corrispondenza cioè della dittatura militare di Marcos Pérez Jimenez, e della
successiva transizione ad un regime democratico.
Per comprendere il secondo e più ampio quesito, quello relativo all'intensità e
all'evoluzione dei rapporti tra Venezuela e Stati Uniti, è risultato imprescindibile
uno studio approfondito della politica latinoamericana degli Stati Uniti durante le
presidenze Eisenhower, Kennedy e Johnson. Ulteriori e più specifiche domande
sono quindi emerse nel corso di tale studio, domande alle quali si è cercato di dare
risposte quanto più esaustive possibile.
Quale fu l'atteggiamento dell'amministrazione Eisenhower nei confronti
dell'America Latina? Si può dire che il rapporto con il regime militare
venezuelano ne fosse un esempio tipico? Quali furono le novità introdotte nelle
relazioni interamericane dall'avvento alla Casa Bianca del Presidente Kennedy e
dalla sua “Alleanza per il Progresso”? Quale ruolo giocarono la nuova democrazia
venezuelana e il suo leader, Rómulo Betancourt, in quel contesto? E ancora, quali
evoluzioni si ebbero nell'emisfero americano durante la presidenza di Lyndon
Johnson? Come si trasformò il rapporto bilaterale tra i due paesi in quel periodo?
Infine, addentrandosi nella storia delle relazioni tra Venezuela e Stati Uniti tra gli
anni Cinquanta e gli anni Sessanta, ci si imbatte in due fattori che risultano
centrali: il petrolio e Cuba. Il primo era, ed è a tutt'oggi, il prodotto principale
dell'economia venezuelana, e allo stesso tempo la risorsa che ha letteralmente
alimentato la potenza economica e militare statunitense nel corso del secolo. Si
tratta allora di comprendere in che misura il commercio di prodotti petroliferi
abbia influenzato la relazione tra i due paesi. Il secondo fattore determinante è
Cuba, che dalla vittoria della rivoluzione guidata da Fidel Castro ed Ernesto
“Che” Guevara nel 1959 rappresentò il più formidabile elemento destabilizzante
nel contesto delle relazioni interamericane. In questo caso, si tratta di capire
quanto sia stata rilevante la presenza della Cuba rivoluzionaria nell'evoluzione del
rapporto bilaterale oggetto della presente ricerca.
Lo studio, di cui il presente testo è il risultato, si è basato su due tipologie
principali di fonti. Innanzitutto, le fonti primarie: documenti diplomatici
statunitensi e venezuelani, discorsi presidenziali, interviste ai funzionari
6
protagonisti della formulazione della politica estera statunitense e dei negoziati
con il Venezuela, e risoluzioni degli organi dell'Organizzazione degli Stati
Americani. La ricerca si è inoltre avvalsa di numerose fonti secondarie, composte
essenzialmente da una selezione ragionata della letteratura storiografica in lingua
inglese e spagnola sui temi affrontati, sia nella forma di monografie sia di articoli
pubblicati su riviste scientifiche cartacee o elettroniche. I riferimenti bibliografici
in lingua italiana sono invece scarsi, a causa di una oggettiva lacuna nel panorama
degli studi internazionalistici nel nostro paese; lacuna che si spera, peraltro, di
poter contribuire a colmare con la presente dissertazione.
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8
CAPITOLO 1
L'EREDITA' DELL'AMMINISTRAZIONE EISENHOWER
9
10
1.1 Introduzione. Stati Uniti e America Latina
Per comprendere l'oggetto del presente lavoro è necessario un breve
richiamo alla storia delle relazioni interamericane, pur limitato a delinearne alcune
direttrici principali che ci consentono di collocare il rapporto tra Venezuela e Stati
Uniti in un contesto storico e geopolitico più ampio e complesso. Tale
contestualizzazione risulta imprescindibile allorché si accerti, nonostante i
peculiari percorsi storici di ogni paese, la sostanziale influenza e interdipendenza
reciproca tra gli Stati del continente americano.
