SUSTAINABLE DEVELOPMENT GOAL 13 4
Sunto
Da argomento presente nei tavoli di pochi, lungimiranti esponenti della comunità scientifica,
i cambiamenti climatici sono oggi entrati nel nostro mondo quotidiano e riguardano più o
meno direttamente tutti noi. Sempre più si susseguono le notizie di allarme sullo stato del
clima e i tristi annunci al telegiornale delle conseguenze di tutto ciò. Questo testo si propone
di analizzare gli sforzi istituzionali volti a contenere il riscaldamento globale all’interno di
due cornici: la prima comprende le più importanti iniziative dedicate allo sviluppo sostenibile
che si sono sviluppate a partire dalla prima Conferenza di Rio nel 1992, la seconda invece si
inserisce all’interno della Convenzione delle Nazioni Unite, nata anch’essa in quell’occasione,
dedicata specificatamente ai cambiamenti climatici. Dopo aver cercato di fornire una
doverosa introduzione concettuale ripercorrendo la storia dei momenti salienti che hanno
determinato la nascita dell’attenzione verso un modello di sviluppo attento alle esigenze
dell’ambiente, ci si concentrerà sull’agenda tracciata dai Millennium Development Goals e
dai loro successori, i Sustainable Development Goals, entrati in vigore nel 2015. Il ruolo
particolare di cui gode il tredicesimo di questi ultimi obiettivi nella trattazione sarà usato per
ricollegarci al tema dei cambiamenti climatici e del controllo delle emissioni, ponendo una
lente di ingrandimento sulle politiche nelle emissioni dei tre più importanti attori mondiali:
Unione Europea, Stati Uniti e Cina. Alla scadenza dell’agenda, nel 2030, quale sarà lo stato
del clima che ci attende?
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Introduzione
“Non c’è un piano B perché non abbiamo un pianeta B” (Ban Ki-moon, Segretario generale
delle Nazioni Unite (Nino, 2014, pag. 201))
I Sustainable Development Goals sono un set di 17 obiettivi
1
facenti parte della più
vasta “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, promossa dalle Nazioni Unite e sottoscritta
nel 2015 dai 193 paesi membri. Si tratta di un framework espresso in 169 indicatori che si
propone l’obiettivo di guidare la comunità mondiale delineando il percorso da seguire nella
strada dello sviluppo sostenibile per i prossimi 15 anni. (UN General Assembly, 2015)
L’esperienza dei SDGs non è nuova ma si costruisce in seguito alla scadenza dei Millennium
Development Goals (MDGs), entrati in vigore all’inizio degli anni 2000 come risultato della
famosissima Dichiarazione del Millennio, sempre promossa dall’ONU e sottoscritta dai Paesi
membri (UN General Assembly, 2000). Alla scadenza di questi primi obiettivi (8 in totale),
nel 2015, sono subentrati i SDGs, che ne costituiscono quindi gli eredi naturali.
L’importanza degli Obiettivi del Millennio
2
nel periodo 2000-2015, è dovuta al fatto
che, dopo i risultati marginali ottenuti nell’attuazione dell’Agenda 21, emersi nella conferenza
Rio+5 tenutasi a New York nel 1997 (UN General Assembly, 1997), si è ricostituito
l’impegno all’attuazione di un’agenda di sviluppo sostenibile tentando di dettare un’armonia
integrata che raccordasse e organizzasse i numerosi progetti riguardanti lo Sviluppo
Sostenibile (Sachs, 2012) secondo uno schema chiaro e semplice, denominato WEHAB
3
(Pisupati & Warner, 2003). Il successo, che almeno in parte è stato attribuito ai MDGs -
seppure alla fine del 2015 essi abbiano conseguito risultati alterni e in alcuni casi dubbi
4
- è
stato identificato nella loro relativa semplicità e, soprattutto, nella loro misurabilità (Brende
& Høie, 2015), garantita dagli oltre 60 indicatori usati per verificarne e controllarne i
progressi
(United Nations Statistics Division, 2008). Le maggiori opinioni critiche
riguardanti i MDGs, invece, si sono concentrate nel ritenerli troppo poco completi per
rappresentare degnamente il complesso mondo dello sviluppo sostenibile, mancando questi
di molti temi che hanno assunto una sempre maggiore importanza, ad esempio la salute
(Buse & Hawkes, 2015), i diritti umani (Nelson, 2007), la parità di genere (World Health
Organization & others, 2005) e l’ambiente (Griggs et al., 2013), solo per fare alcuni esempi.
