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1. INTRODUZIONE
1.1. ORIGINI E DIFFUSIONE DEL CASTAGNO
L’origine del castagno viene fatta risalire ad oltre 60 milioni d’anni fa (Terziario o era
Cenozoica), nel nostro continente reperti fossili rinvenuti provano la presenza di questa
pianta già nel Miocene (circa 23 milioni d’anni fa). In merito all’origine del termine
castagno non vi è concordanza tra le fonti, sembra che prevalga l’ipotesi secondo cui la
parola derivi da “Kastanis” città della Turchia, sulla possibilità che questa derivi da
“Kashtah” che in persiano significa frutto secco, per la consistenza legnosa della buccia
del frutto. Il centro d’origine viene additato in Asia minore (Paffetti et al., 2003), da cui
si sarebbe diffuso mediante l’azione dell’uomo in tutti continenti, con particolare
riguardo all’Europa (Castanea sativa), all’America (Castanea dentata) e all’Estremo
Oriente (Castanea mollissima o Castanea crenata). Il genere Castanea Mill. appartiene
alla famiglia delle Fagaceae, ha un aerale molto vasto, caratterizzato da C. sativa Mill.
(castagno europeo) comprendente Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Croazia,
Grecia, Bulgaria, Turchia, alcune regioni dell’ex URSS fino al Mar Caspio ed una fascia
ristretta del Nord Africa (dal Marocco, allaTunisia); il secondo aerale è quello asiatico,
comprendente la Cina, dove sono diffuse Castanea mollissima Bl (castagno cinese) e
Castanea seguinii Dode. (castagno di Seguin), la Corea ed il Giappone, dove prevale
Castanea crenata Sieb.. L’altro aerale è rappresentato dagli Stati Uniti, in particolare
nella zona orientale con Castanea dentata (Figura 2).
Figura 1.
Areale di diffusione del genere Castanea.
1. Castanea dentata
2. Castanea sativa
3. Castanea mollissima
4. Castanea crenata.
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Il castagno europeo è apprezzato sia per il frutto che per il legno, le specie asiatiche
forniscono invece frutti di buona qualità e legname di scarso valore commerciale, il
castagno americano è essenzialmente pianta forestale, che produce frutti di ottimo
sapore ma di piccolissime dimensioni (300 frutti/Kg).
Le prime notizie sulla coltivazione di castagni da frutto risalgono ad epoca romana, ma
è dal Medioevo che questa pianta assume un’elevata importanza economica, tanto da
essere citata nei registri commerciali e catastali. Per secoli la coltivazione del castagno
ha rappresentato, per le regioni montane una delle maggiori risorse economiche.
Il frutto del castagno per molti mesi dell’anno era il principale, se non l’unico, alimento
per la gente. Non per nulla questa maestosa pianta veniva chiamata “l’albero del pane”,
proprio perché dai suoi frutti (tanto freschi quanto secchi) per tutto l’anno si potevano
preparare una tale varietà di piatti da fare invidia al frumento. Ancora oggi, pur nella
diversità della situazione economica, i frutti del castagno sono molto interessanti per il
mercato che ne apprezza le caratteristiche nutrizionali e la loro versatilità che li porta ad
essere alla base di una grande varietà di preparazioni. Le castagne possono arrivare sulle
nostre tavole come prodotto fresco, secco, bollite “ballotte”, come semplice frutto
arrostito “caldarroste”, sottoforma di conserve, marmellate o frutti sciroppati, ridotte in
farina da utilizzare come succedaneo delle farine di cerali (ad esempio l’assenza di
glutine la rende un’interessante alternativa per la dieta dei celiaci) o nelle preparazioni
di pasticceria, dal semplice castagnaccio ai marrons glacés. Inoltre le castagne possono
essere impiegate per la preparazione di piatti tipici semplici, come la polenta dolce di
farina di castagne, oggi molto apprezzati e riproposti per rivalutare i valori della
tradizione e i sapori della genuinità.
Figura 2. Esempi di prodotti alimentari a base di castagne
Per questi motivi la castanicoltura da frutto sta rivivendo un periodo di grande favore e
può contribuire con le sue notevoli potenzialità disponibili a rilanciare l’economia di
vasti settori montani.
