Bertoni & Castagnini - Tesi di laurea
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Nella seconda fase, dopo il rientro in Italia, � stata completata la messa a punto
del programma e sono stati risolti alcuni problemi di prova, uno dei quali verr�
presentato pi� avanti, confrontando i risultati con quelli ottenuti con il codice
industriale di analisi elettromagnetica Vector Fields Opera-2D.
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2. Forme differenziali ed elementi �edge�
L'idea di utilizzare, per la soluzione numerica dei problemi di campo
elettromagnetico, elementi finiti di tipo diverso dai classici elementi nodali nasce da
considerazioni sulla natura fisica e sulla rappresentazione geometrica del campo stesso.
Gli elementi finiti di tipo nodale vengono usati per il calcolo numerico di diverse
quantit� associate al campo, come potenziali scalari e vettori o anche, per le cosiddette
"formulazioni in campo", i vettori B o H. Tuttavia, se � perfettamente naturale che un
potenziale scalare venga rappresentato in forma approssimata dal suo valore in un
insieme di nodi che definiscono un reticolo, lo stesso non si pu� dire per quantit�
vettoriali che, evidentemente, godono di diverse propriet� geometriche [1].
In altri termini, considerare un vettore come il suo valore in un certo punto, e
quindi pensare che la sua rappresentazione approssimata migliori indefinitamente
all'aumentare del numero di punti, potrebbe non essere la strategia migliore. D'altro
canto assegnare ad ogni punto dello spazio un valore per ognuno dei vettori del campo
elettromagnetico � una procedura che, sebbene sia molto comoda per la manipolazione
di formule, non sottolinea le propriet� peculiari di ciascuno dei vettori stessi, propriet�
che sono invece evidenti dall'analisi delle equazioni di Maxwell in forma integrale e
dalle relazioni, che da esse si possono derivare, che legano i vettori del campo
all'interfaccia fra materiali di caratteristiche diverse. E' chiaro infatti che ogniqualvolta
si parla del campo H si ha a che fare con la sua circuitazione lungo una linea (legge di
Amp�re), mentre la solenoidalit� del campo B implica una propriet� del flusso di tale
campo attraverso una superficie.
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2.1 Le forme differenziali associabili ai campi elettromagnetici
Lo strumento matematico chiamato in causa per la soluzione di queste
incongruenze � costituito dalle forme differenziali.
E' noto che ad un campo scalare o vettoriale � possibile associare una forma
differenziale di un certo ordine, da 0 a 3 (considerando uno spazio a tre dimensioni, le
forme di ordine superiore a 3 risultano nulle). Ad un campo vettoriale si associano
forme di ordine 1 o 2, ad un campo scalare forme di ordine 0 o 3 [2] [3] [4].
Consideriamo per esempio un campo vettoriale u definito in un dominio Ω. La
funzione:
t → ux( ) ⋅ t (2.1)
rappresenta una forma differenziale di ordine 1 che pu� essere scritta anche con
una notazione pi� familiare:
1
u = u
x
dx + u
y
dy + u
z
dz (2.2)
Una forma differenziale di questo tipo � usata solitamente per calcolare integrali
di linea ed � quindi associabile ai campi H ed E. Analogamente la funzione:
t, z{}→ ux( )⋅ t × z (2.3)
rappresenta una forma differenziale di ordine 2 che pu� essere riscritta come
segue:
2
u = u
x
dy × dz + u
y
dz × dx + u
z
dx × dy (2.4)
Di questo tipo di forma si calcola il flusso, grandezza di interesse per i campi B e
J.
Per quanto riguarda le forme associabili a campi scalari, si ha che, considerato un
campo v definito in un dominio Ω:
� la forma di ordine zero � semplicemente una costante;
� la forma di ordine 3 � rappresentata dalla funzione:
t, z,n{}→ v x()t,z,n( ) (2.5)
e pu� essere riscritta secondo la notazione:
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3
v = v
m
dx × dy × dz (2.6)
Di questo tipo di forma si calcola l'integrale di volume ed essa � quindi
associabile ad esempio alla densit� di carica elettrica.
