5
preoccupazioni trovano fondamento in diversi fattori. Fra questi, il timore che
Basilea 2 spinga le banche verso sistemi di valutazione del merito di credito delle
imprese basati su sistemi meccanici e automatici, a loro volta fondati su fonti
informative limitate, come i bilanci, rispetto ai quali il sistema delle imprese
italiane, specie per il segmento di minori dimensioni, risulta indubbiamente
debole e dunque penalizzato.
In generale, si ritiene che le banche sarebbero riluttanti ad affidare le imprese più
rischiose, tra cui le PMI, sottraendo loro la principale fonte di finanziamento e
impedendo così investimenti essenziali alla ripresa economica. A ciò si aggiunga
il timore naturale che le banche, ormai in larga parte riconducibili a pochi gruppi
con elevato potere di mercato, approfittino di questa variazione normativa per
giustificare politiche di pricing penalizzanti per le imprese, specie nei confronti
delle imprese più piccole, dotate di minore potere contrattuale. Una forte
preoccupazione è la prociclicità. Essa consiste nel timore che il nuovo sistema di
requisiti patrimoniali relativi al rischio di credito, fondati sui sistemi di rating
interni delle banche, possa accentuare le fluttuazioni del ciclo economico
aggravando in particolare le fasi recessive. Cioè quando il sistema economico
attraversa una fase recessiva, le condizioni economico-finanziarie delle imprese
tendono a deteriorarsi. Ne segue che un buon sistema di rating dovrebbe condurre
a un generale peggioramento dei rating delle imprese finanziate. Se le
ponderazioni per il rischio relative ai requisiti patrimoniali sono legate al rating
delle controparti, ciò significa che il requisito patrimoniale complessivo cui è
6
soggetta una banca tende ad aumentare in corrispondenza delle fasi recessive. In
questo modo, la disponibilità di credito al sistema economico tende a diminuire
proprio in corrispondenza delle fasi in cui essa risulta più necessaria, di fatto
accentuando le fluttuazioni del ciclo economico.
Nel primo capitolo parleremo della situazione economica e strutturale delle Pmi
italiane,e variabili che influenzano la struttura finanziaria. Nel secondo capitolo
analizzeremo più specificamente la funzione finanziaria nelle Pmi, analizzando in
dettaglio tutti gli aspetti che portano a distinguerla dalla grande impresa.
Il terzo capitolo tratta della “finanza innovativa”, illustrando gli strumenti
finanziari innovativi per migliorare la struttura finanziaria, dalle cambiali
finanziarie, alle public equity, fino alla quotazione in borsa.
Il capitolo quattro, invece, fa riferimento esclusivo alla riforma del sistema
bancario, Basilea II, e del suo impatto sulle piccole e medie imprese.
7
Capitolo I
Le caratteristiche generali delle piccole e medie imprese
1.1 La nuova definizione di PMI.
La definizione di piccola e media impresa risulta difficoltosa, poiché non esistono
parametri quantitativi e qualitativi che consentono una definizione univoca, non è
né unica né delimitata entro parametri ben precisi nel tempo. Tale definizione
varia, come sostenuto da Zappa, in base al settore produttivo d’appartenenza e allo
scopo sottostante la classificazione
1
. Può essere influenzata dal settore in cui
l’azienda opera e dal relativo grado di concentrazione, ad esempio, si può
considerare piccola impresa una società operante nel settore automobilistico
statunitense con 28 mila addetti, essendo la dimensione media in quel settore
molto elevata
2
. Più correttamente, si deve parlare di PMI in senso assoluto e
relativo. Assoluto se ci troviamo di fronte a pochi addetti, limitato capitale
investito, vertice direzionale formato da una o poche persone, con competenze
non specialistiche; Relativo se rispetto alle altre imprese operanti nello stesso
settore la dimensione aziendale appare contenuta.
1
Zappa G., Le produzioni nell’economia dell’impresa, Giuffrè, Milano, 1957.
2
La quota di mercato di questa impresa è infatti solo del 2%.
