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INTRODUZIONE
Il mio lavoro è iniziato con una domanda: “Può la relazione padre-figlia influenzare lo sviluppo
affettivo nella donna? Se sì, in che modo? In quale misura?”. Ho deciso di approfondire questo
argomento non solo perché sento che mi tocca profondamente, ma anche e soprattutto perché, nel
corso del tempo, stando a contatto con le amiche, parenti e donne provenienti da svariati ambienti,
mi sono accorta che ognuna di loro presentava delle modalità relazionali peculiari, un’affettività
differente e atteggiamenti nei confronti del sesso opposto variegati. Partendo da queste esperienze
mi sono chiesta se questi fattori individuali potessero essere stati condizionati e plasmati sulla base
delle relazioni coi genitori e in special modo col padre.
Mi sono interessata al tema del rapporto tra padre e figlia anche perché risulta meno trattato
in Psicologia rispetto a quello madre-figlio e la mia ipotesi iniziale era che tale legame fosse
ugualmente importante ai fini dello sviluppo individuale. Ho deciso quindi di concentrarmi sugli
effetti della relazione padre-bambina per poter dare maggiore spazio ad un argomento che in
letteratura è rimasto in secondo piano; tuttavia ciò non significa che la relazione dell’uomo col
figlio sia meno importante ai fini della maturazione. Ogni rapporto ha la sua influenza e la Ricerca
ha ampiamente dimostrato come la qualità dei legami primari giochi un ruolo essenziale nella
crescita del soggetto; senza con ciò ricadere in un rigido riduzionismo che attribuisce
esclusivamente ai genitori l’esito ottimale di un processo così complesso e ampio quale lo sviluppo
affettivo e relazionale del soggetto. Vedremo infatti che la qualità della relazione primaria col
padre dà un’impronta e contribuisce a tracciare la strada dello sviluppo nella donna, ma non la
determina a priori né la abbandona a un destino certo e immutabile. Le vie che può prendere la
maturazione della personalità femminile a partire dal rapporto col padre sono infatti molteplici,
dipendono senz’altro anche dal temperamento individuale e possono mutare in seguito ad
esperienze relazionali successive nell’arco della vita.
Nel capitolo I presenterò una panoramica sulle modalità di fare ed essere padre più
originali, nonché quelle passate e attuali, tradizionali e innovative. Mi concentrerò sulle funzioni
genitoriali e mostrerò come alcune caratteristiche di madri e padri siano fondamentali per uno
sviluppo positivo dei figli. Procederò analizzando i risultati delle ricerche più recenti sul ruolo del
padre nella relazione coi figli e dedicherò particolare attenzione alla funzione paterna nel rapporto
con la figlia.
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Nel capitolo II illustrerò alcuni possibili esiti della maturazione della personalità femminile
in rapporto al legame col padre e mostrerò l’impatto che lo stile d’attaccamento genitori-figli ha
sullo sviluppo relazionale adulto. Inoltre dedicherò una parte all’analisi di alcune dinamiche alla
base di determinati comportamenti in età adulta, come la tendenza a scegliere partner amorosi che
assomigliano al padre o che riattivano schemi disfunzionali del passato.
Infine nel III capitolo analizzerò più a fondo alcune dinamiche relazionali nella donna,
come la tendenza a scegliere partner amorosi molto più grandi o piccoli d’età, le forme di
evitamento delle relazioni intime o al contrario la ricerca spasmodica e ininterrotta di un partner,
nonché il fenomeno della dipendenza affettiva.
