attenzione il sistema finanziario internazionale; la crisi testimonia, infatti, le
insufficienze ancora esistenti nei mercati dei capitali e la vulnerabilità di questi
rispetto agli improvvisi capovolgimenti di umore degli operatori.
La crisi ha anche sollevato seri dubbi sull’approccio del Fondo Monetario
Internazionale (IMF) alla gestione dei disturbi finanziari. Soprattutto, essa ha
dimostrato come i passi falsi in politica economica, unitamente alle reazioni
affrettate dei governi, della comunità internazionale e dei partecipanti al mercato,
possano trasformare una normale correzione in un vero e proprio panico
finanziario, seguito da una crisi profonda.
In termini generali si può affermare che il collasso è avvenuto
principalmente non a causa di un orizzonte economico sempre più scuro, bensì
per l’eccessivo afflusso di capitali stranieri, divenuto insostenibile. In questo
senso, la crisi asiatica può essere definita crisi “da successo”, derivante cioè da
un boom dei prestiti internazionali repentinamente interrotto dal ritiro dei fondi.
Gli effetti sono stati superiori a quelli che può scatenare lo scoppio di una bolla
speculativa (bubble bursting)
2
. Molta dell’attività economica finanziata dagli
afflussi di capitali esteri era estremamente produttiva, quindi la perdita subita dal
sistema a causa del brusco e notevole deflusso di capitali è stata enorme.
All’inizio del 1997 i mercati si aspettavano un rallentamento (e anche una
crisi valutaria) in Tailandia, ma non nel resto dell’area sudorientale. Gli
indicatori economici, fino al terzo trimestre dello stesso anno, non facevano
pensare ad un simile collasso finanziario. Una combinazione di panico da parte
degli investitori internazionali, errori di politica economica all’inizio della crisi e
2
Cfr.Krugman (1998a).
programmi multilaterali di “salvataggio” mal progettati hanno condotto tali
economie verso una recessione molto più profonda di quanto fosse necessario, o
inevitabile.
La dissertazione inizia con l’analisi della situazione politica ed economica
nei Paesi dell’Asia Sudorientale (cap.2) e del susseguirsi di eventi che hanno
portato al continuo deprezzamento delle valute, fino alla caduta dei mercati ed a
gravi problemi finanziari (cap.3). La radice di questi, in particolare, è ricercata
nel fenomeno del moral hazard, che viene analizzato nel capitolo 4, con l’ausilio
di un modello costruito su basi microeconomiche: il comportamento degli
investitori esteri, non curanti del rischio di inadempienza delle controparti perché
garantiti dall’atteggiamento della comunità internazionale, ha infatti creato le
condizioni per il successivo dissesto finanziario.
La disamina si sposta quindi sull’intervento di sostegno guidato dall’IMF,
operando una distinzione tra la risposta immediata alla crisi e i programmi
formulati in un secondo momento (cap.5). E’ ritenuto altresì significativo il
confronto delle opinioni riguardo al ruolo di tali azioni nell’evoluzione della
situazione economica in Asia.
Il capitolo 6 fornisce diversi strumenti per interpretare il fenomeno: dalle
teorie che sono state elaborate nel tempo per individuare le cause delle crisi
finanziarie e di bilancia dei pagamenti, alle ipotesi sull’esistenza di forme di
contagio; una rassegna delle relative verifiche empiriche completa il quadro.
L’attenzione è poi rivolta ai mercati finanziari ed in primo luogo agli strumenti
derivati, o meglio al modo in cui essi hanno influito sui flussi di capitale,
permettendo di aggirare gli ostacoli esistenti. In secondo luogo, dopo una breve
indagine sulle posizioni (lunghe o corte) assunte dai fondi di copertura in
prossimità del crollo delle valute, sono esaminate le oscillazioni dei mercati e
l’incidenza sulle stesse delle diverse categorie di notizie diffuse quotidianamente,
nonché degli investimenti effettuati dagli investitori stranieri (nello specifico
caso della Corea).
