5
scritta, un implicito corollario alla sua opera artistica. Per trovare una
spiegazione a un atto che all’inizio sembrava inspiegabile ai più – per via
della felice carriera artistica che attendeva la giovane poetessa, con un
romanzo e un libro di poesie
3
già pubblicati (con recensioni nel complesso
favorevoli) e molte altre pronte per essere pubblicate – furono addotte cause
di ogni tipo, dalla malattia mentale alla confusione fatale tra realtà e poesia,
al punto che la sua stessa morte è stata interpretata di volta in volta come un
gesto di emancipazione ultima, una dichiarazione di fallimento artistico, una
ribellione all’autorità patriarcale, finanche un atto di esibizionismo estremo.
Ad alimentare la confusione critica contribuì inoltre il modo
frammentario e inadeguato in cui il mondo letterario venne a conoscenza
delle poesie di Sylvia Plath non pubblicate in vita; le tre raccolte edite
postume a distanza di pochi anni dal marito Ted Hughes – Ariel
4
nel 1965,
Crossing the Water
5
e Winter Trees
6
nel 1971 – furono organizzate in
maniera abbastanza arbitraria e con criteri cronologici approssimativi:
vennero tenute in pochissimo conto le date di composizione dei singoli
componimenti e furono mescolate o escluse nelle raccolte poesie che,
secondo la lista stilata dall’autrice, avrebbero dovuto far parte
esclusivamente di Ariel. Queste raccolte hanno non poco fuorviato i critici
che si sono trovati di fronte a componimenti molto diversi ed eterogenei tra
loro, riuniti però a volte in una stessa antologia e considerati come un unico
blocco; se si tiene ad esempio in considerazione il fatto che la raccolta
Crossing the Water è stata pubblicata in America con il sottotitolo
Transitional Poems, nonostante ne facessero parte poesie che vanno dal
1956 al 1962 – evidentemente comprendenti l’intera durata della carriera
3
Si tratta di The Bell Jar, pubblicato per la prima volta sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas
nel 1963, e della raccolta di poesie The Colossus and Other Poems, Heinemann, London,
1960; Alfred A. Knopf, New York, 1962.
4
Ariel, Faber & Faber, London, 1965; Harper & Row, New York, 1966.
5
Crossing the Water, Faber & Faber, London, 1971; Crossing the Water. Transitional Poems,
Harper & Row, New York, 1971.
6
Winter Trees, Faber and Faber, London, 1971; Harper & Row, New York, 1972.
6
Plathiana – e che il numero delle poesie inserite varia dalla versione inglese
a quella americana, risulterà chiara la situazione di disordine e inesattezza in
cui il lavoro critico dovette svilupparsi, dando inevitabilmente luogo a sviste
a volte clamorose – seppure in parte giustificabili – anche da parte di critici
autorevoli.
Con la pubblicazione delle Letters Home nel 1975
7
– fortemente
voluta dalla madre della poetessa, Aurelia Schober, nel tentativo di
correggere il profilo della figlia che andava formandosi tra i critici, che
ritraeva Sylvia come figlia ingrata e astiosa, oltre che psicologicamente
instabile – seguita a breve distanza da quella del volume Johnny Panic and
the Bible of Dreams and Other Prose Writings – uscito nel 1977 presso
Faber and Faber
8
e contenente, oltre ad alcuni racconti, anche cinque prose
giornalistiche di argomento autobiografico o letterario e alcuni estratti dai
diari – la prospettiva di studio si allargò ulteriormente, comprendendo altri
aspetti della vita interiore e psicologica della poetessa prima sconosciuti;
nonostante ciò i commentatori rimasero nella maggior parte magneticamente
attratti dall’elemento biografico, in particolar modo dal tema della malattia
mentale e del suicidio.
Dal 1981 in poi, da quando, cioè, apparve l’edizione critica delle
Collected Poems e si cominciò infine a far luce sull’ingarbugliata questione
della cronologia delle opere, i critici fecero a gara a ricostruire, anche sulla
scorta dei diari personali della poetessa (la cui pubblicazione venne richiesta
a gran voce, e infine attuata per la prima volta nel 1982, seppur con
numerosi tagli e censure
9
) e delle lettere, nonché delle testimonianze poste in
7
Negli Stati Uniti presso Harper & Row. Un anno dopo in Inghilterra presso Faber and Faber.
