5
dell’Istituto Nazionale di Statistiche, che ha permesso di connotare
quantitativamente il Terzo Settore.
Nel capitolo seguente, vengono descritte le strutture tipiche delle imprese for
profit multinazionali, questo per poter poi confrontare ed introdurre gli assetti
organizzativi delle nonprofit internazionali, oggetto del quarto capitolo. È a
questo punto che trovano posto i due casi-studio citati più sopra, dei quali
viene prima fatta un’introduzione generale, per poi analizzarne i rispettivi
assetti organizzativi.
I due enti sono stati scelti appositamente, poiché, nonostante siano entrambi
operativi a livello internazionale e nonostante si equivalgano in termini di
fondi raccolti ed utilizzati nello svolgimento delle rispettive attività, sono
organizzati in modo alquanto differente l’uno dall’altro.
Questo aspetto ci permette di concludere, col quinto capitolo, che non esista
un sistema di governo ideale per l’intera categoria di organizzazioni
nonprofit, utilizzabile indistintamente in tutti gli enti del settore, ma questo
dipende da diverse variabili, tra le quali, il momento storico vissuto e le
condizioni ambientali che ci si trova a fronteggiare.
6
“SVILUPPO INTERNAZIONALE DELLE ORGANIZZAZIONI
NONPROFIT”.
a. CHE COS’E’ IL NONPROFIT
1. DEFINIZIONI
Quasi totalmente sconosciuto in Italia fino alla fine degli anni ’70, il settore
nonprofit si è progressivamente trovato al centro di una sempre crescente
attenzione non solo da parte di coloro che potrebbero essere definiti gli
addetti ai lavori (come ricercatori, politici, amministratori, …), ma anche della
stessa opinione pubblica. In particolare, il massiccio aumento d’interesse per
tale settore è avvenuto in modo talmente improvviso e inaspettato, da far
quasi pensare ad una vera e propria moda, invece che ad un
approfondimento dei problemi, meriti e possibilità di organizzazioni senza fini
di lucro.
Naturalmente quest’ondata di interesse ha coinvolto anche noi studenti che
eravamo scarsamente informati, sia in termini quantitativi che qualitativi,
riguardo le peculiarità di tali organizzazioni. In generale, infatti, le forme
organizzative oggetto di studio in materia di attività economiche sono
prevalentemente, se non esclusivamente, le aziende private e quelle
pubbliche.
I motivi di questo aumento di interesse per le sopraccitate realtà sono
molteplici. Primi fra tutti potremmo indicare il ruolo di attore centrale che tali
realtà cominciano a ricoprire nel modello italiano di welfare state, nonché i
fatti di attualità di cui è stato ed è protagonista il mondo in questi ultimi
tempi. La relazione di tali realtà con le politiche di welfare è inevitabile se si
pensa che “le nuove organizzazioni nonprofit si sono occupate fino ad ora
soprattutto di servizi sociali, dunque lo sviluppo del settore si è incrociato con
l’evoluzione delle politiche sociali, influenzandole e rimanendone a sua volta
influenzato
1
.”
Un altro fattore che spiega l’attitudine italiana verso il terzo settore è il
cambiamento nella struttura demografica della popolazione. In altre parole,
l’aumento della vita media e, quindi, il rapido invecchiamento della
popolazione e l’aumento della percentuale di donne lavoratrici a tempo
pieno, hanno dato luogo ad una serie di nuovi bisogni cui il sistema pubblico
di welfare non è stato in grado di rispondere tempestivamente. Inoltre,
quest’ultimo, è stato duramente criticato circa il rapporto qualità-prezzo dei
servizi offerti. Tutto questo ha fatto si che il settore nonprofit fosse indicato
come possibile soluzione a tutti questi bisogni.
Parlando di organizzazioni nonprofit è bene definire prima di tutto cosa si
intende con tale termine che, nella pratica, comprende un’estrema varietà di
1
C.Borzaga – L. Fazzi, “Azione volontaria e processi di trasformazione del settore nonprofit”,
Francoangeli 2000.
7
organizzazioni tra loro eterogenee per oggetto, dimensione e struttura
organizzativa.
