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2. INTRODUZIONE
Ci sono casi in cui un organo od un tessuto possono andare incontro ad un grave
danneggiamento o disfunzione e l’unica possibilità di cura rimanente è il trapianto. Negli ultimi
40 anni del XX sec., i trapianti hanno presentato una progressiva evoluzione, da trattamento
sperimentale a terapia d’elezione in presenza di insufficienza cronica terminale di uno o piø
organi.
2.1. Il trapianto
2.1.1. Definizioni
Il trapianto è un trasferimento di cellule, tessuti od organi da un organismo ad un altro, o da una
parte ad un’altra di uno stesso organismo, allo scopo di compensare una deficienza o un difetto
funzionale.
Si possono quindi individuare due fasi:
1. il prelievo da un donatore;
2. il trapianto (o innesto) in un ricevente.
Per prelievo si intende la rimozione di un organo o tessuto da un organismo donatore. Il termine
espianto, che nella lingua comune è spesso usato nel senso di prelievo, si riferisce, invece, alla
rimozione chirurgica di un organo precedentemente trapiantato e rimosso per diversi motivi,
come il non funzionamento.
Il termine trapianto, in senso stretto, indica il trasporto di un organo, completo delle connessioni
vascolari e nervose che lo rendono anatomicamente indipendente, mentre il trasferimento di una
parte di organo o tessuto è definito innesto.
Si possono distinguere diversi tipi di trapianto:
• A seconda della localizzazione dell’organo trapiantato si può parlare di:
trapianto ortotopico: l’organo originario malfunzionante viene rimosso e l’organo del
donatore viene posizionato nella stessa sede anatomica dell’organo originario;
trapianto eterotopico o ausiliario: il nuovo organo viene collocato in una sede diversa da
quella fisiologica ed il vecchio organo non piø funzionante può rimanere al proprio posto.
• In base ai rapporti tra donatore e ricevente si può differenziare:
l’autotrapianto: la parte trapiantata viene spostata da un punto all’altro dello stesso
organismo;
il trapianto singenico o isotrapianto: il donatore ed il ricevente sono geneticamente identici,
cioè sono gemelli monozigoti (nell’uomo) o appartengono ad uno stesso ceppo (“inbred”)
(negli animali);
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il trapianto allogenico o allotrapianto: avviene tra due soggetti geneticamente diversi della
stessa specie;
lo xenotrapianto (dal greco xeno = estraneo): donatore e ricevente appartengono a due
specie diverse.
2.1.2. Il rigetto
Eccetto che nel caso dei gemelli monozigoti geneticamente identici, l’introduzione di cellule o
tessuti estranei (non-self) in un organismo comporta una reazione da parte del sistema
immunitario del ricevente, che non li riconosce come propri (self) e li attacca con lo scopo di
eliminarli perchØ considerati dannosi. Questa reazione viene chiamata rigetto e può portare alla
distruzione dell’organo trapiantato.
I primi studi relativi ai trapianti sono stati condotti sui topi e hanno portato a scoprire
l’esistenza, nel topo, di alcuni geni situati in diversi loci cromosomici, denominati H o
dell’istocompatibilità (Histocompatibility) che hanno un ruolo nel determinare il rigetto dei
trapianti (Snell, 1948; Klein, 2001). Ciascuno di questi geni presenta numerose forme alleliche
(sono geni polimorfi), tutte codominanti, cioè entrambi gli alleli sui due cromosomi omologhi
sono espressi negli eterozigoti. Nel topo i loci dell’istocompatibilità sono circa 30, numerati H-
1, H-2, H-3…H-n. Il principale è il locus H-2, denominato anche complesso maggiore di
istocompatibilità o MHC (Major Histocompatibility Complex), localizzato sul cromosoma 17. Il
locus H-2 codifica per alcune glicoproteine presenti sulle membrane cellulari: le molecole
MHC. Queste molecole si suddividono in due sottogruppi o classi:
1. MHC di classe I (MHC I): sono espresse sulla superficie di tutte le cellule mononucleate (non
sui globuli rossi);
2. MHC di classe II (MHC II): sono presenti solo sulla superficie di alcune cellule: le cellule
specializzate nella presentazione degli antigeni o APCs (Antigen Presenting Cells), fra cui
cellule dendritiche (DCs, Dendritic Cells) e macrofagi, i linfociti B e T attivati, le cellule
endoteliali e alcune cellule epiteliali.