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Nei periodi più aurei della sua storia, questa specie ha sviluppato una vera e propria
“Civiltà del castagno” (Bignami et al., 1983; Cherubini, 1984; Montanari, 1994),
raggiungendo, nel 1911 il massimo storico di produzione di frutti pari a 829000
tonnellate raccolti su 652.000 ettari (Paglietta et al., 1979). La coltivazione del castagno
inizia il suo declino, anche se moderato, in epoca rinascimentale sotto la pressione di
un’agricoltura più “evoluta” che permise l’introduzione della coltura dei cereali. Da
metà degli anni 40, ulteriori e ben più marcate contrazioni di superficie a castagno sono
causate dall’insorgere in tutto il mondo di fitopatie, quali Cryphonectria parasitica
(Murr.) Barr. (cancro della corteccia) (Biraghi et al., 1946) Phytophthora cambivora
(mal dell’inchiostro) (Petri L. et al., 1917) e Phytophthora cinnamoni. Infine, l’esodo
delle popolazioni rurali conseguente ai cambiamenti della società dovuti
all’industrializzazione e alle nuove opportunità di lavoro, ha contribuito ulteriormente
alla crisi del castagno. Superata la fase critica degli attacchi parassitari e dopo il picco
negativo registrato nel 1985, con un raccolto di soli 38800 tonnellate, a partire dal 1990
è in corso rilancio della castanicoltura da frutto, dovuto ad una progressiva revisione del
modello di vita ed una crescente attenzione ai valori dell’ambiente che ha spinto le
persone a rivalutare gli usi e le tradizioni delle zone rurali accrescendo l’interesse per
prodotti tipici e produzioni di qualità.
Il castagno non produce solo frutti, ma è una specie multifunzionale, dal ceduo si ricava
pregevole legname utilizzato nei processi di lavorazione del legno, essendo di facile
lavorazione e finitura. Per questo trova largo impiego nella fabbricazione di mobili. La
sua naturale durabilità e la capacità di resistere all’aria aperta anche senza pesanti
trattamenti chimici, ne fanno infine la specie tipica per la realizzazione di pali, solai,
tetti, infissi e botti per l’invecchiamento del vino. Oltre agli usi tradizionali esistono
impieghi innovativi quali la realizzazione di pannelli per usi non strutturali (isolanti,
fonoassorbenti), la realizzazione di attrezzature e di giochi per giardini e parchi
pubblici. Le buone qualità del legname di castagno sono confermate dal livello dei
prezzi raggiunti dai suoi assortimenti. Anche gli scarti di produzione del legno di
castagno hanno un valore economico, da questi si estrae, infatti, il “tannino”che è il
principale prodotto italiano nel campo degli estratti concianti. Un’altra importante
funzione della specie è quella paesaggistica, per lo più in boschi misti di latifoglie
(Quercus, Fraxinus, Betula). In questi tipi di foreste il castagno fornisce l’alimentazione
per molti tipi di selvaggina. La castagna rimane comunque il ramo più redditizio della
castanicoltura.
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1.2. CARATTERISTICHE BOTANICHE DEL CASTAGNO
Il castagno europeo è una pianta maestosa con chioma espansa che può superare i 30 m
d’altezza, pur raggiungendo generalmente i 15. Il tronco dell’adulto è caratterizzato da
profonde solcature a spirale della corteccia grigio-bruna che può raggiungere diametri
da 100 cm a 400 cm in piante plurisecolari. Le foglie sono grandi (da 18-25 cm per 5-6
cm) e di consistenza cartacea, presentano forma lanceolata o ellittica, di colore verde
cupo nella pagina superiore e giallognolo nella parte inferiore, hanno nervature rilevate
di colore chiaro, la base è generalmente cuneata, mentre l’apice è acuminato, il bordo
presenta dentature pronunciate e la pagina fogliare è irregolarmente ondulata. Le
gemme sono globose, lisce e di colore bruno, germogliano tardivamente verso la fine di
marzo o anche dopo. Dalle gemme fuoriescono germogli sui quali si sviluppano e
fioriscono verso giugno-luglio le infiorescenze maschili e quelle femminili, trattasi
quindi di specie monoica. Il frutto è un achenio che pesa tra gli 8 e i 20 g, è incluso in
un riccio molto spinescente di forma globosa, di diametro variabile che può superare i
10 cm, dapprima verde e poi giallo in prossimità della maturazione, quando aprendosi
causa la fuoriuscita della castagne La forma dei frutti è determinata, oltre ché
geneticamente, dalla posizione all’interno del riccio: è emisferica per i frutti laterali,
appiattita per quello centrale (Figura 3).
