epici, o come fonte di intrattenimento. Dietro alle opere della scrittrice si ritrova sempre la
riflessione sulla natura essenzialmente relazionale della narrazione, di cui vengono inoltre
messi in scena i meccanismi compositivi e di riproduzione, abbinando all’interesse verso la
parola letteraria la vocazione personale ad una comunicazione che possa trascendere ogni
barriera.
Proprio questa consapevolezza dell’esigenza, ad ogni livello di relazione interpersonale,
di superare le divisioni spinge Boni ad affrontare costantemente il tema del confronto con
l’Altro: tra uomo e donna, tra Africa ed Occidente, tra ricchi e poveri, tra etnie diverse,
cercando di evitare ogni stereotipo o riduzione semplicistica dei problemi implicati nel
rapporto. In questo contesto l’identità è inevitabilmente sottolineata nella sua dimensione
dinamica, relazionale, destinata ad una continua evoluzione: il confronto con ciò/chi è
diverso, il viaggio, sono indicati da Tanella Boni come esperienze indispensabili per
costruire la speranza in un futuro migliore.
Il presente lavoro analizzerà l’opera romanzesca di Boni, cercando in primo luogo di
contestualizzarlo dal punto di vista storico e letterario, per poi procedere all’esame dei
singoli testi riportandone la trama e i temi principali, i quali pure attraversano
trasversalmente l’intero corpus di romanzi. Si cercherà infine di tracciare un’analisi di tipo
strutturale dei testi in questione, isolandone gli elementi ricorrenti e considerando gli schemi
compositivi delle opere, prese nel loro complesso.
2
1. Il contesto
Se è vero che la creazione di un testo letterario è inevitabilmente influenzata dalle
condizioni storiche, sociali e culturali in cui viene prodotto, per meglio comprendere ed
interpretare i romanzi di Tanella Boni sarà utile fornire qualche dettaglio sul contesto storico
e letterario in cui l’esperienza dell’autrice affonda le proprie radici, il paese in cui è nata e
cresciuta, e nel quale tutt’ora vive: la Côte d’Ivoire
2
.
1.1 Côte d’Ivoire: un cammino difficile
Come per molti altri paesi del continente africano, è difficile tracciare un profilo storico
preciso ed obiettivo della Côte d’Ivoire che preceda l’epoca recente. La storia locale veniva
infatti tradizionalmente conservata dalle diverse popolazioni che abitavano quell’area per
mezzo dell’oralità, e le narrazioni quindi assumevano spesso la forma di lunghi racconti
semi-mitologici tramandati in versi, di sicuro interesse etnologico ma di scarsa attendibilità
storica. La presenza di una scuola archeologica ivoriana ancora agli albori, ostacolata dalla
difficoltà delle ricerche e da una composizione chimica del terreno che rende difficile la
conservazione dei reperti, rallenta ed ostacola la ricerca di un profilo esauriente della storia
più antica di questo paese. Non va inoltre dimenticato che la questione della storia di questa
nazione si inscrive nel più vasto dibattito postcoloniale sulla storiografia dell’Africa e delle
altre nazioni sottomesse all’imperialismo occidentale: la storiografia viene intesa come
genere letterario, produzione scritta in cui il punto di vista dominante è da secoli solo quello
occidentale, imperniato su un rapporto sbilanciato tra centro e periferia, Europa e colonie,
dominanti e dominati, sempre a favore dei primi. A partire dagli anni ’60 del Novecento si è
assistito alla crescita sempre più entusiastica di studi e ricerche, in Africa e nel resto del
mondo, che mettono in discussione questo tradizionale dualismo e tentano di riscoprire il
volto del paese ignorato o distorto dalla storia ufficiale, a maggior ragione in nazioni di
giovane indipendenza, come la Côte d’Ivoire, alla ricerca delle loro radici identitarie.
