2
e di una posizione critiche precise, parlare di progetti e pensieri per questo gruppo
suggerisce un’altra questione relativa al tipo di indagine che ne è stata svolta.
Innanzitutto, questo titolo ha già una propria storia: esso era infatti stato utilizzato dal
Superstudio stesso per un proprio articolo che era uscito nel 1969, sulla rivista
“Domus”. In questo testo, Superstudio aveva infatti unito ad una presentazione scritta
del proprio lavoro alcune immagini destinate a chiarire e a mostrare al pubblico il
proprio modo di intendere l’architettura ed il design. A soli tre anni dalla propria
formazione dunque, il gruppo aveva già definito non solo i pensieri ovvero le proprie
basi teoriche, ma anche i progetti ovvero la propria metodologia operativa,
presentandola con disegni ed immagini già ad un notevole livello di elaborazione e
complessità.
D’altra parte questo articolo non costituiva affatto un episodio isolato nella storia del
gruppo, tutt’altro: Superstudio ha lasciato infatti un incredibile archivio di testi e di
riflessioni, da accompagnare ai propri altrettanto innumerevoli progetti e disegni.
Proprio questo aspetto, ovvero il rapporto stretto che intercorre fra i progetti e i pensieri
del gruppo, ovvero fra la pratica e la teoria, fra l’architettura ed il design e le riflessioni
sulla architettura e sul design, è una delle caratteristiche direi basilari del Superstudio e
anche dell’avanguardia radicale. La parola diventa tutt’uno con l’immagine, il racconto
con l’architettura, la frase lapidaria od il breve commento lirico con il design. Questo è
il modo di procedere del Superstudio: la dichiarazione dei propri obiettivi innanzitutto,
poi dei propri metodi, delle proprie scelte, delle proprie posizioni anche ideologiche,
filosofiche oltre che artistiche, architettoniche e progettuali, è una caratteristica costante
della sua storia e della sua presenza nella storia dell’architettura e del design
contemporanei.
Unire i propri pensieri ai propri progetti, presentarsi e presentare i propri lavori con testi
e manifesti legati al modus operandi di alcune avanguardie, ha accomunato questo
gruppo ad una serie di altri esponenti italiani ed internazionali, definiti come
avanguardia radicale: rimando al dibattito critico l’approfondimento di questo discorso,
ritenendo quindi anche comprensibile e giustificabile l’approccio ed il metodo che io
stessa ho intrapreso nell’indagine.
3
Nel dibattito critico infatti, accanto al recupero ed alla lettura degli interventi e delle
teorie che sono stati formulati sul Superstudio fino ai giorni nostri, ho cercato di
presentare, intrecciandoli e concatenandoli il più possibile, i discorsi e gli interventi che
contemporaneamente la critica formulava e produceva sulla avanguardia radicale
generalmente intesa; a questi due livelli di analisi, diventava essenziale unire la lettura
dei discorsi e degli interventi che Superstudio stesso aveva formulato.
La scelta di affrontare in questi termini la storia della fortuna critica del gruppo è stata
quasi obbligata: man mano che procedevo nella raccolta e nella lettura degli interventi
critici, mi rendevo conto che diventava sempre più necessario analizzarli insieme ai
pensieri scritti e pubblicati dal gruppo stesso.
In molti suoi interventi vengono alla luce numerose informazioni che il gruppo sentiva
necessario dare su di sé, sulla propria attività, sulle proprie finalità. Proprio questa
urgenza di fare chiarezza, di spiegare e di spiegarsi, rende Superstudio un gruppo
d’avanguardia. Le dichiarazioni, i pensieri, le riflessioni, ma anche le semplici
enunciazioni teoriche hanno uno stile ora oscuro, a volte criptico, ora lirico, a volte
aggressivo, spesso provocatorio, teso a suscitare reazioni forti nel lettore e nel critico, a
stuzzicare o scatenare dibattiti, inchieste, posizioni e giudizi contrastanti.
Questa è stata la peculiarità del Superstudio e dell’avanguardia radicale: stimolare la
critica e mettersi in gioco proponendosi come critici di se stessi, attraverso interventi
sulle riviste, attraverso vicendevoli accuse, provocazioni ed attacchi irrispettosi.
Superstudio è stato, per scelta e per metodo, uno dei gruppi più prolissi e più coinvolti
nella pratica della scrittura, più attenti nell’uso dell’enorme laboratorio linguistico e
narrativo che, proprio a partire dagli anni sessanta, si sarebbe arricchito grazie ai nuovi
mass media ed alle contemporanee trasformazioni socio-culturali.
Questa serie di scritti, racconti, commenti ed interventi del Superstudio, ci è inoltre
pervenuta spesso in diverse versioni, da quella estesa per un articolo, a quella ridotta
per un catalogo, a quella modificata anche concettualmente per un inserto pubblicitario;
un altro lavoro che andrebbe affrontato è quello di una corretta e attenta ricostruzione
filologica delle versioni originali dei loro testi e dei loro scritti, da condursi
contemporaneamente ad una corretta ricostruzione cronologica della produzione dei
loro testi.
