Introduzione
Negli ultimi venti anni, a seguito dello sviluppo della microelettronica e
del crescente interesse nei confronti di materiali avanzati nanostrutturati
aventi applicazioni tecnologiche e biomediche, e diventata fondamentale l’a-
nalisi della struttura e della composizione chimica delle super ci.
Da queste propriet a dipendono infatti le interazioni che il materiale sviluppa
nei confronti dell’ambiente che lo circonda.
Per ottenere tali informazioni e necessario l’utilizzo di una tecnica di analisi
che sia in grado di esaminare esclusivamente i primi strati super ciali del
campione (e quindi i primi nanometri di materiale), e che nel contempo non
ne provochi un danneggiamento.
La tecnica che meglio si adatta a queste esigenze e la spettroscopia fotoelet-
tronica da raggi x (generalmente indicata con l’acronimo XPS, dall’inglese
X-ray Photoelectron Spectroscopy), tecnica i cui analisi, utilizzo e sviluppo
sono oggetto della tesi qui proposta.
La tesi e stata svolta utilizzando un apparato XPS installato presso il Labo-
ratorio di Fisica dello Stato Solido del Dipartimento di Fisica Sperimentale
dell’Universit a di Torino, nell’ambito delle attivit a del Centro di Eccellenza
Interdipartimentale dell’Universit a di Torino volto allo studio delle super-
ci e delle interfasi nanostrutturate, il NIS (acronimo per Nanostructured
Interfaces and Surfaces).
Il lavoro svolto nel corso di questa tesi pu o essere essenzialmente schema-
tizzato in:
- calibrazione dello strumento in energia ed intensit a
- analisi di alcuni campioni, in particolare campioni di interesse nell’am-
bito del progetto NABLA
- sviluppo del sistema con l’installazione di una nuova sorgente a raggi
x con monocromatore
1
La tesi e articolata in 5 capitoli:
nel capitolo 1 vengono illustrati i principi alla base della tecnica XPS e
l’interpretazione di un caratteristico spettro di acquisizione;
nel capitolo 2 viene descritto l’apparato sperimentale utilizzato;
nel capitolo 3 vengono riportate le procedure di calibrazione e ettuate per
la scala delle energie e per quella delle intensit a, con i risultati ottenuti;
nel capitolo 4 viene illustrato il progetto NABLA, nell’ambito del quale
sono state e ettuate delle misure sperimentali preliminari;
nel capitolo 5 viene descritta la procedura che ha portato allo sviluppo
del sistema con l’inserimento in camera di un monocromatore.
Vengono in ne presentate le conclusioni e le considerazioni sui futuri sviluppi
ed applicazioni della tecnica in seguito alle migliorie apportate.
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Capitolo 1
Fondamenti teorici della
tecnica XPS
1.1 Cenni storici
La tecnica XPS ebbe origine a seguito delle ricerche condotte sull’e etto
fotoelettrico, fenomeno scoperto da Hertz nel 1887 e di cui si ebbe una chiara
visione solo nel 1905 grazie alla spiegazione fornita da Einstein, che gli valse
il premio Nobel per la sica nel 1921.
Egli introdusse il concetto di trasporto dell’energia per mezzo di quanti di-
screti, i fotoni, gi a postulati da Planck cinque anni prima. La chiara visione
dell’e etto fotoelettrico spalanc o le porte alla nascita della meccanica quan-
tistica, in quanto era una chiara prova della natura discreta dell’energia del
campo elettromagnetico, e diede inoltre avvio a nuove applicazioni in campo
sperimentale, che portarono tra l’altro allo sviluppo della tecnica XPS.
Ci o che fren o lo sviluppo di tali tecniche fu sicuramente la necessit a di ope-
rare in condizioni di ultra alto vuoto, in modo da mantenere le super ci
in uno stato costante durante la loro analisi: il miglioramento della tecnica
XPS ha dunque viaggiato di pari passo con il miglioramento delle tecnologie
disponibili per la realizzazione della strumentazione ad essa necessaria.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il gruppo di ricerca di Siegbhan et al.
dell’Universit a di Uppsala raggiunse risultati importanti nello sviluppo del-
la strumentazione XPS, tanto da ottenere nel 1954 il primo spettro ad alta
risoluzione su un campione di NaCl, riuscendo a distinguere i diversi picchi
fotoelettrici [1]. Strumentazioni a scopo commerciale iniziarono ad apparire
alla ne degli anni ’60 e le migliorie tecniche a partire da quel momento
storico portarono ad un costante sviluppo della tecnica, no ad arrivare alle
ottime risoluzioni disponibili al giorno d’oggi. Nel 1986 Siegbahn riceve il
premio Nobel per la sica, a coronamento degli importanti risultati ottenuti
con lo sviluppo della tecnica XPS.
