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Data la particolarità di questo progetto ho deciso di approfondire i diversi aspetti legati
al mercato che si occupa di tutto ciò che riguarda un matrimonio e in particolare ai
viaggi di nozze, cercando di capire perché questo mercato può essere considerato
interessante, quali operatori coinvolge, a che tipo di clientela si rivolge, quali sono le
richieste della clientela e cosa offrono gli esperti del settore.
Il primo capitolo del mio approfondimento parte con un’analisi del segmento di mercato
in questione, ponendo attenzione sul numero di matrimoni in Italia nel passato e oggi,
sulle caratteristiche degli sposi e sulle cifre che essi sono disposti a spendere per questo
evento, come hanno organizzato il matrimonio e sul perché alcune coppie scelgono di
sposarsi all’estero.
Nel secondo capitolo si parla nello specifico dei viaggi di nozze, individuando le
motivazioni che portano alla scelta di un determinato viaggio. Sono partita
dall’evoluzione dei viaggi di nozze nel tempo, osservando come destinazioni, durata e
periodi siano cambiati nel corso degli anni e in seguito ho analizzato come oggi
vengono scelti i viaggi di nozze, proprio in base ai criteri destinazione, periodo,
tipologia di viaggio e spesa sostenuta.
Nel terzo capitolo viene analizzato il ruolo che hanno le agenzie di viaggio
nell’organizzazione di una luna di miele, quanto è importante la loro intermediazione
con gli sposi e quali servizi offrono loro.
Dopo aver compreso quali sono i desideri dei futuri sposi, ho verificato cosa offrono gli
esperti del settore per soddisfare al meglio le esigenze di questo particolar tipo di
clientela, nel quarto capitolo analizzo l’offerta dei maggiori tour operator, mentre nel
quinto capitolo l’offerta di singoli hotel, catene alberghiere e linee ferroviarie.
Infine, dopo aver osservato il mercato in generale, mi concentro su un caso concreto, il
caso “Amarsi”, un progetto di marketing legato ai viaggi di nozze, parlando di come è
nato, di quali sono i suoi obiettivi presenti e futuri, di come si è sviluppato nel tempo e
se il segmento di mercato che interessa questo progetto ha le stesse caratteristiche
riscontrate nel resto dell’Italia.
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CAPITOLO 1: IL SEGMENTO DI MERCATO
1.1 IL MATRIMONIO IN ITALIA
Rispetto a 40 anni fa, la tendenza a convolare a nozze in Italia si è quasi dimezzata,
facendoci piazzare sesti in Europa. In quasi tutti i casi c’è la tendenza a convivere col
partner senza sposarsi o restare singoli in casa propria senza dare scandalo, come
succedeva in passato.
A frenare la timida ripresa che sembra affacciarsi in questi anni ci sono poi gli effetti
dell´andamento demografico nazionale, dopo la lunga onda del baby-boom degli anni
del benessere, la popolazione invecchia e i giovani in età da matrimonio diminuiscono.
L´età stessa dei promessi sposi si spinge sempre più in là, spesso includendo lunghe
convivenze di fatto. Un tempo ci si sposava anche perché il matrimonio era l´unico
modo per lasciare la casa di famiglia, oggi c’è la tendenza a riflettere bene prima di
andare davanti a un prete o a un sindaco.
Secondo i dati forniti dall’Istat e analizzando i principali indicatori demografici della
nuzialità e della fecondità si può capire il quadro entro cui stanno avvenendo i
mutamenti familiari.
La nuzialità ha conosciuto nell’ arco dell’ultimo secolo una tendenza alla stazionarietà.
A partire dagli anni ‘70 la nuzialità ha cominciato a diminuire, diminuisce a partire dal
1974 e continua fino al 1996.
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1990 1996
Tasso di nuzialità 5.5 4.8 (a)
Tasso di primo nuzialità
totale
680.0 600.2
Età media al primo
matrimonio
- maschi 28.4 29.9
- femmine 25.6 27.1
% di matrimoni civili 16.8 20.3
% di secondi matrimoni
- maschi 5.0 6.0
-femmine 3.3 4.4
Fonte: Istat
Sempre secondo l'Istat le coppie di risposati continuano ad aumentare e sono circa
360mila. Il fenomeno è naturalmente più forte al Nord e nei centri metropolitani. Tra le
coppie 'riconiugate', almeno la metà ha alle spalle un divorzio. E sono ancora di più
(l'81,5%) le coppie che convivono con un partner separato o divorziato. Si tratta spesso
di coppie formate da persone giovani che non possono risposarsi perché ancora in attesa
della sentenza di divorzio. In Italia, dopo la sentenza di separazione, bisogna aspettare
ancora tre lunghi anni perché il divorzio diventi definitivo e sia possibile sposarsi di
nuovo. E solo civilmente, anche se il precedente matrimonio era stato celebrato con rito
religioso. E si è visto anche un aumento dei matrimoni civili che sono passati dal 16,8%
del 1990 al 20,3% del 1996. Infine le seconde nozze continuano ad essere circondate da
un alone di pregiudizio.
