6
enunciate analizzando la situazione del nostro paese in
relazione ad esse, e le controversie che tuttora sono in
atto tra l’Italia e vari Stati del bacino del Mediterraneo
per la dichiarazione di zone esclusive.
La lettura di questo lavoro si appresta
anche a coloro che non hanno nemmeno una
conoscenza minima della materia, in quanto la
terminologia usata è abbastanza semplice e
comprensibile concepita proprio per dare modo un pò
a tutti di farsi un idea anche se vaga della materia
trattata.
Buona lettura.
7
I PARTE
CAPITOLO 1: CODIFICAZIONE DEL DIRITTO
MARITTIMO.
1.1 CENNI STORICI.
Alle origini del diritto internazionale del mare
sono gli scritti di alcuni fra i più illustri giuristi del
secolo XVII. All’epoca, le accese dispute dottrinali
sulla libertà o sul dominio del mare erano il riflesso
dei contrapposti interessi degli Stati europei circa
l’espansione politica e commerciale e lo stabilimento
di colonie oltremare. Nel 1609 venne pubblicato il
celebre Mare liberum di Huig de Groot (Ugo Grozio),
ove era difeso l’interesse alla libera navigazione della
Compagnia olandese delle Indie Orientali, di fronte
alle pretese circa il controllo esclusivo della
navigazione verso le Indie Orientali ed Occidentali
avanzate dalla Spagna.
8
La più nota – ma non certo la sola – risposta venne
nel 1635 con il Mare clausum
1
di John Selden, ove si
vuole dimostrare che, alla pari della terra, anche il
mare e’ suscettibile di appropriazione e che al re di
Gran Bretagna spetta il dominio dei mari che
circondano le sue isole. La pretesa britannica muoveva
da un proclama di Giacomo I del 1609 ed era diretta a
colpire la potenza politica ed economica degli
Olandesi, escludendo la loro presenza nei mari
prossimi alla Gran Bretagna e impedendo la loro
redditizia attività di pesca all’aringa in tale acque.
Sempre nella metà del secolo XVII, le pretese
al dominio di oceani o mari avanzate dalla Spagna-
Portogallo, da Venezia, da Genova trovarono sostegno
dottrinale nelle opere di autori come Serafim da
Freitas
2
, Pacio da Beriga
3
. Un criterio per bilanciare i
diversi interessi della libertà di navigazione e della
Sicurezza delle acque adiacenti al territorio venne
proposto nel 1702 da Cornelis van Bynkershoek. I
diritti dello Stato sul mare- osserva l’autore olandese-
non possono Estendersi al di la del limite entro il quale
1
SELDENUS, Mare clausum seu de dominio maris libri duo, 1635.
2
FREITAS, De justo imperio Lusitanorum Asiatico, 1625
3
PACIUS A BERIGA, De dominio adriatici discepatio, 1619
9
esso e’ in grado di esercitare un effettivo controllo
tramite le artiglierie (regola della gittata del cannone).
E’ così proposto un criterio razionale, destinato a
permanere nella pratica di alcuni Stati fino all’inizio
del secolo XX, per distinguere il mare territoriale, ove
lo Stato esercita una sovranità paragonabile a quella
che gli spetta sulla terraferma, dall’alto mare, ove vige
un regime di libertà di utilizzazione (in particolare, di
navigazione e di pesca). Una proposta per superare gli
inconvenienti pratici legati al criterio della gittata dei
cannoni
4
venne da Ferdinando Galiani, che nel 1782
prese posizione per un limite generale di tre miglia. Il
limite delle tre miglia trovò importanti conferme nella
pratica internazionale. Nel 1793 il presidente degli
Stati Uniti dichiarò che le istruzioni date ai suoi agenti
erano valevoli entro la distanza di tre miglia dalla riva
del mare. Allo stesso limite si rifece nel 1878 la Gran
Bretagna, la principale potenza marittima dell’epoca,
con il Territorial Waters Jurisdiction Act. Nel 1893, il
Tribunale arbitrale investito della controversia sulle
foche del mare di Bering dichiarò che gli Stati Uniti
4
Il limite del mare territoriale aumenta progressivamente, in dipendenza dei miglioramenti della scienza balistica? Va
presa in considerazione la gittata dalle artiglierie effettivamente piazzate sulla costa o ci si deve basare sul raggio che in
astratto i cannoni possono effettivamente coprire?
10
non avevano alcun diritto di impedire che le navi
battenti bandiera della Gran Bretagna cacciassero le
foche che frequentano le isole Pribilof (Alaska),
quando tali mammiferi, nel corso delle loro periodiche
migrazioni, venivano a trovarsi in alto mare, al di là del
limite ordinario delle tre miglia
5
.L’estensione di tre
miglia del mare territoriale, se pure fatta propria da
diverse potenze marittime, non venne mai però
universalmente accettata, essendo rivendicate anche
misure diverse (ad es., nella pratica della seconda metà
del secolo XIX e della prima del XX: 4 miglia da
Svezia e Norvegia, 6 da Spagna e Portogallo, 12 dalla
Russia e poi dall’Unione Sovietica).