La funzione delle molecole MHC è quella di interagire con i recettori di membrana dei linfociti
T (TCRs, T Cell Receptors) presentando antigeni intracellulari (MHC I) o extracellulari (MHC
II) e attivare le cellule T nella risposta contro un pericolo. Gli antigeni di classe I sono codificati
da geni presenti in due sottoregioni del locus H-2 denominate H-2K e H-2D. Per ciascuno dei
due locus è presente una molteplicità di alleli, da cui deriva l’esistenza di numerose molecole
MHC I differenti. Gli antigeni di classe II, invece, sono codificati nella regione I, situata fra H-
2D e H-2K, che è divisa in due sottoregioni: I-A e I-E. Il locus I-A è molto piø polimorfo,
ovvero presenta molte piø forme alleliche diverse, del locus I-E. Le differenze individuali
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esistenti fra le glicoproteine o antigeni MHC presenti sulle membrane cellulari sono le maggiori
responsabili del fenomeno del rigetto.
Come già accennato in precedenza, accanto al complesso maggiore di istocompatibilità, esistono
altri sistemi di antigeni che possono provocare un rigetto piø tardivo in assenza di differenze
nella regione H-2: sono i sistemi minori di istocompatibilità, denominati nel topo H-1, H-3…H-
n. Infatti, topi di ceppo differente ma dello stesso H-2 rigettano generalmente gli allotrapianti,
ma in un lasso di tempo molto lungo, che può spesso superare i 100 giorni. Si ritiene che nel
topo esistano da 15 a 30 sistemi di istocompatibilità minore, comprendenti in totale piø di 500
geni (Snell and Stimpfling, 1966; Klein et al, 1974; Janeway et al, 2005).
2.1.2.1. Riconoscimento diretto e indiretto
Gli antigeni MHC e gli antigeni minori di istocompatibilità del donatore sull’organo trapiantato
partecipano a scatenare una risposta di rigetto da parte del sistema immunitario del ricevente.
Infatti, le cellule T del ricevente riconoscono queste molecole come non-self e si attivano. Sono
queste le cellule T alloreattive. Il riconoscimento degli antigeni non-self può avvenire attraverso
due modalità (Fig 2.1):
1. Riconoscimento diretto: alcuni linfociti T, attraverso i loro TCRs, riconoscono molecole
MHC non-self, intatte, espresse sulle membrane delle APCs del donatore. Questo non
dovrebbe accadere, perchØ, secondo il meccanismo classico di riconoscimento antigenico, le
cellule T dovrebbero riconoscere antigeni esogeni presentati da MHC self. Alcune cellule T,
invece, cross-reagiscono con MHC non-self, attivandosi. Poichè la frequenza di linfociti T
Figura 2.1. Riconoscimento diretto e
indiretto.
A. Riconoscimento diretto:
un linfocita T del ricevente riconosce
una molecola MHC non-self sulla
superficie di una APC del donatore.
B. Riconoscimento indiretto:
un linfocita T del ricevente riconosce
un peptide antigenico non-self
presentato da una molecola MHC self
sulla superficie di una APC del
ricevente. (Abbas et al, 2012)
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specifici per MHC non-self è molto alta (circa 10%), la differenza a livello dei loci MHC
risulta essere l’elemento chiave del rigetto iniziale degli organi (Pietra et al, 2000; Jiang et al,
2004; Cornell et al, 2008).
2. Riconoscimento indiretto: le cellule T riconoscono peptidi non-self del donatore presentati su
molecole MHC self da APCs self. Molecole MHC del donatore e altre proteine non-self
dell’organo trapiantato vengono captate e processate dalle APCs del ricevente e i frammenti
peptidici derivati vengono presentati su MHC self (Benichou et al, 1992; Jiang et al, 2004;
Cornell et al, 2008).
In entrambi i casi è necessario che uno stato infiammatorio determini l'attivazione delle APCs,
che altrimenti non sarebbero in grado di presentare gli antigeni e di migrare verso i linfonodi per
interagire con i linfociti T. La presenza di infiammazione, infatti, è una caratteristica dei tessuti
trapiantati ed è dovuta a fenomeni traumatici e ischemici che si verificano nelle fasi di prelievo,
trasporto e innesto dei tessuti stessi. Effettivamente, non sono solo gli antigeni non-self del
donatore sull’organo trapiantato ad attivare la risposta immunitaria allogenica del ricevente, ma
esistono anche altri fattori, come i danni causati al tessuto dalla chirurgia, dall’ischemia e dalla
successiva riperfusione dell’organo trapiantato (danni da ischemia/riperfusione (I/R)).