3
1.2 Visione schematica della tecnica
1.2 Visione schematica della tecnica
La spettroscopia fotoelettronica a raggi x studia la composizione chimica
e lo stato elettronico dei primi strati atomici di un materiale. Uno spettro
fotoelettronico XPS fornisce il numero di elettroni emessi dal campione in
seguito all’irraggiamento con raggi x, come funzione della loro energia di
legame o energia cinetica.
A seguito dell’irraggiamento del campione con fotoni provenienti da una
sorgente a raggi x (generalmente si usano le linee K 1
dell’alluminio o del
magnesio), il campione emette elettroni per e etto fotoelettrico o per e etto
Auger. Questi sono rivelati da un analizzatore elettrostatico che ne misura
l’energia cinetica, dalla quale si risale all’energia dei livelli atomici di pro-
venienza. Questi sono completamente caratterizzanti del tipo di elemento
emettitore nonch e dello stato sico chimico in cui si trova (di erenti lega-
mi chimici, di erenti stati di ossidazione, di erenti ambienti adiacenti ad
un elemento ne determinano una di erenza dei livelli energetici): per que-
sto motivo la spettroscopia XPS e anche conosciuta con l’acronimo ESCA
(Electron Spectroscopy for Chemical Analysis).
La tecnica richiede che la camera di analisi, che comprende sorgente di raggi
x, campione ed analizzatore, sia mantenuta in regime di ultra alto vuoto, in
modo da evitare contaminazioni della super cie ed interazioni degli elettroni
emessi prima che possano essere rivelati.
Figura 1.1: Schema dei principi della
tecnica XPS
Figura 1.2: Schema dell’apparato di
misura XPS
La tecnica XPS non e distruttiva e consente di rivelare qualunque ele-
mento con numero atomico > 2.
La spettroscopia fotoelettronica a raggi x viene normalmente utilizzata per
analizzare composti inorganici, leghe metalliche, semiconduttori, elemen-
ti puri, catalizzatori, vetri, ceramiche, inchiostri, bio-materiali, e qualunque
4
1.2 Visione schematica della tecnica
altro tipo di materiale vuoto-compatibile. Non viene in genere utilizzata per
analizzare composti organici in quanto questi subiscono degradazione dovu-
ta all’energia dei raggi x incidenti e al calore da essi sviluppato sul campione.
La spettroscopia fotoelettronica viene utilizzata per misurare:
- la composizione chimica delle super ci
- la composizione stechiometrica dei materiali
- la contaminazione delle super ci dei materiali
- lo stato chimico ed elettronico di ciascun elemento componente la
super cie
- l’uniformit a della composizione elementare attraverso la super cie del
campione
- l’uniformit a della composizione elementare in profondit a con l’utilizzo
del cannone ionico usato per sputterare.
La tecnica XPS presenta alcuni limiti dovuti alla strumentazione utilizza-
ta e ai fenomeni sici coinvolti. L’accuratezza nelle misure quantitative
dipende da diversi parametri, quali: rapporto segnale rumore, intensit a dei
picchi, omogeneit a del volume della super cie, dipendenza del libero cammi-
no medio dall’energia cinetica, grado di degradazione del campione durante
l’analisi, conoscenza delle sezioni d’urto di ionizzazione e dei parametri di
trasmissione dell’analizzatore.
I limiti di rivelabilit a degli elementi sono dell’ordine dell’1%.
L’area super ciale del campione soggetta all’analisi dipende dalla strumenta-
zione utilizzata; le dimensioni massime dei campioni analizzabili dipendono
dalla geometria della camera di analisi e dalle dimensioni della camera di
caricamento.
La degradazione del campione durante l’analisi e legata alla sensibilit a del
materiale, alla lunghezza d’onda della sorgente x utilizzata, alla uenza to-
tale di fotoni incidenti, alla temperatura della super cie e al livello di vuoto
presente in camera. I metalli, le leghe, le ceramiche e la maggior parte dei
vetri non subiscono degradazioni consistenti, al contrario di materiali come
alcuni polimeri, certi composti ossigenati, vari composti inorganici e i com-
posti organici.