L’Italia mantiene le sue peculiarità nelle trasformazioni familiari, la percentuale di
matrimoni civili, di secondi matrimoni e di nascite naturali è ancora bassa, ma la
tendenza all’ aumento sottintende mutamenti e trasformazioni importanti sul terreno dei
comportamenti familiari.
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Convivere senza sposarsi seppur per brevi periodi e con il fine di arrivare alle nozze, è
tradizione antica nel nostro Paese soprattutto in Sicilia dove il ‘ratto consensuale’ era
frequente già nel secolo scorso. Ma convivere per lunghi periodi, in alternativa al vivere
insieme legalizzando la propria unione è stile di vita relativamente recente. Sono
873.000 le donne non nubili e gli uomini vedovi che hanno dichiarato di aver convissuto
prima del matrimonio. Queste persone hanno sperimentato sia la convivenza che il
matrimonio nel corso della vita. Nel corso degli anni è aumentata la quota di matrimoni
preceduti da convivenza: erano il 2% per le unioni matrimoniali precedenti agli anni
‘80, sono diventate il 7,7% negli anni ‘80 e il 13,7% negli anni ‘90. Il dato più alto è
raggiunto negli anni ‘90 dall’Italia Centrale e Nord Orientale mentre negli anni
precedenti è l’Italia insulare a mantenere il primato. E’ interessante sottolineare che
nell’indagine del 1983 dell’Istat le convivenze prematrimoniali sono state rilevate per la
prima volta e allora erano quasi la maggioranza del Sud. Le convivenze prematrimoniali
rilevate nel 1983 erano fortemente condizionate dalle fughe prematrimoniali,
convivenze di brevissima durata che sarebbero poi sfociate in matrimonio. Le
convivenze prematrimoniali rilevate a 15 anni di distanza sono molto diverse. Sono il
29,1% le convivenze prematrimoniali durate meno di un anno, contro il 62,4% del 1983.
La durata delle convivenze era minore negli anni 50 e ‘60 e raggiunge il massimo negli
anni ‘90. Le convivenze prematrimoniali del Sud durano meno di quelle del Nord.
Nonostante sia cresciuta la durata delle convivenze prematrimoniali si mantiene
comunque alto il livello di convivenze in cui i partner erano decisi fin dall’inizio a
sposarsi (61,4%); cresce nel tempo la quota degli indecisi nei confronti del matrimonio
e raddoppia quella di chi non aveva previsto il matrimonio. I contrari al matrimonio, gli
alternativi sono un’esigua minoranza (1,7%).
Le motivazioni che hanno portato una coppia a sposarsi dopo una convivenza sono
fondamentalmente due: la consapevolezza che la vita in comune potesse sfociare in un
matrimonio (44,8%) e l’attesa di un bambino (15,7%).
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Matrimoni preceduti da convivenze per anno di matrimonio e ripartizioni
geografiche (per 100 matrimoni)
ANNI DI
MATRIMONIO
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-Ovest Nord-
Est
Centro Sud Isole ITALIA
Prima degli anni
'80
2,0 1,9 1,4 1,1 4,7 2,0
81-90 8,4 10,2 8,9 3,7 9,8 7,7
91-98 16,8 17,4 19,7 5,0 10,8 13,8
Fonte: ISTAT
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1.2 IL PROFILO DEGLI SPOSI
Il calo della nuzialità si affianca a modificazioni nell’età al matrimonio: a partire dagli
anni ‘60 e fino a metà degli anni ‘70 l’età al matrimonio è diminuita sia per i maschi che
per le femmine (da 28,6 a 27,2 per i maschi, da 24,8 a 24 per le femmine tra il 1960 e il
1975). Una tendenza alla posticipazione del matrimonio si evidenzia nettamente tra il
1981 e il 1991 (da 24,1 a 25,9 per le donne e da 27,3 a 28,7 per gli uomini), fino al dato
del 1996 di un’età media degli uomini di 29,9 e delle donne di 27,1.
La fine degli studi, l’inizio della vita lavorativa, la creazione di una propria vita
indipendente dalla famiglia di origine, l’inizio della vita riproduttiva, sono tutti eventi
che rientrano nella fase di transizione dei giovani alla vita adulta. In Italia si assiste ad
un vero e proprio rallentamento nei tempi di entrata nella vita adulta, che non è legato
semplicemente a problemi economici quali la difficoltà di trovare lavoro, e che riguarda
trasversalmente tutte le classi sociali. Nel 1990 il 51,8% dei giovani da 18 a 34 anni
viveva nella famiglia di origine, nel 1998 questi sono diventati il 58,7%. La crescita è
da attribuire soprattutto ai giovani da 25 a 29 anni (+50%), e da 30 a 34 anni (+60%). In
sintesi i giovani di 20 - 24 anni che vivono in famiglia sono passati dal 75,9%
all’88,3%, quelli di 25- 29 anni dal 39% al 59,3% e quelli di 30- 34 anni dal 13,7% al
21,8%. Una vera e propria rivoluzione nell’arco di otto anni che riguarda sia i maschi
che le femmine. Emergono importanti differenze di genere e territoriali: i ragazzi
permangono di più delle ragazze in casa (66,5% contro 50,9%), ma il ritmo di crescita
del fenomeno tra le donne è maggiore per tutte le fasce di età.