Una volta analizzata la crisi asiatica sotto molteplici aspetti, il capitolo 7
mette in evidenza le affinità che la accomunano agli squilibri finanziari
immediatamente precedenti in Argentina e Messico, ma soprattutto le differenze
che la rendono, in un certo senso, unica. La dissertazione, prima di chiudersi con
le considerazioni conclusive (cap.9), si sofferma sullo studio degli indicatori
economici più rappresentativi (cap.8). Ci si chiede, sulla scorta del loro
andamento, ossia dei valori assunti da ciascun indicatore all’avvicinarsi di
periodi critici, se sia possibile costruire un sistema di preallarme inserendo
opportuni indicatori.
2. Condizioni politico-economiche alla vigilia della crisi nei Paesi coinvolti
Essenziale per poter comprendere appieno l’evolversi della crisi nei Paesi
asiatici è lo studio del contesto economico presente nella regione e nel periodo
che porta alla crisi stessa.
In particolare, è di sicura rilevanza lo studio del problema del moral
hazard
1
, che si è manifestato a tre diversi livelli, ossia a livello aziendale,
finanziario e internazionale.
Al primo livello da lungo tempo si sono portati avanti progetti privati sotto
la garanzia pubblica per l’interesse politico a mantenere alti tassi di sviluppo:
molto spesso così sono state attuate politiche di credito rivolte a particolari
imprese o industrie
2
, fino ad arrivare a sussidi diretti o ad un controllo vero e
proprio da parte del governo su determinati progetti.
In questo modo il settore privato ha operato con l’implicita garanzia di
“salvataggio” da parte delle pubbliche istituzioni, sorvolando così sui rischi e sui
costi dei progetti intrapresi e considerando il profitto sugli investimenti come
sicuro in ogni caso.
Il risvolto finanziario del moral hazard ha portato verso un eccessivo
flusso di capitali dall’estero ed una altrettanto eccessiva espansione del credito
interno. Infatti, il tasso di investimento e il flusso di capitali sono rimasti elevati
anche dopo che gli indicatori di redditività hanno segnalato tassi di profitto
1
Un gran numero di autori ha evidenziato il ruolo del moral hazard nell’insorgere della crisi
asiatica. Vedi tra gli altri Krugman (1998a), Greenspan (1998c) e Fischer (1998b).
2
IMF, “World economic outlook. Interim assessment”, dicembre 1997, citato in Corsetti,
Pesenti e Roubini (1998a).
inferiori al costo del capitale per i progetti di investimento della maggior parte
delle grandi imprese della regione.
E’ vero che da una parte ciò può essere spiegato dal forte abbassamento
del tasso di interesse nei paesi industrializzati, che ha reso più basso il costo del
capitale per le imprese, ma d’altra parte è evidente la preminenza del ruolo
giocato dagli intermediari finanziari nel fare confluire fondi verso progetti non
redditizi.
C’è da tener presente a questo proposito che la liberalizzazione e la
privatizzazione di banche e altri intermediari era in quella regione cosa recente,
pertanto il sistema di controlli ed incentivi era distorto e non ancora adatto alla
nuova realtà
3
di mercato globale.
Infine il ruolo delle banche internazionali completa il quadro di
riferimento: esse hanno trascurato gli standards di corretto accertamento del
rischio
4
nel prestare fondi agli intermediari asiatici, guidate dalla presunzione che
i prestiti interbancari internazionali a breve termine fossero garantiti da un
eventuale intervento diretto del governo a favore dei debitori o in ultima istanza
da un’indiretta operazione di salvataggio da parte del Fondo Monetario
Internazionale (IMF).
Le implicazioni del moral hazard sono che l’aspettativa di un futuro
“salvataggio” porta gli intermediari ad assumere rischi sempre maggiori e ad
abbandonare le strategie di minimizzazione del rischio di portafoglio, poiché in
3
J.Sachs, Financial Times, 30 Luglio 1997.