Le relazioni tra i paesi americani furono sempre caratterizzate dalla
posizione di preminenza nell'emisfero che gli Stati Uniti guadagnarono nell'arco
di pochi anni, e dai rapporti di questi con le potenze europee. Fin dai suoi primi
anni di vita il giovane stato democratico del Nord America visse la sua
impressionante crescita economica e militare come l'effetto voluto dell'isolamento
dalle sanguinose e dispendiose guerre europee, e come simbolo della propria
egemonia nell'emisfero occidentale. Questa concezione della politica estera
statunitense fu esplicitata nel 1823 dall'annuncio della “Dottrina Monroe”, atto
unilaterale con il quale il Presidente dichiarò che qualunque intervento europeo
nell'emisfero americano sarebbe stato considerato un attentato alla pace e alla
sicurezza degli Stati Uniti1.
Tale dottrina fu poi arricchita nel 1845 dal “Corollario Polk”, secondo il
quale, se un territorio ex coloniale avesse desiderato unirsi agli Stati Uniti, tale
desiderio avrebbe dovuto essere considerato come “una questione di famiglia”: si
apriva così la strada all'annessione del Texas e di altri territori settentrionali del
Messico. Successivamente, nel 1904, il “Corollario Roosevelt” proclamava il
diritto degli Stati Uniti di intervenire nell'emisfero “per evitare l'intervento di
altri”2. Questi atti unilaterali esprimono l'atteggiamento di “imperialismo
1 Dent David, The Legacy of the Monroe Doctrine: a reference guide to US involvement in Latin
America and the Caribbean, Greenwood Press, Westport CT, 1999, Appendix: Excerpts from
Monroe's Original Message, December 2, 1823, pp. 378-379.
2 Nel 1902 il Venezuela non riusciva a ripianare i suoi debiti con Germania, Gran Bretagna e
Italia. Il Kaiser tedesco decise di inviare una flotta per costringere il paese a pagare. L'intervento
tedesco fu visto da Theodore Roosevelt come un'occasione per i tedeschi di acquisire basi
militari e commerciali nei Caraibi, eventualità che gli Stati Uniti non potevano tollerare,
cosicché il tentativo venne bloccato dalla flotta statunitense. Nel messaggio annuale al
11
protettore” che accompagnò i numerosi interventi armati nelle giovani
repubbliche latinoamericane.
Tale posizione egemonica degli Stati Uniti nel continente e la dottrina del
“destino manifesto” che la accompagnava furono sopportate di malavoglia dalle
nazioni a sud a del Rio Grande, esse infatti non avallarono mai tali dichiarazioni,
che restarono appunto atti unilaterali. D'altronde, fino al 1933 le Conferenze
Internazionali Americane, che avrebbero potuto essere luogo di discussione di
politiche continentali, ebbero sempre un carattere giuridico e commerciale più che
politico. Un tentativo di migliorare i rapporti reciproci venne dagli Stati Uniti a
partire dagli anni venti, ma con più decisione dal 1933. Nel marzo di quell'anno il
nuovo presidente Franklin Delano Roosevelt, enunciò nel discorso inaugurale la
sua politica del “buon vicinato” nelle relazioni degli Stati Uniti con il resto del
mondo, e in particolare con l'America Latina. Si trattava soprattutto di una politica
estera nell'ambito diplomatico e giuridico, mentre nel campo economico non
contemplava un'estensione del New Deal all'emisfero americano: essa non mutò
quindi i rapporti di dipendenza economica che legavano le repubbliche
latinoamericane agli Stati Uniti3, ma rappresentò una politica di maggiore rispetto
della loro sovranità politica, attraverso una rinuncia (già avviata dal presidente
Hoover) all'interventismo che aveva caratterizzato le amministrazioni precedenti.