8
Poi ristampato in una versione ampliata nel 1979, con l’aggiunta di altri racconti e una
nuova introduzione, più breve, sempre di Ted Hughes.
9
Solo recentemente, nel 2000, è uscita (prima in Inghilterra presso Faber and Faber, poi negli
Stati Uniti presso Anchor Books) l’edizione completa dei diari curata da Karen Kukil: The
Journals of Sylvia Plath 1950-1962.
7
nota alle poesie dal marito Ted Hughes, gli avvenimenti reali che avevano
ispirato i componimenti.
Tra i numerosi critici che si cimentarono nell’impresa di
interpretazione e analisi dell’opera Plathiana, c’è chi ha visto l’esercizio
della poesia come pericoloso e fatale per la salute mentale della poetessa –
già gravemente provata da una crisi nervosa, seguita da un tentato suicidio,
del 1953 – e chi, al contrario, ha considerato, anche sulla scorta delle
classiche dichiarazioni freudiane, la scrittura come mezzo terapeutico e
salutare, attraverso cui Plath sarebbe riuscita per così tanto tempo a tenere a
bada i mostri dell’inconscio e a “imbrigliarli” nel verso.
10
Com’era facilmente prevedibile, le leggende cominciarono a
prosperare, finché la vita di Sylvia Plath è diventata un mito di cui ognuno si
è sentito in diritto di appropriarsi adattandolo alle proprie necessità, e
trasformando la poetessa di volta in volta in eroina femminista, vittima della
tradizione patriarcale, ribelle verso la società, ragazzina viziata, succube
della madre, moglie infelice, madre snaturata, e così via, perdendo
definitivamente di vista il valore altamente letterario della sua opera, la
quale invece può iscriversi a pieno diritto nella tradizione poetica anglo-
americana, entrando a fare definitivamente parte del canone letterario
occidentale.
Solo di recente si è cominciato a capire che il corpus poetico di una
grande poetessa qual’è Sylvia Plath merita di essere studiato innanzitutto
come opera letteraria, e che la sua poesia – lungi dall’essere confinata
all’etichetta, troppo spesso riduttiva e inadeguata, di Confessional, oppure
inquadrata unilateralmente all’interno di un pensiero femminista o, ancor
peggio, considerata alla stregua dell’anamnesi di una persona mentalmente
10
Cfr. George Steiner, “Dying is an art”, o M.L. Rosenthal, “Sylvia Plath and confessional
poetry”, entrambi in Charles Newman, op. cit. Per la visione opposta, cfr. Dave Smith,
“Sylvia Plath, the Electric Horse”, in “Some Recent American Poetry: Come all ye, Fair and
Tender Ladies”, American Poetry Review,11, January 1982.
8
instabile, utile più allo psicologo che al letterato – segue un preciso percorso
artistico, evolvendosi attraverso temi ricorrenti in maniera costante e sempre
più consapevole dei propri mezzi, a volte procedendo per tentativi,
abbandonando alcune strade in favore di altre, fino a raggiungere,
nell’ultimo periodo, una compiuta e matura sicurezza espressiva e artistica
che pone Sylvia Plath accanto ai più grandi poeti moderni.
Ultimamente la critica Plathiana si sta evolvendo verso un nuovo tipo
di approccio, relegando finalmente in secondo piano i riferimenti biografici,
o chiamandoli in causa solo a scopo puramente esplicativo, per datare con
esattezza cronologica le opere o per venire a capo di passi altrimenti oscuri.
Lavori significativi, che testimoniano della nuova direzione seguita dalla
critica, sono, ad esempio, lo studio di Tim Kendall, Sylvia Plath. A Critical
Study, o il saggio di Christina Britzolakis, Sylvia Plath and the Theatre of
Mourning. Nella prefazione al suo libro Kendall, a sua volta poeta, dichiara
infatti che
...the most interesting thing about Sylvia Plath is her poetry. My
approach suggests that everything else is relevant only insofar as it
illuminates what are at times uncompromisingly difficult texts.
11
Britzolakis, parimenti, dopo aver definito la scrittura di Sylvia Plath
un metaforico “teatro del lutto” afferma:
The work of mourning does not belong to the author but inhabits the
space of the text. It is primarily metaphoric, refusing any easy or self-
evident correlation with the events of the author’s life. While
traversing the boundaries between literature and psychoanalysis, it
11
Tim Kendall, Sylvia Plath. A Critical Study, Faber and Faber, London, 2001.
9
cannot be confined within either a biographical or psychoanalytic
narrative.
