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alcuni possano compromettere le possibilità di sviluppo di altri, sia nel presente che nel
futuro (Turner, Pearce, Bateman, 1996, p.48).
La nozione di sviluppo sostenibile, tuttavia, è assai vaga e si presta a molteplici e
diversissime interpretazioni.
Aspetto chiaro da un punto di vista teorico, ma poco affermato a livello di opinione
pubblica e persino di dibattito scientifico, è la necessità di superare la logica degli
interventi “a valle”. Occorre ridurre in modo drastico la quantità di materia attivata
dall’economia, perseguire politiche che conducano ad una dematerializzazione in termini
assoluti, poiché ogni prelievo di risorse naturali comporta un’alterazione dei sistemi
ecologici. Tutti i materiali utilizzati dal sistema economico e sociale vengono scaricati
nell’ambiente, dunque meno materiale viene inglobato nel ciclo economico, più ci si
avvicina alla sostenibilità (Hinterberger, 1999, p.14).
Presupposto, ma anche conseguenza di ciò, è una visione unitaria di economia ed
ambiente che non si concentri sui diversi aspetti separatamente. Mentre in passato
prevaleva una visione che contrapponeva come inconciliabili sviluppo economico e
ambiente, la novità sta proprio nel vedere il rispetto dell’ambiente come uno dei
presupposti fondamentali dello sviluppo. L’ambiente, di cui si comprende comunque
l’importanza, non può essere visto in subordine rispetto all’economia. Spesso il tema
economia e ambiente si riduce semplicemente al problema di riuscire ad usare la natura in
modo economicamente conveniente, e cioè di sviluppare il settore ”verde“ affinché
produca reddito e occupazione.
Un tale approccio non rispecchia una realtà in cui l’ambiente naturale è molto di più
che un mero fornitore di servizi e di risorse; è la base della vita, e quindi anche
dell’economia che a sua volta, tramite i prelievi e le restituzioni di materia ed energia,
attiva processi di continua modifica dell’ambiente (Luzzati, 2000).
Le relazioni tra processo economico e ambiente naturale possono essere esaminate
attraverso il filtro del concetto di interferenze ambientali: il processo economico
interferisce con i processi naturali e gli equilibri ecosistemici (Calafati, 1999,p.12). Da una
prospettiva fisica, il processo economico si basa su una trasformazione irreversibile di
materia ed energia (Georgescu–Roegen, 1982). Nell’estrarre materia dagli ecosistemi e nel
re–immetterla negli ecosistemi in forma degradata esso interferisce, anche in modo
drammatico e irreversibile, con i processi naturali. Inevitabilmente in un parco naturale il
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concetto di interferenza ambientale sembra dover essere al centro dell’attenzione: secondo
Calafati (ibid.) appare ovvia la tesi che in un’area protetta il processo economico debba
basarsi sull’uso di materia ed energia rinnovabili e che tale uso sia sostenibile, ossia non
metta in pericolo la capacità degli ecosistemi di riprodurre materia ed energia nelle
quantità desiderate.
In questa prospettiva molti dei parchi naturali, soprattutto in aree densamente
popolate, vanno intesi come esperimenti volti ad integrare aspetti economici, sociali e
ambientali, ossia come veri e propri laboratori di sostenibilità (Carli, 2001). Giacomini
(1980) scriveva, ad esempio, che i parchi diventano luoghi di sperimentazione permanente
di nuovi rapporti tra uomo e natura in senso scientifico, educativo, formativo e culturale,
ed anche economico e sociale. I modelli di sviluppo attuati all’interno dei parchi possono
esplorare e anticipare soluzioni allargabili poi anche all’esterno, facendo divenire i parchi
una sorta di “punti di eccellenza” (Gambino, 1994 e 1996).
Tuttavia, come si chiarirà in seguito, i concetti di parco naturale e di conservazione
presentano una varietà di definizioni spesso tra loro contrastanti. I parchi possono
innanzitutto essere visti come aree con una bassa o nulla presenza antropica. Uno dei
motivi è, ad esempio, la conservazione in situ di un campione significativo (Gambino,
1991) del patrimonio genetico del pianeta. Tale patrimonio si sta impoverendo a ritmi
elevati ed è necessario che esso possa essere documentato, studiato ed in seguito
eventualmente recuperato o ricostruito. D’altro canto si richiama spesso la promozione
economica e il benessere delle popolazioni locali, enfatizzando, forse troppo, la
dimensione economica. Una prospettiva più equilibrata vede lo sviluppo economico come
presupposto necessario, ma non come obiettivo autonomo, per la conservazione del
patrimonio naturale e culturale (Calafati, 1999).