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Capitolo I
IL RUOLO DEL PADRE NELLA RELAZIONE CON FIGLIE E FIGLI
1.1. Evoluzione dei ruoli genitoriali nel tempo: i genitori oggi e ieri
Se ci fermiamo per un attimo a riflettere sull’odierna figura del padre e della madre e su
come oggi ci si immagina e rappresenta il ruolo e la funzione di ciascun genitore, non faremo fatica
a riconoscere quanto questi siano cambiati rispetto a solamente qualche decennio fa. Attualmente
assistiamo a modi di fare ed essere genitori variegati, innovativi, talvolta molto lontani e addirittura
opposti alla ‘vecchia’ impostazione tradizionale, risalente a meno di un secolo fa, che vedeva il
padre come capofamiglia (il cosiddetto pater familias, termine ereditato dalla cultura latina-
romana), la cui funzione principale era lavorare per poter garantire il sostegno economico
(l’immagine del padre come breadwinner), esercitare l’autorità e far rispettare le regole (Saraceno,
2017), e la madre come figura il cui compito principale era avere cura dei figli, farsi totalmente
carico della responsabilità di crescerli, educarli, sostenerli nello sviluppo relazionale ed affettivo
e tenere le fila della famiglia stabilendo legami nella più ampia rete generazionale (Loschi e
Vandelli, 1999; Scabini e Cigoli, 2012). All’interno di questo modello tutti i rapporti del sistema
familiare erano caratterizzati da una rigida asimmetria. L’uomo era il detentore unico e indiscusso
dell’autorità e del potere sulla moglie, la quale si trovava così a dover sottostare alle facoltà
decisionali e al dominio del marito. Facoltà legittimate, lo ricordo, fino al 1963 dal principio dello
ius corrigendi.
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Nondimeno, l’uomo disponeva del completo potere decisionale sulla vita dei figli,
sulle regole da seguire in casa e sul ruolo che ognuno avrebbe dovuto rivestire. Il ‘vecchio’ padre
era pertanto una figura dominante, regolatrice, poco o per nulla dedita all’espressione dei propri
sentimenti e bisogni, spesso assente nella vita affettiva e relazionale dei figli ed impegnata
nell’esercizio della legge (Loschi e Vandelli, 1999).
Sembra che la società odierna abbia fatto notevoli passi avanti rispetto ad allora in merito
alla parità di genere e alle modalità di fare famiglia (Fulcheri, Marchisio e Marocco Muttini, 2009).
Tanti sono i cambiamenti che negli ultimi cinquant’anni circa hanno attraversato l’Occidente e
molteplici i livelli su cui tali trasformazioni si sono mosse. Per esempio, in ambito culturale con
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Con questo termine si intende fare riferimento alla facoltà del padre di famiglia di esercitare un potere ‘educativo’/
correttivo attraverso l’uso di punizioni fisiche sui membri del nucleo famigliare.
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la rivoluzione femminista che rivendicava pari diritti per entrambi i generi e con il dibattito oggi
ancora acceso sulla definizione di “cosa è una famiglia”; ancora, sul piano medico-sanitario, che
ha permesso di regolare e controllare appieno la propria vita sessuale grazie all’invenzione della
pillola anticoncezionale ed accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, pratica sancita e
regolata dalla Legge 194/1978. E’ poi mutato il modo in cui uomini e donne si rapportano
all’interno della famiglia, costruendo relazioni fondate sulla giustizia, equità, parità di potere e
decisione ed imperniate sul sentimento e l’affetto (Scabini e Cigoli, 2012, p. 12), piuttosto che su
altri fattori come la convenienza o l’alleanza tra gruppi (Saraceno, 2017). Nondimeno, negli ultimi
decenni si stanno facendo gradualmente strada nuove immagini della genitorialità, spesso sempre
più improntate sulla simmetria relazionale (Fulcheri, Marchisio e Marocco Muttini, 2009). Anzi,
non sono rari i casi in cui i rapporti genitori-figli odierni rivelano uno sbilanciamento dal polo
normativo verso il polo affettivo, con la conseguenza che tali legami vengono investiti di un ancor
più intenso coinvolgimento emotivo che può sfociare talvolta in una vera e propria insufficienza
nell’esercizio dell’autorità e del contenimento da parte delle figure genitoriali (Gallino, 2007). A
proposito di mutamenti nella relazione genitori-figli, Loschi e Vandelli (1999) osservano come, in
alcune situazioni, vi sia stato un ribaltamento rispetto al passato: un tempo i figli ‘temevano’ il
padre, mentre oggi, al contrario, è spesso il padre a ‘temere’ i figli.
