4
Il secondo capitolo sarà dedicato alla promozione del benessere in ambito
scolastico. Si cercherà di dare una visione il più completa possibile delle
competenze e dei possibili ambiti di intervento dello psicologo. Uno spazio
particolare sarà riservato alla tecnica del counseling scolastico e
all’intervento con il gruppo classe. Si cercherà di capire come prevenire il
disagio e i comportamenti antisociali in preadolescenza, quali servizi poter
offrire.
Nel terzo capitolo si svilupperà inizialmente un discorso generale
sull’adolescenza e sull’evoluzione degli studi su questo argomento; poi si
passerà alla “preadolescenza”, riconoscendola come una fase a sé stante
con delle proprie caratteristiche, contraddistinta da specifici bisogni, con
precisi ed impegnativi compiti evolutivi, segnata da grandi cambiamenti sia
fisici che psichici. Si metteranno in evidenza le differenze tra i vissuti dei
ragazzi e quelli delle ragazze in questa fase. Si cercherà di capire quali
ripercussioni possano avere i cambiamenti fisici a livello psicologico, come
si svilupperà il concetto di identità, come tutti i cambiamenti influenzino i
rapporti dei ragazzi con la famiglia, con la scuola e con il gruppo di pari.
Infine si tenterà di comprendere come si può arrivare anche a delle forme di
devianza.
Nel quarto capitolo si evidenzierà la specificità del ruolo dello psicologo
nello scenario della scuola d’oggi, alla luce delle nuove riforme. Si
cercherà di capire come tale figura può accompagnare la crescita dei
ragazzi in questo periodo di transizione. Inoltre verranno esaminate in
dettaglio le relazioni dello psicologo sia con i genitori che con gli
insegnanti.
5
Capitolo I
1.1. Psicologia della Salute: concetti chiave
La Psicologia della Salute “ha una storia breve ma lontane radici” come
affermano Holtzman, Evans, Kennedy e Iscoe (1987), ha radici storiche,
anche se la sua storia moderna comincia tra gli anni ’50 e ’60. In questi
anni si è evidenziata sempre di più la correlazione tra l’incidenza della
malattia fisica e il numero di cambiamenti stressanti della vita (Bloom,
1985). L’interesse per le malattie si spostava man mano dai soli dati clinici
ad una più vasta concezione del disagio umano. Nel 1976 il U. S. Surgeon
General pubblicò il “Report on Health Promotion and Disease Prevention”,
in cui si attribuiva a stili di vita non sani metà delle morti avvenute in
America nel 1976 (Holtzman, Evans, Kennedy e Iscoe, 1987; in Bertini,
1988).
Nel 1979 all’interno dell’American Psychological Association si formò una
sezione dedicata alla Psicologia della Salute, la “Health Psychology”. Nel
1986 è stata realizzata la prima Conferenza di Psicologia della Salute, dalla
Società europea di Psicologia della Salute.
In Italia la Psicologia della Salute è relativamente giovane, il primo
congresso inerente tale disciplina si è svolto nel 1992 ad Orvieto, in
quest’occasione si è delineata la presenza della psicologia nei diversi
versanti della salute (Braibanti, 2002).
Inoltre nel 1997 si è costituita la Società italiana di Psicologia della Salute,
che nel 1998 ha dato vita alla rivista “Psicologia della Salute”, che come
afferma Braibanti è un riferimento utile per capire in che modo, secondo
quali linee si sviluppa tale disciplina in Italia.
La Psicologia della Salute si occupa delle relazioni bio-psico-sociali del
corpo e della mente nell’ambiente socioculturale, dello sviluppo di nuove
6
tecnologie comportamentali per la promozione della salute, e della
salvaguardia della salute, inoltre si occupa anche dello studio dei fattori
comportamentali che possono influire sulla guarigione da malattie fisiche.
Come afferma Matarazzo (1980) essa rappresenta l’insieme dei contributi
della psicologia per la promozione e il mantenimento della salute, per la
prevenzione e il trattamento della malattia, per l’identificazione dei
correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle
disfunzioni associate.