4
Nel dibattito critico io stessa ho cercato, dove possibile, di ricostruire e di verificare
l’originaria provenienza dei loro scritti e dei loro interventi critici ed autocritici, ma
anche di rapportarli a quelli degli altri esponenti della avanguardia radicale e della
critica stessa.
Questo dibattito critico dunque diventa anche racconto della storia del Superstudio,
analisi della sua ideologia, ricostruzione del suo percorso, presentazione del suo
concetto di architettura e di lavoro. Spero tuttavia di essere riuscita a tenere distinti i due
ambiti, quello della critica e quello del Superstudio, ma anche di averli saputi intrecciare
e mettere in relazione quando era necessario, o quando più stretti diventavano i rapporti
e gli stimoli fra chi progettava e chi commentava, fra chi proponeva e chi giudicava.
Il dibattito critico coprirà quindi gli anni 1966-1978 del Superstudio, ma anche gli anni
1966-1978 della critica sul Superstudio che verrà analizzata poi fino agli ultimi
contributi ed alle ultime direzioni di ricerca.
Alla luce del dibattito critico, dei pensieri e dei relativi progetti che Superstudio aveva
realizzato fino al 1978, diventava per me sempre più improrogabile una ulteriore ricerca
sulla fase della formazione e sul background del Superstudio, sulle sue origini e sulle
sue primissime ricerche, nonché sui suoi primi modelli e strumenti d’indagine. Questa è
sostanzialmente la materia della parte seconda, destinata ad aprire ulteriori dibattiti e
nuove questioni critiche: solo così sarà infatti possibile ricostruire anche la storia dei
progetti e dei pensieri di questo gruppo radicale, e ripercorrerla con maggiori certezze e
completezza.
5
PARTE PRIMA: IL DIBATTITO CRITICO.
I. LA FINE DEGLI ANNI SESSANTA E LE ORIGINI DEL DIBATTITO
CRITICO SUL SUPERSTUDIO.
1. Gli anni 1966-1968: dalle mostre Superarchitettura ai primi articoli sul
Superstudio.
Il gruppo Superstudio nasceva fra il dicembre 1966 e il 1970 dall’unione di cinque
giovani neo laureati alla facoltà di Architettura di Firenze: Adolfo Natalini, Cristiano
Toraldo di Francia, Gian Piero Frassinelli, Alessandro e Roberto Magris.
L’atto di nascita del Superstudio era stato abbastanza anomalo: Adolfo Natalini,
laureatosi nel giugno 1966
1
, in occasione di una piccola mostra che la galleria di Pistoia
Jolly 2 – presso la quale aveva già esposto come pittore – gli aveva chiesto di
organizzare, aveva proposto di parteciparvi anche ad altri suoi colleghi dell’università,
quali Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Massimo Morozzi e Paolo Deganello, che
avevano accettato. Poiché questi si erano uniti in un unico gruppo, chiamandolo
Archizoom, Natalini aveva deciso che, contestualmente al titolo Superarchitettura
scelto per la mostra, si sarebbe dato anch’egli uno pseudonimo, appunto quello di
Superstudio.
Solo nel marzo 1967, in occasione di una seconda mostra che era stata commissionata
ad Andrea Branzi, già nel gruppo Archizoom, presso la galleria comunale di Modena,
Superstudio alias Natalini, cui era stato chiesto di partecipare alla mostra dallo stesso
Branzi, si arricchiva della presenza di Toraldo di Francia, il secondo giovane architetto
dunque entrato nel gruppo.
Anche questa seconda mostra veniva intitolata Superarchitettura, in quanto si
presentava per le opere esposte come chiara continuazione della prima
2
.
1
Adolfo Natalini era stato il primo membro del Superstudio a laurearsi nel giugno 1966 con il professore
Leonardo Savioli che insegnava Architettura degli Interni I: il giovane architetto aveva presentato per la
tesi di laurea il progetto di un Palazzo dell’arte a Firenze.
2
Nel 1974, Navone e Orlandoni ricordavano che i progetti e le dichiarazioni programmatiche in questione
erano di reperimento molto difficoltoso, in quanto la loro pubblicazione era avvenuta sul manifesto della
mostra di Superarchitettura di Modena (1967) ed era praticamente irreperibile. Per quello che riguarda il
testo essi rimandavano alle citazioni del loro saggio ed alle note relative 12, 19, 20 e 21. Per la visione
dei progetti i due critici rimandavano alla pagina 109 del loro testo ed allo stesso articolo di “Casabella”
6
I primi due eventi cui partecipava il gruppo Superstudio e nei quali addirittura si
formava, grazie all’unione fra Natalini e Toraldo di Francia, sarebbero però passati
assolutamente sotto silenzio dal punto di vista della critica, al di là di qualche notizia
locale
3
.