4
Vedi J.Stiglitz (1988), “The role of international financial institutions in the current global
economy”.
caso di successo si avrebbero maggiori guadagni, e in caso di insuccesso
pagherebbe comunque il contribuente
5
.
Questo fenomeno avrebbe provocato, secondo Krugman, una sopra-
capitalizzazione e una distorsione dei prezzi degli assets, un aumento
ingiustificato il cui fragoroso arresto avrebbe poi portato alla crisi valutaria.
Esso ha certamente sviluppato un’espansione incontrollata dei prestiti
diretti al settore privato da parte di banche e istituzioni finanziarie, a fronte di un
indebitamento in valuta estera prevalentemente a breve termine; situazione
questa aggravata da problemi di supervisione e regolamentazione del sistema
finanziario. In particolare, in Corea le banche private erano in pratica controllate
dai potenti ma dissestati chaebols (i grandi gruppi industriali coreani), che
godevano così di un accesso privilegiato al credito.
L’indebitamento a breve termine può causare crisi di liquidità per la sua
sensibilità al cambiamento delle condizioni del mercato e delle aspettative, come
è avvenuto in Messico nel 1995.
Il quadro in Asia a fine ’96 era abbastanza critico, poiché i prestiti
dall’estero con scadenza non superiore ad un anno rappresentavano il 67% del
totale in Corea, il 65% in Tailandia, il 61% in Indonesia, il 50% in Malaysia, il
58% nelle Filippine, il 49% in Cina, l’84% a Taiwan, l’82% a Hong Kong e il
92% a Singapore. Inoltre, il livello delle riserve ufficiali era insufficiente a
coprire le passività a breve termine (senza tener conto del pagamento degli
interessi e del rimborso dei prestiti a lungo termine giunti a scadenza) in Corea,
Indonesia e Tailandia, con rapporti tra passività a breve e riserve rispettivamente
5
Vedi Krugman(1998a).
del 213%, 181% e 169%. Se si considerano anche le altre passività e gli interessi,
c’era una condizione di precarietà finanziaria anche in Malaysia e nelle
Filippine
6
.
Altri importanti fattori si sono comunque aggiunti nel deteriorare le
condizioni nella regione asiatica alla vigilia della crisi, come il forte
rallentamento dell’economia giapponese nell’ultimo decennio e il conseguente
rallentamento delle esportazioni per i Paesi del Sudest asiatico, e il peso sempre
maggiore della Cina nelle esportazioni totali dalla regione: è comunque ancora
materia di dibattito se quest’ultimo sia dovuto principalmente alla svalutazione
del 50% della valuta cinese nel 1994
7
.
A questo punto va esaminata più da vicino la situazione particolare nei
diversi Paesi relativamente ai due anni precedenti la crisi (1995-6).
In Indonesia, nel 1995 ci sono stati segnali di surriscaldamento, con un
alto tasso di interesse ed una brusca caduta nel saldo di conto corrente. Il ruolo
potenziale di quest’ultimo come fonte di tensioni nei mercati finanziari è stato
evidenziato da più autori
8
. Il governo ha risposto con una modesta restrizione
monetaria e la Banca di Indonesia, sebbene abbia aumentato i tassi di interesse
durante tutto l’anno, per poter così deprimere la domanda interna, non lo ha fatto
in maniera eccessiva, nel timore di ulteriori flussi di capitale e di un
apprezzamento della rupiah.
6
Dati forniti da World Bank, Bank of International Settlements e OECD, così riportati ibidem.
7
Vedi IMF (1997) e Liu, Noland, Robinson e Wang, “Asian competitive devaluations”, 1998.
8
Vedi, tra gli altri, Dornbusch, Goldfajn e Valdes (1995); Roubini e Wachtel, “Current account
sustainability in transition economies”, NBER, 1998.
Quest’ultimo avvenimento si è però verificato sistematicamente con
l’aumentare dei tassi di interesse, nonostante la BI abbia anche allargato la banda
di oscillazione della moneta per rendere la sua detenzione più rischiosa e
neutralizzare l’effetto dovuto all’aumento del tasso di interesse.