12
In ambito italiano, importante portavoce di questa nuova sensibilità
critica è Nadia Fusini che, nel suo toccante saggio intitolato Sylvia, perché
la poesia?, afferma, riferendosi alle tante maschere indossate di volta in
volta dalla poetessa nelle sue poesie, che
…sono ridicole le interpretazioni della poesia di Sylvia Plath che
tentano di spiegarla riferendola a categorie quali poesia femminista o
femminile, poesia confessionale, poesia visionaria. E spiegano l’io
della sua poesia come un’io lirico, autobiografico, un’io donna, un’io
donna bianca gelosa, aggressiva, vendicativa e suicida. Sono
interpretazioni ridicole e offensive, tradiscono la poesia stessa
13
.
Uno dei più seri approcci critici alle opere di Sylvia Plath mi sembra
tuttora quello seguito da Ted Hughes, il quale, già nel suo saggio Notes on
the Chronological Order of Sylvia Plath’s Poems, risalente al 1966, aveva
affermato:
I think it will be a service if I point out just how little of her poetry is
“occasional”, and how faithfully her separate poems build up into one
long poem. She faced a task in herself, and her poetry is the record of
her progress in the task. The poems are chapters in a mythology where
the plot, seen as a whole and in retrospect, is strong and clear [...]. The
world of her poetry is one of emblematic visionary events,
mathematical symmetries, clairvoyance and metamorphoses. [...] ...her
initiation into this spiritual world was inevitable, and nothing very
12
Christina Britzolakis, Sylvia Plath and the Theatre of Mourning, Oxford University Press,
1999, pp. 6-7.
13
Nadia Fusini, Sylvia, perché la poesia?, in Ravano (a cura di), Sylvia Plath. Opere,
Mondadori, Milano, 2002, p. XIV.
10
sudden. [...] She lived right in it, especially during the last two years of
her life.
14
Nonostante l’ordine cronologico suggerito da Hughes si sia rivelato,
soprattutto per quanto riguarda le poesie non datate dall’autrice, piuttosto
approssimativo, e sia stato poi ultimamente rivisto e corretto da Hargrove
sulla scorta di altri testi inediti o di passaggi dei diari, la definizione data dal
poeta riguardo la poesia di Sylvia Plath come “capitoli in una mitologia” ha
assunto un ruolo di primo piano nell’orizzonte critico, e la sua validità è
stata poi ufficialmente sanzionata da Judith Kroll, che ne ha fatto il titolo di
un’opera critica
15
fondamentale per un corretto avvicinamento alla
cosiddetta “seconda fase” della poesia Plathiana.
Kroll riprende la visione di Ted Hughes rafforzando ed espandendo,
nella prefazione al suo libro, l’interpretazione del poeta; la studiosa afferma,
riferendosi alla poesia di Sylvia Plath:
Nevertheless her poetry is not primarily literal and confessional. It is,
rather, the articulation of a mythic system which integrates all aspects
of her work, and into which autobiographical or confessional details
are shaped and absorbed [...]. If her poetry is understood as
constituting a system of symbols that expresses a unified mythic
vision, her images may be seen to be emblems of that myth.
16
Kroll isola alcune tematiche ricorrenti nel corpus poetico Plathiano, come il
simbolo centrale della luna, i rituali di esorcismo, morte e rinascita,
soffermandosi, però, soprattutto sulle poesie dell’ultimo periodo;
l’impressione che il lettore ricava dal libro è quella di tematiche ricorrenti
ma in un certo senso indipendenti tra loro, nettamente separate e ordinate nei
14
Ted Hughes, op. cit. in Charles Newman, op. cit. p. 187, corsivo mio.
15
Il saggio è: Judith Kroll, Chapters in a Mythology. The Poetry of Sylvia Plath, Harper & Row,
New York, 1976.
16
Ibid., pp. 2-4
11
vari capitoli e da cui è difficile ricavare una visione d’insieme, capace di
seguire passo dopo passo l’evoluzione di quel vero e proprio “viaggio” che
Sylvia Plath compie nel regno della poesia. E proprio la metafora del
viaggio, con tutte le sue implicazioni mitologiche, letterarie o storiche, mi
sembra costituire quell’elemento unificante capace di tenere insieme tutti
questi temi differenti, facendosi testimone del percorso di ricerca seguito
dalla poetessa durante la sua vita. Viaggio d’esplorazione, quindi, ma non
solo; la carriera poetica Plathiana assumerà anche di volta in volta la forma
del viaggio nell’oltretomba, del viaggio iniziatico, del percorso di
formazione – spirituale ma anche artistico, vera e propria quest, ricerca della
vera identità del proprio io oltre che dell’intima natura del mestiere di
poetessa.