Figura 3. Forma dei frutti:
1. ovoidale,
2. ovoidale allargata,
3. globosa,
4. ellittico-trasversa,
5. ellittico-allargata.
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Essendo un achenio, ogni frutto è monosperma, formato da un pericarpo (buccia),
rivestito internamente da peluria soffice, sotto cui si trova l’episperma (pellicola
membranacea rosa), che ricopre la parte edule del frutto, il seme. Il pericarpo si presenta
liscio, brillante e coriaceo, il suo colore varia dal marrone chiaro al bruno scuro e
soprattutto nei marroni, sono spesso visibili strie longitudinali più scure. Sia il pericarpo
che l’episperma sono d’origine materna, poiché derivano dall’epidermide dell’ovario e
geneticamente risultano identici alla pianta madre. Il seme, che deriva dall’ovulo
fecondato, è costituito dall’embrione e da due cotiledoni mentre l’endosperma viene a
formarsi solo nei primi stadi della formazione e non si ritrova più nella castagna matura
(Huiling,X. 1988). Sulla parte distale della castagna è posta la torcia, costituita dai resti
pelosi del perianzio e degli stili del fiore, mentre sulla parte basale si trova l'ilo o
cicatrice ilare, che è un'area più chiara del resto del frutto e su cui è disegnata la
raggiatura stellare (Figura 4). Il contributo della varietà impollinatrice è particolarmente
importante nel castagno perché gioca un ruolo determinante sulle dimensioni finali del
seme, sulla loro epoca di maturazione e sulla dormienza (Janes, R.A.1963), a causa di
un fenomeno chiamato xenia dovuto alla diversa capacità dei pollini nel determinare lo
sviluppo dei tessuti dell’embrione.
Figura 4. Rappresentazione di alcuni dei caratteri morfologici attualmente utilizzati per il riconoscimento varietale
del frutto.
c=costolature, d=distanza dalla base del diametro trasversale maggiore ep=estensione della pelosità, g=gibbosità,
a=altezza, i=ilo, lt=lunghezza torcia, lu=lunghezza, p=pelosità, ps=profondità del solco, s=semi, so=setto,
sp=spessore, st=stella, t=torcia
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Entro uno stesso frutto possono alloggiare anche 2-3 semi, ognuno dei quali racchiuso
nel proprio episperma. L’incidenza percentuale di questi frutti, chiamati settati, doppi e
tripli, è in primo luogo una caratteristica varietale (poliembrionia), ma dipende anche
dall'andamento climatico, più o meno favorevole nei momenti della fecondazione e
dell'allegagione (Figura 5).
Il castagno è caratterizzato da un’elevata variabilità genetica, con numerosi “ecotipi”
presenti in tutto il paese. Dal punto di vista genetico e pomologico è necessario fare una
distinzione tra “castagni domestici”, “castagni selvatici” e “marroni”.
Nell’ambito di ciascuno gruppo è possibile riscontrare un’ampia variabilità morfologica
della pianta e del frutto. I castagni presentano una vigoria da scarsa a molto elevata con
portamento che può essere assurgente, regolare o espanso, la fertilità è medio elevata
anche perché la quantità di polline presente negli amenti varia da elevata a molto
elevata, l’androsterilità e l’autoincompatibilità generalmente sono assenti. Generalmente
i castagni sono più longevi, più resistenti a malattie e a condizioni climatiche avverse.
