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Introduzione
Un elaborato che si prefigga l’obiettivo di esplorare un caso di studio di Social Network Analysis applicata,
non può certamente prescindere da un inquadramento generale circa l’oggetto del quale parliamo, quando ci
riferiamo allo studio dei network
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sociali. Ciò è esattamente quello che tenterò di fare sviluppando la
struttura di questo lavoro, che comprenderà tre macro parti. Una prima parte sarà dedicata ad una rapida e
certamente non esaustiva rassegna delle principali teorie sociologiche sul tema; mentre la seconda parte sarà
dedicata all’analisi, appunto, delle tecniche delle quali queste teorie si sono servite in più di un secolo di
studi sui gruppi sociali. Il lavoro, come accennato, terminerà con un case study da me ideato e realizzato.
Prima di entrare nel vivo di quanto sopra, mi si permetta una precisazione metodologica, probabilmente non
superflua. Il presente lavoro di Tesi non si occuperà in nessun modo di “social network” secondo l’attuale
accezione in uso nel gergo comune della nostra lingua. Ovvero, non saranno studiate le piattaforme, i “siti di
social network” (come sarebbe più corretto chiamarli) e questo nient’affatto per lo scarso interesse che il
tema nutre in noi studenti e nella comunità accademica in generale (si pensi, al contrario, all’attualità dei
mille sviluppi nel campo della Social Tv), né tantomeno per la scarsa importanza che i SNS rivestono nella
quotidianità (soprattutto di chi scrive). La motivazione è da ricercare in una scelta metodologica affatto ostile
ai media sociali, ma che ha banalmente preferito, per una volta, spostare lo spot-light sulle relazioni
interpersonali in senso lato (di cui quelle sui vari Facebook e Twitter costituiscono una parte molto
importante, ma – per fortuna - non esaustiva). Relazioni sociali che, come si legge nella traduzione italiana
del “nuovo sistema operativo sociale” di Lee Rainie e Barry Wellman, hanno riguardato la vita dell’uomo
“da quando Caino ha interagito per la prima volta con Abele” (Marinelli, Comunello, 2012).
Proprio in linea con quanto appena detto, preme qui sottolineare come la maggior parte degli studi ai quali
ci rifaremo sono stati sviluppati nella seconda metà del secolo scorso, ma che in realtà, la felice intuizione di
una società in cui la più piccola unità d’analisi fosse il gruppo (e non più il singolo individuo), si deve al
grande sociologo tedesco Georg Simmel, che lo teorizzò già all’inizio del secolo scorso. Certamente, Simmel
non poteva immaginare gli sviluppi che si sarebbero verificati di lì a diversi decenni. La sua idea di “cerchie
sociali”, perciò, non è che una parziale fotografia del modello di società nella quale abbiamo vissuto per tutto
il XX secolo (e viviamo ancora?). Alcuni studi successivi (Barnes, 1969)
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ci hanno permesso di capire come
Simmel si riferisse, in modo non del tutto aderente alla realtà, a dei “total network”. Questi comprendono
rapporti “sociali, territoriali e lavorativi” ed anche la nostra semplice esperienza può mostrarci come non ci
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In questa prima fase ho preferito non tradurre il termine inglese e la ragione sarà esplicata nel proseguo di queste
pagine.
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In quello studio viene utilizzata per la prima volta l’espressione “social network” che, nel 1972, diventerà il titolo
dell’opera più conosciuta dell’antropologo.
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sia in realtà sovrapposizione e perfetta coincidenza tra le persone con le quali di volta in volta stringiamo
questi rapporti (salvo che per occasioni molto rare, come matrimoni o grandi eventi).
La descrizione più simile a quello che effettivamente viviamo, viene fornita dal sopracitato Barnes quando
parla di “partial network”, sottolineando il fatto che spostandoci dalla città in cui viviamo a quella in cui
lavoriamo o a quella in cui, ad esempio, trascorriamo il week-end, ci immergiamo in un tessuto di rapporti
di volta in volta differente e che, per l’appunto, non può che essere parziale
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.
Oggi il quadro si è modificato nuovamente. Come possiamo dunque definire il paradigma entro il quale
agiamo i nostri comportamenti, in questa società “liquida” (Bauman, 2000)?
Per rispondere a questa domanda procediamo con il delineare i principali filoni di ricerca nel campo della
network analysis
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. Questi sono: la scuola antropologica di Manchester, la sociometria di Moreno (sulla quale ci
soffermeremo ampiamente nella seconda parte del lavoro) e il gruppo di Harvard, formatosi a partire dagli
studi di Mayo
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, ma al quale prese parte anche Barry Wellman, già citato in apertura. Dalla scuola
antropologica proviene già una prima definizione di network: “le persone sono viste come interagenti con
altre persone, alcune delle quali a loro volta interagiscono fra loro e con altri ancora” (Mitchell, Boissevain,
1973); ma è il lavoro di Barry Wellman - senza trascurare l’importanza degli altri approcci - quello che ci
aiuta meglio a rispondere alla domanda che in questo momento ci siamo posti.
Infatti, è certo che non viviamo più in una comunità tradizionale, a “solidarietà meccanica” (secondo la
definizione di Durkheim), tanto rimpianta da Tönnies agli inizi del Novecento e che per questo si scontrò
con Simmel, società nella quale ognuno agisce come una monade, avulso dal contesto sociale nel quale vive.
Ma è altrettanto vero che non sembra più efficace neppure la visione a suo tempo innovativa del sociologo
tedesco, appunto, di una società divisa in gruppi.