Di fronte ad una totale mancanza di date e di indicazioni certe, Natalini ha recentemente
ricostruito le vicende retrostanti a queste due mostre, ricordando innanzitutto che nel
1966 la galleria Jolly 2 di Pistoia gli aveva chiesto in realtà di organizzare una mostra di
pittura, in quanto nel 1964 il futuro fondatore del Superstudio, originario di Pistoia,
aveva già esposto con successo in questa sede come pittore della cosiddetta Scuola di
Pistoia
4
. Ma nel 1966 Natalini si era laureato come architetto, aveva abbandonato lo
1972, n. 366. (Vedere P. Navone, B. Orlandoni, Architettura radicale, Milano 1974, pp. 86-87). Il
manifesto della prima mostra Superarchitettura era stato pubblicato poi in diversi testi, oltre che su
Architettura radicale di Navone e Orlandoni.
Una delle più recenti pubblicazioni di questo manifesto si trova sul catalogo Radicals architettura e
design 1960-1975 a cura di Pettena; le parole sono tutte in carattere tondo minuscolo, comprese le iniziali
dei nomi degli autori, della galleria, della via, della città stessa. (In Radicals architettura e design 1960-
1975, a cura di G. Pettena, catalogo della VI Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di
Venezia, Venezia, Giardini di Castello, 15 settembre – 17 novembre 1996, Venezia 1996, p. 40).
Era stato merito della mostra Continuità. Arte in Toscana 1968-1989 avere esposto insieme i due
manifesti delle mostre Superarchitettura, nonché le foto dei due allestimenti e quella della maquette del
corridoio della galleria di Pistoia arredato con prototipi e decorazioni parietali di derivazione pop, ed
infine, benché non leggibile, il famoso foglio con le didascalie e le piccole illustrazioni dei dieci progetti
fra cui quelli architettonici di sistemi industriali e di strutture urbane (in Continuità. Arte in Toscana
1968-1989, a cura di D. Soutif, catalogo della mostra Continuità. Arte in Toscana 1968-1989, Pistoia,
Palazzo Fabroni, 24 febbraio-9 giugno 2002, Pistoia 2002, pp. 132-133 per le immagini pubblicate e p.
158 per i dati d’archivio e di reperimento del materiale).
Da ricordare anche la mostra Les années pop, citata a p. 158 dello stesso catalogo Continuità, realizzata al
Centre Pompidou di Parigi dal 15 marzo al 2 luglio 2001, in cui fra le opere dell’anno 1966 erano stati
pubblicati: il manifesto della prima mostra Superarchitettura e la veduta della stanza e del corridoio
(immagini 66. 47 e 66.48, catalogo Les années pop, sous la direction de M. Francis, catalogue des
exposition Les années pop, Paris, Centre George Pompidou, Galerie 1, 15 mars-18 juin 2001, Paris 2001,
catalogo non paginato).
3
La ricostruzione dei primi anni di attività del Superstudio e delle prime loro apparizioni pubbliche mi è
stata possibile solo grazie al colloquio che ho avuto con Adolfo Natalini il 5 giugno 2003. Di fronte alla
grande difficoltà infatti di reperimento del materiale soprattutto per queste prime due mostre, Natalini ha
cercato di colmare le mie lacune ricordandomi che fino al 1969 pochissime erano state le attenzioni nei
confronti del suo gruppo: addirittura egli ha messo in forse la presenza di articoli anche brevi sulla stampa
locale in occasione di queste due mostre Superarchitettura. A riprova di tali affermazioni è anche il
recentissimo catalogo Superstudio: Life Without Objects, realizzato in occasione della mostra omonima
sul gruppo: è questo il primo tentativo della critica di affrontare anche gli anni 1966-1968 del Superstudio
stesso, di ricostruirne le tappe in modo filologicamente corretto e senza sfalsamenti temporali. (Vedere
Superstudio: Life Without Objects, catalogue of the exhibition Superstudio: Life Without Objects,
organised by P. Lang e W. Menking, London, Design Museum, 31 March-8 June 2003, London 2003);
per il discorso sui primi anni le mie ricerche hanno trovato conferma da quanto detto da P. Lang e W.
Menking nel saggio introduttivo, Only Architecture Will Be Our Lives, pp. 11-32: significativo il fatto che
anche i due autori hanno dovuto intervistare Natalini (nel dicembre 2002) per ricostruire questi primi
anni.
4
La formazione di Natalini come pittore era infatti avvenuta con Roberto Barni, Gianni Ruffi e solo
marginalmente Umberto Buscioni a Pistoia: i quattro artisti, che realizzavano nei primi anni sessanta
7
studio di pittura che aveva con Barni e Ruffi a Pistoia e aveva deciso di organizzare una
esposizione di oggetti e di arredamento d’ambienti, forse anche a causa della presenza
di altri giovani architetti fiorentini che Natalini aveva voluto con sé, quali Branzi,
Deganello, Morozzi e Corretti.
In occasione della prima mostra Natalini aveva realizzato artigianalmente un manifesto
sul quale era stata dichiarata la formazione dei due gruppi:
“La superarchitettura è l’architettura della superproduzione, del
superconsumo, della superinduzione al superconsumo, del supermarket, del
superman e della benzina super. È una mostra di “archizoom” e
“superstudio” (Branzi, Corretti, Deganello, Morozzi e Natalini) alla
galleria Jolly 2, via s. Bartolomeo 17, Pistoia, dal 4 al 17 dicembre 1966” .