Dagli studiosi della disciplina è stata riconosciuta l’importanza
dell’influenza dei fattori psicologico-comportamentali sulla malattia, degli
stili di vita e dello stress (Pietrantoni, 2001).
Tradizionalmente ci si rivolge al concetto di “salute” non per metterne in
risalto le caratteristiche positive, ma soprattutto per evidenziarne l’assenza,
guardando maggiormente alla “malattia” sia fisica che mentale.
La Psicologia della Salute promuove il concetto di “salute” nel suo
significato più positivo, quale stato di benessere.
Come afferma Braibanti (2002) in questa ottica la salute è considerata un
bene da tutelare, un bene non solo personale, ma anche sociale, quindi
cautelare la salute non è una responsabilità unicamente a carico del
soggetto o del sistema familiare, ma anche della società, del Sistema
Sanitario Nazionale.
Al concetto di salute, come stato di benessere da tutelare, sono strettamente
correlati quelli di prevenzione, costruzione e promozione della salute.
Quindi il campo d’azione di tale disciplina comprende sia interventi mirati
alla promozione di comportamenti e di stili di vita sani, sia alla gestione
della malattia e dei problemi di salute. Inoltre l’attenzione non si limita al
singolo individuo, ma anche ai diversi livelli di organizzazione e ai diversi
ambiti: servizi sanitari, luoghi di lavoro, comunità, scuola, ecc..
7
Obiettivo principale della Psicologia della Salute è quello di contribuire
alla promozione della salute, cioè al processo che mette le persone in
condizione di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla.
Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale
un individuo deve essere in grado di identificare e realizzare aspirazioni,
soddisfare bisogni, e modificare o convivere con il proprio ambiente.
La propensione per il concetto di salute nella sua accezione positiva,
caratterizza la Psicologia della Salute nella promozione della salute più che
nella cura della malattia. Come dice Braibanti “L’obiettivo diventa lo
sviluppo della persona, dei gruppi, della comunità, in una visione attenta
alla dinamica intra- e inter-sistemica in cui le vicende di questo sviluppo
prendono forma”
1
.
Il modello di riferimento della Psicologia della Salute è il modello bio-
psico-sociale, di natura sistemica, che ha sostituito il modello bio-medico,
la cui crisi è dovuta al suo ignorare i fattori sociali e psicologici che
possono influenzare la risposta del soggetto. Secondo il modello bio-
medico ogni malattia ha una causa biologica primaria, i fattori
comportamentali e sociopsicologici non vengono considerati potenziali
cause di malattia, quindi in questa ottica non ha senso un’azione preventiva
che mira ai cambiamenti delle credenze, degli atteggiamenti riguardanti la
salute.
Al contrario tale nuovo modello supera il dualismo psiche-soma e guarda
alla salute non solo come uno stato che deve essere salvaguardato, non più
come un concetto secondario, ma come obiettivo da conseguire attraverso
un’attenzione rivolta all’interazione tra fattori biologici, psicologici e
sociali (Engels, 1977, 1980; Schwartz, 1982).
La salute non è più un concetto secondario, ma centrale, capace di dare
nuova organizzazione alle problematiche sociali.
1
P. Braibanti (a cura di), Pensare la salute, Angeli, Roma, (2002), pag. 75
8
Braibanti evidenzia in questo modello un’altra caratteristica fondamentale:
la dimensione evolutiva. Le rappresentazioni della salute e della malattia
cambiano nel corso della vita, e quindi devono essere contestualizzate in
una prospettiva temporale che si estenda lungo tutto l’arco della vita,
“privilegia una life-span perspective” (Braibanti, 2002).
Altro aspetto centrale della Psicologia della Salute è il passaggio dalla
“patogenesi” alla “salutogenesi”; conosciamo molto bene gli indicatori
negativi di malattia, ma poco gli indicatori positivi di salute, in quanto per
secoli si è sempre studiato il malessere, e ci si è occupati poco dell’essere
sani, del benessere psico-fisico e sociale.
Gli indicatori positivi di salute possono essere: la capacità di identificare e
realizzare le proprie aspirazioni, di riconoscere e soddisfare i propri
bisogni, di riuscire a modificare o a convivere con il proprio ambiente.