1.2. Prospettive attuali sulla figura del padre
Oggi i padri si trovano davanti ad un conflitto: da un lato sono chiamati a rivestire una
funzione di guida, appoggio, sostegno, sono invitati a favorire lo sviluppo dell’autonomia e della
maturazione nei figli e ad esercitare l’autorità, dall’altro sono fortemente incoraggiati a prendere
parte alla regolazione dei rapporti familiari, ad entrare in connessione coi figli, creando un legame
affettivo fondato sull’intimità e l’espressione delle emozioni (Loschi e Vandelli, 1999). Ci si
aspetta da loro che sappiano praticare contemporaneamente giustizia e cura, regole e affetti
(Saraceno, 2017).
Attualmente si parla tanto di genitorialità e quando si tratta della figura paterna, spesso se
ne riporta un’immagine multi-sfaccettata, contradditoria, talvolta fragile. Il conflitto relativo al
ruolo che i padri di oggi sono invitati a costruire e innovare ha portato la letteratura odierna ad
introdurre nuove visioni della paternità. Si parla perciò spesso di loro come figure pallide, insicure
o incoerenti (Loschi e Vandelli, 1999). Un’immagine oggi molto diffusa è quella del padre
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materno (Fulcheri, Marchisio e Marocco Muttini, 2009; Argentieri, 2014), un uomo che si trova
talmente coinvolto nel nuovo ruolo che è chiamato ad esercitare, a tal punto da identificarsi con le
funzioni affettivo/emotive e accudenti che tradizionalmente venivano associate alla madre.
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A
questo proposito, Simona Argentieri (2014) sottolinea che l’arrivo di un figlio è un evento
emotivamente intenso tanto per la donna quanto per l’uomo, il quale ha come compito, tra i tanti,
quello di saper tollerare la propria esclusione dalla naturale e universale relazione madre-figlio
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nei primissimi tempi di vita dell’infante. L’autrice osserva come questo compito non risulti sempre
facile e immediato da realizzare, tanto che non di rado nel padre si possono riattivare ricordi legati
ad antichi conflitti rimasti in sospeso e pertanto irrisolti, i quali, nel momento in cui vengono aperti,
portano quasi inevitabilmente alla riedizione di emozioni, sentimenti e vecchi timori. Possiamo
così comprendere la gelosia di un padre verso il figlio, percepito come un rivale che assorbe tutte
le cure, attenzioni ed energie della sua compagna e il suo senso di esclusione dalla diade. Altri
padri possono sentirsi invidiosi delle capacità procreative della donna e cadere così in uno stato di
avvilimento e disperazione, oppure reagire negando e attaccando la figura materna. In altri ancora
possono riattivarsi antichi timori abbandonici e sentimenti di ostilità spesso collegati all’originario
senso di inferiorità provato verso la madre nei primi anni di vita. Non sono inoltre rari
comportamenti definiti dall’autrice di “acting out”, come fughe ed evasioni dall’ambiente
familiare (a tal proposito sono tipici i padri che, nato un figlio, si rifugiano completamente nel
lavoro, evitando così di coinvolgersi in un ruolo che sentono stretto, che li angoscia o verso il quale
si percepiscono inadeguati) fino al vero e proprio abbandono della famiglia, atti auto/etero
aggressivi e, talvolta, tentati suicidi. Infine, una sorta di regressione alla dipendenza infantile può
manifestarsi in quelle situazioni in cui l’uomo aumenta le sue richieste e il bisogno di cura nei
confronti della moglie in seguito alla nascita del figlio o si sottrae all’impegno tornando a vivere
con la famiglia d’origine.
Alain Braconnier (2008) arricchisce la letteratura sul tema introducendo nel suo libro
molteplici tipologie di padre. Di sotto riporto alcune di queste, le più significative e caratteristiche:
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In alcuni padri si è riscontrata la cosiddetta sindrome della couvade, che consiste in una serie di effetti psicosomatici
che si verificano in prossimità del parto della compagna, tra i quali perdita dell’appetito, nausea, vomito, orzaioli,
herpes e malattie dermatologiche. Si ritiene che si tratti di una sindrome psicogena originata da un meccanismo di
identificazione (Argentieri, 2014).
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Il maschile è usato per comodità e per evitare un appesantimento del testo, ma sottintende sempre sia figli maschi
che figlie femmine.