8
Differenti sono i parametri quantitativi e qualitativi utilizzati per la
classificazione. I primi possono essere di natura quantitativo-monetaria come il
fatturato o il valore aggiunto, quest’ultimo consigliato da diversi studiosi perché
consente di riassumere in pochi dati l’efficienza aziendale
3
, di natura tecnica come
capacità degli impianti, quantità dei beni prodotti nel corso di un anno, oppure di
natura organizzativa riferendoci a numero addetti, numero dei livelli direttivi
compresi nell’organizzazione aziendale. E’ necessario in ogni caso considerare in
parallelo anche taluni parametri qualitativi
4
, come:
• Coincidenza tra soggetto economico e management
• Quota di mercato ridotta
• Scarsa specializzazione del management
• Indipendenza
• Contatti personali tra la direzione e la manodopera
• Difficoltà all’accesso al credito, specie a m/l termine
• Scarso potere contrattuale verso i terzi in genere
Anche nella letteratura americana il concetto di PMI è simile: infatti
Bolton considera piccola l’impresa quella che ha una quota di mercato ridotta, è
diretta dal proprietario o dai familiari, senza il sostegno di managers
professionisti
5
.
3
Gilardoni A., Pivato S., Elementi di economia e gestione delle imprese, EGEA, Milano, 1998
4
Dessy A., Politiche finanziarie e indebitamento nelle piccole e medie imprese, EGEA, Milano,
1995.
5
Bolton J.E., The financial need of the small firm, Institute of bankers, London, 1978.
9
Nello Small Business Act
6
sono incluse nella definizione di PMI quelle
imprese possedute e gestite in modo indipendente e che non hanno un ruolo
dominante nel loro settore.
Ma è indispensabile l’utilizzo di parametri quantitativi per esigenze di
automaticità e certezza. Infatti, le più importanti definizioni sono state formulate
in occasione dell’emanazione di norme finalizzate ad incentivare le imprese
minori.
E' entrata in vigore il 1° gennaio 2005 la nuova definizione comunitaria di
PMI, cui si farà ricorso nel quadro di tutte le politiche comunitarie applicate nella
Comunità europea che prevedano interventi per le imprese medie, piccole o
piccolissime. La raccomandazione del 2003
7
sostituisce dunque la 96/280/CE con
un testo aggiornato, nell'intento comunitario più chiaro e di più semplice
interpretazione, al fine di assicurare maggiore efficacia e coerenza alle azioni
poste in essere a favore delle PMI sia in ambito comunitario che nazionale. Fino
al 1996, ogni stato europeo aveva una propria definizione di PMI. Questa
difformità di definizioni a livello comunitario e a livello nazionale comportava
una distorsione della concorrenza tra imprese che doveva essere eliminata se si
voleva raggiungere l’obiettivo di coordinare uno sforzo orientato a favore delle
PMI
8
.
6
Venne costituita negli U.S.A. la Small Business Administration, agenzia per il supporto alle
piccole imprese.
7
Raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003.
8
Crialesi Gilberto, confcooperative , Finanziamenti su misura – Ipsoa, 2002
10
La definizione delle PMI è d'importanza fondamentale nell'individuazione
delle diverse categorie d'imprese che possono beneficiare sull’accesso al
finanziamento e al credito (Fondi strutturali, programmi di ricerca e sviluppo
tecnologico, formazione professionale e cooperazione internazionale); sul
sostegno allo sviluppo delle PMI nelle regioni; sull’europeizzazione e
sull’internazionalizzazione (programmi del tipo: JEV
9
, MED-INVEST
10
, AL-
INVEST
11
, ASIA-INVEST, ecc.)
12
; sul rafforzamento della competitività; su un
migliore accesso alla ricerca, all’innovazione (R&ST) e alla formazione
(EQUAL). È proprio in virtù di questo allargamento della presenza delle PMI
nelle politiche comunitarie che la Commissione ha invitato tutte le parti
interessate a partecipare ad una ridefinizione del concetto di piccola e media
impresa.
La Commissione europea si rivolge agli Stati membri, alla Bei
13
e al Fei
14
chiedendo loro di applicare una definizione comune delle microimprese, delle
piccole e delle medie imprese. Gli Stati e i due istituti finanziari non hanno
l'obbligo di attenersi a tale richiesta, ma la conformità alla definizione è invece
obbligatoria, in materia di aiuti pubblici, se si desidera beneficiare di un
trattamento di preferenza rispetto alle altre imprese e tale trattamento è
disciplinato dalla normativa comunitaria.