La produttività è elevata e costante. Il frutto ha una pezzatura che varia, mediamente si
aggira intorno ai 90 frutti/kg, la forma è molto variabile di colore marrone scuro, ha
episperma profondamente inserito nel seme, la cicatrice ilare espansa ed ellittica. Il
sapore del seme è variabile da poco dolce a molto dolce, talora astringente. La settatura
ovvero la poliembrionia è molto variabile e nel riccio si possono trovare da 1 a 7 ricci. I
marroni presentano vigoria medio elevata, con portamento regolare, la fertilità è medio-
scarsa, il polline che si trova negli amenti è scarso talvolta assente e esistono molti casi
di autoincompatibilità. La produttività è medio-scarsa ma il frutto ha una pezzatura da
media a molto grossa, mediamente sugli 80 frutti/Kg, la forma è omogenea allungata
trasversalmente o ovale allargata, il pericarpo è sottile, facilmente asportabile,
raramente inserito nel seme e si presenta di colore marrone chiaro con striature ben
marcate più scure in senso meridiano. Il seme è dolce o molto dolce, in alcuni casi si
presenta settato. Nel riccio si possono presentare da 1 a 3 frutti.
Figura 5. Frutto monoembrionico e frutto poliembrionico.
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Il marron Fiorentino o Casentinese raggruppa numerosi ecotipi coltivati in diverse zone
italiane tra le quali il marrone di: Feltre, Val di Cembra, Val Sugana, Caprese
Michelangelo, Sorano, Massa Marittima. Per differenti caratteristiche del frutto si
distinguono dal marron Fiorentino il marron Buono dell’Amiata, il marrone di Marradi,
il Brisighella e il marrone laziale.
Dal punto di vista nutrizionale le castagne e i marroni sono frutti nutrienti e digeribili,
100 g di marroni freschi apportano 180 Kcal: questo valore energetico è elevato se si
pensa alla frutta fresca, ma è comunque molto inferiore rispetto alle calorie apportate da
100 g di noci, mandorle o altra frutta secca (circa 600 Kcal). Inoltre, sempre a differenza
della frutta secca, l’energia che i marroni forniscono è di pronto utilizzo: l’elevato
tenore di carboidrati complessi li rende, infatti, più simili al frumento (pane,pasta) e al
riso: perciò erano definiti nel passato “il pane dei poveri” ed oggi “il cereale che cresce
sugli alberi”. La digeribilità è data quindi dall’amido che costituisce circa il 60% del
prodotto secco ed è la fonte energetica principale (Riccardi G. et al 2005). Il marrone è
costituito dal 50% di acqua e da un buon tenore di zuccheri semplici (circa l’8%, il
doppio rispetto agli zuccheri della pasta). Rilevante anche il buon apporto di fibra,
fondamentale per una sana ed attenta alimentazione. Come ulteriore pregio nutrizionale,
il marrone presenta un basso contenuto di grassi: fra questi, pochi sono i “cattivi” grassi
saturi e molti i “buoni” grassi insaturi (omega-3 e omega-6 per la prevenzione delle
malattie cardiovascolari).
Diversi i sali minerali, molto elevato il contenuto di potassio e anche, nell’ordine, di
magnesio, calcio, ferro e fosforo.
Nel Marrone sono stati anche trovati antiossidanti appartenenti alla famiglia della
vitamina E, insieme ad un elevato tenore in polifenoli: entrambe queste classi di
composti risultano fondamentali per la prevenzione dei fenomeni legati
all’invecchiamento, essendo antiossidanti naturali, “radical scavengers” (spazzini di
radicali liberi).
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1.3. IMPORTANZA ECONOMICA DEL CASTAGNO NEL MONDO
I dati pubblicati annualmente dalla FAO, consentono di seguire l’evoluzione della
castanicoltura nel mondo; le ultime informazioni disponibili sono relative alle superfici
e produzioni rilevate nell’anno 2005.
La coltivazione del castagno da frutto è concentrata in Europa ed in Asia; solo
piccolissime superfici si trovano in America (USA e Cile), Oceania (Australia e Nuova
Zelanda) ed Africa (Camerun e Malawi).
Il 70% circa della produzione è di provenienza asiatica; il primato nel 2005 spetta alla
Cina che con 125.000 ettari coltivati ha prodotto 825.000 tonnellate di castagne seguita
sorprendentemente dall’Italia che con 24.000 ettari ha ottenuto una produzione di
52.000 tonnellate, dalla Corea del sud che con 32.000 ettari di superficie coltivata ha
avuto una resa di 50.000 tonnellate e della Turchia con 49.000 tonnellate da una
superficie di 38.000 ettari.
