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ABSTRACT
La mesotelina è una glicoproteina espressa in condizioni fisiologiche a livello delle cellule
mesoteliali delle sierose dell’organismo (pleura, pericardio e peritoneo). La proteina è,
invece, overespressa sulla superficie cellulare di diversi istotipi tumorali tra cui: il
mesotelioma maligno, il carcinoma ovarico, pancreatico e polmonare. La funzione
fisiologica della mesotelina è sconosciuta, ma recentemente è stata ipotizzata una sua
funzione nei meccanismi di adesione cellulare attraverso il legame a CA125.
La limitata espressione della mesotelina a livello dei tessuti fisiologici e di contro, l’elevata
espressione in molti tumori rendono la mesotelina un possibile target per la terapia anti-
tumorale.
In questo progetto di tesi viene descritta la generazione e la caratterizzazione un
anticorpo monoclonale specifico per la mesotelina. Tale mAb specifico per la mesotelina è
stato prodotto mediante la tecnologia degli ibridomi e poi testato in analisi al FACS per
valutarne la specificità e l’affinità di legame per l’antigene di interesse. Il mAb è risultato
legarsi specificatamente a cellule mesotelina-positive, che esprimono l’Ag
costitutivamente (OVCAR-3) e per trasfezione ((HEK293-mesotelina). Dagli studi di binding
il nostro Ab è risultato avere un’affinità migliore dell’anticorpo monoclonale K1.
I mAbs da noi prodotti potrebbero essere utili sia nella diagnostica per immagini che nella
immunoterapia passiva in neoplasie che overesprimono la mesotelina.
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INTRODUZIONE
Anticorpi monoclonali nella terapia anti-tumorale
Il cancro e le malattie cardiovascolari rappresentano le prime cause di morte nei paesi
industrializzati; se queste ultime possono beneficiare di terapie chirurgiche e
farmacologiche sempre più efficaci, i tumori, soprattutto alcune neoplasie, continuano a
essere patologie con poche alternative terapeutiche. Nella maggior parte dei casi la
chirurgia rappresenta lo strumento più efficace per eliminare le masse tumorali, mentre
la chemioterapia e la radioterapia sono utili come adiuvanti alla terapia chirurgica o sono
la scelta terapeutica d’elezione nel trattamento delle forme metastatiche. La chemio e la
radioterapia, agendo su tutte le cellule in attiva proliferazione, mancano di una reale
specificità d’azione causando notevoli effetti collaterali. Le terapie più innovative puntano
invece a sfruttare il sistema immunitario umano come meccanismo effettore, poiché i
tumori derivano da cellule self che subiscono trasformazione neoplastica, è difficilmente
evidenziabile, nei pazienti, una risposta immunitaria efficace nel controllare la patologia.
Ciò è ascrivibile sia all’origine self delle cellule neoplastiche, sia, inoltre, a meccanismi di
down-modulazione della risposta immunitaria, attivati dalla neoplasia stessa. I
meccanismi effettori del sistema immunitario sono quindi potenzialmente in grado di
distruggere in maniera selettiva le cellule tumorali (lisi Ab-mediata, attivazione cellule T e
NK) e queste funzionalità devono essere indirizzate attraverso protocolli di
immunoterapia.
Gli obiettivi dell’immunoterapia sono quelli di stimolare il sistema immunitario attraverso
la liberazione di citochine, l’attivazione di linfociti T o attraverso la somministrazione di
anticorpi diretti contro antigeni tumorali (Scuhster M. et al., 2006). A causa della loro
instabilità genetica, le cellule neoplastiche esprimono proteine alterate, dette antigeni
associati al tumore che non sono espresse o lo sono in minima entità sulle cellule normali
(Keog E. et al., 2001). Gli antigeni tumore-associati (TAAs) espongono nuovi epitopi che
sono riconosciuti dal sistema immunitario; la risposta immunitaria verso tali epitopi però
ha solo effetti marginali sul tumore (Maeker B. et al., 2005). Durante la progressione
neoplastica, si è dimostrato che la risposta immunitaria citotossica è inibita e i linfociti T
infiltranti il tumore e le cellule presentanti l’antigene (APCs) spesso sembrano non essere
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efficaci (Radoja S. et al., 2000). Inoltre, si è osservato che le stesse cellule neoplastiche
sono in grado di ridurre la risposta immunitaria favorendo la secrezione di fattori
immunosoppressivi (Kiessling R et al., 1999).
