchi di cultura e di
possibilità