2
Nel 1985 il governo ivoriano chiese che il paese fosse indicato internazionalmente come Côte d'Ivoire (e non
Côte-d'Ivoire come presupporrebbe la grafia corretta francese, proprio per sottolineare l’autonomia dagli ex
colonizzatori anche nell’espressione linguistica). Malgrado ciò, il nome continua di fatto ad essere tradotto
nelle varie lingue, tranne che nell’ambito ONU, dove la Côte d’Ivoire viene indicata esclusivamente con questa
denominazione.
3
Dal periodo coloniale all’indipendenza
Le prime notizie scritte riguardanti la storia del paese sono state registrate dai
colonizzatori portoghesi, a partire dal loro primo sbarco sulle coste ivoriane, attorno al 1460.
I maggiori gruppi etnici tutt’ora presenti nella Côte d’Ivoire arrivarono successivamente, dai
territori confinanti, per grandi ondate migratorie: il popolo Kru giunse dalla Liberia intorno
al 1600, seguito dai Senufo e dai Lubi, spostatisi a sud dagli attuali Burkina Faso e Mali. Fu
solo tra il XVIII e il XIX secolo che si assistette all’ingresso nell’area orientale ivoriana dei
popoli Akan, comprendenti i Baoulé, provenienti dal Ghana, mentre nella parte
nordoccidentale del territorio attuale si insediarono le popolazioni di etnia Malinké, originari
della Guinea. La Côte d’Ivoire si delinea quindi storicamente come terra d’incontro, melting
pot multietnico, incrocio di diversi cammini.
Relativamente poco colpita dalla piaga del commercio di schiavi da parte degli
occidentali, le cui navi mercantili preferivano attraccare nei territori costieri vicini dotati di
porti migliori, la Côte d’Ivoire rimase sostanzialmente indifferente agli occhi dei
colonizzatori fino agli anni ’40 dell’Ottocento. Fu in questo periodo, infatti, che la Francia
cominciò a penetrare nel teritorio, convincendo i capi locali a conceder loro il monopolio
commerciale lungo la costa, e consolidò in seguito il suo dominio costruendo delle basi
navali con cui allontanare i commercianti di altre nazionalità, e procedendo ad una
sistematica conquista dell’entroterra. Il paese venne dichiarato ufficialmente colonia
francese nel 1893, ma non senza una strenua opposizione armata di alcune delle popolazioni
locali, tra cui i Baoulé, in uno scontro che terminò soltanto nel 1917. Nel 1902 il paese entrò
a far parte dell’Africa Occidentale Francese, la quale aveva il centro governativo a Dakar.
Molti ivoriani vengono arruolati nelle file francesi durante la Prima Guerra Mondiale, e i
superstiti, una volta rientrati, contribuiscono con i loro resoconti a far crescere la
consapevolezza critica e la diffidenza verso l’insegnamento che viene imposto nelle scuole
dai colonizzatori. È in questo periodo che molti africani decidono di andare a studiare a
Dakar.
La Francia sfruttò per decenni la fertile Côte d’Ivoire con l’obiettivo di farne una grande
risorsa per l’esportazione di beni agricoli: in partcolare caffè, cacao, olio di palma, le cui
coltivazioni estensive cambiarono radicalmente il paesaggio (soprattutto vicino alla costa) e
la società ivoriani. Gran parte della popolazione locale, infatti, fu di fatto ridotta ai lavori
forzati nelle piantagioni, e un buon numero di cittadini francesi si installò stabilmente nella
4
nuova colonia, rendendo la Côte d’Ivoire il paese dell’Africa Occidentale in assoluto più
popolato da coloni europei.