Le sorgenti a raggi x non monocromatizzate, in particolare, producono un
signi cante numero di fotoni a bassa energia per emissione di Bremsstra-
hlung, che possono provocare un aumento di temperatura sulla super cie
del campione, danneggiandola.
5
1.3 L’e etto fotoelettrico
1.3 L’e etto fotoelettrico
Nella spettroscopia XPS il processo di emissione di elettroni per e etto fo-
toelettrico da un materiale viene stimolato facendo incidere sullo stesso un
fascio di raggi X di energia h , la quale dev’essere su cientemente elevata
da permettere l’eccitazione degli elettroni di core.
Nel caso di un processo perfettamente elastico, la condizione necessaria
Figura 1.3: Rappresentazione schematica dell’e etto fotoelettrico, in cui gli orbitali
atomici sono rappresentati da orbite circolari, in analogia al modello semiclassico
di Bohr
a nch e si possa estrarre un elettrone avente energia di legame E
B
da un
singolo atomo isolato e la seguente:
h >E
B
L’elettrone fotoemesso raggiunge quindi il livello di vuoto con un’energia
cinetica massima pari a
E
K;max
=h E
B
Viene considerata una energia cinetica massima in quanto, prima di fuoriu-
scire dal materiale, l’elettrone emesso pu o anche essere coinvolto in intera-
zioni di tipo anelastico, con conseguente perdita di energia.
E importante ricordare che si indica con l’espressione ‘livello di vuoto’ lo
stato energetico in cui l’elettrone emesso presenta una energia cinetica nulla
e risulta contemporaneamente non pi u interagente n e con l’atomo di prove-
nienza, n e con il campione a cui l’atomo appartiene. Nel momento in cui
si considera un solido l’espressione precedente deve essere per o corretta, te-
nendo conto del fatto che l’elettrone, svincolato dal legame atomico, deve
compiere un lavoro aggiuntivo necessario al raggiungimento dello stato di
6
1.3 L’e etto fotoelettrico
vuoto e, quindi, al raggiungimento dell’esterno del solido.
Per fuoriuscire dal materiale l’elettrone deve superare una barriera di poten-
ziale di ampiezzaE
LV
E
F
=e , dovee e la funzione lavoro del materiale,
come indicato in gura 1.4.
La funzione lavoro e una grandezza caratteristica del materiale e dello stato
chimico- sico della sua super cie.
Dunque per un solido vale la relazione
E
K;max
=h E
B
e (1.1)
E importante notare che sia la funzione lavoro, come gi a indicato in prece-
denza, sia l’energia di legame dell’elettrone nello stato iniziale sono entrambe
riferite al livello di Fermi, che rappresenta il punto zero della scala.
Quanto appena detto e un’assunzione, in quanto il vero punto zero della sca-
la delle energie di legame sarebbe il livello di vuoto E
LV
; tuttavia il livello
di Fermi rappresenta un riferimento dell’energia utile quando il campione
in esame e in contatto elettrico (e quindi in equilibrio termodinamico) con
l’analizzatore.
1.3.1 Funzione lavoro dello spettrometro
Figura 1.4: Diagramma a bande del campione e dello spettrometro all’equilibrio
termidinamico. L’elettrone emesso ha energia cineticah E
B
e , ma per entrare
nello spettrometro deve spendere un lavoro pari a = e( S
), cosicch e l’energia
cinetica dal punto di vista dello spettrometro E
A
k
vale h E
B
e
S
La relazione 1.1 richiede, in linea di principio, di conoscere la funzione
lavoro e del campione. Tuttavia le energie cinetiche dei fotoelettroni so-
7
1.3 L’e etto fotoelettrico
no misurate dall’analizzatore che e caratterizzato anch’esso da una propria
funzione lavoro, e
S
. Con riferimento alla gura 1.4, si vede che quando il
campione e l’analizzatore sono in contatto elettrico raggiungono l’equilibrio
termodinamico allineando i rispettivi livelli di Fermi. Un elettrone emesso
dal campione con energia cinetica E
k
deve superare la barriera (positiva o
negativa) data dalla di erenza tra le funzione lavoro di campione e spettro-
metro, e e
S
.
Le energie cinetiche misurate dallo spettrometro, E
A
k
, valgono:
E
A
k
=E
k
(e
S
e ) = h E
B
e e
S
+e ; (1.2)
da cui si ottiene:
E
A
k
= h E
B
e
S
(1.3)
ovvero le energie cinetiche non dipendono pi u da e , ma da e
S
, che e
indipendente dal campione. Questo signi ca che, nota la funzione lavoro
dello spettrometro, e possibile calibrare la scale delle energie di legame per
ogni campione in contatto elettrico con l’analizzatore. La stima di e
S
e
oggetto della procedura di calibrazione, presentata nel capitolo 3.