La risposta del governo non è stata comunque convincente, e la sua
attenzione privilegiata verso le imprese possedute da parenti ed amici dell’allora
presidente Suharto (crony capitalism) è valsa all’Indonesia l’etichetta di Paese
più corrotto dell’Asia.
La Corea ha vissuto un deterioramento delle proprie condizioni
economiche, con un disavanzo di conto corrente del 4,8% rapportato al PIL già a
fine 1996, una caduta delle esportazioni e un dimezzamento del tasso di crescita
della produzione. I chaebols non vantavano una buona situazione finanziaria, a
causa di una redditività bassa ed in diminuzione e di elevati rapporti tra debito e
capitale proprio (vedi Tabelle 1 e 2). Proprio queste debolezze hanno portato ad
una caduta della Borsa valori e ad un deprezzamento della moneta (won).
Il saldo negativo di conto corrente in Tailandia era dell’8,5% sul PIL, e a
fine 1996 si registrava anche un aumento nel già forte indebitamento in valuta
estera a breve termine e una fragilità delle condizioni finanziarie di imprese ed
intermediari finanziari. Il baht tailandese è stato attaccato per la prima volta già
nel novembre 1996.
Il deficit ha raggiunto in Malaysia l’8,8% del PIL nel 1995 e gli
investimenti diretti dall’estero non sono riusciti a coprirlo del tutto. Mentre il
primo ministro Mahathir avviava una serie di progetti pubblici per lo sviluppo
Tabella 1: Condizioni finanziarie dei primi 30 chaebol coreani alla fine del
1996 (in centinaia di milioni di won per i primi 4 indicatori, in percentuale per D/E*)
Chaebol Assets totali Debito Fatturato Utile netto D/E Ratio*
Samsung 508.6 370.4 601.1 1.8 268.2
Hyundai 531.8 433.2 680.1 1.8 439.1
Daewoo 342.1 263.8 382.5 3.6 337.3
LG 370.7 287.7 466.7 3.6 346.5
Hanjin 139.0 117.9 87.0 -1.9 556.9
Kia 141.6 118.9 121.0 -1.3 523.6
Sangyong 158.1 127.0 194.5 -1.0 409.0
Sunkyong 227.3 180.4 266.1 2.9 385.0
Hanhwa 109.7 97.2 96.9 -1.8 778.2
Daelim 57.9 45.9 48.3 0.1 380.1
Kumho 74.0 61.2 44.4 -0.2 477.9
Doosan 64.0 55.9 40.5 -1.1 692.3
Halla 66.3 63.2 52.9 0.2 2067.6
Sammi 25.2 25.9 14.9 -2.5 3245.0
Hyosung 41.2 32.5 54.8 0.4 373.2
Hanil 26.3 22.3 13.0 -1.2 563.2
Donga Construction 62.9 49.1 38.9 0.4 355.0
Kohap 36.5 31.2 25.2 0.3 589.5
Jinro 39.4 39.0 14.8 -1.6 8598.7
Dongguk Jaekank 37.0 25.4 30.7 0.9 210.4
Lotte 77.5 51.0 71.9 0.5 191.2
Kolon 38.0 28.9 41.3 0.2 316.5
Haitai 34.0 29.5 27.2 0.4 658.3
Sinho Jaeji 21.3 17.7 12.2 -0.1 489.5
Anam Industrial 26.4 21.8 19.8 0.1 478.1
Dongguk Muyok 16.2 13.6 10.7 -0.2 587.9
New Core 28.0 25.9 18.3 0.2 1224.0
Bongil 20.3 18.3 8.7 -0.9 920.5
Hansol 47.9 37.1 25.5 -0.1 343.2
Hansin Kongyong 13.3 11.5 10.6 0.0 648.8
*Rapporto debito/capitale proprio (debt/equity).
Fonte: Chosun Ilbo, 29 novembre 1997.