9
Joint European Ventures, forme di sostegno alla costituzione di imprese comuni transnazionali
per le PMI della Comunità.
10
Programma di cooperazione economica con i paesi terzi mediterranei.
11
Programma di cooperazione economica con i paesi dell'America Latina.
12
Guida agli strumenti agevolati per la costituzione di Joint, Ministero Affari Esteri, www.esteri.it.
13
Bei , Banca europea per gli investimenti.
14
Fei , Fondo europeo d'investimento.
11
La raccomandazione del 2003considera impresa “ogni entità, a
prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In
particolare sono considerate tali le entità che esercitano un attività artigianale o
altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni
che esercitino un’attività economica”
15
.
PMI non significherà più "piccola e media impresa", ma "microimpresa,
piccola e media impresa". Le microimprese erano già definite nella precedente
raccomandazione 280, ma l'unico requisito individuato era quello del numero dei
dipendenti (inferiore a 10), e in sostanza la categoria non era mai stata chiamata in
causa né dall'Unione Europea né dai singoli stati membri. Ora, invece, viene
definita con parametri simili a quelli della piccola e della media impresa, e il suo
valore sociale pienamente riconosciuto
16
. In futuro, perciò, è attesa qualche azione
mirata anche su questa singola categoria.
Per quanto riguarda i nuovi parametri individuati dalla raccomandazione le Pmi,
in sostanza sono riassunti nella tabella 1.
Per poter rientrare in una categoria o per sancire la definitiva uscita è necessario
che i parametri siano superati, per uscirvi o per entrarvi, per due esercizi
consecutivi.
17
15
art. 1 della Raccomandazione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003.
16
Il Sole 24 Ore, La UE cambia i parametri per le PMI - Nuovi limiti per imprese medie, piccole e
"micro", 09 maggio 2003
17
Raccomandazione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003, art. 4
12
Tabella 1 - Parametri Pmi
Categoria
d'impresa
Numero di
dipendenti
Fatturato
Stato
patrimoniale
MICRO
IMPRESA
< 10 < 10
-
2 Mln.
€
-
2 Mln.
€
PICCOLA
IMPRESA
< 50 < 50
7 Mln.
€
10
Mln. €
5 Mln.
€
10 Mln.
€
MEDIA
IMPRESA
< 250 < 250
40
Mln. €
50
Mln. €
27 Mln.
€
43 Mln.
€
Definizione ai sensi della Raccomandazione 96/280/CE
Nuova definizione ai sensi della Raccomandazione 2003/361/CE
Fatturato e stato patrimoniale sono alternativi ai fini dello status di PMI, quindi è
sufficiente che uno solo dei due superi i parametri fissati. I nuovi parametri, più
alti rispetto a quelli del 1996, sono stati calcolati sulla base dell'adeguamento
all'inflazione e alla crescita del PIL. Nella raccomandazione 280/1996 si parlava
di indipendenza delle PMI, ora invece si parla di autonomia, ma il concetto
rimane sostanzialmente invariato. Una PMI può essere considerata autonoma
quando non sia qualificabile come associata o collegata ad altra impresa.
Cambiano, invece i parametri per considerare associata o collegata.
Si definisce associata se è controllata per più del 25% del capitale sociale o dei
diritti di voto da un'altra impresa, anche PMI. Eccezioni a questa definizione sono
13
da considerarsi le partecipazioni di società di investimenti pubblici, di società di
capitali di rischio (come i fondi chiusi) o e di investitori istituzionali (come i
venture capital) che non esercitino alcun controllo sull'impresa partecipata, dei
cosiddetti business angels
18
(società, persone fisiche o gruppi che investono fondi
propri nel capitale di rischio di imprese non quotate) con la creazione della rete
dei Business Angels per supportare, in particolare, imprese in start-up e spin-off
19
.