Il vero padre della Côte d’Ivoire come nazione indipendente fu il discendente di uno di
quei Baoulé che avevano tenacemente contrastato la dominazione francese: Félix
Houphouët-Boigny. Medico di talento e proprietario di piantagioni, egli fondò nel 1944 il
primo sindacato agricolo del paese (SAA, Syndicat Agricole Africain), dando voce al
risentimento di tanta parte della popolazione locale verso i privilegi riservati dalla Francia ai
proprietari terrieri francesi su suolo ivoriano. Il sindacato riuscì ad ottenere di poter reclutare
lavoratori agricoli immigrati, e in breve Houphouët-Boigny si conquistò una certa notorietà,
entrando poi a far parte del parlamento francese come rappresentante degli autoctoni
ivoriani. Nel 1946
3
il SAA diventa PDCI (Parti Démocratique de Côte d’Ivoire), di fatto
sezione regionale del nuovo partito inter-africano, l’RDA (Rassemblement Démocratique
Africain), di cui Houphouët-Boigny viene eletto presidente. Agli albori della Guerra Fredda
l’RDA sceglie di schierarsi con il Partito Comunista Francese, l’unica formazione politica
fortemente anti-colonialista, vicina quindi alle rivendicazioni dei paesi africani. Ma questa
alleanza suscita ostilità sempre maggiori nel parlamento francese, e nel 1950 l’RDA è
costretto a separarsi dal Partito Comunista e ad orientarsi verso una Sinistra più moderata.
Negli anni successivi Houphouët-Boigny ricopre più volte la carica di ministro della
Repubblica Francese, partecipando in questo modo all’elaborazione della politica francese
verso l’Africa, in particolare in ambito culturale. Egli crede nella possibilità e nella validità
di una transizione “dolce” delle colonie all’indipendenza, convinto che l’autonomia politica
non serva molto senza quella economica. Ciononostante deve arrendersi, nel 1960, al
fallimento del progetto di De Gaulle di una Communauté Franco-Africaine, e il 7 agosto di
quell’anno proclama l’indipendenza della Côte d’Ivoire, di cui viene eletto presidente con
una maggioranza schiacciante di voti.
Da Houphouët-Boigny al tormentato presente
Nei decenni seguenti Houphouët-Boigny impone di fatto una dittatura, controllando
l’elezione dei deputati, la stampa, limitando i poteri del parlamento, costituendo un corpo
militare di partito e incarcerando con motivazioni pretestuose chi manifesta il proprio
3
Nello stesso anno la Francia abolisce il “lavoro obbligatorio”.
5
dissenso
4
. Tra di loro c’è anche Laurent Gbagbo, l’attuale presidente, all’epoca sindacalista
e ricercatore, che nel 1982 crea, nella clandestinità, il FPI (Front Populaire Ivorien). Di pari
passo con una linea politica durissima, il presidente ivoriano attua una politica economica
improntata al liberalismo, con la quale, mentre favorice ampiamente gli investitori francesi,
consente una crescita economica vertiginosa del paese: il “miracle ivorien”. Tale benessere
economico consente di mitigare il risentimento verso le ingiustizie in campo politico e gli
attacchi alla libertà, e di tenere sotto controllo le contrapposizioni interne al PDCI. Il settore
privilegiato da questa linea economica è quello agricolo: la Côte d’Ivoire è tra i maggiori
stati produttori ed esportatori di cacao, caffè, legno, cotone, ed i prezzi minimi per la vendita
sono controllati dalla Caistab (Caisse de stabilisation des prix à l’exportation), che
garantisce un guadagno notevole ai compratori ma stabilisce di fatto un monopolio sul
commercio dei beni agricoli. Si assiste anche ad un notevole sviluppo del settore industriale,
che si occupa della lavorazione dei prodotti alimentari e tessili. Incomincia a diventare
evidente il cambiamento sociale che questa trasformazione economica comporta, a partire
dall’aumento del reddito medio pro-capite fino all’accentuarsi del fenomeno di migrazione
interna dai territori rurali verso le grandi città (in particolare Abidjan, tutt’ora capitale
economica del paese), nonchè un aumento sensibile del tasso di scolarizzazione della
popolazione ivoriana
5
. Il merito di questo “miracolo” economico vale a Houphouët-Boigny
l’appellativo rispettoso di “Le Vieux”, grande saggio della nazione, ed è in questi decenni
che decine di migliaia di francesi si stabiliscono in Côte d’Ivoire, cavalcando l’onda di
questo successo economico, atipico nel panorama africano post-indipendenze.