Un concetto che potremmo definire a cavallo tra la patogenesi e la
salutogenesi è quello di “rischio”, che Romano (1999) definisce come la
probabilità del sopraggiungere di avvenimenti negativi, e del valore
attribuito alle loro conseguenze, o anche per alludere alle minacce e alle
incertezze del mondo contemporaneo. La percezione del rischio varia da
una persona ad un’altra, può capitare che si riconosca l’associazione tra
alcuni comportamenti e i rispettivi rischi, e nonostante ciò si sia riluttanti a
considerarsi personalmente vulnerabile. Attraverso il confronto sociale è
possibile acquisire informazioni importanti sul grado di vulnerabilità
personale, inoltre la percezione del rischio è un processo dinamico che
muta a seconda delle situazioni e viene influenzato dallo stato emotivo.
Un ulteriore concetto legato alla Psicologia della Salute, è quello di
empowerment, che viene definito da Putton “l’insieme di conoscenze,
competenze, modalità relazionali che permette a individui e gruppi di porsi
9
obiettivi, di elaborare strategie per raggiungerli, utilizzando risorse
esistenti”
2
.
L’area a cui si fa riferimento e che dà molta importanza a questo concetto è
quello della psicologia di comunità, in cui tale concetto è considerato
capace di aumentare l’autoefficacia di ogni individuo; avere un buon livello
di empowerment significa essere coscienti e padroneggiare la propria vita.
L’empowerment è anche un processo che serve a costruire una nuova
cultura di salute, ad aumentare la consapevolezza che ogni individuo può
adottare stili di vita che gli consentano di evitare rischi, di gestire lo stress
(Putton, 1999). La psicologia di comunità, come scrivono Francescato e
Putton (1995), ha elaborato delle strategie per favorire lo sviluppo
dell’empowerment: ricerca-azione, profili di comunità, analisi
organizzativa, facilitazione dei gruppi di lavoro, promozione dei gruppi di
sostegno sociale e di auto-aiuto, educazione socioaffettiva.
Un altro concetto importante per la Psicologia della Salute è quello di
“self-efficacy” di Bandura (2000), con il quale intende riferirsi alle
credenze relative alla capacità individuale di mobilitare le proprie risorse
cognitive e le proprie azioni per soddisfare le aspettative relative al
contesto.
Queste credenze sono alla base della propria sicurezza circa la possibilità di
produrre una certa prestazione di giungere ad un risultato atteso. Le
credenze sull’efficacia sono importanti per il processo d'autoregolazione
del comportamento di salute in quanto influenzano le intenzioni di
cambiare il comportamento a rischio, l’entità dello sforzo fatto per il
raggiungimento di questo scopo, e la costanza nel continuare a lottare
nonostante le difficoltà e i possibili insuccessi.
2
“Empowerment è un costrutto complesso che indica l’insieme di conoscenze, competenze, modalità
relazionali che permette a individui e gruppi di porsi obiettivi, di elaborare strategie per raggiungerli,
utilizzando risorse esistenti”, A. Putton, Empowerment a scuola, Carocci, Roma (1999), pag15
10
Bandura con la sua teoria “socio-cognitiva” mira a responsabilizzare gli
individui ed evidenzia la necessità di trattare congiuntamente determinanti
socio-strutturali e personali (Romano, 1999).
Un altro concetto che ritroviamo in Bandura (2000) è quello di “coping”:
la capacità del soggetto di gestire le situazioni. Le abilità di coping sono le
abilità che un individuo mette in atto per fronteggiare una situazione di
stress.
Lazarus e Folkman (1984), definiscono il coping come l’insieme degli
sforzi comportamentali e cognitivi, messe in atto per gestire situazioni che
mettono alla prova. Questi autori precisano, inoltre, che questi sforzi sono
finalizzati a ridurre, minimizzare, padroneggiare, sopportare tali richieste.
Il coping è un processo che indica un tentativo di adattamento, non un
risultato. Si riferisce sia a ciò che un individuo fa effettivamente (coping
attivo) per affrontare una situazione difficile, dolorosa, di disagio o a cui
comunque non è preparato, sia al modo in cui si adatta emotivamente a tale
situazione (coping passivo). Importante, in ogni caso, per l’attivazione di
una o dell’altra modalità di coping, è la valutazione o la percezione che si
ha dell’evento.