Per scrivere le equazioni del campo elettromagnetico occorrono operatori
differenziali: gradiente, rotore e divergenza. E' possibile parallelamente definire un
operatore differenziale (indicato con d) che opera sulle forme differenziali di ordine n
trasformandole in forme di ordine n+1 (fornendo un risultato nullo quando applicato ad
una 3-forma). Si verifica facilmente che tale operatore si comporta come il gradiente se
applicato ad una 0-forma, come il rotore se applicato ad una 1-forma e come la
divergenza nel caso di forma di ordine 2. E' quindi possibile scrivere le equazioni di
Maxwell in termini di forme differenziali di diversi ordini, utilizzando un solo operatore
differenziale. Nel caso magnetico quasi stazionario si ha:
d
1
h=
2
j (2.7)
d
1
e =−∂
t
2
b (2.8)
d
2
j = 0 (2.9)
d
2
b = 0 (2.10)
Occorre tuttavia un'ulteriore considerazione a proposito delle relazioni costitutive.
Consideriamo per esempio la relazione:
B = µH (2.1)
Per quanto detto fino ad ora, essendo B rappresentabile come 2-forma ed H come
1-forma ed essendo µ uno scalare, tale relazione non pu� essere scritta, perch� uguaglia
due quantit� diverse tra loro (1-forma e 2-forma). Si pu� per� definire un operatore
(operatore di Hodge, indicato con *) che, applicato ad una forma di un certo ordine,
restituisce quella di ordine "corrispondente", secondo il seguente schema:
12
03
↔
↔
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Scriveremo dunque la relazione costitutiva come segue:
2
b =µ*
1
h (2.12)
dove *
1
h � la 2-forma associata al campo H. Si osservi che la relazione pu� essere
scritta anche in maniera alternativa:
1
h =
1
µ
*
2
b (2.13)
dove *
2
b � la 1-forma associata al campo B. E' chiaro a questo punto che la
relazione costitutiva contiene un duplice significato: la grandezza fisica µ e la relazione
geometrica tra forme di ordine 1 e 2 nello spazio a tre dimenzioni. Questi due aspetti
non possono per� essere considerati realmente separati: c'� un solo campo magnetico, di
cui B ed H rappresentano aspetti diversi.
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2.2 Gli elementi di Whitney
Sebbene tutte queste considerazioni aiutino a comprendere meglio la natura del
campo elettromagnetico, esse non sono sfruttabili nella pratica, a meno che non si trovi
una famiglia di oggetti geometrici che si comportino, nei confronti delle forme
differenziali di vario ordine, in maniera analoga agli elementi finiti nodali nei confronti
dei campi scalari.
Tali oggetti esistono e sono chiamati elementi (o forme) di Whitney, dal nome del
matematico che nel 1957 ne formalizz� le propriet�.
Si consideri per il problema in esame un dominio Ω e vi si realizzi un reticolo
tetraedrico conforme alla regola che due tetraedri del reticolo possono avere in comune
un vertice, uno spigolo, una faccia oppure possono essere disgiunti. Tutte le altre
possibilit� sono escluse. A questo punto possono essere individuati gli elementi
costitutivi del reticolo, chiamati anche simplessi. Ce ne sono di quattro tipi:
� simplessi di ordine 0: vertici;
� simplessi di ordine 1: spigoli (o �edge�);
� simplessi di ordine 2: facce (o �facet�);
� simplessi di ordine 3: tetraedri.
Ad ognuno di questi elementi pu� essere associata una forma differenziale dello
stesso ordine, la cui espressione generale � la seguente:
()
∑
=
×××××−=
+−
p
j
iiiii
j
ii
p
pjjjp
ddddpw
0
00000
...
1100
1! λλλλλ LL
(2.14)
avendo indicato con λ
i
(x) la coordinata baricentrica di x nel suo tetraedro rispetto
al vertice i.
Particolarizziamo l'espressione per i valori di x di nostro interesse.