Anche per la mostra di Modena Natalini aveva avuto il compito di realizzare il
manifesto. In questa seconda esposizione era stata stampato inoltre un altro foglio su cui
erano state riprodotte le immagini e le relative didascalie delle dieci maquettes di
strutture e di sistemi d’architettura e di urbanistica presentate alla mostra e realizzate
anche anni prima dai giovani partecipanti.
2. I molteplici percorsi intrapresi dal Superstudio.
Ricostruire le vicende della fortuna critica di un gruppo di giovani architetti quale
quello del Superstudio, la cui attività iniziava in un decennio ricco di eventi e di
rivoluzioni anche culturali e artistiche quale quello degli anni sessanta, potrebbe
presentare non poche difficoltà e dispersioni se si volessero considerare
contemporaneamente anche i vari percorsi e le diverse sperimentazioni artistiche ed
architettoniche con i quali il gruppo avrebbe potuto essere entrato in contatto ed avere
intrapreso.
Per una maggiore organicità e chiarezza ho così stabilito di analizzare nella seconda
parte della mia trattazione il tipo di studio che Superstudio ha affrontato sia nei
opere pittoriche legate al linguaggio della pop art, verranno identificati e battezzati dal critico Cesare
Vivaldi in un unico gruppo, appunto la Scuola di Pistoia (Vedere C. Vivaldi, La Scuola di Pistoia, in
“Nac” 1973, n. 1, p. 13; sui rapporti fra Natalini e la Scuola di Pistoia rimando sia al colloquio che ho
avuto con Natalini nel giugno 2003, sia al catalogo Adolfo Natalini Architettore, a cura di V. Fagone e A.
Natalini, catalogo della mostra Adolfo Natalini Architettore, Lucca, complesso monumentale di San
Micheletto, 26 novembre 2002-23 gennaio 2003, Lucca 2002).
8
confronti della pop art, sia dell’architettura megastrutturale, sia di quella monumentale,
tanto per citare solo tre fasi e tre argomenti di ampissima risonanza critica che sono
passati anche al vaglio del nostro gruppo fiorentino. Oltre alla sperimentazione di tali
linguaggi – e di molti altri, come si vedrà – nella seconda parte della mia trattazione
verranno analizzati anche criticamente gli anni universitari del gruppo ed i rapporti avuti
con docenti del calibro di un Savioli, di un Ricci, di un Quaroni e di un Benevolo, il cui
insegnamento e la cui personalità hanno esercitato influssi diversi sui vari componenti
del gruppo singolarmente presi.
A questo poi sarebbero da unire considerazioni e letture critiche anche sulla generazione
giovanile degli anni sessanta e settanta, sul linguaggio di questa, sulla sua formazione
ma anche sulla sua produzione culturale, in quanto gli stessi giovani del Superstudio
facevano logicamente parte di questa categoria sociale: un'altra questione che sarà
indagata appunto nella seconda parte, dove cercherò, una volta approfonditi tali
argomenti ed alcuni altri, di trarre delle conclusioni sul periodo di formazione di questo
gruppo e su quanto gli anni della formazione abbiano potuto incidere sulla sua fase
successiva e matura, dei progetti e dei pensieri più noti e commentati.
In quest’ambito invece vorrei cercare di ripercorrere e di analizzare le letture e gli
interventi critici specificamente rivolti al Superstudio a partire dalle sue prime
apparizioni, accompagnandoli con le letture dei loro stessi testi e delle loro riflessioni.
3. La mostra Ipotesi di spazio del 1968 e le origini dell’attenzione critica sul
Superstudio: il ruolo di Lara Vinca Masini.
Nello stesso lasso di tempo in cui si svolgevano le due mostre Superarchitettura,
Leonardo Savioli, il professore di Architettura degli Interni I nell’anno accademico
1966-1967 presso la facoltà di architettura di Firenze, con il quale ricordo che Natalini
si era laureato nel giugno 1966, aveva permesso ai propri studenti e assistenti, con
l’apporto di collaboratori esterni, di esporre in una mostra una serie di progetti
architettonici eseguiti dai suoi allievi durante il corso Spazio di coinvolgimento tenuto
durante l’anno accademico 1966-1967.
L’esposizione era avvenuta nel 1968, nel mese di febbraio, presso il Centro Gavina di
Firenze, in collaborazione con un altro Centro, il Centro Proposte, che a Firenze
9
lavorava in quegli anni in modo sperimentale, favorendo la diffusione e la conoscenza
delle nuove proposte e dei nuovi movimenti in ambito artistico e architettonico che
proliferavano in quegli anni, sia attraverso l’allestimento di mostre itineranti e locali, sia
grazie ad una intensa attività editoriale tesa alla pubblicazione di cataloghi delle stesse
mostre che a partire dal 1966 il Centro organizzava a Firenze e in giro per l’Italia
5
.