Per collegata, invece, si intende una PMI controllata per più del 50% dei diritti di
voto da un'altra impresa, o anche una PMI che di fatto è soggetta ad un'altra
impresa in termini di nomina o revoca della maggioranza degli amministratori
(per esempio tramite meccanismi di golden share
20
). Queste relazioni di
associazione o collegamento possono anche essere indirette.
18
In europa , EBAN (European Business Angels Network) ,e in Italia l'associazione italiana IBAN
19
Pisacane Giovanni, “Il supporto alle PMI nell’ambito della finanza comunitaria diretta”,
documenti del convegno “Il supporto alle PMI nella finanza comunitaria” – Roma, 17 ottobre
2003
20
Titolo azionario con maggiori poteri. Viene frequentemente utilizzata dallo stato quando
privatizza una sua azienda.
14
1.2 Pmi la realtà Italiana e Europea.
L’interesse da sempre dedicato sia dagli studiosi che dagli operatori del nostro
Paese alle aziende di piccole e medie dimensioni è legato sostanzialmente a due
fenomeni, da un lato alle peculiarità del sistema industriale italiano, dall’altro alle
positive performances spesso evidenziate da tali entità
21
. Con riferimento al
primo di questi aspetti, si evidenzia come sia caratteristico del sistema industriale
italiano un basso grado di concentrazione economica a cui è associata l’elevata
presenza di aziende di dimensioni ridotte. Le relazioni dell’Osservatorio sulle
PMI europee forniscono un quadro della situazione attuale nel settore delle PMI in
Europa. Si contano 20 milioni di imprese e circa il 93% di queste sono
microimprese, il 6% sono piccole imprese, meno dell’1% sono medie imprese e
soltanto lo 0.2% sono grandi imprese. Il sistema produttivo del nostro paese resta
caratterizzato dalla prevalenza della micro e piccola impresa: oltre 3 milioni di
imprese sono senza lavoratori dipendenti, poco più di 4 milioni di imprese (il 95%
del totale) hanno meno di 10 addetti e occupano il 47% degli addetti complessivi;
soltanto 3.355 (lo 0,08%) impiegano più di 250 addetti, per una quota pari al
20,3% dell’occupazione complessiva.
22
Due terzi dei posti di lavoro afferiscono
nelle PMI, quindi un terzo di tutti i lavori sono offerti dalle grandi imprese.
23
Le
imprese italiane sono in media più piccole di quelle europee in tutti i comparti,
salvo poche eccezioni.
21
Marini Daniele, “Come far crescere le piccole imprese”, ilsole24ore, del 16/03/ 2005
22
Fonte: ASIA, Archivio Statistico delle Imprese Attive, Anno 2002
23
Osservatorio Europeo sulle PMI, Osservatorio sulle PMI europee, 2002
15
Figura 1 – Quota di occupazione
QUOTA DI OCCUPAZIONE NELLE IMPRESE CON MENO DI 100 OCCUPATI
(Fonte: Banca d'Italia)
69%
30%
27%
20% 20%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
Italia (1996) Francia (1994) Regno Unito (1994) Germania (1990)* esclusi gli
artigiani
Stati Uniti (1997)
Rispetto agli altri paesi, ancor più ampio è il divario nelle imprese di media
dimensione: alle aziende fra 100 e 499 addetti fa capo in Italia meno del 10 per
cento del totale degli occupati, contro il 17,5 per cento in Germania, il 16 e il 17
per cento rispettivamente in Francia e nel Regno Unito.
In relazione al secondo punto, le performance, numerose indagini empiriche
testimoniano una maggiore vitalità delle impresse minori in relazione alle altre, al
punto che in Italia spesso le piccole imprese hanno superato quelle di grandi
dimensioni per redditività, propensione all’investimento e capacità di creazione di
posti di lavoro.
16
I mutamenti profondi nei prezzi relativi, nelle tecnologia e nelle relazioni
industriali intervenuti nell’ultimo decennio nel nostro Paese che hanno creato
condizioni nelle quali la piccola impresa ha acquisito vantaggi in termini di assetti
organizzativi, di flessibilità operativa, di rapidità di adattamento all’evoluzione
della domanda, fattori tutti che hanno compensato le minori economie di scala e
nello stesso tempo hanno fatto della piccola impresa uno dei punti di forza
dell’economia italiana nelle fase negativa del ciclo dei primi anni novanta”.