A tal proposito, il frame proposto da Wellman (e da Rainie che con lui ha curato “Networked” nel 2012) è
quello del “networked individualism”. Questa espressione che pare persino un ossimoro a prima vista, è al
contrario quella che meglio rende conto della condizione sociale nella quale ci troviamo. Ognuno di noi è
costantemente in rete (networked), ma senza rinunciare alla propria individualità (individualism) e questo
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Altra distinzione comune è quella tra whole e ego network (Mitchell, 1969), che ritroveremo più avanti, entrando nel
dettaglio dell’analisi.
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Abbreviazione del tutto usuale di sna e che userò anch’io indistintamente in queste pagine.
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Ci riferiamo al celeberrimo Hawthorne Experiment, dal nome degli stabilimenti della Western Electric Company in cui
il sociologo australiano lavorò dal 1927 al 1933, mentre era a capo del Department of Industrial Research ad Harvard. In
quell’occasione, come noto, Mayo poté cogliere l’importanza dei “gruppi informali”, concetto dal quale prese avvio la
florida Scuola delle Risorse Umane.
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“individualismo connesso” è quello che ci fa costruire una mole di legami molto superiore al passato, ma al
contempo molto più effimeri, aleatori, temporanei.
Senza entrare nel dettaglio della teoria che sta alla base di questo “new operating system” (esplicita la
metafora agli OS che governano i nostri devices), sarà qui sufficiente ricordare come grazie a tre importanti
rivoluzioni: quella del mobile, la internet revolution e, appunto, quella dei social network, nella “postmodernità”
(Giddens, 2000) si è passati da gruppi coesi ad appartenenze parziali e da contatti porta-a-porta a contatti
strettamente individuali definiti appunto person-to-person (e questo anche grazie all’uso dei nuove tecnologie
che rendono superfluo, ad esempio, dover telefonare al fisso per chiedere all’amico del cuore di scendere per
una partita a calcetto). Tutti i confini che riguardano la “networked sociability” (Castells, 2004) sono ormai
fuzzily-bounded, sfocati, laddove solo fino a qualche decennio fa risultavano netti ed inequivocabili.
Oggi, a quasi dieci anni dalla nascita di Twitter, abbiamo tutti, online e non solo, un “sé riflesso” (Cooley,
1902) che, allo specchio, ci restituisce ogni volta un’immagine nuova se la guardiamo con gli occhi dei nostri
familiari, amici o colleghi. Concludendo con una nota leggera questa prima parte del lavoro, faccio notare
come i viral meme
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ai quale il lettore medio starà pensando in questo momento (nati sul format “Quando
sono ad una festa: come mi vede mia madre? Come mi vede la mia compagna? Come mi vedono i miei
amici? Com’è in realtà?”) ci fanno sì sorridere, ma non sono che una lucida rappresentazione di questo
concetto espresso per la prima volta più di 100 anni fa e ancora oggi così attuale.
1. Le reti sociali
Dopo aver introdotto un quadro generale che ci permetterà di comprendere lo svolgimento di questo
elaborato, entriamo nel vivo, come promesso, del significato intrinseco attribuito al termine network. In
italiano, esso è stato tradotto sia con “rete” (Piselli, 1995) che con “reticolo” (Chiesi, 1978). Nonostante
l’espressione rete sociale sia quella che ha goduto (e gode tutt’ora, come il lettore potrà verificare a partire dal
titolo) del maggior successo, il termine più appropriato risulterebbe essere quello di reticolo sociale.
E questo perché, come fa notare Stefania Vergati in “Gruppi e reti sociali” (importante guida nella redazione
di tutto il capitolo), il termine rete evoca nel nostro immaginario un oggetto costituito da “maglie” aventi
tutte stessa dimensione (si pensi ad una rete di pallavolo), nonché intensità. Al contrario, il termine reticolo
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Il termine, con particolare riferimento al mondo dei social media e di internet in generale compare nella sezione
Neologismi del Vocabolario Treccani nel 2012, come un “singolo elemento di una cultura o di un sistema di
comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di
comunicazione ed espressione a un altro”
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restituisce in prima battuta l’idea di un network costituito da nodi e link
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di rilevanza differente (e qui la
mente va a tutti i reticoli infrastrutturali: ferrovie, metropolitane, ecc).
Quest’ultimo termine però, paga lo scotto di essere decisamente meno usato nel gergo comune. In definitiva,
in letteratura i due termini sono spesso impiegati come sinonimi (salvo in passaggi appositamente segnalati),
assieme con il termine inglese e soprattutto per non incorrere in noiose ripetizioni. Ciò avverrà similmente
anche per questo testo.
Una volta fornite tutte le possibili chiavi di lettura, e prima di passare a definire nel dettaglio le reti sociali,
concludo questa parte introduttiva al capitolo con uno schema circa tutte le possibili relazioni che si possono
instaurare tra due nodi (si legga persone, gruppi, istituzioni).
Questa analisi (Lundberg, 1940), benché possa sembrare persino troppo banale, risulta invece illuminante in
quanto applicabile indifferentemente a tutte le reti sociali, indipendentemente dalla loro estensione e dalla
loro forza (a cui dedichiamo i prossimi paragrafi).
I tre sentimenti di “attrazione, repulsione, indifferenza” combinati tra loro (6 diverse possibilità prendendo
in considerazione 2 nodi) sono necessari e sufficienti per descrivere qualsiasi tipo di rete sociale, anche molto
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Questi termini, così come tutti quelli che attengono al gergo della sna, saranno descritti analiticamente a partire dal
paragrafo 2.3.