2
RIASSUNTO
Sviluppo e valutazione delle Funzioni Esecutive in bambini di età scolare.
Un’introduzione espone il contributo di vari autori alla definizione di Funzioni
Esecutive(FE) e allo studio del profilo esecutivo nello sviluppo normale e in alcuni
disturbi evolutivi; vengono esaminati i problemi metodologici nella valutazione delle
FE in età evolutiva e descritti i tradizionali test neuropsicologici delle FE assieme ad
alcuni strumenti più recenti. Nella seconda parte viene presentato lo studio da noi
condotto al fine di indagare: A)l’effetto di età e sesso sulle FE, B)le principali
componenti delle FE, C)la relazione fra differenti strumenti di valutazione. Un test di
pianificazione quotidiana e un adattamento del test Hayling di completamento di frasi
sono stati somministrati in due scuole di Milano a 125 bambini fra i 9 e i 14 anni; le
loro insegnanti hanno compilato un questionario per la valutazione delle FE, tratto dal
BRIEF. Per ciascuno strumento sono state calcolate diverse misure; sono state raccolte
informazioni sul livello sociale, la madrelingua e il QI dei partecipanti. I risultati
indicano un rilevante incremento nella capacità di pianificazione fra i 10 e gli 11 anni e
un graduale cambiamento nell’Hayling nella fascia d’età considerata; i punteggi del
questionario evidenziano un’influenza del sesso sui comportamenti esecutivi.
Dall’analisi fattoriale emerge una soluzione a tre fattori: 1)comportamento strategico,
2)controllo degli impulsi, 3)flessibilità. Si osservano alcune correlazioni interessanti
fra le prestazioni nei test e la valutazione delle insegnanti. I risultati vengono discussi
in riferimento alle attuali teorie e ai studi sperimentali effettuati sulle FE.
Parole-chiave: Funzioni Esecutive; Pianificazione; Inibizione; Sviluppo; Valutazione;
Bambini d’età scolare;
3
CAPITOLO 1.
MODELLI DI SVILUPPO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE
1.1.Defininizione di Funzioni Esecutive
Le funzioni esecutive (FE) vengono generalmente definite come le abilità
necessarie per programmare, mettere in atto e portare a termine con successo un
comportamento finalizzato a uno scopo. Partendo da questa descrizione delle FE,
Welsh e Pennington (1988) individuano tre elementi costitutivi fondamentali:
A)la rappresentazione mentale del compito con le informazioni rilevanti e
l’obiettivo da raggiungere; B)lo sforzo di inibire o rimandare nel tempo una
risposta impulsiva; C)la pianificazione strategica della azioni da svolgere
attraverso la definizione di una sequenza di passaggi.
Nonostante un sostanziale accordo su una generale definizione, la natura
unitaria o molteplice del costrutto FE è stata argomento di dibattito fra gli
studiosi. Tradizionalmente infatti le FE sono state considerate un sistema
unitario, corrispondente a un “esecutivo centrale” in grado di controllare la
selezione, l’attivazione e il mantenimento dei processi cognitivi e di modificare
il comportamento in base a scopi specifici. Norman e Shallice hanno proposto un
modello gerarchico a tre livelli in cui il funzionamento dei processi automatici
(livello 1) è controllato da schemi (livello 2) che possono essere attivati
simultaneamente in numero limitato e che funzionano bene in situazioni
routinarie e familiari per il soggetto. In tutte le situazioni in cui bisogna
4
pianificare o prendere decisioni, intraprendere un’azione nuova, correggere gli
errori, frenare risposte apprese ma inadeguate, affrontare una situazione
complessa o pericolosa, è necessario l’intervento del Sistema Attenzionale
Supervisore (livello3). Attualmente prevale la tendenza da parte di numerosi
studiosi a considerare le FE un termine comprensivo, che non definisce un solo
concetto, ma piuttosto racchiude diverse capacità con le loro specifiche
caratteristiche. (Denkla,1996; Borkowsky e Burke,1996; Anderson, 1998).Gli
stessi autori hanno sottolineato la necessità di identificare all’interno del
costrutto diverse sottocomponenti parzialmente indipendenti le une dalle altre;
non c’è tuttavia accordo sul numero di fattori individuati, cosi come variano i
nomi ad essi attribuiti (memoria di lavoro, flessibilità, inibizione, pianificazione,
autocontrollo, formazione di concetti, uso di strategie, analisi del compito.)
