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INTRODUZIONE
Come in un vaso di cristallo sono racchiuse le parole che diranno del nostro futuro, così in un romanzo
incompiuto si può proteggere per l‟eternità un grande segreto. Tutti i lettori che si avventurano tra i
versi del Conte du graal sono colpiti da questa forza sibillina, la cui verità sta racchiusa in parole di cui
sfugge sempre, come portato via dal vento, il senso più autentico. La sensibilità di ognuno giudicherà
se si tratta di un sentimento attraente o sconfortante, se proseguire nella ricerca (e sarà in buona
compagnia) o se lasciare il mistero alla sua storia.
Quando Perceval entra nel castello del Re Pescatore (v. 3075 ss.
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), vi incontra il sovrano che l‟aveva
invitato presso la sua dimora già seduto sul suo trono; è un sovrano malato, la cui infermità si riflette
nella sterilità infeconda del regno. Mentre il giovane eroe sta dialogando con il signore, gli viene
donata una spada di fattura eccezionale, a lui destinata fin da quando è stata forgiata.
S‟inizia allora l‟enigmatica sequenza che verrà abitualmente denominata dagli studiosi «corteo del
graal» (v. 3190 ss.). Dapprima entra in scena una lancia bianca, dalla cui punta fuoriesce una goccia di
sangue vermiglio, che cola fin sulla mano del ragazzo che la sostiene; Perceval è curioso di sapere
come avvenga un tale prodigio, ma resta in silenzio, serbando in cuore le parole di Gornemanz che gli
ha raccomandato di trattenersi dal troppo parlare. Subito dopo la lancia, nella sala quadrata fanno
ingresso dei candelabri accesi, sostenuti da due giovani, e una damigella che porta tra le mani un graal
(v. 3220), un recipiente di oro puro con pietre preziose che emette una luce assimilabile a quella solare,
facendo eclissare quella delle candele. Infine, passa davanti agli occhi di Perceval un‟altra damigella
che sostiene un tagliere d‟argento; tutti questi oggetti sono diretti ad un‟altra sala, all‟estremità opposta
della porta dalla quale entrano. La curiosità del giovane è fortissima, vorrebbe sapere chi viene servito
con il graal e di cosa, ma non ha il coraggio di esprimersi; Chrétien commenta questo atteggiamento
(vv. 3248-51) dicendo che a volte il danno dovuto al troppo parlare è equivalente a quello causato dal
troppo tacere.
Dopo aver assistito a questa processione, Perceval partecipa ad un banchetto di cibi ricchi e pregiati, in
aperto contrasto con la carestia delle terre fuori dal castello. Durante il convito, il graal ripassa,
evidentemente servendo qualcuno nell‟altra stanza; Perceval, sempre più curioso, si ripromette di
chiedere informazioni al riguardo la mattina successiva. È tempo di andare a dormire, tutti gli abitanti
del castello si coricano nelle loro stanze; al suo risveglio però, Perceval ha una spiacevole sorpresa:
cercando qualcuno che lo aiuti a prepararsi per la partenza, si rende conto che il castello è deserto e tutti
i suoi abitanti sono scomparsi; trova solo il suo cavallo, sellato e pronto per essere cavalcato, gli monta
in groppa e decide di cercare qualcuno nella foresta (v. 3384). Quando sta attraversando il ponte
levatoio, questo inizia a chiudersi, e Perceval rischia di cadere; sul sentiero che sta percorrendo trova
finalmente alcune tracce fresche, che lo conducono ad una fanciulla disperata per la morte del cavaliere
che tiene tra le braccia. Dopo un attimo di incertezza, la giovane riconosce Perceval, gli spiega che il
Re Pescatore è stato reso invalido in battaglia da un giavellotto e che ora il suo unico svago è la pesca;
la ferita inguinale del re coinvolge l‟intero suo regno, anch‟esso sterile e desolato. Con una sorta di
interrogatorio sul graal, la ragazza fa pronunciare a Perceval per la prima volta il suo nome, e lo
ribattezza «infelice» (cheitis, v. 3582): se avesse posto le domande sul graal e sulla lancia avrebbe
guarito il Re Pescatore e restaurato la prosperità nei suoi possedimenti, e invece la sua bocca è stata
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Da questo punto in poi, per la numerazione dei versi faremo riferimento a Chrétien de Troyes, Der Percevalroman (Li
contes del Graal), unter Benutzung des von Gottfried Baist nachgelassenen handschriftlichen Materials hrsg. von A. Hilka,
Halle, M. Niemeyer, 1932.