Analizzando i dati della FAO, risulta che, per quanto riguarda la resa media, la Cina
produce 6.6 tonnellate per ettaro, l’Italia 2.1, la Corea del Sud 1.6 la Turchia 1.3. Ad
una produzione mondiale annua di castagne che oscilla attorno ad 1.2 milioni di
tonnellate l’Europa partecipa per circa il 30%, il 14% del quale è fornito dall’Italia.
Durante l’ultimo trentennio, mentre la castanicoltura asiatica ha mostrato una relativa
tendenza verso l’incremento quantitativo della produzione e la specializzazione degli
impianti, quella europea si è presentata complessivamente in calo continuo, sia come
superficie sia come produzione, quantunque negli anni ‘90, si sia registrata una certa
ripresa della coltivazione ed un discreto recupero produttivo sia come qualità, che come
quantità (Adua, 1999a), in particolare in Italia (Maresi 1998; Ribaldo 1997), Spagna
(Berrocal del Brio et al. 1997) e Turchia (Yavuz et al. 1999).
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1.4. IMPORTANZA ECONOMICA DEL CASTAGNO IN ITALIA
In Italia i boschi occupano 7 milioni d’ettari, di questi il 10% è costituito da castagno,
sottoforma di tre distinte tipologie: castagneto da frutto (210 mila ettari), le alte fustaie
(67 mila ettari), i cedui castanili (385 mila ettari). Nel 2000 le aziende con castagneti
erano 66 mila con 76 mila ettari produttivi, perciò dei 209 mila ettari da frutto stimati
dalle statistiche forestali solo il 36% risultavano coltivate. A causa dello sfavorevole
andamento climatico, la produzione italiana ha subito nei primi anni 2000 un lieve calo,
infatti, siamo passati dai 570 mila quintali di quel anno ai 550 del 2002 fino ai soli 480
del 2003. Nel 2005 la produzione nazionale è in leggero aumento con 520 mila quintali.
Rimaniamo comunque i miglior produttori europei , secondi a livello mondiali solo
dietro alla Cina.
Il 56% del prodotto nazionale proviene dalla Campania con 27.000 t, a seguire Toscana
8.000 t, Lazio 6.000 t, Calabria 5.500 t, Piemonte 5.000 t che rappresentano le principali
Regioni produttrici. Nel 2003, il valore complessivo della produzione nazionale è stato
pari a circa 80 milioni d’euro.
Secondo alcuni studi presentati da Adua (Adua 2005) in base alle conoscenze del settore
è stato stimato che la produzione viene destinata per il 73% al consumo fresco da
preparare in diversi modi (arrosto, lesse, cotte in latte e zucchero, usate per particolari
ripieni, nei primi piatti o nei secondi a base di carne). e il restante 27% all’industria
agroalimentare di trasformazione. Inoltre il 30% della produzione totale, pari circa a 20
mila tonnellate, è destinato all'esportazione.
Dai dati della FAO sulla commercializzazione della castagna, emerge che in Europa i
principali Paesi acquirenti del prodotto italiano sono Francia, Ungheria e Svizzera, che,
nel 2005 hanno assorbito rispettivamente, 6.833 (29%), 2.964 (12.6%) e 2.689 (11.4%)
tonnellate per un valore di 10.522.000, 1.452.000 e 7.719.000 dollari; gli Stati Uniti ed
il Canada hanno importato complessivamente 3792 tonnellate (16%) per un valore di
10.809.000 dollari; in Asia, l’esportazione delle castagne verso Giappone, Malaysia,
Tailandia, Taiwan, Singapore e Hong Kong è in espansione ed ha raggiunto 2.000
tonnellate, pari all’8,3% dell’export complessivo. L’importazione verso l’Italia è assai
limitata pari a 8789 tonnellate nel 2004 di provenienza turca e spagnola. Il saldo della
bilancia commerciale risulta positivo per circa 35 milioni di dollari; mediamente, un
chilo di castagne esportate ha raggiunto il valore di 4 euro contro gli 1,2 per un chilo di
frutti importati. Sempre secondo studi condotti da Adua (Adua 1998; 1999b)
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sull’evoluzione dei consumi alimentari con particolare riferimento alla diffusione delle
produzioni di qualità, le altre produzioni europee e quella turca, non sembrano in grado
di competere con il prodotto italiano; mentre le castagne del Sud-Est asiatico presentano
caratteristiche organolettiche e tecnologiche molto diverse rispetto a quelle dei frutti
europei e si rivolgono ad un differente collettivo di consumatori che, però, sembra
gradire anche le castagne italiane.