Benché si osservi, in generale, una progressiva evoluzione dall’idea meramente
protezionistica a modello di sviluppo sostenibile del territorio fondato su valori naturali di
prim’ordine (Ielardi, 2002,p.6), occorre sottolineare come le diverse idee di parco e di
conservazione costituiscono tutte prospettive legittime, applicabili a ciascuno dei contesti
entro le quali esse si sono sviluppate.
Questa tesi intende affrontare la tematica delle aree protette, con particolare
riferimento ai Parchi in Italia. La prima domanda che crediamo debba essere posta
riguarda il significato di conservazione. Riguarda soltanto gli ambienti naturali o anche
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paesaggi umani ? Cosa ci si prefigge di conservare nelle zone il cui territorio è un parco
naturale? Il concetto di conservazione è rimasto immutato nel tempo o al contrario ha
avuto una sua evoluzione? E’ questo concetto indipendente dal territorio oppure ogni
paese presenta delle caratteristiche fisiche e dei processi storici umani che lo influenzano?
La risposta a tali quesiti è presupposto per comprendere quale tipi di sviluppo
economico possono attuarsi all’interno di un Parco ed è indispensabile per comprendere
l’attuale quadro normativo.
L’esame della normativa, che in questa tesi si limita al caso italiano, conduce al tema
della pianificazione nelle aree naturali, alle sue specificità, alle sue differenze nelle varie
realtà territoriali, alle modalità della sua definizione – stabilita in prevalenza dall’alto,
dallo Stato, o proveniente dalle comunità locali? Infine, quando la conservazione si
coniuga con lo sviluppo economico, occorre chiedersi quali attività possono essere svolte
nei confini.
Il Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli è il parco naturale a noi più vicino.
Credo allora interessante comprendere come le problematiche relative alla conservazione
affrontate in generale possano applicarsi a tale realtà. Per questo motivo si esamineranno,
sia pur brevemente, le caratteristiche del Parco e gli attuali problemi che si trova ad
affrontare.
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CAPITOLO 1
EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CONSERVAZIONE
1.1 La conservazione della wilderness americana
La tutela dei grandi spazi naturali è una ”invenzione americana” (Nash, 1970). E’ negli
Stati Uniti che verso la metà del secolo scorso si inizia a parlare di parco nazionale nel
senso di spazio protetto a vantaggio di una nazione.
Per capire il motivo di questo interesse per la conservazione e la valorizzazione della
natura occorre prendere in considerazione la storia dell’occupazione di questi territori da
parte dell’uomo. La conquista dello spazio americano è avvenuta molto rapidamente e
senza che gli uomini si curassero dell’impatto che la loro presenza e la loro opera aveva
sull’ambiente naturale. I primi a subire la presenza dei coloni furono le popolazioni
autoctone: gli indiani pellirossa. Con la conquista del West si ruppe l’equilibrio creato
dalle società preesistenti; i terreni di caccia degli indiani vennero occupati e le mandrie di
bisonti, loro principale fonte di sostentamento, sistematicamente eliminate. La messa a
coltura della pianura dell’Ovest portò ad una forte erosione dei suoli e alla distruzione
delle mandrie di bisonti. In questo contesto di dinamica crescita ed evoluzione, di
sconvolgimenti e distruzioni, sorge spontanea la richiesta, da parte degli strati più sensibili
della società nordamericana, di risparmiare e preservare alcuni lembi di paesaggio di
particolare interesse se non altro per mostrarlo alle future generazioni. Questi uomini di
cultura, artisti e scienziati riuscirono a farsi ascoltare, ottenendone appoggio, da uomini
politici (Richez, 1988). Visto l’elevato potenziale ricreativo e la qualità ambientale di
valore inestimabile per la nazione venne creato il primo parco nazionale affinché tutti gli
abitanti del paese potessero visitarlo (Richez, 1988). L’istituzione del Parco Nazionale di
Yellowstone, il 1 marzo del 1872, da parte del presidente Grant fu il primo esempio nel
mondo, di protezione della natura selvaggia (wild nature) su larga scala nel pubblico
interesse.
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In questo caso, la nozione di parco implicava quella di bene pubblico e quella di
spazio di ricreazione e di turismo; vista l’epoca, queste due nozioni possono essere
facilmente associate all’idea di protezione e a quella di non sfruttamento della natura
(Migani, 2000).
I parchi sono il prodotto di una società che ha un territorio e una storia. Sono i fattori
culturali, politici e socio–economici ad influire nella creazione dei parchi (Richez, 1988).
Occorre considerare le specificità culturali americane e in particolare la ricerca continua di
un’identità nazionale fra gli immigrati: le straordinarie architetture geologiche e
geomorfologiche dell’ambiente fisico nord–americano permisero loro di creare un legame
con il nuovo continente, sottolineando la differenza tra questo e l’Europa dove non esiste
un ambiente naturale equivalente (Richez, 1988).