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“cucita” dal peccato di aver abbandonato la madre, morta per la disperazione di vederlo partire con
l‟ostinato desiderio di farsi cavaliere. La fanciulla confessa di essere la cugina germana di Perceval (v.
3600), motivo per cui conosce le sue vicende con dovizia di particolari.
I due si salutano, l‟eroe consapevole di dover iniziare a percorrere un‟altra strada, non più alla ricerca
della madre. Attraversa molte peripezie, incontra altri personaggi, il racconto si sposta addirittura sulle
avventure di Galvano, fino a quando – improvvisamente – la focalizzazione torna su Perceval (v.
6214): da cinque anni non si ricorda di Dio e non entra in una chiesa, quando si imbatte in una
processione di penitenti, che gli chiedono perché, in giorno di Venerdì Santo, lui porti addosso le armi.
Il giovane non ne sapeva nulla, ma improvvisamente riprende coscienza e scoppia in lacrime; con i
penitenti, si reca dall‟eremita che vive nelle vicinanze, entra in una cappella dove sta iniziando la messa
e decide di confessarsi. Perceval racconta le sue esperienze passate, e l‟eremita gli chiede quale sia il
suo nome; alla risposta dell‟eroe (v. 6389) l‟uomo lo riconosce, sospira e gli spiega che il suo peccato,
causa di ogni suo male, è stato l‟abbandono della madre. Dal v. 6415 inizia la rivelazione dell‟eremita:
colui a cui si serve il graal è fratello suo e della madre di Perceval, e il Re Pescatore è figlio di questo
re esperitaus. Il ragazzo viene così a conoscenza del suo lignaggio, di cui è l‟unico erede maschio. Ciò
che contiene il graal è un‟ostia, grazie a cui quel re vive da quindici anni, ma su questo punto lo zio è
piuttosto breve e ritorna al sacramento della confessione; durante questo momento di pentimento,
sussurra a Perceval una preghiera, recita con lui il servizio divino e al termine cenano insieme. Il giorno
di Pasqua il nostro eroe, rigenerato dal peccato e dal rimorso, riceve la comunione come segno del
passaggio ad una fede adulta. Qui (v. 6515) il racconto su Perceval finisce definitivamente, e ritorna su
Galvano per poi interrompersi bruscamente dopo quasi tremila versi, probabilmente a causa della morte
dell‟autore.
Nonostante i versi di Chrétien parlino chiaro, «de Perceval plus longuemant / ne parole li contes ci», la
ricerca del graal era una questione sospesa che non soddisfaceva i suoi lettori: la brusca interruzione
del Conte du graal è all‟origine dell‟iniziativa, portata avanti da più autori, di riprendere il filo del
racconto e concludere la storia di Chrétien. Il risultato di questo lavoro sono quattro Continuazioni, di
cui le prime due databili entro il 1210; la Continuazione I (o Continuation Gauvain) è anonima, mentre
la II è quasi certamente opera di Wauchier de Denain; la terza è firmata da Manessier, mentre la quarta
è di mano di Gerbert de Montreuil. Immediatamente successivo al romanzo di Chrétien de Troyes è
anche il Joseph d’Arimathie di Robert de Boron, che dà avvio alla mistificazione del graal; seguono lo
stesso filone anche il Perlesvaus in prosa e soprattutto la Queste del Saint Graal, “romanzo mistico”; in
alto-tedesco medio compare il Parzival di Wolfram von Eschenbach. Entro il XIII secolo, insomma, si
è avuta una sistematica opera di cristianizzazione delle leggende celtiche, inaugurata da Chrétien; è
probabile che alla stesura di alcuni dei romanzi qui citati abbiano partecipato anche alcuni monaci e
confraternite di giullari (torneremo più volte sulla leggenda di Fécamp e sull‟abbazia di Glastonbury).