Caso p=0
Si ottiene
0
w
i
=
0
λ
i
che, in termini di funzioni anzich� di forme associate, risulta
w
i
=λ
i
. Quindi gli elementi di Whitney di ordine 0 non sono altro che le classiche
funzioni interpolanti degli elementi finiti nodali, funzioni lineari su ciascun elemento e
continue tra elementi adiacenti.
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Caso p=1
Indicati con i e j i vertici di un �edge�, la (2.14) fornisce una 1-forma associata al
campo vettoriale
w
ij
= λ
i
∇λ
j
−λ
j
∇λ
i
(2.15)
Tale campo ha una componente tangenziale unitaria lungo l'�edge� ij e nulla
lungo tutti gli altri �edge� del tetraedro preso in considerazione. Tale componente
tangenziale, inoltre, � continua tra elementi adiacenti e ci� � utile per rappresentare la
propriet� di continuit� della componente tangenziale di campi come H od E.
Questi elementi prendono il nome di elementi �edge�.
Caso p=2
Indicati con i, j e k i vertici di una faccia, la (2.14) formisce una 2-forma associata
al campo vettoriale
w
ijk
= 2 λ
i
∇λ
j
×∇λ
k
+λ
j
∇λ
k
×∇λ
i
+λ
k
∇λ
i
×∇λ
j
( )
(2.16)
Questo campo ha la componente normale unitaria sulla faccia ijk e nulla su tutte
le altre facce del tetraedro preso in considerazione. Tale componente normale, inoltre, �
continua tra elementi adiacenti e ci� � utile per rappresentare la propriet� di
conservazione della componente normale di campi come B o J.
Questi elementi prendono il nome di elementi �facet�.
Caso p=3
La (2.14) fornisce una 3-forma associata ad un campo scalare, di cui viene omessa
la rappresentazione analitica, che risulta costante su ciascun tetraedro.
Da quanto esposto risulta che, per esempio, il campo H andrebbe approssimato
usando elementi �edge�, mentre per B sarebbero migliori gli elementi �facet�.
Dovrebbe essere soddisfatta anche la relazione costitutiva, in una delle due forme (2.12)
o (2.13).
Tuttavia � facile verificare che queste tre condizioni non possono essere
soddisfatte contemporaneamente. Esistono tre approcci diversi:
� H viene approssimato con elementi �edge� e la relazione costitutiva viene imposta
calcolando B come il prodotto fra µ ed H. In tal caso B non � stato rappresentato
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mediante elementi �facet�, cio� � stato trattato come se fosse una forma di ordine
1;
� B viene approssimato con elementi �facet� e la relazione costitutiva viene imposta
calcolando H come il prodotto fra ν e B. In tal caso H � stato trattato come se
fosse una forma di ordine 2;
� H � approssimato con elementi �edge� e B con elementi �facet�. In questo caso
non � pi� possibile imporre la relazione costitutiva che non permette di legare tra
loro forme di diverso ordine. Occorrer� quindi trovare un modo per imporre tale
relazione "in forma debole", ossia facendo s� che, non potendo essere verificata
punto per punto, lo sia almeno mediamente su tutto il dominio.
2.3 Le �Whitney forms� di ordine 1
Occupiamoci ora nel dettaglio del tipo di elementi finiti che interessa pi� da
vicino il problema esaminato in questa tesi: gli elementi �edge�, o �Whitney forms� di
ordine 1, nel caso bidimensionale [5].
Supponiamo di aver realizzato un reticolo di elementi triangolari e consideriamo
un generico elemento del reticolo:
1
2
3
i
j
k
Fig. 2.a
dove si sono indicati con i numeri 1, 2 e 3 i nodi dell'elemento e con le lettere i, j e
k gli �edge� che lo costituiscono, considerati con l'orientamento indicato in figura.
Indicando con λ
1
, λ
2
, λ
3
le funzioni interpolanti di tipo nodale, definite dalla nota
relazione:
λ
I
=
1
2S
∆
a
I
+ b
I
x + c
I
y
[]
(2.17)