5
Fur Seal Arbitration, Proceedings of the Tribunal of Arbitration, 14 vol., Washington, 1895.
11
1.2 LE ORIGINI STORICHE DELLA LIBERTA’ DEI
MARI.
La libertà dei mari si è consolidata nel corso del XVII
e del XVIII secolo, grazie soprattutto all’azione degli
olandesi, con il venir meno delle pretese di alcuni Stati
al cosiddetto dominio dei mari cioè al controllo di
vaste zone marine. Fra le pretese del dominio dei mari
vanno ricordate
6
quella della Gran Bretagna sui British
Seas, della Danimarca su parte del Mare del Nord e
dell’Atlantico, di Venezia sull’Adriatico e di altri Stati
su svariate zone del globo. Non si può dire che tra il
regime del cosiddetto dominio dei mari, in vigore poco
prima del XVII secolo, e quello successivo di libertà,
vi sia una netta antitesi. In altri termini, non si può dire
che, all’epoca del dominio dei mari, vi erano pochi
Paesi che consideravano la maggior parte degli spazi
marini come proprio territorio, imponendo alle navi di
tutti gli altri Paesi le proprie leggi e la propria
6
Vedi 1.1
12
giurisdizione; e che invece, sotto il regime di libertà,
ogni interferenza da parte di uno Stato sulle navi altrui
sia cessata. In realtà, il dominio dei mari mai si
tradusse nella totale sottoposizione degli spazi marini
(e delle navi che vi navigavano) agli Stati
<<dominanti>>; e, d’altro canto, mai il regime di
libertà si è tradotto nella totale sottrazione di una nave
al potere altrui. Per rendersi conto che il dominio dei
mari non consisteva in un vero e proprio dominio,
basta considerare gli <<effettivi>> comportamenti
degli Stati che lo rivendicavano. Da simili
comportamenti, si ricava, infatti, che il controllo
preteso dagli Stati <<dominanti>> era circoscritto a
singoli e ben determinati settori, al di fuori dei quali
nessun potere di governo veniva esercitato sulle navi
altrui. Il controllo che alcuni Stati rivendicavano sulle
navi altrui era di natura <<funzionale>> e non
<<spaziale>>: esso non veniva esercitato perchè le
navi si trovavono in un determinato spazio ma in
quanto occorreva perseguire un determinata utilità
(pesca, contrabbando ed ecc.). Che poi gli Stai, ed i
giuristi che ne difendevano la causa, ricorressero
13
all’idea di dominio, e quindi ad un titolo di natura
spaziale, ciò si deve al fatto che essi non conoscevano
altri modi di concepire il potere di governo, oltre a
quello territorialistico. In conclusione, nel corso dei
secoli XVI e XVII il regime dei mari fu caratterizzato
dal limitato fenomeno dell’abbandono di singole e ben
determinate pretese funzionalistiche da parte di taluni
Paesi. Ecco perchè non può parlarsi di un vero e
proprio passaggio dal dominio alla libertà dei mari, ma
piuttosto del mero consolidamento del regime di
libertà.
14
1.2.1 IL SIGNIFICATO DELLA LIBERTA’ DEI MARI.
Regime di libertà significa che gli Stati hanno
eguale diritto a trarre dagli spazi marini tutte le utilità
che questi possono offrire, dalla navigazione alla
pesca, allo sfruttamento delle risorse biologiche,
minerarie, ecc. L’utilizzazione del mare, appunto
perchè garantito ad ogni Stato, incontra il limite che e’
proprio di ogni regime di libertà e che consiste nel
rispetto della pari libertà altrui:essa non può essere
spinta da ciascuno Stato fino al punto di sopprimere
ogni possibilità di utilizzazione da parte degli altri
Paesi. E’ così inammissibile che uno Stato impedisca
l’altrui navigazione pretendendo di <<chiudere al
traffico>> tratti di mare
7
, oppure sottragga
permanentemente agli altri le risorse marine, ad
esempio esaurendo o compromettendo la specie ittica o
le risorse minerarie in una determinata zona. A parte
dunque l’obbligo di non sottrarre permanentemente gli
spazi marini all’altrui utilizzazione, ogni Stato e’ libero
7
Illeciti devono ritenersi, pertanto, alla luce del diritto internazionale generale, i comportamenti di quegli Stati che al
fine di compiere esperimenti nucleari, pretendono chiudere al traffico, dichiarandole pericolose, zone di alto mare.
15
di sfruttare il mare e le sue risorse. La libertà di
utilizzazione del mare e’ assicurata dal principio di
diritto internazionale comune secondo cui ogni nave e’
sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui
ha la nazionalità
8
(Stato della bandiera). In altre parole,
libertà di utilizzazione dei mari da parte dello Stato
significa utilizzazione dei medesimi da parte delle sue
navi o comunità, utilizzazione libera da interferenze
degli Stati stranieri.
8
Criterio della extraterritorialità di navi ed aerei.
16
1.3 SVILUPPO PROGRESSIVO E
CODIFICAZIONE DEL DIRITTO DEL MARE.