Il “buon vicinato” e il “panamericanismo” che esso tentava di rappresentare, al di
là delle motivazioni etiche, avevano chiaramente una motivazione strategica:
creare un blocco continentale isolato dalle minacce economiche e militari
provenienti dall'esterno. Tale obiettivo tuttavia non fu pienamente raggiunto: le
potenze dell'Asse (Germania, Italia e Giappone) riuscirono ad avviare una discreta
penetrazione economica e ideologica in diversi paesi dell'America Latina. Gli
Congresso del 6 dicembre 1904 il presidente disse: “nell'emisfero occidentale l'adesione del
nostro paese alla dottrina Monroe potrebbe costringerci, seppure con riluttanza, ad esercitare la
funzione di polizia internazionale in casi flagranti di trasgressione o d'incapacità di reagire da
parte delle altre nazioni del continente americano”. Cfr. Pier Francesco Galgani, America Latina
e Stati Uniti. Dalla dottrina Monroe ai rapporti tra G.W. Bush e Chávez, Franco Angeli Editore,
Milano, 2007, p. 21.
3 Da notare che tra la fine dell'800 e l'inizio della Prima Guerra Mondiale i capitali statunitensi
sostituirono gradualmente – e quasi totalmente - quelli europei nelle economie nazionali dei
paesi dell'America Latina.
12
Stati Uniti dovevano correre ai ripari: dopo l'attacco di Pearl Harbour fu
convocata una speciale conferenza dei ministri degli esteri dell'emisfero
occidentale in cui Washington chiese collaborazione militare e diplomatica. Con
l'eccezione dell'Argentina, tutti gli stati del continente ritirarono i loro
ambasciatori da Berlino, Roma e Tokyo. Per ripagare questa collaborazione
Roosevelt invitò i governi latinoamericani ai lavori della Conferenza di Bretton
Woods e alle fondazioni di FAO e UNRRA, dando così la possibilità ai paesi del
continente latinoamericano di partecipare attivamente nella creazione del nuovo
sistema mondiale postbellico. Per compensare invece il malumore creato
dall'esclusione di questi paesi dalle sessioni istitutive dell'ONU, gli Stati Uniti
parteciparono attivamente alla Conferenza Panamericana di Chapultepec nel
febbraio 1945, dai cui lavori scaturì l'Atto omonimo. Esso conteneva una
dichiarazione di reciproca solidarietà americana contro qualsiasi tentativo di
trasferimento di sovranità, possesso o interesse nelle colonie di Stati non
americani situate nell'emisfero occidentale, tentativo che sarebbe stato considerato
come contrario ai principi degli Stati americani e al loro diritto a mantenere la loro
sicurezza e indipendenza politica. Tale dichiarazione fu poi completata da uno
strumento giuridico che ne assicurava l'effettività, ovvero il Trattato
Interamericano di Assistenza Reciproca, firmato nella Conferenza di Rio de
Janeiro del 19474. Il Trattato di Rio ratificava così la posizione dominante degli
Stati Uniti nel continente, e coinvolgeva gli altri paesi in un patto difensivo che
serviva, non più contro le potenze europee, ma contro l'Unione Sovietica, l'unica
superpotenza in grado di sfidare il potere di Washington nella competizione
globale della Guerra Fredda5. In questo modo gli Stati Uniti riuscirono a dare un
4 Solita Gonzales Rincones, Las Relaciones entre Venezuela y Estados Unidos de Norteamérica
1958-1967”, Tesis de Ascenso, Universidad Central de Venezuela, Caracas, 1972, p. 14.
5
Joseph Tulchin, The United States and Latin America in the 1960s, in “Journal of Interamerican
Studies and World Affairs”, Vol. 30, No. 1 (Spring, 1988), (pp. 1-30), pp. 7-8, sottolinea che il
trattato di Rio fu firmato dagli Stati Uniti nella prospettiva di isolare l'emisfero occidentale da
influenze esterne e, in una certa misura, di indurre i paesi latinoamericani a lasciare il compito
della difesa dell'emisfero agli Stati Uniti. Tulchin suggerisce tuttavia che firmando quel trattato i
governi latinoamericani avevano come obiettivo soprattutto quello di attirare l'attenzione degli
Stati Uniti sull'esigenza di una maggiore collaborazione intergovernativa per migliorare le
condizioni economiche e sociali dei loro paesi, condizioni che rappresentavano un aspetto
particolarmente rilevante nella sicurezza interna della regione.