L’immunoterapia mira, quindi, a rinforzare la risposta del sistema immunitario verso il
tumore. L’ immunoterapia può essere di tipo attivo o di tipo passivo:
- l’obiettivo dell’immunoterapia attiva è di indurre una risposta immunitaria (preventiva o
terapeutica) endogena e a lungo termine verso le cellule neoplastiche, (vaccinazione)
(Keog E. et al, 2001; Rosenberg S.A. et al., 1997);
- obiettivo dell’immunoterapia passiva è di indurre l’eradicazione/stabilizzazione del
tumore mediante somministrazione di effettori immunologici, quali Abs o linfociti T
tumore-specifici (isolati dal paziente, espansi in vitro e poi reinoculati), o Abs coniugati a
tossine o radionuclidi.
A differenza dell’immunoterapia attiva, quella passiva manifesta un’attività terapeutica di
breve durata e necessita, quindi, di ripetute somministrazioni (Bertolaccini L. et al., 2001).
Gli anticorpi mediatori della risposta umorale, riconoscono le struttura antigeniche
neutralizzandole o mediano importanti funzioni come la citotossicità cellulare anticorpo
dipendente (ADCC) o la citotossicità complemento mediata (CDCD) (Schuster, M. et al.,
2005). Diversi autori ( Mellstedt H., 2003; Maloney DG, 2002) hanno messo in risalto il
fatto che gli anticorpi più efficaci in clinica sono proprio quelli con la maggior capacità di
sfruttare quest’ultimo meccanismo, vantaggio dovuto all’azione rapida e diretta, che non
necessita dell’attivazione di processi intracellulari (come l’apoptosi) o del richiamo di
cellule effettrici nella sede in cui si è sviluppato il tumore (citotossicità cellulare).
Anticorpi e loro bersaglio
Gli anticorpi o immunoglobuline sono glicoproteine sieriche facenti parte delle γ-
globuline. Tutte le molecole anticorpali hanno caratteristiche strutturali simili,con ampia
variabilità nelle regioni leganti l’antigene. Ogni anticorpo presenta una struttura regolare
costituita da due catene pesanti (Heavy chain, H) identiche (50 KDa), glicosilate, e due
catene leggere (Light chain, L)identiche (25 KDa), non glicosilate per un peso complessivo
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di 150 KDa. Le catene pesanti e leggere sono tenute insieme da legami idrogeno e ponti
disolfuro e sono costituite da domini, ognuno dei quali è formato da 110 amminoacidi.
I primi domini, all’N-terminale, di ogni catena L ed H costituiscono la porzione variabile (V)
dell’anticorpo, in cui si trova il sito specifico di legame per l’antigene. All’interno di questo
sito sono presenti tre regioni ipervariabili, dette regioni determinanti la
complementarietà (CDR, complementarity determining regions), che presentano la
massima variabilità della catena aminoacidica (Kim et al., 2005).
Le molecole anticorpali vengono funzionalmente divise in tre 3 regioni: 2 regioni variabili
identiche, ovvero frammenti di legame all’antigene costituiti dalle porzioni VLCL
accoppiate a quelle VHCH1, ed un frammento costante (Fc), costituito dai domini CH
2
-CH
3
o CH
2
-CH
3
-CH
4
delle due catene H unite da ponti disolfuro, mediatore delle funzioni
effettrici degli anticorpi. Sono infatti proprio i domini CH2 e CH3 che sono in grado di
attivare, a seconda della classe anticorpale, la cascata del complemento e quindi la
citotossicità complemento dipendente (CDC), la citotossicità cellulare anticorpo
dipendente (ADCC), la fagocitosi, l’attivazione delle mast-cellule (Fig. 1) (Goldsby et al.,
1976).