Tabella 2: Redditività di 5 tra i chaebols insolventi. Return On Invested
Capital (ROIC), 1992-96.
E' da notare che il prime rate nella valuta locale era pari al 12%.
Chaebol 1992-96 1996
Hanbo 3.0% 1.7%
Sammi 2.9% 3.2%
Jinro 2.7% 1.9%
Kia 18.9% 8.7%
Dainong 6.8% 5.5%
Fonte: LG Economic Research Institute.
delle infrastrutture, la banca centrale prendeva delle misure restrittive ed
aumentava i tassi di interesse nel timore di un surriscaldamento dell’economia.
Tuttavia ciò ha modificato l’atteggiamento dei mercati, con un consistente flusso
di capitali verso il Paese ed inoltre un aumento nei prestiti bancari, diretti in
particolar modo ad investimenti in campo immobiliare ed in assets (non-
tradeable goods): la conseguenza è stata un aumento dei prezzi di circa il 25%.
Le condizioni macroeconomiche nelle Filippine erano invece più solide,
grazie ad anni di riforme strutturali e ad un processo di privatizzazioni in corso;
tuttavia il saldo di conto corrente era negativo e c’è stato comunque un forte
apprezzamento della moneta in termini reali. Sono inoltre aumentati gli
investimenti in progetti rischiosi, a causa della rapida espansione dei prestiti al
settore privato, e il valore dei beni immobili ha subito un boom speculativo.
Una costante nei Paesi ora esaminati è la presenza di un saldo negativo di
conto corrente negli anni che precedono la crisi (Tabella 3). La situazione cambia
se si passa ad esaminare i restanti Paesi della regione, che sono stati poi quelli
meno colpiti dal collasso finanziario: Hong Kong, Singapore, Cina e Taiwan. Gli
squilibri di conto corrente in quanto tali non aggiungono molto alla nostra analisi,
ma vanno considerati in relazione alla sostenibilità del processo di
accumulazione di debito estero, ossia alla dinamica del rapporto tra debito estero
e PIL. E’ quindi necessario andare a studiare gli altri fondamentali
macroeconomici per poter giudicare i dati indicati e la reale portata del processo.
- I tassi di crescita del PIL sono stati molto alti negli anni Novanta in tutti i
Paesi della regione, in particolare nell’ASEAN
9
-5 (Filippine, Indonesia,
9
Association of South East Asian Nations.
Malaysia, Singapore e Tailandia), con una media vicina all’8% annuo.
Accettando la tesi tradizionale
10
ciò significa che non sembravano esserci
problemi di sostenibilità. Tuttavia, non è chiaro se tale crescita fosse dovuta ad
un aumento della produttività dei fattori o alla disponibilità di inputs prima
inutilizzati
11
e quindi intrinsecamente destinata al declino. Se fosse vera la
seconda ipotesi potrebbero essersi diffuse aspettative troppo ottimistiche sulle
prospettive di lungo periodo, con una sottovalutazione dei rischi e dei costi di
strategie di indebitamento in valuta.
- La sostenibilità del conto corrente può essere verificata anche attraverso lo
studio della sua natura: dato che esso è uguale alla differenza tra il risparmio e
l’investimento nazionali, un deficit può nascere o da una caduta nel risparmio o
da un eccesso di investimenti. Il secondo caso sarebbe meno problematico,
sempre che il reddito di tali investimenti superi il costo di prendere in prestito
fondi dall’estero e che l’incremento nel tasso di investimento porti ad un reale
rafforzamento della capacità produttiva e quindi a migliori prospettive
commerciali (futuro aumento nelle esportazioni). Ebbene i Paesi del Sudest
hanno vantato alti tassi di investimento per tutto il decennio, con valori minimi
del 20-25% nelle Filippine ed a Taiwan; tuttavia gran parte del fenomeno era
rappresentato da forme di consumo “camuffate” e non da accumulazione di
capitale produttivo. Inoltre la redditività dei progetti di investimento ha mostrato
segnali di caduta nei quattro anni precedenti la crisi (tranne che in Indonesia e
10
La tesi tradizionale non ha funzionato per le crisi in Cile (1979/81) ed in Messico (1977/81),
dove i tassi di crescita del PIL negli anni precedenti la crisi erano superiori in media al 7%.