13
carattere multilaterale alla propria politica emisferica che si basava ancora
grandemente sulla dottrina Monroe, pur stemperata dalle sfumature
eccessivamente paternalistiche dell'800. Nel 1948 fu quindi creata
l'Organizzazione degli Stati Americani con l'obiettivo dichiarato di favorire una
collaborazione economica e politica paritaria nell'emisfero. Con l'amministrazione
Truman, però, l'importanza strategica dell'America Latina era diminuita, data la
priorità accordata da Washington alla ricostruzione dell'Europa e allo sforzo di
collocarla saldamente nel blocco occidentale. Gli aiuti economici e militari avviati
da Truman con il suo programma “Point Four”, vennero destinati a paesi europei
ed asiatici che rischiavano di cadere sotto l'influenza sovietica (come la Turchia e
la Grecia, o l'Italia), mentre in America Latina furono considerati meritevoli di
attenzione solo Brasile e Messico, e comunque solo al sesto posto su sette nella
lista delle priorità statunitensi6. Ciò aveva creato nelle classi dirigenti dell'America
Latina la sensazione di essere abbandonati, e di essere presi in considerazione e
consultati dagli Stati Uniti solo nelle situazioni di crisi. Basti pensare che un paese
dichiaratamente comunista come la Yugoslavia ricevette durante gli anni
dell'amministrazione Truman più aiuti economici di tutta l'America Latina, per
intuire la frustrazione e il risentimento dei latinoamericani7.
L'idea dominante a Washington sul rapporto con i vicini del sud era
principalmente impostata sull'esigenza di garantirsi l'accesso – a prezzo di favore
– alle materie prime (soprattutto minerali e prodotti agricoli) di cui essi erano
ricchi, mentre i paesi latinoamericani avrebbero dovuto acquistare manufatti solo
dagli Stati Uniti. Per conseguire ciò doveva essere data massima priorità alla
penetrazione economica da parte delle grandi imprese private statunitensi, i cui
grandi investimenti – e gli strabilianti profitti che ne derivavano – divennero una
sorta di bussola per le decisioni di politica estera degli Stati Uniti nella regione8.
6 Raffaele Nocera, Stati Uniti e America Latina dal 1945 ad oggi, Carocci, Roma, 2005, p. 27.
7 Arthur M. Schlesinger, Jr. A Thousand Days. John F. Kennedy in the White House, Houghton
Mifflin, Boston, 1965, p. 164; Cfr. Gonzáles Rincones, Las Relaciones entre Venezuela y
Estados Unidos cit., pp. 18-19.
8 Cfr. Galgani, America Latina e Stati Uniti cit., pp. 16-33.
14
1.2 Eisenhower e l'America Latina
Per valutare i rapporti tra Stati Uniti e Venezuela nel periodo 1958-1968, occorre
esaminare le politiche attuate dall'amministrazione Eisenhower nei confronti
dell'America Latina in generale. Ciò risulta necessario anzitutto poiché il periodo
considerato comprende gli ultimi tre anni di governo di quell'amministrazione,
cioè quasi tutto il secondo mandato presidenziale dell'anziano Generale. Inoltre,
un rapido sguardo alle relazioni tra Stati Uniti e America Latina durante gli anni
'50 è imprescindibile se si vogliono comprendere i cambiamenti – reali, dichiarati
o solamente auspicati – intervenuti nella decade seguente, con l'avvento delle due
presidenze democratiche di John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson. Ulteriore
motivo, più strettamente connesso al rapporto bilaterale tra Stati Uniti e
Venezuela, è l'opportunità di collocare tale rapporto nel più ampio contesto
politico generalmente autoritario dell'America Latina degli anni '50, contesto che
iniziò a mutare proprio verso la fine del decennio.