1
Appendice 1
2
Vedi paragrafo 2.1
3
Water, Energy, Health, Agricolture, Biodiversity
4
Si veda anche il paragrafo 2.2
SUSTAINABLE DEVELOPMENT GOAL 13 6
I SDGs quindi sono un tentativo di proseguire il lavoro iniziato con i MDGs,
ampliandone l’ampiezza e cercando di porre rimedio alle maggiori critiche riscontrate da
questi ultimi. Tra le caratteristiche peculiari e di innovazione dei nuovi obiettivi, troviamo
innanzitutto il fatto che essi non sono rivolti unicamente al tradizionale pubblico dei Paesi
in via di sviluppo, ma alla totalità della comunità internazionale. Inoltre, vi è sicuramente una
nuova visione ‘olistica’ del tema della sostenibilità, che non abbraccia solo i temi da sempre
cari alla letteratura riguardante lo sviluppo sostenibile, ma pone una serie di Obiettivi
riguardanti a tutto tondo il benessere di individui e comunità
5
. Infine, la fase di stesura dei
SDGs, ha visto la partecipazione di un numero sorprendentemente ampio di persone ed
iniziative (United Nations, 2015b; United Nations Department of Economic and Social
Affairs, s.d.)
6
, presentandosi finora come una delle iniziative delle Nazioni Unite che ha visto
la più larga partecipazione, finora.
Non è un mistero che, dalla nascita del Club di Roma e dall’uscita dello studio I limiti
dello sviluppo (Meadows, Meadows, Randers, & Behrens, 1972), che è stato tra i primi a porre
l’attenzione sul tema, l’interesse nei confronti del tema dello sviluppo sostenibile sia cresciuto
esponenzialmente, di pari passo con le preoccupazioni dettate dal riscaldamento globale.
Giungendo la scadenza naturale dei MDGs, nonostante siano stati ottenuti alcuni risultati
soddisfacenti (in particolare per quanto riguarda l’accesso all’acqua e il limitare il buco
dell’ozono (United Nations, 2015a)), la situazione sembra comunque preoccupante; non
soltanto per quanto riguarda gli obiettivi dei MDGs, che pure hanno affrontato il tema in
maniera relativamente marginale (e non con poche critiche), ma globalmente: dal 1992, su
90 obiettivi che sono stati concordati internazionalmente riguardo ai cambiamenti climatici,
ne sono stati raggiunti solo 4 (United Nations Environment Programme & United Nations
Environment Programme, 2012). Con il crescere della consapevolezza del problema, sono
considerevolmente aumentate anche le preoccupazioni: i limiti da non superare per
compromettere il delicato equilibrio del nostro pianeta si stanno raggiungendo rapidamente
(Rockström, Steffen, Noone, Persson, Chapin, et al., 2009), e la richiesta di un maggiore
impegno sui cambiamenti climatici è cresciuta conseguentemente, soprattutto in
concomitanza della definizione dell’agenda post-2015 (Griggs et al., 2013; Sachs, 2012).
I Sustainable Development Goals hanno presentato un’attenzione rinnovata al tema
dell’ambiente: sono stati introdotti i goal 6, 7, 12, 13, 14, 15
7
, che espandono notevolmente
quanto visto sui MDGs, in particolare assumendo una visione più globale dell’impatto
5
Un esempio ne sono i goal 3, 8, 9, 16, ecc.
6
Si confronti con i paragrafi 2.4 e 2.5
7
Confronta Appendice 1
SUSTAINABLE DEVELOPMENT GOAL 13 7
dell’uomo nell’ambiente e dei risultati da raggiungere. Obiettivo di questo elaborato sarà
concentrarsi sul tredicesimo goal, riguardante i cambiamenti climatici. Il cuore del goal n.13
è costituito dall’Accordo di Parigi del 2015: il più recente accordo raggiunto all’interno della
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC, il cui
percorso è iniziato con la Conferenza di Rio del 1992), con l’obiettivo dichiarato di contenere
drasticamente le emissioni di gas serra, e firmato finora da 160 paesi
8
(United Nations
Framework Convention on Climate Change, s.d.-b). I recenti sviluppi hanno visto uno degli
attori principali, gli Stati Uniti, ritirarsi dal trattato (Shear, 2017), mentre altri Paesi -
principalmente europei – hanno fatto importanti annunci su future politiche di
contenimento di gas serra (Asthana & Taylor, 2017; Chrisafis & Vaughan, 2017; Duggan,
2015).
Alla luce di queste osservazioni dunque è facile capire come, seppure gli Obiettivi
siano stati presentati relativamente poco tempo fa, sembrano candidarsi ad avere
un’influenza pervasiva e duratura durante tutto il corso delle iniziative di sviluppo fino al
2030, entrando già di diritto a far parte della storia dello sviluppo sostenibile e necessitando
di un approfondimento ulteriore in qualsiasi lavoro che desideri analizzare un contesto più
ampio. Dopo aver fornito una prima inquadratura sui presenti problemi che minacciano la
sostenibilità, si cercherà di presentare ed analizzare le politiche ambientali sulle emissioni di
gas serra per quelli che sono considerati i 3 maggiori player per influenza ed impatto a livello
globale: Stati Uniti, Europa e Cina, cercando di analizzarne le performance relative ai livelli di
emissioni di CO2 e tentando di delineare possibili prospettive per l’ambiente nel 2030.
8
Sui 197 paesi facenti parte dell’ONU
SUSTAINABLE DEVELOPMENT GOAL 13 8
1. Verso la sostenibilità
Obiettivo di questo capitolo è fornire un’introduzione al concetto di sostenibilità,
ripercorrendone brevemente i momenti salienti, dalla nascita della consapevolezza
ambientale fino al ventunesimo secolo.