Come hanno recentemente proposto Stuss e Alexander (2000) in realtà le due
visioni non sono contrapposte ma facilmente conciliabili, se si ipotizza
l’esistenza di un sistema supervisore composto da diverse parti, in cui processi
distinti ma interrelati fra loro contribuiscono al controllo esecutivo globale.
1.1.1 FE e lobi frontali
Storicamente, nella letteratura neuropsicologica, le capacità esecutive sono
state strettamente associate con la corteccia prefrontale, così che il termine FE è
diventato in molti casi sinonimo di “funzioni frontali”. Come nota Anderson
(2002) in una sua revisione, le regioni anteriori del cervello sono state
identificate come responsabili del funzionamento esecutivo innanzitutto in base
all’osservazione del comportamento di pazienti con lesioni frontali, i quali
5
mostrano evidenti deficit in queste abilità. Studi con neuroimmagini funzionali,
inoltre, hanno confermato quest’ipotesi evidenziando una significativa
attivazione della corteccia prefrontale in soggetti che svolgono compiti
esecutivi. Ad una analisi più approfondita, tuttavia, le basi neurali delle FE
appaiono numerose e complesse, essendo la corteccia prefrontale collegata
attraverso connessioni afferenti ed efferenti a molte altre regioni del cervello: di
conseguenza una disfunzione esecutiva non sempre deriva direttamente da una
patologia prefrontale, ma può essere legata a una disconnessione all’interno
questa rete. L’integrità della corteccia prefrontale va quindi considerata una
condizione necessaria ma non sufficiente per un’adeguata prestazione esecutiva
(Anderson 2002). Stuss e Alexander (2000) evidenziano anche il fatto che,
sebbene i lobi frontali giochino un ruolo determinante soprattutto per le FE, non
va dimenticata l’influenza che essi hanno anche su vari aspetti della personalità,
sulla consapevolezza di sé e sulle risposte emozionali.
1.2. Teorie e ricerche sulle Funzioni Esecutive in età evolutiva.
Nello scorso secolo la ricerca sulle FE si è concentrata soprattutto sulla
popolazione adulta e solo negli ultimi 20 anni l’interesse degli studiosi si è
spostato sui fenomeni di sviluppo delle FE e quindi sullo studio di soggetti in età
evolutiva. Si possono individuare tre principali cause di questa attenzione
esclusiva verso gli adulti (Huges 2002): innanzitutto, per molto tempo si è
pensato che la corteccia frontale, da cui le FE dipendono, maturasse piuttosto
6
tardi nel corso dello sviluppo, verso l’adolescenza; in secondo luogo, diversi
studi suggerivano che le lesioni alla corteccia prefrontale in età infantile
mostrassero le loro conseguenze solo in età adulta; infine, i test per misurare le
FE erano disegnati apposta per essere complessi, difficili e quindi poco adatti
all’utilizzo con i bambini. La recente crescita di interesse per le FE nei bambini
è legata in parte alla nascita di una nuova disciplina, la neuropsicologia
evolutiva, e al riconoscimento del ruolo chiave delle FE e dei loro deficit in
diversi disturbi evolutivi, come il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività e
l’autismo (Pennington,Ozonoff 1996; Ozonoff, Jensen 1999). Inoltre, assieme
alla ricerca clinica, si sono intensificati gli studi sullo sviluppo normativo delle
FE nel tentativo di delinearne i cambiamenti nell’infanzia, (Welsh e Pennington
1988) nell’età scolare, (Welsh, Pennington e Grossier, 1991) nell’adolescenza
(Anderson, Anderson, Northam et al.2001) e anche nella età anziana (Zelazo,
Craik, Booth 2004). Anche il problema metodologico è stato in parte superato
grazie alla creazione di strumenti di valutazione adeguati all’età. Huges e
Graham (2002) sostengono, inoltre, che proprio la ricerca sui bambini fornisca a
livello metodologico una nuova, interessante opportunità per distinguere le
componenti delle FE: possono essere infatti utilizzati compiti meno complessi,
che permettono al ricercatore di tenere sotto controllo e di manipolare più
facilmente le richieste specifiche all’interno del compito, rendendo più semplice
l’interpretazione dei risultati.