Rispetto al silenzio sotto il quale erano passate le due mostre Superarchitettura del 1966
e del 1967, l’ambiente fiorentino non era sordo alle iniziative in ambito artistico ed
architettonico che a partire dalla seconda metà degli anni sessanta iniziavano ad essere
numerose ed innovative
6
.
Nello specifico, fin da questi primi anni di attività del Superstudio proprio
l’organizzatrice del Centro Proposte Lara Vinca Masini svolgeva infatti un ruolo
centrale nel promuovere e nel diffondere i loro lavori e la poetica ad essi retrostante
7
. Il
Centro Proposte di Firenze iniziava la propria attività nel 1965: la coordinatrice ed
organizzatrice di mostre e di manifestazioni, nonché curatrice ed autrice dei rispettivi
cataloghi e monografie pubblicati molto assiduamente dal Centro stesso, era proprio
Lara Vinca Masini.
Fra queste pubblicazioni e manifestazioni, da ricordare per il discorso sul Superstudio la
pubblicazione di una monografia su Savioli nel dicembre 1966 in 1400 esemplari,
curata da Argan
8
, in cui si facevano già evidenti gli interessi della Masini per l’attività
di ricerca e di sperimentazione seguita da questo professore e trasmessa ai suoi allievi
nella facoltà di Architettura di Firenze durante gli anni sessanta.
Nel 1973 sarebbero stati poi in preparazione due testi relativi alle ricerche di un altro
professore del Superstudio, Leonardo Ricci: uno sul concetto di Città territorio, ed un
5
Sulla attività di questo Centro Proposte vedere l’articolo scritto dalla stessa organizzatrice Lara Vinca
Masini, Centro Proposte, in “Nac” 1973, n. 1, p. 12.
6
In “Nac” 1973, n. 1, veniva dedicato un ampio inserto centrale alle iniziative e alle nuove associazioni in
ambito artistico ed architettonico che venivano a profilarsi a Firenze ed in Toscana: Arti visive in
Toscana. Cronistoria 1947-1972, pp. 8-32.
7
Segretaria di redazione di “Selearte” e di “Criterio”, direttrice delle edizioni del Centro Proposte di
Firenze, la critica nel 1966 aveva già lavorato in diversi ambiti ed ambienti della promozione artistica
nella città di Firenze: all’interno della equipe di “Quadrante”, un gruppo di promozione e di ricerca
artistica sorto a Firenze nell’autunno del 1958 il cui nome derivava dalle esposizioni svolte presso la
galleria Quadrante a Firenze, galleria che ospitò l’equipe a partire dal 1961: la Masini qui svolgeva il
ruolo di critica, insieme ad altri esponenti della città di Firenze e non, che collaborarono ad un bollettino
della stessa equipe pubblicato regolarmente dal 1961 al 1964. (Dati tratti da A. Bueno, L’Equipe di
“Quadrante”, in “Nac” 1973, n. 1, p. 10).
8
Leonardo Savioli, a cura di G. C. Argan, Firenze 1966.
10
altro sulle Ricerche sulla Valle dell’Arno, entrambi risultanti dalle ricerche svolte dal
professore con i propri studenti.
Questi interessi manifestati dalla critica Lara Vinca Masini nei confronti delle ricerche
universitarie dei docenti Savioli e Ricci rappresentavano dunque il punto di partenza di
quelli coltivati nei confronti dei loro allievi Natalini, Toraldo, Frassinelli, Alessandro e
Roberto Magris, ovvero dei futuri membri del Superstudio.
Torniamo al secondo momento in cui Natalini, già stabilmente formatosi il Superstudio,
entrava in contatto con il pubblico e la critica del tempo, ovvero in occasione della
suddetta mostra al Centro Gavina di Firenze.
Sulla rivista “Casabella” 1968, n. 326, veniva pubblicato un articolo in cui si
riproducevano i progetti presentati alla mostra del febbraio 1968 Ipotesi di spazio oltre
ai due saggi di Adolfo Natalini e di Leonardo Savioli in cui venivano analizzati una
serie di argomenti specifici affrontati durante il già citato corso Spazio di
coinvolgimento: un resoconto sulle ricerche del rapporto fra arti visive e architettura
scritto da Natalini (che dal 1966 era diventato assistente volontario di Savioli), e
un’analisi di Savioli destinata a spiegare i parametri della ricerca di un nuovo tipo di
rapporto fra l’utente e lo spazio instauratosi attraverso la progettazione di un locale di
svago e di spettacolo
9
.
9
Le date riguardanti le varie pubblicazioni possono dare un quadro completo della divulgazione di questa
esperienza che vedeva coinvolto in qualità di assistente lo stesso Natalini:
• Febbraio 1968: mostra Ipotesi di spazio, esposizione dei progetti del corso Spazio di
coinvolgimento organizzata dal Centro Proposte, in collaborazione con il Centro Gavina di
Firenze;
• 1968: realizzazione del catalogo della mostra Ipotesi di spazio, a cura di L. Savioli, Firenze,
edizioni Centro Proposte;
• Sulla rivista “Casabella” 1968, n. 326, pp. 32-45, veniva pubblicato l’articolo Spazio di
coinvolgimento, scritto da A. Natalini e L. Savioli che firmavano rispettivamente gli interventi
Arti visive e spazio di coinvolgimento e Per un nuovo rapporto tra l’utente ed il suo spazio;
l’articolo veniva completato dalla pubblicazione di alcuni dei progetti che già erano apparsi sul
catalogo del 1968, edito dal Centro proposte;
• 1972: realizzazione e pubblicazione del nuovo catalogo Ipotesi di Spazio, a cura di L. Savioli, L.