Con il termine nonprofit si intende una vasta gamma di organizzazioni
accomunate dal fatto di non distribuire ai soci o dipendenti gli eventuali
profitti che derivano dalla gestione delle loro attività, i quali, al contrario,
vengono reinvestiti nell’organizzazione stessa per migliorarne ed ampliarne
gli interventi oppure vengono destinati ad iniziative di pubblica utilità, se e
come previsto dallo statuto. Di tale termine è stata recentemente fornita una
definizione chiamata “strutturale/operativa”, la quale caratterizza come
nonprofit le realtà che:
1) Sono formalmente costituite;
2) Hanno natura giuridica privata;
3) Si autogovernano;
4) Non possono distribuire profitti a soci dirigenti;
5) Sono volontarie, sia nel senso che l’adesione non è obbligatoria, sia
perché sono in grado di attrarre una certa quantità di lavoro gratuito
1
.
È opportuno, a questo punto, procedere ad una precisazione di tipo
“ortografico”.
Molteplici sono le varietà di “nonprofit” che ho incontrato nella ricerca del
materiale, mi riferisco ai diversi modi di scrivere la parola stessa: “no profit”,
“non profit”, “non-profit” o “nonprofit”. Le prime due voci sono errati modi di
rendere una parola di origine anglosassone, errori frequenti in occasioni simili
da parte di noi italiani. “Non-profit” e “nonprofit” sono, invece, le espressioni
utilizzate negli Stati-Uniti, anche se con portate leggermente differenti tra
loro: nel primo caso il “non” di negazione identifica un’attività che, non per
sua volontà, ha mancato il conseguimento di profitti, mentre la seconda
espressione è utilizzata per identificare quel settore che si differenzia dalle
altre realtà presenti sul mercato, per l’esplicita volontà di non perseguire fini
lucrativi
2
.
Vi sono anche altre espressioni utilizzate per riferirsi a tale settore, ognuna
con una portata diversa dalle altre poiché è molto difficile trovare un modo
per classificare realtà così diverse tra loro. La classificazione dipende, anche,
dal punto di vista che si sceglie di adottare: Terzo Settore, se visto da
un’ottica economica, Privato Sociale, se l’ottica è sociologica, Istituzioni
sociali private, se l’ottica è contabile, etc…
La ragione dell’utilizzo di questa pluralità di termini, sta principalmente nel
fatto che è difficile attribuire un nome ad un mondo socio-culturale ed
economico che somiglia per certi versi al settore “privato”, cioè alle aziende
commerciali e per altri versi al settore “pubblico”, cioè allo Stato, ai comuni,
1
G.P. Barbetta – F. Maggio, “Nonprofit”, Il Mulino 2002.
2
G.P. Barbetta – F. Maggio, “Nonprofit”, Il Mulino 2002.
8
etc; ma non è esattamente né l’uno né l’altro. Ed ecco il perché di “terzo
settore”
1
.
Per quel che mi riguarda ho deciso di utilizzare il termine nonprofit
sull’esempio di quanto fatto dal Prof. Gian Paolo Barbetta, uno dei maggiori
esperti, nonché uno dei più autorevoli autori di materiale del settore.
Lo stesso Codice Civile, poi, utilizza un ulteriore termine. Non prevede,
infatti, la definizione di organizzazione nonprofit, ma utilizza l’espressione
organizzazione di volontariato. E’ bene rilevare, poi, che il sistema legislativo
italiano in materia è un insieme composito di leggi cresciute nel tempo in
modo disorganico. Attualmente il Codice Civile, principale fonte normativa del
settore, disciplina le organizzazioni di volontariato con gli artt. 14 - 42 del
libro I, pur mantenendo in vigore alcune norme precedenti. Nel Codice sono
distinte tre entità: le associazioni, le fondazioni e i comitati, di nessuno di
questi, tuttavia, è data una definizione precisa. Grazie all’ausilio dei
commentatori si è arrivati ad indicare con il termine associazione
un’organizzazione formata da un gruppo di persone che si uniscono per
perseguire uno scopo ed una finalità comuni, con natura diversa da quella
economica e commerciale. La fondazione è un patrimonio dedicato al
perseguimento di uno scopo specificato dall’atto che da vita alla fondazione
stessa
2
. Le fondazioni devono sempre essere riconosciute giuridicamente e
ciò è condizionato dal possesso di un ammontare minimo (generalmente
100.000 €). La differenza fondamentale tra associazioni e fondazioni sta
proprio nel vincolo della presenza di tale patrimonio; mentre l’associazione è
caratterizzata dalla presenza prevalente delle persone, nella fondazione è il
patrimonio a prevalere. Infine, il comitato può essere considerato come una
specie di “associazione temporanea” di persone che perseguono un dato
scopo entro un periodo di tempo limitato.