7
1.2.1. Primi studi sulle FE nei bambini
La teoria piagetiana sosteneva uno sviluppo per stadi delle capacità cognitive
del bambino, senza però riferirsi a un possibile substrato neurale: lo sforzo di
alcuni studiosi fu quello di confermare l’esistenza di stadi di sviluppo delle FE
collegandoli con momenti di crescita del sistema nervoso. Uno dei primi studi a
tentare una fusione a livello metodologico e interpretativo dei modelli
neuropsicologici con quelli della psicologia evolutiva fu quello di Diamond e
Goldman-Rackic (1985; 1989), che confrontarono la performance di bambini
molto piccoli con quella di scimmie rhesus di età paragonabile e scimmie adulte
con lesioni focali frontali. Il costrutto di FE da loro adottato comprendeva la
capacità di unire informazioni spazio-temporalmente distanti e quella di inibire
risposte impulsive per il raggiungimento dell’obiettivo. Utilizzando un classico
paradigma sperimentale piagetiano di permanenza dell’oggetto, essi trovarono
che i bambini di 9 mesi, così come le scimmie di 2 mesi e ½, commettevano
molti errori di perseverazione cercando l’oggetto nel primo posto dove era stato
nascosto; anche scimmie adulte con lesioni frontali esibivano lo stesso
comportamento. A partire dall’età di 12 mesi, però, i bambini completavano
correttamente il compito senza commettere più errori. Gli autori ottennero
risultati molto simili anche con un compito di recupero di un oggetto posto dalla
parte opposta di un ostacolo trasparente: solo i bambini di 12 mesi riuscivano ad
aggirare intenzionalmente l’ostacolo per raggiungere l’oggetto. Questi risultati
sono stati interpretati come evidenza dell’esistenza di comportamenti strategici,
chiaramente mediati dalla corteccia prefrontale, già all’età di 12 mesi.
8
Altri studiosi hanno tentato di definire l’età di acquisizione di capacità
esecutive in bambini più grandi utilizzando invece strumenti di misura derivati
dalla neuropsicologia e comunemente usati con soggetti adulti per la valutazione
delle funzioni frontali. Secondo Chelune e Baer (1986), bambini di 6 anni
mostrano abilità strategiche, che aumentano con il progredire dell’età, e all’età
di 12 anni eguagliano la performance adulta.
Per poter interpretare risultati così distanti fra loro bisogna tenere presente
che attraverso prove differenti si ottengono misure di abilità molto diverse e
difficilmente paragonabili. Sarebbe inoltre necessario operare sempre una
distinzione fra l’emergere precoce di una certa capacità, il periodo e le tappe
attraverso cui matura e l’età in cui la capacità risulta completamente acquisita.
1.2.2. Studi normativi con batterie di test
Spinti dai motivi precedentemente esposti, a partire dagli anni ‘90, numerosi
studiosi hanno utilizzato un nuovo tipo di approccio allo studio delle FE,
somministrando a un campione di bambini di differenti età delle “batterie di
test” composte da una serie di prove differenti. Questo ha permesso da una parte
di tracciare traiettorie di sviluppo per ciascuno strumento di misura e
confrontarle fra loro; dall’altra,sottoponendo i risultati ad un’analisi fattoriale, di
individuare ipotetiche sottocomponenti o fattori all’interno del vasto costrutto
FE.
Levin, Culhane, Hartmann et al.(1991) valutarono le abilità esecutive di 52
bambini e adolescenti in tre fasce d’età (7-8, 9-12, 13-15 anni) attraverso una
serie di test che comprendevano WCST, California Verbal Learning Test, Word
9
Fluency, Twenty Questions ,Go- No Go,Torre di Londra, Delayed Alternation
1
.
In tutti i test, ad eccezione di quest’ultimo, gli autori riscontrarono cambiamenti
evolutivi. Effettuando un’analisi delle componenti principali individuarono 3
diversi fattori che contribuivano alla prestazione, associati con distinti aspetti
delle FE: 1) associazione semantica e formazione di concetti , 2) controllo degli
impulsi 3) pianificazione e strategia. Le prestazioni nelle misure relative al
secondo fattore raggiungevano i livelli adulti nei bambini di 12 anni, mentre i
fattori 1 e 3 mostravano un ulteriore incremento anche nell’ultima fascia d’età.