V. Masini, D. Santi, A. Natalini, R. Merlo, P. Luigi Marcaccini, L. Cremonini, A. Breschi,
ampliato con la pubblicazione di alcuni progetti per tesi di laurea degli anni 1968-1969-1970,
edizioni G&G, Firenze, 1972. Una nuova edizione dunque, “ampliata ed aggiornata”, sei anni
dopo il corso di Savioli:
“(…) A quattro anni di distanza, dopo le rivolte studentesche del 1968 e di quest’anno, in
un’epoca dove le ricerche si consumano più rapidamente degli oggetti prodotti tanto da
essere obbligati a gettarne l’eccedenza nella spazzatura, viene da domandarsi sulla
validità odierna di quella esperienza. (…) A quattro anni di distanza, dopo aver
11
4. Il ruolo delle riviste quali veicoli di divulgazione e di analisi critica del
Superstudio: l’anno 1969.
Nel periodo in cui si costituiva il Superstudio, venivano a formarsi altri gruppi di
giovani interessati alla sperimentazione dei nuovi linguaggi e delle stimolanti ricerche
artistiche ed architettoniche nazionali ed internazionali che in quegli anni continuavano
a rinnovarsi e a proporsi anche sulla scena italiana attraverso canali disparati, dalle
mostre agli happenings ai nuovi mass media.
Una funzione direi fondamentale veniva svolta nella diffusione di tali linguaggi ed
esperienze dalle riviste specializzate di arte e di architettura, a partire dalla stessa
“Casabella” che nel 1968 aveva pubblicato l’articolo suddetto sulla mostra Ipotesi di
spazio relativa al corso Spazio di coinvolgimento.
Il compito svolto da riviste italiane come “Domus”, “Casabella”, “Op. cit.”, “Modo” ed
“In” non era solo quello di divulgare tali esperienze, ma anche – in modo diverso e con
maggiore o minore tendenza all’approfondimento – di favorire la nascita e lo sviluppo
di dibattiti, di confronti, di schieramenti, di discussioni sia fra gli stessi giovani gruppi
ed esponenti del panorama artistico ed architettonico contemporaneo, sia fra questi e la
critica ufficiale, sia fra questi e artisti già affermati.
Altrettanto importante poi era stato il ruolo svolto da altre testate internazionali, da
“Architectural Design” a “Design Quarterly” a “The Japan Architect”, ai fogli specifici
auto-prodotti da alcuni gruppi del momento, quale il famoso “Archigram”, o quelli della
cosiddetta stampa alternativa, da “Oz” a “Pianeta Fresco” a “Urlo Beat”, sui quali le
nuove esperienze artistiche ma anche architettoniche trovavano spazio e considerazione
critica particolare, accanto alla presenza dei testi di poesia e di letteratura beat.
Una breve carrellata sul panorama di tali riviste potrebbe forse fare maggiore chiarezza
almeno in questa fase iniziale e completare il complesso quadro che sto cercando di
tracciare sui canali di diffusione della poetica e della prima attività del Superstudio.
riesaminato con cura quei progetti e modelli, sono convinto dell’utilità, necessità e verità
di quella ricerca (…)”
(Da L. Ricci, Presentazione cit. , p. 2).
12
Nel 1963 nasceva “Marcatre” che vedeva riuniti, attorno a Eugenio Battisti,
intellettuali, artisti, critici e architetti, nel tentativo di rinnovare la ricerca metodologica
in senso interdisciplinare.
Era questo un obiettivo che determinava anche la forma peculiare di “Op. cit.”, fondata
a Napoli da Renato De Fusco nel 1964: ma la prima era caratterizzata, rispetto alla
seconda, caratterizzata da una rigorosa veste formale che si traduceva in una semplice
trattazione scritta dei temi affrontati, da una struttura aperta che univa testo e grafica,
anticipatrice di quella delle successive riviste della seconda metà degli anni sessanta e
della stampa alternativa.
Sempre nel 1963 riprendeva l’esperienza di “Edilizia Moderna” (conclusasi nel 1968)
diretta da Franco Isalberti e ispirata da Vittorio Gregotti che da solo o in collaborazione,
avvalendosi della grafica di Michele Provinciali, realizzava una serie di nove numeri
monografici, fra i quali il n. 81, su Novecento e l’architettura, il n. 85, sull’ Industrial
design ed il n. 87-88, sulla Forma del territorio.