11
1.2. La preadolescenza come fase di passaggio
In preadolescenza lo sviluppo fisico, e la sempre maggior capacità di
astrazione del pensiero non corrispondono ad un uguale crescita a livello
emotivo. Si riscontra nei ragazzi una difficoltà a riconoscere e a gestire le
proprie emozioni, a modularle.
L’educazione alle emozioni nelle scuole può facilitare lo sviluppo delle
potenzialità dei ragazzi e può fornire loro supporti di protezione da
eventuali rischi di disadattamento.
Riuscire a gestire il proprio mondo emozionale è una garanzia di benessere
psicofisico in quanto rende più facile entrare in contatto con la dimensione
più profonda di se stessi e degli altri. Tale abilità viene appresa
gradualmente. Bisogna allenarsi ad identificare e gestire le emozioni;
insegnare ai bambini, ai ragazzi a capirle può favorire la prevenzione del
disagio.
Ci si può trovare di fronte a ragazzi senza freni, pronti a prendere a pugni il
compagno senza pensare alle conseguenze delle loro azioni o al contrario
chiusi in se stessi, insicuri; probabilmente si tratta di ragazzi che non sanno
riconoscere e gestire le proprie emozioni, che non sanno che la rabbia può
essere controllata, tenuta a freno così come la delusione o l'impulsività.
Riuscire a far questo può fare dei ragazzi degli adulti sicuri di se stessi e
capaci di stare con gli altri, è indice di benessere psicologico. Dalla scuola
può venire una valida risposta all’esigenza di percezione ed espressione
delle emozioni; la capacità di identificarle e gestirle non è un’attitudine
innata, ma appresa (Mariani, 2001).
L’autore afferma che “Insegnare ai bambini e ai ragazzi ad emozionarsi
costituisce il migliore fattore di protezione dal disagio, dal disadattamento
e quindi dalla devianza”
3
.
3
U. Mariani, “Educazione alla salute nella scuola.Costruzione del benessere e prevenzione del disagio”, Erickson,
Trento, (2001), pag. 130
12
A questo proposito Gottman, De Claire (1997) e Goleman (1997), nei loro
studi sull’intelligenza emotiva, indicano quattro stili educativi che possono
favorire o al contrario inibire lo sviluppo delle competenze emozionali in
bambini e ragazzi, che sono:
stile “adulto non curante” in cui i sentimenti del ragazzo vengono ritenuti
non importanti, anzi si tende a ridicolizzarli;
stile “adulto censore” in cui ci si sente sopraffatti dalle emozioni e quindi
non le si tiene affatto in considerazione;
stile “adulto lassista” si accettano le manifestazioni emotive del ragazzo,
ma in modo passivo non interagendo a livello empatico;
stile “adulto allenatore emotivo” che ascolta e valuta le emozioni del
ragazzo cercando di dare insieme a lui un nome a ciò che prova.
I primi tre modelli educativi provocheranno nei ragazzi un’incapacità a
regolare le proprie emozioni, rendendoli soggetti a rischio.
Il modello educativo “adulto allenatore emotivo” invece renderà i ragazzi
capaci di gestire in modo adeguato le emozioni, sviluppando in questo
modo una buona autostima.
Dare spazio ai vissuti emotivi permette ai ragazzi di esercitarsi al
riconoscimento di sensazioni, sentimenti e stati d’animo e ciò permette la
costruzione di uno spazio interiore che rafforza il senso di sé, cosi poco
definito in questa fase di passaggio.
Inoltre si ha un aumento dell’autostima e una facilità maggiore
nell’accettare le regole sociali; entrambi questi aspetti fungono da
prevenzione per la fragilità emotiva e il disagio giovanile.
Molti sono i conflitti di base della preadolescenza legati allo sviluppo
fisico: riguardano la perdita dello schema di riferimento da parte del
ragazzo che vede il suo corpo cambiare e non sa quando si stabilizzerà,
soprattutto per quanto riguarda la comparsa dei caratteri sessuali secondari.