Welsh, Pennington e Grossier (1991) utilizzarono una batteria di compiti
esecutivi selezionati dalla neuropsicologia e dalla psicologia evolutiva per
valutare capacità di pianificazione, ricerca organizzata e inibizione in bambini
dai 3 ai 12 anni. Dai risultati emerge uno sviluppo per stadi delle capacità
esecutive e nello stesso tempo una visione multidimensionale delle FE. Alcune
componenti infatti maturano prima di altre: la ricerca organizzata e semplici
abilità strategiche, così come la capacità di resistere alla distrazione, sono le
prime a maturare, a 6 anni; le capacità di inibizione e controllo degli impulsi e la
verifica di ipotesi maturano all’età di 10; compiti che richiedono più complesse
abilità di pianificazione e memoria a 12 anni non raggiungono ancora i livelli
adulti. Per quanto riguarda le possibili associazioni fra misure gli autori
identificarono 3 fattori: 1)velocità di risposta, 2) verifica di ipotesi e controllo
degli impulsi, 3) abilità di pianificazione.
Notando la mancanza di dati normativi sullo sviluppo delle FE
nell’adolescenza Anderson ,Anderson, Northam et al. (2001) selezionarono un
1
Per la descrizione di alcuni di questi test confronta cap 2,par 2.
10
campione di 138 ragazzi fra gli 11 e i 17 anni con lo scopo di individuare una
tendenza evolutiva in questa fascia d’età e verificare se essa appare uniforme o
si differenzia a seconda dell’aspetto delle FE considerato. L’ipotesi di ricerca
prendeva in considerazione tre domini all’interno delle FE: 1)Controllo
attenzionale, 2)Flessibilità cognitiva, 3)Goal-setting. Per ciascun dominio gli
autori scelsero due prove (Digit Span e Codes Test per il primo,Contingencies
Naming Test e Verbal Fluency per il secondo,Torre di Londra e Figura
Complessa di Rey per il terzo
2
) cercando di distinguere per ciascun test un
punteggio generale, determinato da tutti i processi cognitivi coinvolti
nell’esecuzione, da un punteggio “strategico”, che riflettesse in maniera più
specifica la componente esecutiva del compito. I risultati in generale
suggeriscono sia per le abilità cognitive di base sia per le FE una traiettoria
relativamente piatta nell’adolescenza, se confrontata con il rapido sviluppo del
periodo precedente. Si riscontrano però alcune differenze evolutive fra i tre
domini delle FE: infatti nella fascia d’età considerata il controllo attenzionale
mostra un incremento abbastanza significativo con uno “salto” di crescita
attorno ai 15 anni, cambiamenti evolutivi nel goal setting si osservano fra gli 11
e i 12 anni, mentre la flessibilità cognitiva si mantiene costante.
1.2.3. Modelli fattoriali delle FE
Integrando i risultati di quest’ultimo studio con quelli di altri autori Anderson
(2002) propone un modello teorico delle FE composto da 4 domini distinti: essi
sarebbero legati a specifici sistemi frontali; tuttavia, per eseguire determinati
2
Per la descrizione di alcuni di questi test confronta cap 2,par 2.
11
compiti operano in maniera collaborativa e tutti insieme possono essere
concettualizzati come un sistema di controllo sovraordinato. Esamineremo
brevemente le caratteristiche di ciascun dominio.
Il controllo attenzionale include la capacità di prestare attenzione a un
particolare stimolo, di mantenerla per un certo periodo, e di inibire le risposte
impulsive; permette di regolare l’ordine delle proprie azioni, di trovare e
correggere gli errori, di proseguire fino al raggiungimento dell’obiettivo. Si
capisce quindi come questo dominio eserciti una notevole influenza sul
funzionamento di tutti gli altri. I soggetti con deficit in questa funzione tendono
ad essere impulsivi e mancano di autocontrollo: danno quindi risposte spesso
inappropriate,faticano a completare un compito e a correggere gli errori.
Il secondo dominio del modello -Information Processing- si riferisce alla
ricchezza, velocità, efficienza di comportamento. Un suo cattivo funzionamento
implica esitazione, risposte povere e tempi di reazione lenti.
La Flessibilità Cognitiva è invece l’abilità di spostare e dividere fra vari
elementi la propria attenzione, attuare strategie alternative, processare
contemporaneamente le informazioni provenienti da fonti diverse, imparare
dagli errori fatti. Gli individui poco flessibili si comportano in modo rigido e
ripetitivo, commettendo continuamente gli stessi errori; di fronte a una
situazione o attività nuova non riescono ad adattarsi ai cambiamenti.
Il dominio Goal Setting è costituito dalla capacità di sviluppare nuove idee e
concetti così come dall’efficienza nel pianificare le azioni. Un problema
specifico in questo dominio porterà a disorganizzazione e mancanza di strategie
nel comportamento e difficoltà di ragionamento.