Il terreno sul quale era stata calata l’esperienza di Archigram in Italia, per esempio, era
stato preparato in parte dalla rivista di “Edilizia Moderna” gestione Gregotti, ma
soprattutto dalla rivista della neoavanguardia “Marcatre” che in questi primi anni
sessanta iniziava una rilettura delle stesse avanguardie storiche, in architettura
soprattutto quella costruttivista e futurista, unendo tale sforzo d’analisi alla
comparazione delle strutture comunicative di linguaggi diversi, da quelli dell’arte
classica e barocca a quello dei fumetti, sino a quelli delle neoavanguardie in pittura,
poesia, musica, teatro, i dibattiti e le indagini sulla scienza, la tecnologia, i processi di
consumo-obsolescenza
10
. A titolo esemplificativo vorrei ricordare che tra il 1967 e il
1968 “Marcatre” pubblicava, abbastanza esattamente, i progetti e le ricerche del gruppo
Archigram. Negli articoli di Pizzinato e Villa che commentavano i lavori di questo
gruppo, veniva puntualizzato innanzitutto il significato delle loro immagini basate sul
rapporto tecnologia-iconografia urbana, rese nella loro dimensione fondamentale: quella
della produzione di massa e della cultura di massa. I due autori arrivavano a sottolineare
10
Queste le pubblicazioni principali di “Marcatre” fra il 1967 e il 1968:
• P. Pizzinato, M. Villa, Anni ’60: architettura come sospensione del senso, in “Marcatre” n. 37-
40, 1968;
• UFO, Effimero urbanistico scala 1/1, in “Marcatre” 1968, n. 37-40;
• UFO, Urboeffimeri avvenenti scala 1/1, in “Marcatre” 1968, n. 41-42;
• Amirpour, Bracci, Gorelli, Maschietto, Il restauro dell’utenza, in “Marcatre” 1968, n. 46-49.
13
che in Archigram all’elemento razionale del sistema si contrapponeva cioè la
componente irrazionale, ovvero: alla tecnologia si contrapponeva il fumetto, oltre
l’elasticità grandissima della struttura, analogamente alla ideologia consumistica
applicata a tutte le scale, dall’oggetto singolo al tessuto urbano
11
. Pizzinato e Villa
inquadravano gli Archigram nella cultura della pura contestazione: necessariamente, i
due critici sottolineavano che in una condizione neotecnica non era possibile formulare
un progetto di alternative se non portandolo alla radicalizzazione, all’estremismo, alla
negazione. La posizione di Archigram prevedeva necessariamente una sospensione del
senso: era questo ciò che per i due autori dovevano provocare il nuovo intellettuale ed
artista, per i quali l’oggetto architettonico e tutta l’arte avrebbero dovuto essere attuabili
non più in vista di qualcosa, ma in funzione di qualcosa
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.
Per concludere il panorama sulle riviste italiane di architettura e design degli anni in cui
operava la neoavanguardia architettonica, dal 1966 usciva anche “Ottagono”, con la
direzione di Sergio Mazza e Giuliana Gramigna: questa rivista avrebbe svolto un
programma di documentazione, non scevro di approfondimenti critici, sul design ma
anche sulla architettura, sull’arte, sulla grafica e sull’allestimento di interni.
Dal 1964 all’internazionale “Zodiac”, diretta dal 1960 da Pier Claudio Santini, e dal
1968 da Renzo Zorzi, si affiancava “Lotus”, fondata da Bruno Alfieri e concepita come
una rassegna annuale di progetti e di realizzazioni architettoniche italiane e straniere.
Già dal 1965 la rivista “Casabella” veniva completamente rinnovata, nei contenuti,
nella grafica e nel formato, con la direzione di Gian Antonio Bernasconi, attraversando
una fase di assestamento e di elaborazione di una nuova identità che sarebbe stata
evidente solo dal 1971, con la direzione di Alessandro Mendini che peraltro era già
presente, insieme a Giovanni Klaus Koenig come condirettore, nella redazione di
Bernasconi. Confluivano in “Casabella” di Mendini anche le tematiche beat che erano
state anticipate dalla rivista “Pianeta Fresco”, auto edita da Ettore Sottsass e da
Fernanda Pivano nel 1967 e uscita nei numeri 1 e 2 nel 1967 e nel 1968, diventando la
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P. Pizzinato, A. Villa, Archigram, in “Marcatre” 1967, n. 34-35-36.
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P. Pizzinato, A. Villa, Anni ’60: Architettura come sospensione del senso, in “Marcatre” 1968, n. 37-
38-39-40. Le pubblicazioni dei fogli di “Archigram” continuavano poi anche sulla rivista di “Casabella”,
sotto la direzione di Alessandro Mendini, a partire dall’anno 1972, numeri 372 e 373.
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rivista di una avanguardia di massa, portavoce della protesta e della controcultura degli
anni settanta
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.
La distruzione degli schemi disciplinari ritenuti sclerotizzati, la teorizzazione di utopie
globali architettoniche, urbanistiche, ambientali e comportamentali, la dichiarazione
della necessità di una trasformazione radicale e dal basso, dal disegno degli oggetti,
erano solo alcuni dei temi che sarebbero stati affrontati su “Casabella” dal 1971 fino al
1977, quando la direzione passava a Tomàs Maldonado e veniva programmaticamente
abbandonato lo status di rivista di architettura, per svolgere analisi e sondaggi sulla
cultura materiale contemporanea.