Scopo di questo mio studio è seguire dapprima la formazione e
l’evoluzione del pensiero poetico di Sylvia Plath durante il periodo che va
dal 1956 al 1960 circa – soffermandomi in maniera primaria sulle poesie
attraverso cui emergono le sue riflessioni sul mestiere di poetessa, nonché
sul difficile lavoro dell’artista e sui temi e motivi riguardanti la poiesis in
generale – per essere poi in grado di comprendere e interpretare appieno
alcuni significativi componimenti degli ultimi anni, nei quali i temi e le
riflessioni precedentemente studiate – via via sempre più dilatate e
“mimetizzate” nel tessuto poetico – giungono ad una completa, quanto
drastica, maturazione ed esplicazione.
12
PARTE I
L’ESPLORAZIONE
13
INTRODUZIONE
This endlessly elaborated poem
Displays the theory of poetry,
As the life of poetry.
Wallace Stevens, An Ordinary Evening in
New Haven
Sylvia Plath scopre il piacere e il godimento quasi fisico che si può
ricavare dalla poesia già in tenera età, come testimonia il suo tardo scritto
Ocean 1212-W.
In quella che è considerata la sua ultima dichiarazione di poetica,
l’autrice – che sarebbe morta di lì a meno di un mese – stabilisce con
esattezza il momento esatto in cui, da bambina, è venuta per la prima volta a
contatto con il fantastico “mondo della poesia”; ella afferma che, dopo aver
ascoltato una poesia di Matthew Arnold lettale dalla madre:
I saw the gooseflesh on my skin. I did not know what made it. I was
not cold. Had a ghost passed over? No, it was the poetry. A spark flew
off Arnold and shook me, like a chill. I wanted to cry; I felt very odd. I
had fallen into a new way of being happy.
1
Sarà proprio questa scintilla poetica che Sylvia cercherà in maniera
costante di far rivivere durante tutta la sua carriera di poetessa, anelando
incessantemente a ricreare il magico istante in cui da piccola aveva scoperto
la dimensione, per lei nuova, della poesia. E indubbiamente deve essere
passato ben poco tempo tra questo momento e quello in cui lei stessa
comincia a scrivere poesie, vista l’ampia raccolta di “Juvenilia” composte
1
Sylvia Plath, “Ocean 1212-W”, rist. in Johnny Panic and the Bible of Dreams and Other
Prose Writings, Faber and Faber, Londra, 1977
14
prima del 1956 (cinquanta, ma si tratta solamente di una parte) incluse
nell’edizione americana delle Collected Poems.
Già in queste poesie classificate come “giovanili” è possibile notare
che, fin dall’inizio del suo apprendistato poetico, Plath ha sempre posto al
centro delle sue riflessioni artistiche l’atto creativo, l’azione del “fare
poesia”.
Come è stato più volte giustamente rilevato (in primis proprio da Ted
Hughes
2
), la sua “vocazione” di scrittrice è stata da lei considerata alla
stregua di un vero e proprio mestiere, da esercitare in continuazione e che
poteva essere appreso e padroneggiato solo dopo un assiduo e costante
impegno nella scrittura e nella versificazione.
Già ad una prima e veloce lettura di queste poesie si è consci che
l’autrice prende molto sul serio l’atto stesso del poetare, nonché il suo ruolo
di poetessa femminile; nella poesia Female Author, ad esempio, fin dal titolo
esplicitamente volta a questo tema, è presente un’ironica, seppur
convenzionale, descrizione dei cliché – tipici di fine ottocento ma ancora
vivi in molti ambienti letterari degli anni cinquanta – riguardanti la donna-
poeta che, raffinata e voluttuosa, “lies on cushions curled / And nibbles an
occasional bonbon of sin.”, “…nurses / Chocholate fancies in rose-papered
rooms”, ma che inevitabilmente, nella strofa finale, “…lost in subtle
metaphor, retreats / From gray child faces crying in the streets”.