1.1 I limiti dello sviluppo
È a partire dagli anni ’60 e ’70 che la questione ambientale assume rilevanza (La
Camera, 2003); proprio in questi anni, infatti, la nuova sensibilità acquisita sul tema porta
alla nascita delle prime organizzazioni ambientaliste: il WWF nel 1961 (WWF, s.d.),
Greenpeace nel 1971 (Greenpeace Italia, 2009). Il già citato Club di Roma, un’associazione
di trenta tra i migliori ‘dotti’ in vari campi che si costituisce nel 1968 (Club of Rome, s.d.), la
cui missione è “promuovere la comprensione delle sfide globali che l'umanità affronta e
proporre soluzioni attraverso analisi scientifiche, comunicazione e promozione (advocacy
N.d.T.)” (Club of Rome, 2017a), fa uscire proprio in questi anni il suo primo rapporto: uno
studio che indaga gli effetti a lungo termine del modello di crescita attuale
9
. I risultati dello
studio verranno pubblicati con il libro – divenuto ormai celeberrimo – “I limiti dello
sviluppo” (Meadows et al., 1972). Il rapporto poneva un freno all’idea della potenzialità di
uno sviluppo illimitato: come suggerisce il titolo, mantenere gli attuali trend di crescita
porterebbe nel giro di un secolo alla saturazione totale dell’uso delle risorse del nostro
pianeta. L’immensa risposta mediatica che ha avuto la presentazione del libro (fu presentato
in tutti i più grandi giornali americani), e l’enorme dibattito che ne è generato, hanno reso
possibile la focalizzazione della sensibilità verso il tema nell’agenda internazionale. (Peccei,
2013)
1.2 La Conferenza di Stoccolma
La sempre più pressante attenzione al tema da parte sia della comunità scientifica
che da parte delle neonate associazioni ambientaliste ha inevitabilmente avuto un riflesso
anche sull’ambiente istituzionale: il momento di massima consapevolezza in questo periodo
della nuova problematica da parte della comunità internazionale si manifesta nel 1972, a
Stoccolma, dove le Nazioni Unite indicono la prima Conferenza dedicata alle tematiche
ambientali. (Castellucci, 2012)
9
Vengono prese in considerazione cinque grandezze:
1. incremento della popolazione
2. produzione industriale
3. produzione agricola
4. deterioramento delle risorse non rinnovabili
5. inquinamento
(Club of Rome, 2017b)
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I principali output della conferenza sono stati i 26 principi della Dichiarazione di
Stoccolma
10
e la creazione del programma ambientale delle Nazioni Unite: l’United Nations
Environment Programme (UNEP), oltre – e forse soprattutto – al consentire l’ingresso della
tematica nell’agenda politica dei paesi partecipanti alla conferenza.
1.3 La Commissione Brundtland
Negli anni che seguirono la Conferenza di Stoccolma, il lavoro delle Nazioni Unite
sulla sostenibilità ambientale non cessò: dieci anni dopo la Conferenza di Stoccolma, era
chiaro che i temi relativi all’ambiente non erano stati affrontati con la dovuta urgenza da
parte della comunità internazionale (Butlin, 1989); è per questo motivo che il 1983 vede la
nascita, con il patrocinio dell’Assemblea generale, della Commissione Mondiale per l’Ambiente e
lo Sviluppo (WCED), denominata anche Commissione Brundtland
11
(UN Division for Sustainable
Development, 1987).
Il principale risultato della Commissione è rappresentato dal documento, rilasciato
nel 1987, denominato Our Common Future, o Rapporto Brundtland; il rapporto crea per la prima
volta il concetto di “sviluppo sostenibile”, fornendone la definizione:
«L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di fa sì che esso
soddisfi i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità di
soddisfacimento dei bisogni di quelle future.» (Commissione mondiale per
l’ambiente e lo sviluppo, Ruffolo, & Saba Sardi, 1988)
Questa definizione, seppure non menzionando direttamente l’ambiente, sposta la
visione del problema ambientale non come vincolo allo sviluppo, ma come condizione
necessaria per qualsiasi sviluppo futuro:
«Ambiente e sviluppo non sono realtà separate, ma al contrario presentano una
stretta connessione. Lo sviluppo non può infatti sussistere se le risorse ambientali
sono in via di deterioramento, così come l’ambiente non può essere protetto se la
crescita non considera l’importanza anche economica del fattore ambientale. Si
tratta, in breve, di problemi reciprocamente legati in un complesso sistema di causa
ed effetto, che non possono essere affrontati separatamente, da singole istituzioni e
con politiche frammentarie. Un mondo in cui la povertà sia endemica sarà sempre
esposto a catastrofi ecologiche d’altro genere.» (Commissione mondiale per
l’ambiente e lo sviluppo et al., 1988)
10
Appendice 3
11
Dal nome del primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland, incaricato dal Segretario
Generale Javier Pérez de Cuéllar di formare la commissione, nonché presidente della stessa.