Nel secolo XX, l’evoluzione del diritto del mare e’
legata ai tentativi per la sua codificazione, promossi
prima dalla Società delle Nazioni(1930) e poi dalle
Nazioni Unite (1958; 1960; 1973; 1982). I risultati,
non sempre coronati da successo, confermano la
difficoltà di redigere per iscritto norme che spesso
determinano opposte prese di posizioni da parte degli
Stati o gruppi di Stati, a causa dei loro divergenti
interessi. Prima di addentrarci nella trattazione delle
varie Convenzioni e ben chiarire i concetti di sviluppo
progressivo e codificazione del diritto del mare.
17
1.3.1 I CONCETTI DI CODIFICAZIONE E DI
SVILUPPO PROGRESSIVO.
I concetti di codificazione del diritto
internazionale, inteso in senso lato, sta ad indicare la
formulazione precisa e completa delle norme
regolatrici dei rapporti tra gli Stati in un determinato
campo o settore di interesse generale, come quello
marittimo che qui rileva, da stabilirsi mediante uno o
più trattati generali. Mediante la codificazione così
intesa, si realizza un processo di sistemazione e di
razionalizzazione delle norme internazionali
riguardanti il settore indicato, ai fini della certezza dei
rapporti giuridici nell’ambito di tale settore
9
.Ma,
nell’ambito di questo concetto di codificazione del
diritto internazionale inteso in senso lato, che lo
Statuto delle Nazioni Unite ha assegnato tra i compiti
dell’Assemblea generale, lo stesso Statuto distingue,
come e’ noto, due diverse operazioni concrete e cioè a
dire: da un canto, lo sviluppo progressivo del diritto
9
Per una ricostruzione storica del processo codificatorio, con speciale riguardo all’attività svolta dalla società delle
Nazioni, si veda il rapporto del 1947 Historical Survey of Development of International Law and its Codification by
International Conferences, AJIL, Supplement to Vol. LXI 1947, p. 29 ss.
18
internazionale e, dall’altro, la sua codificazione,
intesa in senso stretto
10
. Lo sviluppo progressivo del
diritto internazionale consiste nella preparazioni di
Convenzioni su materie che non sono state ancora
regolate dal diritto internazionale o riguardo alle quali
la pratica degli Stati non appare sufficientemente
sviluppata. Si tratta, in altri termini, di svolgere una
vera e propria attività creatrice o innovatrice, cioè a
dire che si tratta di produrre nuove norme di diritto
internazionale o di modificare quelle esistenti, onde
adeguarle ai nuovi bisogni della Comunità
internazionale
11
. La codificazione in senso stretto del
diritto internazionale consiste invece nella riduzione
in forma scritta e nella raccolta sistematica ed
organica dei principi e delle norme relativi a quei
campi che sono già regolati dal diritto internazionale,
o in cui già si riscontra una prassi uniforme
abbastanza diffusa ed il consenso dei precedenti e
della dottrina. Si tratta in altri termini di svolgere
10
Cfr. l’art. 13 dello Statuto delle Nazioni Unite. A differenza della Carta delle Nazioni Unite che attribuisce
espressamente all’Assemblea generale in materia di codificazione del diritto internazionale, il Patto delle Società delle
Nazioni, nulla disponeva in merito.
11
Cfr. l’art. 15 dello Statuto della Commissione di diritto internazionale. Le correnti dottrinali che parlano di un
superamento dell’anorganicità normativa della Comunità internazionale, si fondano da un lato sull’affermata esistenza
di un’attività legislativa internazionale, e dall’altro, sull’asserita necessità di una codificazione delle norme della
Comunità stessa.
19
un’attività non creativa, ma meramente dichiarativa,
poichè ci si limita unicamente ad accertare ed a
coordinare le norme già esistenti relative a
determinate materie di interesse generale
12
. Chiariti
questi concetti generali, relativi al duplice significato
che può assumere l’opera di codificazione del diritto
internazionale ed al diverso modo di atteggiarsi che
essa può adottare in seno alle conferenze
internazionali appositamente convocate, dobbiamo
esaminare che cosa e’ accaduto in concreto a
proposito della codificazione del diritto internazionale
marittimo, nell’ambito delle conferenze internazionali
che a tal uopo sono state convocate
13
. Ma, per far ciò,
dobbiamo necessariamente esaminare in via
preventiva quale sia stata l’evoluzione della realtà
politica, sociale ed economica che si è manifestata nel
dominio dei mari nel corso di questo secolo,
evoluzione che, senza alcun dubbio, non può non
esercitare la sua determinante influenza sull’opera di
codificazione del diritto del mare.
12
In realtà, la codificazione e’ opera di sintesi e quindi presuppone una lunga elaborazione storica e dogmatica dei
singoli istituti che nel campo del diritto internazionale manca ancora in buona parte.
13
Sulla portata ed i limiti della codificazione in generale e nel settore del diritto del mare in particolare, si vedano da
ultimi, D. VIGNES, L’ocean schismatique: considération sur la codification du droit de la mer.