Il problema del rapporto tra il poeta e la sua arte, e tra l’artista e il suo
tempo, sarà uno dei temi principali della sua esplorazione del regno della
poesia, al punto da trovarsi già nella poesia giovanile Notes to a Neophyte,
in cui la voce narrante ammonisce un ipotetico poeta neofita a
2
E’ nota la dichiarazione di Ted Hughes su come Sylvia scriveva i suoi versi con il “Thesaurus”
sulle ginocchia, cerchiando sistematicamente i termini che le colpivano maggiormente
l’immaginazione, per poi usarli nelle poesie.
15
Take the general mumble,
blunt as the faceless gut
of an anonymous clam, …
metamorphose the mollusk
of vague vocabulary
with the structural discipline:
stiffen the ordinary
maleable mask
to the granite grin of bone.
For such a tempering task,
heat furnace of paradox
in an artifice of ice;
make love and logic mix;…
Il poeta alle prime armi deve partire, sembra affermare la giovane Sylvia,
dalla realtà dei discorsi “vernacolari”, dal “vago vocabolario” del volgo e
fonderli nella fornace di una “disciplina strutturale”, per renderli poetici e
ricavare così il diamante dal grezzo carbone.
Tutte le poesie giovanili sono state generalmente considerate dalla
critica – soprattutto alla luce dei più maturi componimenti successivi – come
semplici esercizi compositivi volti alla sperimentazione delle più diverse
forme metriche (ad esempio, delle due precedentemente citate, la prima è
scritta in forma di sonetto elisabettiano, mentre la seconda è incastonata in
un rigido sistema di rime ABCBAC). Testimoni della metodica ricerca di
un’originale voce poetica, questi componimenti illustrano soprattutto
l’impegno serio e costante dalla giovane poetessa, fin dall’inizio volta ad
indagare le varie sfaccettature del mondo della poesia e conseguentemente a
definire il ruolo del poeta/artista in tutti i suoi aspetti e contraddizioni –
ricerca artistica che proseguirà durante tutta la sua vita e che le permetterà di
raggiungere i traguardi delle sue poesie più riuscite e conosciute.
16
È stato, inoltre, più volte sottolineato che le prime poesie scritte da
Sylvia Plath sono in larga misura derivative; in particolare, nel periodo
1956-1960, molti critici hanno avvertito, fra le altre, l’influenza di Wallace
Stevens
3
: la giovane poetessa alle prime armi fa sua “l’infinita esplorazione
della poesia come soggetto, […] la devozione alla relazione tra
l’immaginazione creativa e il mondo”
4
propria non solo di questo poeta
americano, ma della grande maggioranza di chi si occupa di versificazione,
confermando la serietà e maturità del suo proposito di esplorare sotto ogni
aspetto il mondo dell’arte per essere in grado di esercitare al meglio il
“mestiere” di poetessa.
Mi trovo perfettamente d’accordo con Bompiani, quando afferma,
riferendosi al periodo della composizione delle poesie che avrebbero poi
fatto parte della raccolta The Colossus, che
Per Sylvia Plath, conoscere equivaleva a riconoscere. La sua sete di
cultura era in qualche modo sete di “aggiornamento culturale”; così
come i metri usati nella sua poesia sono tutti classici e comuni. Voleva
ripercorrere i sentieri tracciati e mettersi culturalmente e tecnicamente
in grado di eccellervi.
5
Non bisogna dimenticare, inoltre, che le prescrizioni Eliotiane
avevano contribuito a formare, in Inghilterra e in America, due generazioni
di poeti, critici e letterati in genere, e, a parte alcune eccezioni, soltanto negli
anni cinquanta-sessanta i giovani scrittori stavano allontanandosene per
sperimentare nuove strade. Il saggio del 1919, Tradition and The Individual
3
Oltre a quella di Stevens, influenze più volte avvertite dai critici nello stile e nei temi
affrontati dalle poesie di questo periodo sono state quelle di Eliot, Frost, Yeats, Thomas,
Auden, Moore e, naturalmente, Hughes, oltre a quelle più tradizionali di Donne, Marvell e
Shakespeare. In seguito, principalmente dal 1960 in poi, emergerà prepotentemente
l’influenza di poeti come Roethke, Lowell, Crane, Bishop.
4
Gary Lane, “Influence and Originality in Plath’s Poems” in Sylvia Plath: New Views on the
Poetry, ed. Gary Lane, Baltimore: John Hopkins UP, 1979, trad. mia.