Figura 1: Principali meccanismi d’azione degli anticorpi antitumorali (Cheson BD et al.,
2008).
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Le immunoglobuline (Ig) di maggior interesse terapeutico sono le IgG per la molteplicità e
l’eterogeneità delle loro funzioni immunologiche, per la loro stabilità in vivo. Le IgG hanno
un’emivita sierica di circa 3 settimane, mentre per gli altri isotipi anticorpali è di poche
ore. Ciò è dovuto al legame del frammento Fc, in particolare l’interfaccia tra le regioni
CH
2
e CH
3,
con il suo recettore FcRn presente sulle cellule endoteliali dei vasi sanguigni
che proteggono le IgG dal catabolismo, sequestrandole e impedendone la degradazione. Il
FcRn lega le IgG circolanti e i risultanti complessi vengono endocitati rimanendo
comunque protetti dalla degradazione intracellulare. I complessi FcRn/IgG possono poi
essere riportati verso la membrana cellulare e nuovamente rilasciati nell’ambiente
esterno. Questo continuo ciclo di internalizzazione/rilascio prolunga l’emivita media delle
IgG (Kim et al., 2005).
Gli anticorpi monoclonali
Negli anni ’80 il problema principale nella terapia anti-tumorale era la mancanza di
strumenti terapeutici con elevata specificità d’azione verso le cellule tumorali. Nasceva da
qui la necessità di produrre delle molecole che riconoscessero con elevata selettività le
cellule neoplastiche. La scoperta della tecnologia degli ibridomi, grazie a Kolher e
Milstein, permise di produrre gli anticorpi monoclonali (mAb), reagenti che potevano
essere dei possibili candidati ad applicazioni terapeutiche poiché dotati di elevata
specificità per i loro target (Oldham RK 1983).
La produzione di anticorpi monoclonali avviene secondo tappe sequenziali, riportate in
figura 2. La generazione di cellule secernenti anticorpi monoclonali convenzionali si basa
sul modello murino e consente la produzione di cellule immortali (ibridomi) secernenti
anticorpi con specificità predeterminata (Antczak, D.F., 1982).
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Figura 2: Produzione di anticorpi monoclonali con tecnologia degli ibridomi
Ma gli anticorpi mAb murini presentano notevoli limitazioni al loro impiego in clinica.
Il problema principale è legato all’elevata immunogenicità dei mAb, che essendo proteine
murine possono essere utilizzati solo per trattamenti di breve durata con un numero
limitato di somministrazioni poiché si sviluppa una risposta HAMA (human anti-mouse
antibody) (Dillman RO, 1990). Questa risposta immunologica non solo blocca l’azione
terapeutica degli Ab murini, causandone una rapida rimozione dal torrente circolatorio,
ma può generare effetti collaterali molto seri in un paziente già di per sé critico
(ipersensibilità di tipo III, formazione di immunocomplessi con conseguenti danni renali).
Altre limitazioni, all’impiego degli mAb in clinica sono, la possibile mancanza di una
efficace funzione effettrice ed inoltre, una marcata riduzione dell’emivita rispetto agli Ab
umani.
Al fine di soddisfare le esigenze cliniche, la naturale evoluzione degli ibridomi murini
sarebbe stato la produzione di ibridi somatici umani teoricamente ottenibili con il
semplice trasferimento della tecnica da una specie all'altra (Van Meurs, G.J. et al, 1986;
Liu, H. et al., 1993). Nella realtà il processo non è stato realizzabile per diverse ragioni tra
le quali l'indisponibilità di linee di mieloma umano con caratteristiche idonee.