Il fenomeno dell’e etto fotoelettrico interessa unicamente i primi m di
profondit a del materiale, perch e i raggi x vengono assorbiti secondo la legge
esponenziale:
I(z) =I
0
e
z dove e il coe ciente di assorbimento del materiale preso in considerazione,
che dipende anche dalla frequenza della radiazione incidente.
Irraggiando ad esempio il campione con la linea Al k (E = 1486.6 eV), il
coe ciente vale
1
0:13 m
nel caso dell’argento e
1
0:11 m
per l’oro. Inoltre
gli elettroni prima di poter fuoriuscire dal materiale devono raggiungere la
super cie e possono subire collisioni anelastiche con perdita di energia per
scattering con i nuclei atomici, con i fononi, con i plasmoni.
Si osserva quindi che solo gli elettroni provenienti da profondit a non molto
superiori al loro libero cammino medio inelastico riescono a fuoriuscire con
un’energia cinetica massima, come verr a analizzato in seguito; il fatto che il
libero cammino medio inelastico degli elettroni sia dell’ordine di grandezza di
qualche nanometro conferma la natura prettamente super ciale della tecnica
di analisi tramite spettroscopia elettronica.
8
1.4 Emissione Auger
1.4 Emissione Auger
Il processo di emissione fotoelettrica lascia l’atomo interessato in uno sta-
to eccitato in quanto rimane una vacanza sul livello energetico di origine
dell’elettrone fotoemesso. Dopo un breve lasso di tempo l’atomo deve di-
seccitarsi, cio e un elettrone proveniente da un livello energetico pi u esterno
o dal livello di vuoto va ad occupare la posizione vacante. L’energia rila-
sciata pu o essere emessa sotto forma di fotone oppure pu o essere assorbita
da un terzo elettrone provocandone l’emissione. Nel primo caso si parla di
uorescenza di raggi x, con emissione di un fotone di energia
E
h
=E
1
E
2
dove E
2
e l’energia di legame dell’elettrone che va ad occupare un livello
energetico inferiore, portando l’atomo nella con gurazione di minima energia
possibile, e E
1
e l’energia di legame del livello energetico della lacuna.
Nel secondo caso si parla invece di emissione Auger e l’elettrone emesso ha
energia cinetica massima
E
k;max
Auger
=E
h
E
3
e
dove E
3
e l’energia di legame del terzo elettrone coinvolto
1
. L’asterisco sta
ad indicare che l’energia di legame considerata non e quella riferita allo stato
fondamentale dell’elettrone, bens quella in presenza di una lacuna dovuta
all’assorbimento del fotone x originario.
La precedente espressione pu o essere riscritta come
E
k;max
Auger
=E
1
E
2
E
3
e (1.4)
dalla quale si evince chiaramente come l’energia cinetica massima nale del-
l’elettrone emesso per e etto Auger non dipende dall’energia della radiazione
x primaria incidente.
Questa importante caratteristica permette il riconoscimento dei picchi di
natura fotoelettrica da quelli dovuti ad emissione Auger: variando infatti
l’energia della sorgente si avr a uno spostamento in energia cinetica dei pic-
chi di fotoemissione mentre i picchi Auger manterranno la loro posizione.
Una transizione Auger e siglata da tre lettere, che indicano i livelli ener-
getici coinvolti nella transizione: se ad esempio i raggi X ionizzano un livello
K, il quale viene riempito da un elettrone proveniente dal livello L
1
e il fo-
tone risultante ionizza un livello M
2
, la transizione Auger viene siglata come
KL
1
M
2
.
1
La funzione lavoro presente nella relazione diventa poi e S una volta che l’elettrone e
stato rivelato, secondo quanto in precedenza esposto in 1.3.1
9
1.4 Emissione Auger
Figura 1.5: Rappresentazione schematica dell’e etto Auger, in cui gli orbitali
atomici sono rappresentati da orbite circolari, in analogia al modello semiclassico
di Bohr
I processi di uorescenza e di emissione Auger sono competitivi; l’emissione
radiativa risulta pi u probabile per atomi pesanti, mentre l’e etto Auger e
dominante negli atomi leggeri (elementi con Z< 35) come mostrato in gura
1.6.
Figura 1.6: Resa dei processi che portano al riempimento del livello K in funzione
del numero atomico
10