24
Oggi, le prospettive che si aprono alle imprese di piccole dimensioni sono assai
più turbolente rispetto al passato, per l’aumento della competizione dovuto al
rallentamento dello sviluppo economico, per la spinta sempre più frequente alla
globalizzazione e per la concreta realizzazione dell’Unione Europea, che limiterà
ogni ulteriore vincolo alla libera concorrenza. «Il contributo che le piccole
imprese hanno fornito allo sviluppo della nostra economia è stato determinante,
ma la frammentazione ora rischia di incidere negativamente sulle capacità di
crescita»
25
.
La piccola dimensione delle imprese italiane rallenta lo sviluppo tecnologico e
l'innovazione. La dimensione familiare, secondo Fazio, determinante nella fase di
avvio, è poi un ostacolo allo sviluppo.
Esiste una netta differenza tra Stati Uniti e Paesi europei sull'incremento
occupazionale dopo la nascita. Le nuove imprese americane già dopo due anni
hanno in media più che raddoppiato l'occupazione, a fronte di incrementi nella Ue
24
ANTONO FAZIO, Governatore della Banca d’Italia, Convegno “Sviluppo della media e piccola
impresa e occupazione”, 1999
25
Antonio Fazio, Governatore della Banca d’Italia, “Relazione annuale sul 2001”
17
inferiori al 25 per cento (la dinamica di crescita italiana vede l'Italia dopo la
Germania e il Portogallo, anche se davanti a Francia e Finlandia)
26
.
A fronte di ciò, uno degli aspetti maggiormente sentiti è costituito dai limiti alla
crescita derivanti dalla difficoltà di accesso ai finanziamenti, e tra questi in
particolare quelli a titolo di capitale di rischio. E’ auspicabile che a fronte di una
maggiore consapevolezza nella gestione degli aspetti finanziari da parte delle
PMI, i rapporti che legano questo tipo di aziende con il mercato del credito e con
quello dei capitali si indirizzino verso un maggior equilibrio, permettendo anche
alle PMI, nei limiti delle loro necessità di sviluppo, l’adozione di un struttura
finanziaria adeguata alle proprie esigenze.
26
Sole 24 Ore , Per la crescita non bastano le Pmi , 1 giugno 2002
18
1.3 Fattori di tipicità delle piccole e medie imprese
Il ruolo svolto dalle piccole e medie imprese all’interno di un sistema industriale è
stato oggetto di frequenti analisi che hanno dato luogo ad una certa varietà di
teorie in proposito. Tra queste, la più nota e diffusa è forse quella della Penrose,
secondo questa tesi, la nascita e la sopravvivenza delle imprese minori si
giustifica con l’evidenziarsi, in determinati settori, di tassi di sviluppo superiori
alle capacità di espansione delle grandi imprese. Queste, incapaci o non
desiderose di cogliere le opportunità che si presentano loro, tralasciano le
alternative che giudicano meno appetibili e che meno si addicono alle loro
caratteristiche, lasciando liberi spazi (i cosiddetti interstizi) alle imprese di minori
dimensioni
27
. Non di rado, tuttavia, anche aziende nate sulla spinta di opportunità
interstiziali, riescono successivamente a creare e conservare condizioni di
efficienza tali da consentire loro di svilupparsi, fino a raggiungere la dimensione
media e quella grande
28
. Le imprese di minori dimensioni sfruttando le loro
caratteristiche tipiche, l’elasticità e la flessibilità, la snellezza organizzativa e la
conseguente rapidità decisionale, l’assenza di diseconomie di scala sono state in
molti casi avvantaggiate nell’apportare cambiamenti anche radicali nella loro
struttura rispondendo con maggior rapidità ed efficienza ai mutamenti della
domanda
29
.
27
PENROSE E.T. , “The Theory of the growth of the firm”, Oxford , 1973.
28
SHUMPETER J. A. , “ Teoria dello sviluppo economico”, Sansoni, Firenze, 1971.
29
Preti P. , L’organizzazione della piccola impresa, EGEA, 1991