Ma l’economia ivoriana così impostata è quasi completamente dipendente dall’estero e
dal settore primario, e quando, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, crollano i
prezzi di caffè e cacao e una lunga siccità mette in ginocchio la produzione delle
piantagioni, la Côte d’Ivoire registra un aumento esponenziale del debito estero, che porta il
paese ad una profonda e dolorosissima crisi economica e, di conseguenza, sociale.
Riemergono le antiche ostilità ed instabilità politiche, si palesa sempre più esplicitamente il
fenomeno della corruzione negli ambienti politici, e lo spostamento della capitale
amministrativa da Abidjan a Yamoussoukro, villaggio natale del presidente, ristrutturata con
4
Nel 1963 fa arrestare tre ministri, sette deputati e più di cento oppositori interni con la falsa accusa di aver
complottato ai danni dello stato. Ciò suscita una grande ondata di sdegno, e nuove contestazioni nascono da
questa ingiustizia.
5
Rimane comunque abissale la disparità nell’accesso all’educazione tra maschi e femmine, a discapito delle
ultime. Ancora nel 2005 l’UNESCO registrava una percentuale di scolarizzazione del 38,6% delle donne
adulte contro il 60,8% degli uomini della stessa fascia d’età. Il divario è appena meno ampio se si considera la
fascia d’età tra i 15 e i 25 anni (maschi 70,8%, femmine 52,1%). Fonte:UNESCO Institute for Statistics:
http://stats.uis.unesco.org/unesco/TableViewer/document.aspx?ReportId=121&IF_Language=eng&BR_Count
ry=3840&BR_Region=40540
6
grande dispendio di risorse pubbliche, non fa che accentuare le tensioni e il malcontento. Si
moltiplicano le manifestazioni di protesta degli studenti, e all’inizio degli anni Novanta
anche l’esercito insorge contro il “padre della patria”. In seguito a questo grande movimento
di popolo, le elezioni presidenziali del 1990 vedono per la prima volta un candidato
avversario a Houphouët-Boigny, Laurent Gbagbo, il che però non impedisce al “Vieux” di
essere rieletto con una percentuale elevatissima di preferenze. L’anziano presidente però,
ormai del tutto indebolito politicamente e da tempo malato, muore nel 1993.
Il suo successore è Henri Konan-Bédié, la cui strenua difesa del principio di ivoirité
scatena l’ultima, dolorosa fase della vita politica e civile in Côte d’Ivoire. Tale nozione
razzista e xenofoba e la sua ufficializzazione a livello legislativo
6
ha come effetto immediato
l’eliminazione del suo avversario politico, Alassane Ouattara, dalle elezioni presidenziali
(perchè sospettato di essere d’origine Burkinabé), e sottende un chiaro intento demagogico.
L’esacerbazione del sentimento nazionalista, infatti, ha facile presa su una popolazione
frustrata e molto impoverita, per la quale è comodo riversare la propria rabbia sui cosiddetti
allogènes, che costituiscono una parte numericamente importante della popolazione
ivoriana. In realtà i cosiddetti “stranieri”, i Burkinabés, identificati geograficamente come
gli abitanti del Nord musulmano del paese, sono spesso persone residenti sul suolo
nazionale da più generazioni, popolazioni deportate dai colonizzatori per farsi largo nelle
foreste ivoriane, lavoratori che sono entrati in Côte d’Ivoire per fornire la loro manodopera
al tempo dell’apertura economica promossa da Houphouët-Boigny. Gli stessi cittadini che si
fregiano del titolo di Ivoriens “de souche” sono figli di migrazioni: i Baoulés dal Ghana, i
Bétés dalla Liberia, etc. Questo rinnovato spirito nazionalista maschera quindi interessi ben
diversi dal puro amor patrio, ovvero da una parte il bisogno di trovare un capro espiatorio
per il malessere che serpeggia nella popolazione, e dall’altra la strumentalizzazione dello
scontro etnico per ottenere il controllo del potere politico (e quindi economico) del paese
7.