Industrialmente restano aperte le opportunità di sviluppare nuovi indirizzi commerciali,
quali la distribuzione diretta del surgelato al consumatore finale.
A livello artigianale locale è invece in rapido incremento il lancio commerciale di
semilavorati e trasformati minori più o meno differenziati tra loro, che rispecchiano
tradizioni autentiche.
Il primato italiano sul piano qualitativo e’confermato dalla presenza di ben si tipi di
prodotti castanicoli che hanno ottenuto il riconoscimento europeo, di IGP o DOP.
Queste sono rappresentate da:
¾ Due varietà di castagne, Castagna del Monte Amiata Igp (Toscana) e Castagna
di Montella Igp (Campania)
¾ Da tre varietà di marroni, Marrone del Mugello Igp, Marrone del Castel del Rio
Igp (Emilia Romagna), il Marrone di San Zeno (Veneto).
¾ Una farina di castagne la Farina di Neccio della Garfagnana Dop.
Sono inoltre ben 45, i tipi di castagna censiti dalle Regioni nell'elenco dei prodotti
tradizionali. I castagneti da frutto realmente coltivati in Toscana sono circa 21.000 ha e
la produzione media annuale è di circa 35.000 quintali di marroni e di 45.000 quintali di
castagne.
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1.5. IMPORTANZA ECONOMICA DEL CASTAGNO IN TOSCANA
La produzione castanicola toscana è fra le più rilevanti dal punto di vista quantitativo e
qualitativo. Annualmente vengono prodotte, in questa regione, 3500 tonnellate di
marroni e 4500 tonnellate di castagne.
Il castagno è stato per secoli uno degli alberi più importanti per l’economia della
Toscana. I suoi frutti rappresentavano per le popolazioni montane della regione
(Avanzati, 1989), uno degli elementi base dell’alimentazione. Così il castagno, presente
fin dalla preistoria nella regione, è stato diffuso artificialmente in tutti quei terreni che lo
consentivano, anche laddove l’esposizione e il suolo erano poco idonei.
Per questo motivo anche ad oggi la Toscana detiene il primato nazionale in superficie
occupata a castagno, il terreno coperto da castagneto da frutto è pari a 75.000 ettari,
corrispondenti a circa il 93,5% della superficie castanicola e al 36% di quella forestale;
le province a più alta estensione sono: Lucca (27.804 ha), Massa Carrara (20.504 ha),
Arezzo (11.268 ha), Firenze (5.474 ha), Pistoia (4.256 ha), Grosseto (3. 713 ha), Siena
(1.158 ha), Pisa e Livorno (meno di 1.000 ha). (Figura 6).
1. Alto Mugello e Mugello Val di Sieve
2. Valtiberina
3. Monte Amiata
4. Garfagnana
5. Lunigiana
6. Appennino Pistoiese
7. Casentino
8. Monti del Chianti
9. Scarlino.
10. Colline Metallifere
Figura 6. Principali zone castanicole toscane (Ferrini e Nicese, 1999).
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Un tale sviluppo di questa coltura ha portato nei secoli alla selezione di molte varietà,
diverse da zona a zona. Proprio per questo sviluppo di diverse varietà in zone diverse,
l’identificazione varietale può dare informazioni sulla provenienza geografica del frutto.
Nella Val di Sieve, soprattutto nel Mugello si trova una varietà di Marrone molto
apprezzata a livello di mercato per il consumo fresco, per le sue caratteristiche
organolettiche, tanto da ottenere nel 1996 dalla Comunità Europea il prestigioso
riconoscimento di IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Sul Monte Amiata tra le molte presenti spiccano le cultivar Cecio, Bastarda Rossa e
Marron Buono, adatte sia al consumo fresco sia trasformate in farina, anche queste
premiate dal riconoscimento europeo sotto il nome di “Castagne dell’Amiata IGP”.
Sui monti della Garfagnana le castagne appartenenti alle varietà Balocca, Bonosora,
Capannaccia, Carpinese, Cesarucca, Insetina, Lucignana, Mazzangaia, Mozza, Nerona,
Pelosora, Pontecosa, Rossola, Santina, Selvana, vengono essiccate e ridotte in farina per
la produzione della "Farina di Neccio della Garfagnana D.O.P.”