Dwight D. Eisenhower si insediò alla Casa Bianca il 20 gennaio del 1953. Fin dai
primi mesi della sua presidenza Eisenhower e il Dipartimento di Stato avviarono
una riflessione sui rapporti degli Stati Uniti con l'America Latina, rapporti che si
erano in certa misura deteriorati durante l'amministrazione Truman.
Già nel 1950 il funzionario del Dipartimento di Stato George Kennan, noto per
aver concepito e proposto nel 1947 la politica del containment nei confronti
dell'”espansionismo sovietico”, viaggiò in America Latina e scrisse un
memorandum che allertava il governo statunitense circa l'insorgere di potenziali
minacce agli interessi nazionali nell'area. Kennan, infatti, sosteneva che le attività
di infiltrazione e propaganda antistatunitense condotte dai comunisti nella regione
costituivano una minaccia seria e grave, che doveva indurre i responsabili di
Washington ad essere meno indulgenti e a non farsi scrupoli nel frenare questo
fenomeno9.
Eisenhower, preoccupato per simili sviluppi, invitò ben presto il Consiglio per la
Sicurezza Nazionale ad approfondire lo studio della regione e a proporre delle
9
Ivi, p. 30.
15
politiche adeguate a fronteggiare gli eventuali problemi riscontrati. Il 18 marzo
1953 fu approvato un documento intitolato “United States Objectives and Courses
of Action with respect to Latin America”, NSC 144/110. Tale documento
rappresentò la base per la successiva politica statunitense verso l'America Latina.
In un documento precedente11, annesso alla bozza del rapporto, si compiva una
complessiva valutazione dei rapporti interamericani, delle relazioni economiche
esistenti, delle collaborazioni militari, e dei motivi di insoddisfazione dei leader
latinoamericani nei confronti di tali rapporti. Sulla base di tale valutazione il
rapporto approvato dal NSC illustrava alcune considerazioni generali, esponeva
chiaramente gli obiettivi degli Stati Uniti nella regione e le linee di condotta da
attuare per raggiungere tali obiettivi.
Riconoscendo che in America Latina vi era una diffusa tendenza dei governi e dei
gruppi politici in direzione di regimi nazionalisti, sostenuti da appelli populisti
alle masse, le quali a loro volta chiedevano con forza un miglioramento delle
generali condizioni di vita, si comprendeva perché molti governi si stavano
orientando verso degli incrementi nelle produzioni e soprattutto verso la
diversificazione delle economie nazionali.
Lo scopo dichiarato del rapporto era presentare un “approccio realistico e
costruttivo che riconoscesse l'importanza di migliorare le condizioni della
popolazione”, condizione essenziale per arrestare lo scivolamento di molti paesi
latinoamericani verso regimi radicali e nazionalisti, che, secondo gli estensori,
potevano facilmente divenire prede dell'ideologia comunista.
Gli obiettivi che il Consiglio per la Sicurezza Nazionale ritenne prioritari per la
politica statunitense in relazione all'America Latina erano:
a) Solidarietà emisferica in supporto per le politiche mondiali degli Stati
Uniti (particolarmente nell'ONU e in altre organizzazioni internazionali).
b) Uno sviluppo politico ed economico ordinato in America Latina in modo
10NSC 144/1, Washington, March 18, 1953, in Foreign Relations of the United States (d'ora in poi
FRUS), Eisenhower Administration, 1952-1954, Vol. IV, American Republics, pp. 6-10.
11NSC 144 Annex, Washington, 6 marzo 1953, non riprodotto in FRUS, è reperibile presso il
Digital National Security Archive all'indirizzo:
h ttp://nsarchive.chadwyck.com
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