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Quando, nella seconda metà del XIX secolo, Paulin Paris ritrovò alla Bibliothèque National alcuni
manoscritti dei romanzi arturiani (in oblio dal XVII secolo), l‟identità originaria del graal era ancora
misteriosa: si conosceva la sua evoluzione in chiave religiosa, ma l‟incompiutezza del romanzo di
Chrétien non aveva smesso di esercitare lo stesso fascino che aveva colpito i suoi contemporanei. La
prima edizione critica del romanzo si ebbe con Potvin nel 1866-71, e una volta stabilita la lezione di
riferimento si sono potuti iniziare gli studi storico-critici d‟interpretazione del graal: nell‟ultimo quarto
dell‟Ottocento si sono inaugurate le prime ricerche, principalmente in due direzioni (celtica e liturgica),
da cui si è evoluto un ricco percorso di studi che ha coinvolto quasi tutto il XX secolo, e di cui
cercheremo qui di rendere conto. Di volta in volta, incontreremo ipotesi più o meno fondate, alcune più
libere e fantasiose, altre costruite su evidenze filologiche e metodi sicuri; molti studiosi hanno messo in
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Per questo paragrafo ci siamo riferiti all‟introduzione e ai commenti critici ai testi presenti nel Meridiano Il graal: i testi
che hanno fondato la leggenda, con particolare riguardo a F. Zambon, Introduzione, pp. XII-LXVII.
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campo le loro conoscenze per dare alla ricerca una base stabile e rigorosa, lasciando un contributo
notevole all‟intelligenza del romanzo di Chrétien e della sua sequenza più famosa.
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I
LA ‘CERCA ’ DEL GRAAL NEGLI STUDI MODERNI: NASCITA DI UNA QUESTIONE E
DIRETTRICI DI RICERCA.
1. I pionieri: Alfred Nutt per la via celtica e Richard Heinzel per la corrente liturgica.
Il confronto sul tema del graal si apre fin dai suoi esordi con la presentazione, nel torno di tre soli anni,
delle tesi opposte che si manterranno su due binari paralleli per tutta la storia di tale dibattito, fino alle
più recenti pubblicazioni filologiche al riguardo.
Gli studi di Birch-Hirschfeld 1877 vengono ripresi per essere infine superati, e il primo vero caposaldo
della teoria dell‟origine celtica si deve a Nutt 1888. Dopo una puntuale rassegna della letteratura e della
critica connesse al «grail circle» (capitolo IV), si passa ad una trattazione più specifica del Conte du
graal (capitoli VII e IX). Nutt ricorda i quattro tesori della Tuatha de Danann („tribù della dea
Danann‟), che sono Lia Fail (la Pietra), la spada di Lug, la lancia di Lug e il calderone vivificante di
Dagda; questi oggetti sono spesso presenti nella Middle Irish Literature, specialmente nei racconti sulla
battaglia di Magh Rath e nel ciclo Ultonian (il più antico ciclo eroico irlandese). Come spesso è
testimoniato dalle evoluzioni della letteratura, anche questi racconti erano in origine completamente
mitici, e hanno poi subito il processo di evemerizzazione, che consiste nella trasformazione delle
divinità pagane in re della prima era cristiana e nella localizzazione dei luoghi mitici in posti veramente
esistenti. L‟autore identifica i quattro tesori con gli oggetti della processione a cui Perceval assiste al
castello del Re Pescatore, ma sostiene che nel proto-Mabinogion (una collezione di storie in prosa
collazionate da manoscritti medievali gallesi su mitologia pre-cristiana, motivi folklorici internazionali
e tradizioni storiche dell‟alto medioevo) e nella letteratura celtica in generale il calderone/graal abbia
una funzione secondaria rispetto agli altri oggetti, quali la spada e la lancia. In ogni caso, la parte più
antica della leggenda – la quête – è evidentemente libera da ogni simbolismo cristiano nonché
facilmente assimilabile a paralleli celtici: l‟eroe cresce nell‟ignoranza del mondo, fa visita alla corte del
re, dove vede gli oggetti meravigliosi e si scontra con il suo fallimento; infine, per riscattarsi,
intraprende l‟avventura alla ricerca di vendetta e salvezza per il suo parente.