La legislazione sulle organizzazioni nonprofit è stata profondamente
rinnovata negli anni novanta. Grandi cambiamenti in materia sono stati
apportati dalla “Legge-quadro sul volontariato” n. 266 del 1991, la quale
sancisce: “Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve
intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite
l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche
indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.” inoltre “1.E’ considerato
organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fine di
svolgere l’attività di cui all’articolo 2, che si avvalga in modo determinante e
prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri
aderenti. 2.Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma
1
“…dove non può arrivare lo Stato
e dove non ha convenienza ad operare l’impresa privata,
lì si crea lo spazio per non profit”. S. Zamagni, “Dal non profit all’economia civile”, in Atti del
convegno AIDEA, Clueb, Bologna, 1995.
2
G.P. Barbetta – F. Maggio, “Nonprofit”, Il Mulino 2002.
9
giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il
limite di compatibilità con lo scopo solidaristico.”
A questa legge seguì immediatamente la Legge n. 381 del 1991 sulla
“Disciplina delle cooperative sociali”, che ha istituito questa tipologia di
società cooperative che è l’anello di congiunzione fra il mondo delle imprese
e quello delle organizzazioni nonprofit, tanto da essere definite “imprese
sociali”.
Nelle varie regioni d’Italia la legislazione sulle cooperative sociali è stata, poi,
completata dalle Leggi Regionali di attuazione della Legge 381/1991, che
hanno istituito l’Albo Regionale delle cooperative sociali e portato integrazioni
alla legge nazionale.
Ulteriori realtà presenti nel panorama del nonprofit sono le organizzazioni
non governative e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, da qui in
avanti rispettivamente Ong e Onlus.
La sigla Ong indica un’organizzazione, non appartenente al settore pubblico,
che ha come scopo quello di svolgere attività di cooperazione allo sviluppo
nei confronti delle popolazioni del terzo e quarto mondo. Si tratta quindi di
un sottoinsieme del cosiddetto terzo settore. Poiché la natura e la qualità di
ogni singola organizzazione varia moltissimo è estremamente arduo fare
generalizzazioni che colgano aspetti fondamentali di tutta la categoria. Le
entità, tuttavia, sono accomunate dalla volontà di lavorare per il
superamento delle differenze tra Nord e Sud del mondo attraverso la ricerca
di rapporti equi tra popoli, culture e sessi, la promozione di uno sviluppo
autogestibile dall'interno che permetta di giungere ad un’autonomia e
indipendenza.
Si tratta, in genere, di organizzazioni che nascono nel Nord del mondo, dove
provvedono alla raccolta di fondi, di volontari ed alla sensibilizzazione
dell’opinione pubblica, per poi andare ad agire operativamente nel Sud del
mondo. Le principali fonti di finanziamento sono spesso le istituzioni nazionali
e sovranazionali, anche se non mancano i contributi da parte di imprese e
privati. A livello giuridico le Ong sono disciplinate dalla legge 49/1987, anche
se s’invoca da tempo una legge di riforma.
Per quanto concerne le Onlus, sono state identificate dal Decreto Legislativo
n. 460 del 1997, intitolato al “Riordino della disciplina tributaria degli enti non
commerciali”, che definisce un particolare modo di essere di alcuni enti
nonprofit. Tale Decreto individua una categoria del diritto tributario in cui
rientrano tutte “le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società
cooperative (sociali, dato il fine perseguito), con o senza personalità giuridica
[…], che perseguano esclusivamente finalità di solidarietà sociale” e che
rispondano a tutta una serie di altre caratteristiche, riportate nello statuto. La
qualifica di Onlus permette ad un’organizzazione nonprofit di godere di una
serie di vantaggi e facilitazioni fiscali previsti da questa e da altre leggi.
Per non parlare, poi, delle realtà presenti negli stati esteri: il settore nonprofit
assume caratteristiche e configurazioni diverse, anche in maniera rilevante,
da paese a paese, in funzione del tipo di attività, dei modelli culturali, della
normativa in vigore, nonché dei bisogni che ciascun contesto sociale ed
economico esprime e delle dinamiche attraverso le quali tali bisogni si
manifestano
1
.