5
Ginevra Bompiani, “Riconoscere la vita” in Lo Spazio Narrante, Jane Austen, Emily Brontë,
Sylvia Plath, La Tartaruga, Milano, 1977, p. 124
17
Talent, rivolto, come afferma il poeta stesso, a tutti coloro interessati alla
poesia, restava sempre estremamente attuale, ed era tenuto in grandissima
considerazione da ogni serio aspirante poeta; Plath stessa ammira
moltissimo Eliot e lo considera uno dei suoi “maestri” letterari. Nel saggio il
poeta afferma che
Nessun poeta, nessun artista di nessuna arte, preso per sé solo, ha un
significato compiuto. La sua importanza, il giudizio che si dà di lui, è
il giudizio di lui in rapporto ai poeti e agli artisti del passato. […] Egli
sarà anche consapevole del fatto che è inevitabile che lo si giudichi in
base ai criteri del passato. […] Il poeta deve sviluppare o acquisire la
coscienza del passato e continuare a svilupparla per tutta la sua
carriera.
6
Testimonianza dell’eterna attualità di tali riflessioni è inoltre il fatto
che esse siano state recentemente riprese ed ampliate da Harold Bloom, il
quale, nello stabilire un criterio d’inclusione delle opere all’interno del
canone letterario occidentale, esprime la sua teoria dell’“ansia
dell’influenza” propria della scrittura moderna, affermando che “non può
esservi scrittura forte, canonica, in mancanza di influenza letteraria”, e in
seguito aggiungendo:
Il fardello dell’influenza deve essere retto qualora si debba
raggiungere, e ripetutamente, una significativa originalità nell’ambito
della ricca tradizione letteraria occidentale. La tradizione […] è anche
un conflitto tra genio passato e attuale aspirazione, il cui premio è la
sopravvivenza letteraria ovvero l’inclusione nel canone.
7
6
T.S. Eliot, “Tradition and the Individual Talent” in The Sacred Wood, trad. It. “Tradizione e
talento individuale” in Il bosco sacro. Saggi sulla poesia e la critica, Bompiani, Milano,
2003, pp.69-73
7
Harold Bloom, The Western Canon. The Books of the Ages, trad. It. Il canone occidentale. I
libri e le scuole delle età, Bompiani, Milano, 1994, p. 7.
18
È proprio sotto quest’ottica che ci si deve avvicinare alle prime poesie
di Sylvia Plath, tenendo sempre in mente lo sforzo costante compiuto dalla
giovane poetessa per far propri i modelli e gli stili, nonché i temi e le
preoccupazioni dei poeti che la hanno preceduta, per arrivare poi a
padroneggiarli ed, eventualmente, a superarli. “Mi serve un maestro, più
d’uno”
8
, scrive nei diari, di fronte alla difficoltà crescente nello scrivere un
romanzo; e tanto più ha bisogno di maestri in poesia – oltre al marito Ted
Hughes, suo principale mentore – per assimilare alla sua arte la storia della
poesia del passato e potersi inserire con coscienza all’interno della
tradizione letteraria anglo-americana.
La tecnica usata da Sylvia Plath nella maggior parte delle sue poesie
consiste nel partire da un dato soggettivo – spesso un evento biografico, ma
può trattarsi di volta in volta anche di un quadro, uno stato d’animo, un
evento, un luogo o una persona conosciuta – considerato un pretesto, il
lampo da cui scaturisce la poesia, e trasfigurarlo fino a fargli assumere una
valenza più generale, a volte universale; studiare questo dato, giocare sul suo
significato, allargarlo a dismisura, inserirlo in una riflessione filosofica, o in
una più ampia trattazione – sono tutti aspetti del procedimento poetico usato
da Plath specialmente all’inizio della sua carriera artistica.
9
È ancora Eliot a
scrivere che “il progresso di un artista è un continuo sacrificio di sé, una
continua estinzione della personalità”, procedimento che può ricordare la
Negative Capability keatsiana, ma che, nel caso di Sylvia Plath, assume
sempre più i connotati dell’Eliotiano Objective Correlative, quella celebre
“dissociazione della sensibilità” che, per il poeta americano, è “il solo modo
di esprimere relazioni in forma d’arte”.
10
8
Journals, lunedì 4 marzo 1957, p. 274.
9
Ted Hughes suggerisce un simile metodo come base del fare poesia nel suo saggio Poetry in
the making, London, Faber and Faber, 1967, p.8
10
T.S. Eliot, “Amleto e i suoi problemi”, in Il bosco sacro, ib. p.124.