Occorre sottolineare una straordinaria preveggenza da parte degli Stati Uniti nel
campo della protezione della natura, ancora più stupefacente se si pensa che fino a quel
momento le sue risorse naturali furono sottoposte ad uno sfruttamento estremo e che i
passatempi all’aperto erano ancora poco praticati. In precedenza provvedimenti di
protezione di territori, di animali selvatici, o di foreste, non si erano avuti nel mondo se
non per ragioni religiose (“i boschi sacri” degli antichi romani), politico–economiche
(tutela di foreste per lo sfruttamento commerciale o militare), o di egoistica tutela di
privilegi personali (riserve reali e nobiliari di caccia).
Il messaggio di Yellowstone introdusse invece un elemento storicamente nuovo. Per
la prima volta l’uomo occidentale si applicava, anziché a distruggere, modificare o
asservire a sé la natura, a regolamentare la propria azione, per preservare la natura e
garantirne l’uso e il godimento anche alle generazioni future (“for the benefit and
enjoyment of future generations“)(ACLI Anni Verdi, 2001, p.11). Le prime idee
protezionistiche trovarono un seguito sia tra la gente che tra gli amministratori pubblici.
La cultura e la sensibilità di allora, tuttavia, portavano più a capire che fosse necessario
conservare delle bellezze paesaggistiche, e quindi soprattutto formazioni geologiche o
fenomeni naturali spettacolari come canyons, cascate, ecc., piuttosto che ambienti naturali,
visti come sistemi complessi ed integrati, con tutto ciò che vive al suo interno, compreso
l’uomo che in esso svolge le proprie attività.
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Secondo Calafati (1999, p.20) il concetto di conservazione nella tradizione americana
ha i seguenti caratteri: la ricerca di identità nazionale, l’ affermazione del principio
democratico di public enjoyment e la conservazione della natura incontaminata. Con i
parchi si vogliono preservare le bellezze naturali di un determinato territorio, sottraendolo
a qualsiasi forma di alterazione conseguente all’azione umana, allo scopo di tramandare
alle future generazioni gli elementi costitutivi della storia (identità) americana. L’oggetto
della conservazione è quindi la natura, la wilderness di quei territori, che ha funzione di
pubblico godimento e di identità nazionale. La funzione del parco e le politiche di
conservazione sono quindi indirizzare al mantenimento di questo carattere, evitando la
trasformazione della natura in risorsa, escludendo qualsiasi azione umana che possa
alterare il carattere della assoluta naturalità di quei territori.
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1.2 La conservazione in Europa
Secondo Calafati (1999, p.12) la tesi che i parchi dovessero essere uno spazio ”di sola
natura“ sollevava già perplessità mentre nascevano i primi parchi degli Stati Uniti ed è
comunque estranea alla tradizione britannica ed europea: la tesi secondo cui la
conservazione è una questione di dis–connessione tra processi antropici e processi naturali
è priva di valore come principio generale, benché vi possano essere aree in cui la
conservazione assume tale significato.
La concezione secondo cui i parchi naturali vengono istituiti con l’obiettivo di
conservare il patrimonio culturale (paesaggio umano), oltre che il patrimonio naturale è
un elemento costitutivo di tutte le istanze in favore dell’istituzione dei parchi in ambienti
in cui fosse presente l’uomo (Gambino, 1991): infatti le azioni economiche, benché da una
parte degradino materia ed energia, dall’altra generano sistemi semi-naturali e oggetti
artificiali che, oltre ad essere funzionali alle attività di produzione e consumo, hanno un
valore in sé. Il processo economico attiva processi e determina stati del mondo considerati
come valori in un dato sistema culturale: paesaggi agrari, assetti insediativi, forme
architettoniche, ecosistemi semi–naturali (e connessi processi), ai quali gli individui e la
collettività assegnano un valore, sono generati dal processo economico (Calafati, 1999,
p.12).
Nella vecchia Europa tali iniziative avevano destato, all’inizio, solo una certa
curiosità, perché in pochi si rendevano conto di come e di quanto, anche il territorio
europeo si stesse sempre più degradando e avesse bisogno di interventi di tutela. Poiché,
però, altrove di anno in anno la quantità di parchi aumentava sempre più, alcuni stati
europei cominciarono a sensibilizzarsi al problema. Da allora, per molti anni a venire, il
tema della conservazione ha esclusivamente riguardato le bellezze naturali e quindi la
preservazione di queste dalle alterazioni umane, in genere finalizzata a scopi scientifici.
Grazie allo sviluppo delle scienze che studiano la natura, come l’ecologia, l’idrobiologia,
ecc., si sviluppò la consapevolezza dell’importanza delle aree protette come luoghi di
conservazione e di tutela degli ecosistemi e della biodiversità, da perseguire con metodi
scientifici (Carli, 2001).