In Italia, lo scarso interesse dimostrato dal potere pubblico nei confronti del
terzo settore, come prova il limitato numero di forme giuridiche adatte a
regolamentarne l’esistenza, può essere causato dalla diffidenza dello Stato
nei confronti delle forme auto-organizzate della società civile
2
.
Quanto fin qui esposto mi sembra renda abbastanza chiaro quanto sia vaga e
confusionale la disciplina del terzo settore, basti pensare che manca
addirittura una chiara ed univoca definizione di organizzazione nonprofit.
Questo spiega e giustifica quanto sia auspicata una riforma legislativa in
materia, che non solo revisioni e ordini il materiale giuridico fin qui prodotto,
ma che lo adatti allo stato attuale delle cose, quindi ai bisogni ed alle
aspettative delle funzioni che sono oggi attribuite al nonprofit.
SETTORE
NONPROFIT
COOPERATIVE
SOCIALI
FONDAZIONI
COMITATI
ASSOCIAZIONI
Fig. 1: rappresentazione grafica del settore nonprofit e delle tipologie di
soggetti che comprende.
10
1
C.Borzaga – L. Fazzi, “Azione volontaria e processi di trasformazione del settore nonprofit”,
Francoangeli 2000.
2
G.P. Barbetta, Una discussione su “Non per profitto”, Fondazione Adriano Olivetti 1992.
11
2. IL NONPROFIT IN ITALIA
2.1 LE ORIGINI
Il settore nonprofit è stato riconosciuto come settore dell’economia e della
società solo nell’ultimo decennio, tuttavia, la sua tradizione è di ben più lunga
data, sia in Italia, ma ancor di più in paesi come gli Stati Uniti e la Gran
Bretagna.
Nonostante oggi sia largamente conosciuto con tale nome, mutuato dalla
lingua inglese, non è stato evidentemente sempre così. In passato si è
utilizzato il termine volontariato, soprattutto all’inizio degli anni ’80, quasi a
voler sottolineare la predominanza del ruolo dei volontari in tali
organizzazioni, così come previsto dalla legge.
Si è utilizzato anche il termine associazionismo, che ha una portata più ampia
rispetto al precedente, in quanto è associazione ogni gruppo di persone che
si organizza per impegnarsi in attività differenti da quelle di natura lucrativa.
Intorno agli anni ’90, quando ormai era chiaro il taglio imprenditoriale che
stava assumendo tale settore, si è cominciato a parlare anche di impresa
sociale. Sempre in questo periodo, forse in conseguenza alla presa di
coscienza rispetto alla piega assunta dal settore, si è cominciato a riferirsi
all’insieme di piccole e grandi realtà del settore come terzo settore o terzo
sistema. Come già detto, tale definizione serve a creare una distinzione dal
primo settore, ovvero il privato, nonché dal secondo settore, ossia lo Stato.
Nonostante il settore sia stato caratterizzato in passato da un’estrema varietà
di differenze tra le realtà che raggruppava e nonostante tale varietà
permanga anche oggi, si è venuto infine a configurare un nuovo soggetto
sociale. Il settore nonprofit italiano è riuscito, infatti, a darsi un’identità
unitaria e a dotarsi di organismi di rappresentanza attraverso i quali è in
grado di colloquiare con gli altri soggetti sociali e di mantenere viva l’opinione
pubblica sulle questioni riguardanti il nonprofit.
Lo sviluppo di questo settore non è stato un processo lineare, anzi.
In Italia, le origini di alcune organizzazioni di tale settore sono da ricercare
molto indietro nel tempo.
Fino a circa la metà del diciannovesimo secolo, i soggetti che facevano parte
di quel che oggi chiamiamo settore nonprofit, erano prevalentemente di
origine religiosa e avevano già alle loro spalle diversi secoli di attività, si parla
addirittura del primo Medioevo. Mi riferisco a quelle associazioni di privati,
che si occupavano di beneficenza ed assistenza, cosiddette Opere Pie, vere
antenate delle odierne organizzazioni nonprofit. Si trattava di enti religiosi i
cui capitali, consistenti in lasciti e donazioni, erano gestiti al fine di procurare
assistenza socio-sanitaria ai soggetti privi di mezzi di sostentamento. Se le
andiamo a ricercare oggi, scopriamo che le istituzioni più antiche sono anche
quelle di diffusione più limitata e rappresentate da un minor numero di enti.
In effetti, stando al primo censimento delle istituzioni nonprofit italiane a