Riassumendo, i principali fattori che rendono i tessuti trapiantati esposti al fenomeno del rigetto,
ovvero al loro riconoscimento come strutture non-self da parte del sistema immunitario sono:
• la presenza di un assetto antigenico qualitativamente o quantitativamente diverso rispetto a
quello delle strutture self: gli antigeni del complesso minore di istocompatibilità;
• la presentazione di antigeni non-self su MHC (self o non-self), o la presenza di MHC non-self
in grado di attivare le cellule del sistema immunitario dell'ospite;
• la presenza di una condizione di pericolo, ovvero di uno stato infiammatorio attivatosi in
risposta al danno subito dal tessuto.
2.1.2.2. Tipi di rigetto
Si possono riconoscere diverse tipologie di rigetto:
Rigetto iperacuto: avviene entro pochi minuti o al massimo qualche ora dal trapianto. ¨
dovuto alla presenza di anticorpi circolanti preformati specifici contro alcuni antigeni del
donatore. Gli anticorpi si legano alle cellule endoteliali dei vasi dell’organo trapiantato e
attivano il sistema immunitario del ricevente, che provoca un danno tissutale. Il vaso può
essere ostruito e distrutto, con conseguente perdita di irrorazione dell’organo. Questo può
accadere se il ricevente è già venuto in contatto con alcuni antigeni del donatore sviluppando
anticorpi contro di essi, come ad esempio nel caso di un trapianto precedente in cui l’organo
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trapiantato aveva antigeni comuni al nuovo organo, oppure nel caso di una precedente
trasfusione di sangue o gravidanza.
Rigetto acuto (o cellulare): può manifestarsi in qualsiasi momento dopo il trapianto: giorni,
settimane o mesi. ¨ dovuto essenzialmente a cellule T alloreattive contro antigeni dell’organo
trapiantato. In una prima fase i linfociti T del ricevente riconoscono gli antigeni estranei, si
attivano, proliferano e contribuiscono ad attivare altre cellule del sistema immunitario, tra cui i
macrofagi e i linfociti B, che cominciano a produrre anticorpi. In una seconda fase, dopo aver
infiltrato il tessuto trapiantato, le cellule T e le altre cellule del sistema immunitario, attivate,
lo attaccano esercitando un’azione citotossica. Il rigetto acuto è, quindi, una risposta cellulo-
mediata e per questo è definito anche rigetto cellulare. ¨ la forma di rigetto piø frequente ed è
il motivo principale per cui i pazienti trapiantati devono prendere farmaci immunosoppressori
per il resto della loro vita.
Rigetto cronico: è un lento processo che causa un progressivo declino della funzione
dell’organo trapiantato, fino alla perdita totale di funzionalità. ¨ caratterizzato da fibrosi del
parenchima e dei vasi sanguigni, con proliferazione delle cellule della parete vasale e graduale
ostruzione del lume dei vasi. Viene indicata così anche la reazione continua del sistema
immunitario contro il nuovo organo. Il rigetto cronico porta in genere alla perdita dell’organo
e alla necessità di un nuovo trapianto in una decina d’anni. Può essere successivo ad un
danneggiamento dell’organo trapiantato dovuto, ad esempio, ad un precedente rigetto acuto, al
fenomeno dell’ischemia/riperfusione (I/R), alla tossicità dei farmaci immunosoppressori o a
infezioni virali.
Per prevenire il rigetto d’organo, escluso il caso del trapianto tra gemelli monozigoti, è
necessario mantenere un certo livello di immunosoppressione durante tutta la vita.
Generalmente si usa una triplice terapia, con la combinazione di un corticosteroide anti-
infiammatorio (come il prednisone), un inibitore di un pathway cellulare (come la ciclosporina
A) ed un anti-proliferativo inibitore della sintesi di purine (come l’azatioprina). Spesso la dose
dei farmaci viene diminuita nel corso dei mesi e degli anni, per ridurre al minimo gli effetti
collaterali. Qualsiasi farmaco immunosoppressore, infatti, presenta effetti collaterali che
influiscono pesantemente sulla qualità della vita di un paziente trapiantato. Il piø grosso
problema è che questi farmaci inibiscono in modo indiscriminato tutte le risposte immunitarie,
aumentando il rischio di sviluppare infezioni e tumori. Inoltre, molti di essi possono risultare
tossici per l’attività di alcuni organi, come reni e fegato (Janeway et al, 2005).