Altre varietà appartenenti al germoplasma castanicolo toscano sono riportate nella
tabella 1
Tabella 1. Castagno europeo: accessioni annoverate in letteratura nel patrimonio toscano
(CE GENRES 29, 1996-1999) (tra parentesi i sinonimi più comuni)
Agliana, Ballocca, Ballotto, Bastarda, Bastarda Rossa, Bastardo Nero, Bellone, Biancana (Biancani), Biciona,
Bottacciolo (Bottaccine, Bottacciole), Brandigliano, Brandugliane, Bregazzino, Bresciana, Brescianino,
Capannaccia, Caralisi, Cardaccio (Cardaccia), Cardopolpo, Carpinese (Carrarese), Cassarese, Castagnola, Cecio,
Cesarucca (Cesarucche, Cesarucco), Chifenti (Chifentina), Codino, Crepatelle (Crepule), Crepola (Capannacce),
Culbianco (Culi Bianchi, Culobianco), Domestica Rossa, Domestiche, Fastellino, Focetto, Fosetta (Fossadani),
Fragonese, Frescona, Frombola, Giuggiolana, Gombitello, Gragnanelle, Granaiola, Gregori, Grossaglia (Grossaia),
Grossagna (Grossagne, Grossale), Insetina (Ceccone), Luccichente, Lucignana (Lucignano, Pelosarino), Lustrina,
Mandolo, Marinello, Marron Picciolino, Marrona (Marrone Casentinese), Marrone dell’Amiata, Marrone di
Bucine, Marrone di Caprese Michelangelo, Marrone di Firenzuola, Marrone di Garliano, Marrone di Greve,
Marrone di Loro Ciuffenna, Marrone di Marradi, Marrone di Massa Marittima, Marrone di Montevarchi, Marrone
di Palazzuolo, Marrone di Pisa, Marrone di Pistoia, Marrone di Sassetta, Marrone di Sorano, Marrone di Stia,
Marrone di Villore, Marrone Fiorentino (M. Casentinese, M. Toscano), Marrone Selvatico, Marronella, Marzuole,
Mazzangaio, Mazzangana (Mazzangaia), Modistolli (Mondistollo), Mogliana, Molano, Monnaio, Morbide,
Morelloni, Morona (Morone, Moroni), Mozza (Mozze, Mozzaiolo), Neratino di Sambuca (Nerattino Sambucano),
Neretta, Nerino, Nerone (Nerona), Pastinese, Pastinese del Monte Amiata, Pastinese di Lucca, Pastinese Rossa,
Pastorese, Pego, Pelosaro (Pelosole, Pelasole, Pilosola, Pelosa), Perella (Perelle), Pinacchioni, Pistolese
(Pisotolese domestica), Pontecosi (Pontecose, Punticoso, Punticosa), Primaticcia, Proventana, Raggiolana,
Rastellina (Rastellini), Roggiolana, Romagnolo, Rosa, Rossana, Rossella, Rossellina, Rossino, Rossola (Rossole,
Rossella, Rossarda), Rossolina, Rossolo di Coreglia, S. Martine, Salvanella (Selvanelle, Vernacchia), Selvarina,
Selvatica, Selvatica Nera, Selvatica Nera di Pietrasanta, Selvatiche, Selvatico di Borgo a Mozzano.
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1.6. CERTIFICAZIONE VOLONTARIA DI PRODOTTO: I MARCHI DI TUTELA D.O.P. E I.G.P.
L’agricoltura italiana si basa attualmente su un modello produttivo contraddistinto da
una duplice vocazione: da un lato le produzioni di uso comune, “commodities”, a cui si
affiancano un gran numero di produzioni tipiche dette“specialties”.