11
Vedi Young, “A tale of two cities: factor accumulation and technical change in Hong Kong
and Singapore”, NBER, 1992, e Krugman, “The myth of Asia’s miracle”, 1994, entrambi citati
in Corsetti, Pesenti e Roubini (1998a).
nelle Filippine), come dimostra un indicatore di efficienza degli investimenti,
l’ICOR (il rapporto incrementale tra capitale e produzione). In Corea i redditi da
investimento erano inferiori al costo del capitale per 20 dei 30 grandi chaebols,
tutti fortemente indebitati e 7 di essi alla vigilia della crisi erano praticamente in
condizioni di bancarotta
12
.
- Per quel che riguarda il risparmio, una caduta del pubblico risparmio
(deficit di bilancio) è considerata peggiore di una del risparmio privato, poiché
mentre quest’ultima può rappresentare un fenomeno transitorio, la prima genera
spesso un cambio duraturo con l’effetto di innalzare il debito estero. In Asia i
tassi di risparmio hanno sempre presentato valori molto alti (in alcuni casi
superiori al 40% del PIL), anche nel settore pubblico, perciò la causa dei
disequilibri di conto corrente non va ricercata in essi. Comunque anche nel caso
del Cile (1977-81) il bilancio era in attivo prima della crisi. Inoltre bisogna
considerare che alcune passività di bilancio implicite, non ricomprese nei dati
ufficiali prima della crisi, come i costi di ristrutturazione
13
del sistema finanziario
già in dissesto, hanno contribuito a generare aspettative di cambiamenti nella
politica fiscale, nel senso di una maggiore spesa pubblica per il salvataggio degli
intermediari.
- I tassi di inflazione erano relativamente bassi, ma va aggiunto che le
aspettative erano di un aumento nel futuro prossimo a causa dei già citati
problemi nel settore bancario e finanziario e delle relative possibili pressioni
12
Vedi per esempio “20 of the top 30 groups show poor management performance”, The Korea
Herald, 7 Ottobre 1997.
13
Per Fischer (1998) i costi totali di “pulizia” nel settore finanziario per le economie asiatiche
ammonterebbero a circa il 15% del PIL, ma recenti stime non ufficiali sono più pessimistiche.
verso l’uso del signoraggio e l’immissione di liquidità nel sistema per le
operazioni di salvataggio e per evitare fughe pericolose. Il deprezzamento in
termini nominali delle valute asiatiche nel 1997 è coerente con queste aspettative.
- Importanti shocks negativi nella bilancia commerciale si sono verificati
nel 1996 a seguito della forte diminuzione nei prezzi dei beni tra i più esportati,
come i semiconduttori.
Analizziamo ora la tendenza del tasso di cambio reale (Tabella 4).
L’apprezzamento di quasi tutte le valute esaminate sembra aver influito
sulla competitività dei vari Paesi negli scambi internazionali e per essa sui saldi
di conto corrente, minacciandone la sostenibilità.
L’unica eccezione è data dalla Corea, dove un deprezzamento della valuta
si accompagnava a deficits di conto corrente, differentemente che per Cina e
Taiwan, dove si registravano invece degli avanzi.
Tolti questi tre Paesi, in tutti gli altri si sono verificati apprezzamenti reali
che sono principalmente riconducibili a regimi di tasso di cambio rigidi,
“ancorati” al dollaro, che si è di molto rafforzato a partire dal 1995; questi
movimenti non sono stati quindi frutto di cambiamenti nell’equilibrio
dell’economia reale, ma di un semplice allineamento al trend di un’altra valuta
per poterne ricavare effetti di stabilità e di riduzione del rischio.