Bédié viene rimosso dalla presidenza il 24 dicembre 1999 da un colpo di stato
organizzato dall’esercito, guidato dall’ex capo di stato maggiore Robert Guéi, il quale forma
un governo con i partiti d’opposizione e si concentra sulla riduzione della criminalità che da
anni devasta la città di Abidjan. L’anno successivo è l’avversario politico di Laurent Gbagbo
nelle elezioni presidenziali, le quali ancora una volta escludono il candidato Alassane
Ouattara, e quando queste decretano il successo di Gbagbo, egli si rifiuta di riconoscere tale
6
Nel 1998 viene promulgata una legge che limita l’accesso alla magistratura suprema alle persone nate in Côte
d’Ivoire da genitori ivoriani. Questo quadro giuridico viene poi allargato, arrivando a riguardare anche la
procedura elettorale.
7
Cfr. Sidiki Kaba, L’ivoirité, ou les dérives d’un discours identitaire, in “Africultures” n. 56, Juillet-Septembre
2003.
7
risultato. La rivolta popolare che segue, soprattutto ad Abidjan, è feroce: nello scontro tra
manifestanti ed esercito perdono la vita centinaia di persone. Guéi è costretto a fuggire, e
Gbagbo viene dichiarato ufficialmente il nuovo presidente della Côte d’Ivoire. Ma negli
stessi giorni altre violente proteste si susseguono, nel Nord del paese, tra i sostenitori di
Ouattara e la polizia, preannunciando un moto di ribellione che caratterizzerà gli anni
successivi.
È il 19 settembre 2002, infatti, che scoppia una guerra civile tra “ribelli” del Nord
(Forces Nouvelles) e il sud del paese, che si conclude formalmente con gli acordi di
Marcoussis nel 2004, ma che di fatto continua ancora a devastare la Côte d’Ivoire in una
spirale di violenza fuori controllo. In seguito alla ribellione del Nord, infatti, il presidente
Gbagbo ha promosso una strategia di “controinsorgenza” su vasta scala, “incoraggiando la
nascita di diversi movimenti paramilitari”
8
locali e nazionali, ed assumendo mercenari
stranieri: il tutto allo scopo ufficiale di tener testa ai ribelli. In realtà, come sostiene Richard
Banégas
9
in una lucida analisi, il presidente, non potendosi appoggiare per i suoi fini ad un
esercito potente, avrebbe consapevolmente pilotato “la graduale milizianizzazione della
società per imporre il proprio ordine politico con il terrore, [e usato la] radicalizzazione
ultranazionalista per legittimare la propria resistenza a ogni forma di ingerenza esterna”
10
. Il
risultato è un paese costellato da una nebulosa di movimenti armati pseudo-patriottici o di
autodifesa, costituiti soprattutto da giovani, che agiscono secondo una doppia logica di
protezione e di estorsione, e che di fatto controllano il territorio dal punto di vista sociale e
politico. Mentre all’inizio di questo processo di “informalizzazione” del regime tali
movimenti facevano riferimento alle autorità amministrative locali, essi si sono in seguito
moltiplicati in numero esponenziale, acquisendo una sempre maggiore autonomia e
sfuggendo probabilmente di mano al controllo presidenziale. A ciò si aggiunge il fatto che lo
stile di vita lussuoso che i leader arricchiti di questi movimenti conducono provoca una
crescente insofferenza nelle giovani reclute, rendendo questi eserciti paralleli elementi di
instablilità ancora maggiore, se possibile, nel panorama politico-sociale della Côte d’Ivoire.
Il 4 marzo 2007, a Ouagadougou (Burkina Faso), in seguito ad un incontro tra i delegati
delle diverse parti in gioco negli scontri, è stato firmato un accordo politico secondo il quale
Gbagbo nomina primo ministro Guillaume Soro, capo delle Forces Nouvelles, e decreta
un’amnistia per reati contro lo Stato e la Difesa nazionale successivi all’anno 2000. Tale atto
8
Richard Banégas, Costa d’Avorio, lo stato delle milizie, in “Limes”, Marzo 2006; pp.182-183.
9
Dottore in Scienze Politiche, Maître de Conférences des Universités e Direttore del Centre d’études
juridiques et politiques du monde africain (CEJPMA) presso l’Université Paris I.
10
Richard Banégas, ibidem, p.189.
8