I riferimenti di Nutt sono talvolta approssimativi e spesso non sostenuti da una sicura preparazione
filologica, che farà invece la differenza negli sviluppi di questa branca di studi.
Immediatamente successivo a questa pubblicazione è l‟articolo di R. Heinzel 1891, che analizza i
romanzi del graal cercando di rinvenirvi le tradizioni liturgiche e le dottrine teologiche cristiane, con
particolari riferimenti ai vangeli apocrifi e ai riti greco e orientale; per primo inoltre indica l‟influenza
delle crociate su tale ciclo di romanzi. Probabilmente debitrice dell‟intervento di Heinzel (e sulla scia
della netta caratterizzazione cristiana che ha segnato l‟unico romanzo tedesco del graal, il Parzival di
Wolfram von Eschenbach), la maggior parte della scuola filologica tedesca ha sempre appoggiato la
teoria liturgica per l‟origine del graal.
Nell‟articolo, che analizza le molteplici fonti romanzesche che hanno costruito questo grande mito –e a
volte mescola le peculiarità di ciascuna – l‟autore afferma che il carattere cristiano degli oggetti del
corteo è «streng festgehalten», „trattenuto in modo deciso‟, e che essi si legano omogeneamente tra loro
come Blutreliquie: il graal raccoglie il sangue di Cristo, il cui contenuto è rinnovato periodicamente
dalla lancia, che ha coerentemente primato logico e cronologico nel corteo. Quest‟ultima rappresenta
l‟arma con cui il soldato Longino avrebbe trafitto il costato di Gesù sulla croce, ed oltre ad essere una
reliquia connessa al sangue del Crocifisso ha il ruolo di portatrice di pace; essa è inoltre confrontata
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piuttosto rapidamente con l‟αγία λόγτη della liturgia greca (il coltello con cui il celebrante perfora il
pane del sacrificio nella preparazione del rito eucaristico, momento che ricorda appunto gli
avvenimenti della Passione). Infine, l‟ultimo oggetto del corteo è il tagliere, che viene assimilato alla
patena (il piattino che sta sopra al calice, su cui si appoggia l‟ostia più grande usata, all‟interno della
liturgia eucaristica, nella consacrazione).
Anche nel caso di Heinzel, i riferimenti alle fonti sono talvolta solo abbozzati e poco precisi. Forse
proprio per sopperire alle loro carenze, e stimolati certamente dal rinnovato interesse su tale materia,
gli studiosi e gli appassionati del graal non si sono risparmiati nelle indagini.
2. La lance qui saigne: Brown e Peebles.
Questi studi iniziali e a volte poco approfonditi aprono, forse a loro insaputa, la strada per un numero
altissimo di nuove ricerche e trattazioni di ambito graaliano che si concentrano soprattutto nella prima
metà del Novecento.
Il primo studioso a tentare di aggiungere il suo contributo, anche se non così sostanzioso, a quello che
si sta delineando come “filone celtico” è William W. Newell (Newell 1902, cap I, pp. 1-18).