Altra rivista importante, ma dall’impostazione differente, era la “Domus” diretta negli
anni Sessanta da Lisa Licitra Ponti e successivamente da Cesare Casati: su questa era
possibile trovare un costante aggiornamento mensile sul panorama del design e della
architettura, sulle manifestazioni, i congressi, le mostre e i concorsi indetti in Italia ed
all’estero.
A partire dal 1969 usciva poi la rivista “Controspazio”, diretta da Paolo Portoghesi con
Ezio Bonfanti, giovane allievo di Rogers, in redazione fino al 1973, rivista destinata a
restituire lungo tutti gli anni settanta le pulsioni contraddittorie, le aperture e gli
arroccamenti della cultura architettonica italiana. “Controspazio” diventava così il luogo
di ricerca e di produzione teorica, ma anche di polemica, di riflessione sul ruolo dei
maestri della prima generazione, quali Mario Ridolfi, Giuseppe Samonà, Ludovico
Quaroni, e sul lavoro della generazione di mezzo, di documentazione e di analisi sia
dell’effettiva incidenza della architettura realizzata sui tessuti ambientali e sociali, sia
della cosiddetta architettura interrotta destinata a non trovare compimento nel processo
costruttivo, prestando attenzione anche al mondo della università.
Altre importanti iniziative editoriali erano: “Contropiano”, nata da Alberto Asor Rosa,
da Massimo Cacciari e da Toni Negri, dal 1968 al 1971, in cui Tafuri ed altri allievi
dell’Istituto di Storia dell’Architettura scrivevano le pagine famose Per una critica
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“Pianeta Fresco” pubblicava una serie di articoli di presentazione di alcuni progetti di Archizoom, ma
non di Superstudio:
• E. Sottsass jr., Nuovi mobili: gli Archizoom “ Gazebo’s inc. export-import”, in “Pianeta fresco”
1967, n. 1;
• E. Sottsass jr., Pianeta fresco, in “Pianeta fresco” 1967, n. 1;
• Archizoom, Il teatro impossibile, in “Pianeta fresco” 1968, n. 2-3;
• E. Sottsass jr., Pianeta fresco, in “Pianeta fresco” 1968, n. 2-3.
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dell’ideologia architettonica
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; sempre a Venezia, dal 1970 al 1973, lo IUAV
pubblicava inoltre i quaderni del “Gruppo di architettura per una ricerca di
progettazione”, risultati di ricerche, seminari, corsi incentrati sul rapporto fra città
contemporanea ed abitazione; a Bologna nasceva invece “Parametro”, nel 1970,
attorno a Giorgio Trebbi e Glauco Gresleri, destinata a verificare condizioni ed esiti di
progetti architettonici con indagini a tutto campo.
Ultima rivista importantissima era “In” fondata nel 1969 da Pierpaolo Saporito con
Paolo Scheggi, Vittorio Cosimini e Ippolito Calvi, destinata a trattare in modo
interdisciplinare architettura e design. All’inizio degli anni settanta la rivista, con la
redazione di Ugo La Pietra, curava una serie di numeri dedicati proprio ad alcune
tematiche appartenenti ai movimenti della nuova avanguardia architettonica italiana ed
internazionale, con la collaborazione di Archizoom e di Superstudio.
5. La rivista “Casabella”.
A questo punto può essere interessante seguire il processo di trasformazione di questa
rivista negli ultimi anni sessanta.
Analizzando retrospettivamente il cambiamento di indirizzo cui era stata sottoposta
“Casabella” a partire dal 1964-1965, in un numero monografico del 1978, Muratore
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ne
collocava la trasformazione nel più ampio clima degli anni sessanta, indicandola come
episodio paradigmatico di un periodo iniziato nel 1964 e caratterizzato da grandi
cambiamenti nazionali, sociali, politici, economici e culturali. D’altra parte, proprio i
temi e i problemi dibattuti dalla rivista si ripercuotevano anche in certi ambienti della
finanza e dell’economia milanesi, suscitando imbarazzi e posizioni scomode tali da non
consentire un ulteriore proseguimento di quella intesa, sia pure tacita e inespressa, che
aveva comunque consentito ad una rivista ormai decisamente impegnata su tematiche di
“sinistra” di sopravvivere nel cuore stesso della città più opulenta d’Italia.
Quale altra via per un editore-imprenditore, si chiedeva Muratore, se non quella di
rinnovare la testata con un radicale azzeramento e con l’invenzione di una nuova rivista
che praticamente cancellasse l’immagine stessa della precedente?
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Pagine diventate libro nel 1973: M. Tafuri, Progetto e utopia, Bari 1973.
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G. Muratore, Tra ipotesi tecnologica e crisi della progettazione.“Casabella” 1965-1970, in
“Casabella” 1978, n. 440-441, pp. 92-96.