Le produzioni tipiche per i forti legami di natura socio-economica esistenti con il
territorio, detengono un ruolo di primo ordine nell’economia dei sistemi di produzione
rurale e da essi emergono significative opportunità di sviluppo. Secondo gli
orientamenti recenti delle politica agricola comunitaria e nazionale tali prodotti
costituiscono uno strumento capace di fornire occasioni alternative di reddito alle
popolazioni rurali, specie delle aree montane e svantaggiate. Allo stesso tempo
rispondono alla crescente richiesta dei consumatori in termini di prodotti “sicuri” e con
caratteristiche qualitative “uniche”, per l’origine o la particolarità dei processi
produttivi. Questi prodotti hanno superato i soliti confini settoriali, riscuotendo grande
successo sui mass-media costituendo uno dei fenomeni sociali più significativi degli
ultimi anni. In tale contesto, il concetto di qualità assume duplice significato di qualità
intrinseca relativa alle caratteristiche organolettiche e igieniche e di qualità estrinseca
che dipende dalla percezione e dai valori che il singolo consumatore attribuisce al
prodotto. I dati risultanti dall’indagine Nomisma per Indicod (2002), relativamente al
valore economico dei prodotti tipici garantiti confermano le tendenze maturate dai
consumatori nella scelta di prodotti alimentari ed evidenziano la contrapposizione del
“locale” al “globale”, quale unica opportunità economica per le zone svantaggiate dal
punto di vista dell’efficienza qualitativa del prodotto.
Per tutelare l’enorme patrimonio dei prodotti agroalimentari tipici, l’Unione Europea
nel 1992 ha esteso, con il Regolamento CEE 2081/92, le certificazioni di qualità che
fino ad allora riguardavano solamente i vini (la DOC - Denominazione di Origine
Controllata risale al 1963, ed era riconosciute solo a livello nazionale) anche a tali
prodotti. In particolare l’Unione europea ha introdotto il regolamento 2081 del 1992 con
lo scopo di tutelare le produzioni tipiche riservando loro l’uso esclusivo della
denominazione e di un marchio attestante la loro origine fornendo altresì uno strumento
di riconoscimento dell’origine produttiva ai consumatori.
Secondo l’art. 2 del reg. 2081/92, si intende per Denominazione di Origine Protetta
(DOP) “...il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un
Paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione,
di tale luogo determinato o di tale Paese e la cui qualità o le cui caratteristiche siano
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dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei
fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano
nell’area geografica delimitata”.
Si parla invece d’Indicazione Geografica Protetta (IGP) nel caso in cui “... il nome di
una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un Paese serve a
designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo
determinato o di tale Paese e di cui una determinata qualità, la reputazione o un’altra
caratteristica possa essere attribuita all’origine geografica e la cui produzione e/o
trasformazione e/o elaborazione avvengano nell’area geografica determinata”.
In breve sostanza, mentre nel caso della DOP risulta che tutto il processo di ottenimento
di un prodotto (dalla materia prima all’elaborazione finale) fa riferimento all’area della
denominazione, nel caso dell’IGP è sufficiente che almeno una di queste fasi
(produzione di materia prima o trasformazione o elaborazione) riguardi la zona di
denominazione. Inoltre, mentre nel caso della DOP occorre che la qualità o le
caratteristiche del prodotto siano riconducibili all’ambiente geografico di origine, nel
caso dell’IGP potrebbe essere sufficiente il solo legame tra la reputazione del prodotto
con l’area di provenienza. Ogni prodotto DOP o IGP , per diventare tale, deve rispettare
un disciplinare di produzione che vincola tutte le fasi della produzione e della
trasformazione. Generalmente tutti i prodotti DOP e IGP hanno un consorzio di tutela,
ovvero un organismo composti da produttori e/o trasformatori aventi come scopo la
tutela, la promozione e la valorizzazione dello stesso.
Essi hanno anche un ruolo d’informazione al consumatore e di vigilanza sulle
produzioni. Salvaguardano inoltre il prodotto da abusi, atti di concorrenza sleale,
contraffazioni ed uso improprio della denominazione.
Questi marchi collettivi di tutela sono richiesti da associazioni (organizzazioni di
produttori e/o trasformatori) attraverso una domanda di registrazione da presentare allo
stato membro comprendente: un disciplinare di produzione e delle relazioni che
comprovano il legame del prodotto con il territorio d’origine, chi ne vuole fare uso ha
l’obbligo di rispettare il Disciplinare di Produzione approvato e sottoporsi a dei controlli
d’organismi di certificazione autorizzati dalla pubblica amministrazione e da questa,
sottoposti a vigilanza.