Innanzitutto, egli sostiene un‟errata derivazione etimologica: graal < CRATER; il vaso non è coperto,
anzi è completamente visibile, ma sembra occupare una posizione marginale nel contesto in cui si
presenta: l‟accento cade piuttosto sulla persona a cui lo si serve, e per questo motivo non fa pensare
immediatamente all‟eucaristia che vi sarebbe contenuta. L‟altro oggetto del corteo, la lancia, sembra
essere in relazione con la fortuna della famiglia di Perceval: il fatto che poi la cerchi Galvano rende
improbabile l‟ipotesi dell‟identificazione con la lancia di Longino, e più accreditabile invece il legame
con la cavalleria. Anche la spada donata al protagonista verrà identificata da alcuni continuatori con
quella della decapitazione di Giovanni Battista, ma sono tutte sovrapposizioni di miti cristiani su una
materia che non aveva in origine questa impronta. Tali oggetti, secondo Newell, formano un corteo
usuale in tutti i banchetti reali; l‟uomo verso cui è indirizzato il corteo vive in regime di ascesi e si
nutre solo di cibo spirituale, secondo delle credenze molto diffuse a quel tempo: è naturale che riceva
quindi l‟epiteto di «esperitaus».
Secondo Newell, infine, il Conte du graal non è assimilabile a una storia di folklore popolare, ma
piuttosto proviene da una combinazione libera, per propositi puramente artistici, di elementi presi da
vari racconti popolari, folk-tales, di provenienze anche disparate. Se si prendono come origine solo le
tradizioni celtica e irlandese, infatti, mancano le spiegazioni per alcuni passaggi: un altro famoso
parallelo potrebbe essere quello con l‟exemplum medievale di origine asiatica di Barlaam e Iosafat, la
cui idea centrale è l‟educazione alla cristianità: sostituendo il ruolo che lì avevano le donne con quello
dei cavalieri, l‟allusione sembra molto pertinente. Il Conte risulta quindi un crogiolo di tradizioni ed
esperienze diverse.
Appare finalmente nel 1910 un grande studio sull‟ipotesi celtica a partire dall‟approfondimento degli
spunti lanciati da Nutt 1888. Si tratta di un articolo dello statunitense A.C.L. Brown (Brown 1910) che
si concentra in particolare sulla lancia che sanguina e ne ricerca le origini nella letteratura celtica;
l‟autore si appoggia spesso agli studi sulla figura di Artù e sul ciclo di Leinster condotti da Rhys 1891.
La lancia di cui parla Chrétien ha poteri distruttivi manifestamente non cristiani, e rimanda per questo
alle maligne armi delle storie irlandesi e gallesi; per di più, tale arma sarebbe la stessa che ha ferito il
Re Pescatore, che sarebbe stato guarito se Perceval avesse posto la fatidica domanda (l‟autore sembra
sorvolare sui nomi diversi che hanno le due armi, javelot e lance).
I primi paralleli con la letteratura irlandese presentati da Brown sono quelli con i due incantesimi di
distruzione, l‟uno lanciato ad ogni Halloween da Aillén mac Midhna (un appartenente alla stirpe dei
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Tuatha de Danann), di cui si racconta in Acallamh na Senorach, e l‟altro, attuabile anche dai druidi, di
cui parla Macgnìmartha Find.
Delineato il contesto magico a cui ha attinto Chrétien per il suo Conte du graal, Brown focalizza
l‟attenzione sul corteo, intendendolo come chiaramente regale: se l‟autore francese avesse voluto
collegarlo con la S. Messa, non avrebbe posto il graal in mano ad una donna, e tanto meno avrebbe
fatto aprire la processione da una lancia – il simbolo meno cristiano in assoluto! Quando l‟eremita
definisce il graal come «sainte chose» vuole semplicemente far capire che è una cosa misteriosa; se il
vecchio re si nutre solo di un‟ostia (non consacrata: Chrétien altrimenti sarebbe stato un eretico,
facendola portare da una donna) è dovuto alla sua santità e alla pratica dell‟astinenza, che non era
assolutamente inconsueta all‟epoca: nelle cronache e nelle leggende del tempo, ad esempio, si trovano
riferimenti a un certo Pacomio, che viveva di una particola – non consacrata – al giorno.