I figli che restano in famiglia hanno nel 40,1% dei casi la licenza media e nel 56,3% un
diploma o una laurea. L’indipendenza economica non appare come una condizione
necessaria e sufficiente per l’uscita di casa visto che il 41,7% dei figli è occupato. La
percentuale di occupati sul totale dei figli è comunque in declino rispetto al 1990 (48%)
perché cresce la componente degli studenti per il prolungamento degli studi soprattutto
da parte delle donne. Rimane stabile la quota dei disoccupati.
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Giovani da 18 a 34 anni che vivono nella famiglia di origine per età (per 100 giovani
della stessa età)
CLASSI DI
ETA’
18-19 20-24 25-29 30-34 Totale
Totale
1990 96,8 79,6 39,0 13,7 51,8
1998 98,4 88,4 58,3 21,9 58,8
Maschi
1990 98,8 88,4 50,0 17,8 59,1
1998 99,2 93,5 70,7 29,2 66,5
Femmine
1990 94,8 70,8 28,1 9,6 44,5
1998 97,7 83,1 45,6 14,7 50,9
Fonte: ISTAT
Negli ultimi anni per le nuove generazioni si sono modificate le caratteristiche
dell’uscita dalla famiglia di origine e la costruzione di una propria famiglia. La
modificazione è avvenuta su due piani differenti. In primo luogo, come si è visto,
l’uscita dalla famiglia di origine si è posticipata, in secondo luogo si è modificata la
struttura delle motivazioni alla base dell’uscita dalla famiglia.
La maggioranza della popolazione ha dichiarato di essere uscita dalla famiglia per
matrimonio. Le uscite per matrimonio hanno interessato il 76,7%, l’1,4% degli
intervistati ha sperimentato la prima indipendenza per motivi di studio e il 7% per
motivi di lavoro. I motivi di uscita variano in funzione dell’età e del sesso. Nelle classi
di età più giovani all’uscita per matrimonio fanno concorrenza le uscite per studio e per
lavoro. Al crescere dell’età le alternative rimangono indipendenza, matrimonio, decesso
di un genitore. Le uscite per lavoro e studio sono molto più alte per i maschi. E’
interessante sottolineare il peso della scelta della convivenza come motivo di uscita
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dalla famiglia di origine. Un milione di persone ha dichiarato di essere uscito dalla
famiglia di origine per andare a convivere senza sposarsi. La maggioranza di tali
persone è uscita dopo i 25 anni. Analizzando le diverse generazioni è interessante
sottolineare che il 48% delle uscite per convivenza è avvenuto proprio per persone nate
dal 1964 al 1978, cioè quelle che maggiormente permangono anche nella famiglia di
origine. Il che sta a significare che tra le persone di queste generazioni che decidono di
uscire dalla famiglia di origine una maggiore quota si orienta verso la convivenza
piuttosto che verso il matrimonio.
Considerando le coppie coniugate di nuova costituzione in cui almeno un partner ha
fino a 35 anni è possibile individuare le caratteristiche socio economiche per capire i
differenti contesti entro cui avviene l’uscita dalla famiglia di origine e le difficoltà
incontrate nel costruire una propria esistenza indipendente. Nella maggior parte delle
coppie ambedue i partner lavorano, ancora abbastanza frequentemente lavora solo
l’uomo, mentre solo raramente è la donna a lavorare e l’uomo a cercare lavoro. Il dato è
molto differenziato territorialmente: le coppie a doppio lavoro sono la maggioranza nel
Nord del Paese, poco meno della metà nel Centro, mentre nel Sud e nelle Isole
prevalgono le coppie con moglie casalinga. Nelle giovani coppie la maggioranza delle
donne ha un diploma o una laurea, contro il 46,2% degli uomini. Il titolo di studio delle
mogli è maggiore di quello dei mariti in tutte le zone del Paese. E’ scarsissima la
presenza di studenti nelle coppie di nuova costituzione, il che sta a significare che nel
momento in cui si sceglie di costituire una famiglia si sono completati gli studi o si è già
deciso di non continuarli o si è comunque trovato un lavoro, almeno da parte del marito.
La scelta per la moglie rimane tra cercare lavoro e fare la casalinga.
Studio e lavoro rappresentano dunque due chiavi interpretative fondamentali di lettura
per l’uscita dalla famiglia. Si esce dopo aver completato gli studi e spesso, soprattutto
nel Centro Nord, dopo che ambedue i partner abbiano trovato un lavoro soddisfacente
che permetta di guadagnare perlomeno mille euro al mese. C’è comunque un altro
fattore economico importante che condiziona l’uscita dalla famiglia e riguarda la
disponibilità di un’abitazione. La metà delle coppie giovani che hanno l’abitazione in
proprietà sono state aiutati dai genitori.