Come però indicato dal titolo dell‟articolo, nel testo si troveranno ricerche e ipotesi prevalentemente
sulla lancia che apre il corteo al castello. Secondo Brown, nessuna delle leggende cristiane su tale arma
e sui miracoli ad essa collegati nominano il suo sanguinare, né la sua forza vendicatrice e distruttrice è
in armonia con le caratteristiche del presunto strumento di Longino. Certo, nemmeno nelle saghe
celtiche si è finora mai trovata una lancia da cui sgorghi del sangue, ma gli studi nell‟ambito sono
ancora poco accurati; ci sono tuttavia nella storia irlandese molte tracce di lance intinte in calderoni di
sangue, conosciute come luin di Celtchar (appare, tra le altre, in Bruden dà Derga), e sono facilmente
assimilabili alla caratterizzazione di tale arma che ha dato Wauchier nella sua continuazione al Conte
du graal. Questa lancia, che sembra magica, apparteneva alla mitica prosapia dei Tuatha de Danann ed
è stata persa in battaglia; se non si parla del fatto che sanguinasse è perché gli irlandesi attribuivano alle
loro armi poteri molto più meravigliosi e smodati.
L‟analisi prosegue poi con degli esempi tratti dalla letteratura celtica: in Kulhwch and Olwen e in The
dream of Rhonobwy (tratte da The red book of Hergest), storie gallesi su Artù non influenzate dai
francesi, si trovano sempre oggetti meravigliosi, armi e baskets incantati, e altrettanti ne sono cercati in
avventura; nel racconto The spoils of Annwn (dal Book of Taliessin) il calderone e la spada sono
associati come oggetti dell‟aldilà, da cui solo i più coraggiosi e puri di cuore ritornano portando
talismani e amuleti. Il castello dell‟altro mondo, associabile a quello del graal, fornisce spesso dei
talismani legati al cibo: il vaso dell‟abbondanza è simbolo di prosperità nutritiva, ma anche di
rigenerazione e rinascita. È quindi inverosimile pensare che i francesi abbiano inserito il graal di loro
invenzione: ricalca infatti chiaramente il calderone magico che fornisce a tutti i commensali la quantità
e la qualità di cibo che loro desiderano, in modo tale da non lasciare nessuno deluso o insoddisfatto.
Bisogna ammettere, però, che nelle più antiche saghe irlandesi non compaiono mai tutti i quattro
oggetti del castello del graal.
Altre leggende a cui si può fare riferimento sono quella del re Cormac mac Airt (III secolo), mitico
sovrano che tutti gli irlandesi credono provenire dalla stirpe dei Tuatha de Danann e che possedeva
molti talismani (tra cui un calderone, un ramo d‟argento che portava mele dorate e una bloody spear), e
quella di Balin, la più precisa nei parallelismi con la Prima Continuazione. Per quanto riguarda più
propriamente gli aspetti mitici delle tradizioni celtiche, quella dei Tuatha de Danann era una tribù di dèi
della vita e della fertilità, poi razionalizzati dai cronisti come una razza di invasori contro i quali gli
irlandesi avrebbero lottato; erano divinità pan-celtiche riconosciute e adorate su entrambi i versanti del
canale d‟Irlanda, di cui si parla anche nel Mabinogion gallese, a testimonianza delle loro origini
comuni.
A questo punto, data per acquisita la quantità di elementi pagani che ruotano attorno a Perceval, è
impossibile pensare che nel XII secolo qualcuno potesse paganizzare una storia cristiana: per questo è
improbabile che il suo punto di partenza siano state la messa bizantina oppure la reliquia della Santa
Lancia di Antiochia rinvenuta nel 1098. Ed è impossibile anche che, se pure si assumesse l‟origine
cristiana, ogni storia su graal e lancia sia stata “arturizzata” e inserita nel circolo del leggendario re: