2
consistenti sin dal XVIII secolo risiede nella prematurità della neurologia e della psicologia come
vere e proprie scienze accreditate. Si dovranno quindi attendere i loro sviluppi, per poi arrivare alla
metà del XIX secolo, perché la sinestesia ottenga finalmente un elevato interesse. Ed è grazie ai
primi studi di sir Francis Galton nel 1880, con “Visualised Numerals”, e a libri come “Audition
Colorée” di Mendoza (1890), che il fenomeno sinestetico comincia ad essere un vero e proprio
oggetto di ricerca e di esami.
E’ sempre datata 1890 anche l’organizzazione di un comitato di sette psicologi tra i più importanti,
al Congresso della Psicologia Fisiologica, con la proposta di standardizzare la terminologia sul
tema della sinestesia, per poter avanzare spiegazioni scientifiche di un fenomeno le cui
testimonianze documentate erano in continua crescita. Tra i membri: Flournoy (che con Claparède
compilò dati sulle vocali colorate) e Gruber.
All’affacciarsi del Novecento si contava più di un centinaio di libri pubblicati sul tema dell’ascolto
colorato, una delle varie forme di sinestesia: da Clavière a Krohn, da Argelander a Mahling, la
sinestesia venne scoperta e indagata in tutta la sua tridimensionalità e totalità di esperienza
soggettiva, realmente possibile, esistente.
Oltre all’area scientifica, anche l’arte, la musica e la letteratura iniziarono a fascinare le dimensioni
sinestetiche del percepire umano; comparvero riferimenti multisensoriali nelle poesie di Baudelaire,
negli scritti di Rimbaud, evolvendosi poi nella dimensione sonora con il noto compositore Scriabin,
Rimsky-Korsakov e altri.
Anche il decadente Huysmans non esitò ad inserire nelle sue opere letterarie dei riferimenti
piuttosto espliciti a questa “nuova” dimensione della percezione, la sinestesia. In realtà non era
affatto stata appena scoperta, in quanto, come già scritto, nei secoli addietro il fenomeno registra
delle sporadiche apparizioni, non propriamente e degnamente prese in considerazione. Huysmans
donò all’eroe di una sua opera, Duc Yean Floressas des Esseintes, delle caratteristiche da perfetto
sinesteta: questi, infatti, poteva percepire un particolare gusto, che variava a seconda del suono di
ogni diverso strumento musicale.
Riferimenti sin estetici si possono trovare anche negli haiku di Basho, probabilmente solo in qualità
di dimensione metaforica, di uno svolgersi retorico nelle sensazioni in progressione, trasposte in
versi.
I circoli scientifici e letterari divennero i luoghi di principale discussione del fenomeno sinestetico.
Anche Kandinskij non rimase affatto indifferente ad esso, tanto che nei suoi dipinti cercò proprio di
evocare suoni nell’osservatore, richiamando diversi sensi solo tramite la vista, mirando ad un’arte
totale.
Nei teatri furono pensati, proprio in quegli anni a cavallo tra Ottocento o Novecento, dei sistemi per
diffondere anche i profumi durante le esibizioni di orchestre, per coinvolgere non solo l’udito, ma
anche l’olfatto; una mescolanza percettiva al pari di quella sinestetica.
Non c’è probabilmente da stupirsi di fronte a taluni componimenti delle avanguardie
cinematografiche, alcune delle quali vedevano nel giovane medium uno strumento per poter dar
vita ad un’armonia pura di musica e forme, per esprimere l’interiorità e le emozioni che il suono
suscita nell’ascoltatore. Esempi significativi si possono trovare, ad esempio, nella composizione
cinematografica “Opus I” di Ruttmann (1921), e nelle sperimentazioni di Fischinger.
3
Nonostante la mancanza di una scienza neurologica e psicologica abbastanza sviluppate, la
sinestesia era generalmente un fenomeno accettato nei secoli addietro, almeno sino ai primi
decenni del XX secolo. Infatti fu negli anni ’30 del Novecento, con il sopraggiungere della corrente
del Comportamentismo in psicologia, che la sinestesia venne additata come un’esperienza troppo
soggettiva, non degna di essere oggetto di studio accuratamente scientifico. Il comportamentismo
bandiva ogni riferimento agli stati mentali, l’unica base su cui ci si poteva riferire per spiegare il
fenomeno sinestetico. Quest’ultimo era considerato alla stregua di un mero dato introspettivo, un
dato non visibile agli altri, paragonabile al concetto di anima, un vero taboo per i comportamentisti.
Il comportamento, invece, era un dato pienamente tangibile.
Fu così che le pubblicazioni su riviste scientifiche riguardo la sinestesia ebbero un brusco calo.
Verso la fine degli anni Settanta, Lawrence Marks pubblicò un libro, “The Union Of The Senses”,
ammirabile sforzo di degnare la sinestesia di uno sguardo da parte del mondo delle scienze; egli
sosteneva che questo fenomeno poteva far luce sulle basi percettive della metafora omonima, e
persino sull’apprendimento del linguaggio. Non ottenne particolare successo di consensi e
nemmeno l’attenzione sperata (Cytowic, 2002).
L’unica scienza che avrebbe potuto riaccreditare il fenomeno, rendendolo passibile di studi e
ricerche approfonditi, era la neurologia, ed è grazie al progresso e agli sviluppi di essa - e di
affinate tecniche nella medicina nucleare, come ad esempio la PET, tomografia ad emissione di
positroni - che la sinestesia, oggi, gode di un rinnovato interesse tra gli scienziati e di una seria
investigazione.
Sarà anche Cytowic, negli anni Ottanta, a cimentarsi nel tentativo di riportare in auge la sinestesia
grazie ai suoi studi, tracciando ufficialmente una linea distintiva tra:
ξ sinestesia come figura retorica, quella nota a scrittori e letterati, e
ξ sinestesia come percezione differente, come fusione sensoriale. Quest’ultima va separata
ancora una volta dalle semplici associazioni di idee (cross-modali) presenti nei non
sinestetici.
Egli pubblicò due libri (in lingua inglese) sul fenomeno, intitolati “Synaesthesia, a union of the
senses” (1989) e “The man who tasted shapes”, vantando anche numerosi articoli a riguardo sulla
rivista Psyche.
Nel 1987, Simon Baron-Cohen e altri compirono dei progressi riguardo la verifica della genuinità
del fenomeno sinestetico e delle esperienze soggettive dei sinesteti, grazie ad un esperimento che
dimostrava in maniera eclatante quanto la sinestesia fosse reale (Baron-Cohen, Harrison, 1997).
Dagli anni Novanta del Novecento in poi, gli studi e le ricerche sulla sinestesia godettero di una
maggiore proliferazione, soprattutto con l’apporto congiunto offerto da diverse discipline, dalla
psicologia cognitiva alle neuroscienze. Avvalendosi, inoltre, della CT (computer tomography), della
fMRI (Magnetic Resonance Imaging), della medicina nucleare e della PET (grazie alla quale è
possibile monitorare l’attività cerebrale durante la manifestazione di una percezione sinestetica,
verificando la tangibilità del fenomeno) è possibile ora investigare ed avere una concretezza di dati
sul fenomeno sinestetico, evitando che tutti gli studi vengano considerati alla stregua di
teorizzazioni filosofiche.
4
2. Definizione
La parola sinestesia ha origine dal greco syn= assieme e aisthesis=percezione;
significherebbe letteralmente “percepire assieme”. E’ il contrario di anestesia, dal greco anaisthesia
= mancanza della facoltà di sentire, condizione in cui predomina la totale assenza di risposte a
qualsiasi input esterno. Tipica condizione di anestesia è quella in cui vengono somministrati
farmaci che ci consentono di “sprofondare” in questo stato, com’è noto, prima di operazioni
chirurgiche.
La sinestesia è quel fenomeno opposto a quello sopra citato, in cui uno stimolo, appartenente ad
una determinata sfera sensoriale, non evoca solo la percezione nel senso direttamente
interessato, bensì suscita percezioni esperite tramite uno (o più) diversi sensi.
Siamo quindi in presenza di una singola stimolazione che riguarda una precisa modalità
sensoriale; ma, assieme alla risposta del senso direttamente interessato e preposto alla
percezione di quel dato stimolo, se ne ottiene un’altra (o altre) relativa allo stesso senso, o in sensi
“non appropriati”, cioè non direttamente interessati dallo stimolo percettivo primario, che
riguardano una modalità sensoriale differente.
Questo significa che le persone interessate da questo fenomeno, dette sinesteti, possono
percepire uno stimolo esperendolo in una modalità “poli-sensoriale”: per esempio, un suono può
generare la percezione non solo acustica, ma anche visiva di esso, evocando dei colori o delle
forme; alcuni vedono le lettere - o i numeri o entrambe le cose – dotati di specifico colore, o al
suono delle vocali percepiscono un colore; o, ancora, una parola proferita può non solo interessare
l’udito, ma anche il gusto e conseguentemente (ma non sempre) pure il senso tattile. Solitamente
la sinestesia interessa due modalità sensoriali di qualsiasi tipo, sebbene nella pratica vi siano
combinazioni più comuni e frequenti di altre (Baron-Cohen, Harrison 1997).
Una prima distinzione da applicare al fenomeno è quella tra:
- sinestesia “bi-sensoriale”, quando la percezione in un senso scatena immediatamente anche un
percetto in un altro senso, per cui sono coinvolti in complesso due registri sensoriali. Un esempio è
la sinestesia che coinvolge udito e vista, detta “ascolto colorato”, in cui il sinesteta vede un colore
immediatamente alla percezione di un suono.
- sinestesia “multi-sensoriale”, quando vengono coinvolti da 3 sensi in su.
La percezione sinestetica viene scomposta in due elementi da Grossenbacher, interrelati tra loro,
l’induttore e il concorrente, i quali designano rispettivamente l’evento che induce la percezione e
gli attributi sensoriali indotti sinesteticamente. Un esempio: una donna esaminata da
Grossenbacher associava il pianto del suo bambino ad uno spiacevole colore giallo; in questo
caso, l’induttore è il suono del pianto, mentre il concorrente è il colore che ella vede. La sinestesia
posseduta da questa persona consiste nell’associazione di colori (che sono i concorrenti) ai suoni
(che sono gli induttori). Inoltre, la relazione tra induttore e concorrente è unidirezionale: ovvero se,
come in questo caso, il suono induce il colore non avverrà la relazione inversa, perché alla visione
del colore giallo la donna sopra citata non sentirà il pianto del suo piccolo. E’ una relazione
5
sistematica, e quindi il concorrente è suscitato da un solo tipo di induttore. Per cui si può affermare
che per la maggior parte dei sinesteti le associazioni siano di tipo unidirezionale.
Una eccezione a questa sorta di “regola” è stata riscontrata da Baron-Cohen (1996), esaminando
un soggetto sinesteta il quale non solo sperimentava la visione di colori quando udiva suoni, ma
anche viceversa: quando vedeva un colore sentiva un suono. In tal caso, induttore e concorrente si
mescolano agendo entrambi come stimoli; non c’è un solo induttore che causa una percezione in
un’altra modalità sensoriale, perché avviene anche l’inverso. Il soggetto dichiarò essere, quella,
una condizione che poteva generargli notevole confusione mentale, stress e anche vertigini,
sensazione di sovraccarico di informazioni, una sorta di sofferenza, più una patologia che altro,
che lo portò ad evitare tutte quelle situazioni in cui avrebbe potuto sperimentare la sinestesia.
L’induttore e il concorrente possono essere:
ξ appartenenti a modalità sensoriali differenti, cioè quando l’induttore evoca percezioni in un
senso diverso da quello “appropriato” per lo stimolo input. Esempi di questo tipo di
sinestesia sono, ad esempio, associazioni suono-colore, suono-gusto, o suono-tatto. In
questo caso si parla di sinestesia cross-modale;
ξ appartenenti alla stessa modalità sensoriale, quando l’induttore suscita percezioni
sinestetiche nell’ambito dello stesso senso. Esempi possono essere le associazioni lettere-
colore e numero-colore, che coinvolgono entrambe la sfera visiva. Si parla quindi di
sinestesia unimodale (o intramodale).
Grossenbacher opera una ulteriore distinzione entro la sinestesia, che riguarda la tipologia di
induttore e il modo in cui suscita il concorrente.
L’induttore può essere percettivo o concettuale: nel primo caso, il concorrente è indotto a causa
della percezione di determinati stimoli sensoriali; nel secondo caso, il concorrente viene richiamato
solo tramite l’atto del pensare ad un particolare concetto, senza che il soggetto sia realmente
esposto ad alcuno stimolo.
Se l’induttore è percepito, come derivante da uno stimolo esterno, avremo ad esempio un suono
che evoca un colore, oppure il gusto o il tatto, ed è detta sinestesia percettiva.
Un esempio, invece, di induttore pensato e di sinestesia concettuale, non proveniente da stimoli
prodotti all’esterno ma proveniente dall’interno della nostra mente, può essere quella della
visualizzazione spaziale dei numeri, oppure quella del (tempo / mesi dell’anno, ecc.) Æ (spazio /
colore / forma).
Ciò significa che l’immaginazione di un induttore coinvolge alcune delle parti del nostro cervello
che sono attive anche durante la percezione; per cui la sinestesia può avvenire pure in assenza di
una completa attivazione dell’intera cascata di trasmissione sensoriale, la quale si ottiene invece
durante la percezione. (Grossenbacher & Lovelace, 2001).
Sebbene ogni stimolo induttore possa essere differente, e probabilmente dar luogo a percezioni
differenti (e diverse per ogni sinesteta) a seconda della qualità di esso, è da notare una certa
flessibilità nei parametri sensoriali riguardanti gli induttori; ciò consentirebbe, ad esempio, ad un
sinesteta che vede le lettere colorate, di percepire il colore rosso della B, qualunque sia il tipo di
calligrafia in cui la lettera è stampata o trascritta. Lo stesso fenomeno si verifica quando una
6
persona che possiede una sinestesia con induttori linguistici o musicali (parole pronunciate
colorate, ascolto colorato) non percepisce variazioni che riguardano il tipo di voce (maschile o
femminile).
Per cui è l’identità della lettera o della parola ad essere preservata come informazione principale,
mentre non hanno importanza, ad esempio, la forma visiva o il timbro uditivo dello stimolo
induttore.
Alcuni esperimenti effettuati da Ramachandran e Hubbard (2001) con soggetti che possedevano la
sinestesia dei numeri o lettere colorati, rivelano qualcosa di interessante a proposito
dell’importanza dei concetti e dei grafemi. Infatti, in un loro studio hanno potuto constatare che i
numeri romani e gruppi di punti (il cui ammontare era facilmente calcolabile e intuibile - in quanto i
punti non erano molti), non erano in grado di evocare e suscitare alcun colore, pur conservando un
concetto numerico. Quindi è probabile che sia la visione del grafema ad essere di importanza
cruciale per la percezione del colore di un numero, non il concetto che esso rappresenta.
Tuttavia sempre Ramachandran e Hubbard hanno incontrato delle eccezioni a questa conclusione:
alcuni soggetti, infatti, vedevano sia i numeri romani che gruppi di punti come dotati di un certo
colore. In essi, è il concetto del valore, della grandezza dei numeri ad evocare i colori. Un simile
risultato è stato raggiunto anche in altri esperimenti, come ad esempio in un test di Stroop
effettuato su un soggetto femminile, C., interessato da sinestesia (Dixon, Smilek e Cudahy, 2000).
A C. - sinesteta che vedeva i numeri colorati - e ad altri otto soggetti non sinesteti venivano
presentati degli stimoli visivi, in sequenza, che consistevano in una cifra, un simbolo di operazione
(ad esempio un “+”), e un’altra cifra. Di seguito a ciò veniva presentato un quadrato, una “macchia”
colorata, di cui sia la sinesteta che i soggetti non sinesteti dovevano identificarne il colore, ossia
nominarlo nel più breve tempo possibile, e riportare anche la soluzione aritmetica relativa alle cifre
proposte in sequenza. La macchia di colore associata alla soluzione aritmetica, in ogni prova,
poteva essere sia coincidente con i colori sinestetici della sinesteta, sia non corrispondente ad
essi. I risultati dimostrarono non solo che il soggetto C. impiegava un tempo considerevolmente
inferiore ai non sinesteti nel nominare il colore presentato, se questo era congruente con quello
sinesteticamente percepito; emerse anche, infatti, che se i colori associati all’operazione aritmetica
erano diversi da quelli suscitati dalla sinestesia di C., quest’ultima sperimentava una interferenza
tra lo stimolo visivo e quello da lei percepito, tale per cui il tempo di reazione e di risposta era
notevolmente superiore a quello impiegato per identificare i colori congruenti. Inoltre, questo lasso
di tempo, questo “ritardo” nella replica, era superiore anche a quello impiegato da coloro che, al
contrario di C., non sperimentavano alcuna sinestesia; ed è da notare che in questi ultimi, per di
più, lo scarto tra i tempi di risposta, in entrambe le occasioni, tendeva ad essere molto ridotto
rispetto a quello della sinesteta C. Questo rende chiaro che non è necessario lo stimolo visivo per
ottenere il percetto sinestetico, e che il concetto è fondamentale per poter ottenere le sensazioni
sinestetiche, almeno in alcuni soggetti, come la paziente sopra citata.
La sinestesia, quindi (e come verrà dimostrato più avanti), non è una mera metafora, ma un vero e
proprio fenomeno sensoriale, di cui si stanno studiando le basi neurologiche (Ramachandran e
Hubbard, 2001).
7
Degna di nota è la sua molteplicità di “volti”: la sinestesia è un elemento che non si manifesta in
modo simile tra i vari soggetti che lo posseggono; vale a dire, ogni sinesteta è assolutamente
particolare, e le sue associazioni, sebbene possano essere simili a quelle di altri sinesteti, sono
perlopiù uniche nel loro insieme.
Ciò che varia nelle percezioni delle persone sinestete non è da indagare nello stimolo induttore,
ma nel concorrente, ed è per questo motivo che è assolutamente difficile, se non altamente
improbabile, trovare due sinesteti che, pur avendo la stessa tipologia di associazione sinestetica
(ad es. l’ascolto colorato o le lettere colorate), riescano a trovarsi d’accordo su forme o colori che
un dato stimolo o concetto suscita.
La diversità risiede anche nella misura in cui una persona è sinesteta o meno; si potrebbe dire che
ci sono persone che hanno una sinestesia molto più marcata rispetto ad altri sinesteti come loro.
Inoltre, la sinestesia si manifesta in modi e forme differenti per quanto riguarda anche l’estensione
del percetto sinestetico, il suo “luogo”; ad esempio, i sinesteti sono classificabili in due categorie da
questo punto di vista, i proiettatori e gli associatori.
I proiettatori sono coloro i quali sperimentano le loro percezioni sinestetiche all’infuori del proprio
corpo, le proiettano in uno spazio esterno alla loro mente, situato a una distanza ridotta da sé
stessi. Cytowic riporta la testimonianza di un soggetto che, possedendo la sinestesia dell’ascolto
colorato, ogni qual volta ascoltava la musica vedeva anche degli oggetti - palle d’oro che
cadevano, linee, onde metalliche, ecc. -, fluttuanti in una sorta di schermo distante sei pollici dal
proprio naso. Solitamente sono percetti tridimensionali.
Gli associatori, contrariamente, non proiettano all’esterno le loro esperienze percettive, ma le
vivono nella loro mente e nel loro corpo, a livello di sensazioni. Ad esempio, un sinesteta
associatore con la sinestesia dei grafemi colorati (lettere e numeri dotati di tinte) pensa e conosce
le lettere colorate con determinati colori, ma leggendole non vede quei colori proiettati sulle lettere,
al contrario di quanto sperimenterebbe un sinesteta proiettatore, che vedrebbe letteralmente il
colore suscitato dalla percezione sinestetica sovrapporsi a quello “reale” della parola letta. Per cui
gli associatori vedono i correlati sinestetici non ad un livello esterno, ma al livello del cosiddetto
“occhio della mente”: è li che hanno luogo le loro percezioni sinestetiche.
Alcuni sinesteti possono sperimentare il coinvolgimento di due modalità sensoriali, altri di tre, e
molto raramente si possono anche incontrare dei casi, come quello del soggetto esaminato da
Alexander Luria (1968) aventi una particolare forma di sinestesia, molto forte, che chiama in causa
tutti i sensi.
Nonostante vi siano queste differenze, soprattutto in modo molto marcato tra percezione
sinestetica e percezione “standard” delle persone che normalmente non posseggono la sinestesia,
i sinesteti rimangono inizialmente sorpresi nel venire a conoscenza del fatto che le altre persone
non percepiscono il mondo esattamente come loro. Infatti, nella sinestesia detta “evolutiva”, che è
presente sin dalla nascita, o acquisita comunque durante i primi anni di vita (si veda il paragrafo
successivo “Tre modalità di acquisizione della sinestesia”), le percezioni sinestetiche si intrecciano
profondamente con la vita dell’individuo e il suo modo di vedere e sentire il mondo intorno a sé.
Spesso, queste associazioni cross-sensoriali o intrasensoriali sono di valido aiuto per la
8
memorizzazione di sequenze musicali, per il calcolo matematico, per la composizione di musica,
per ricordare, e così via; supportano, cioè, le attività cognitive di una persona, le arricchiscono.
E’ per questo motivo che la grande maggioranza, se non quasi la totalità, dei sinesteti dichiara di
non poter immaginare una vita senza quella magnifica capacità percettiva, e che non ha mai
desiderato in alcun modo perderla.
A quanto pare, la sinestesia è un “regalo” di cui non tutti possono beneficiare.
3. I mille volti della sinestesia
La sinestesia è un fenomeno dai mille volti: presenta numerosissime sfaccettature, è
variabile nelle percezioni, esibendo tante combinazioni diverse.
Le persone, più che altro, fanno la differenza, con la loro struttura cerebrale, in quanto, come
abbiamo visto, la sinestesia è anche un fenomeno fisiologico, imputabile a certe aree del nostro
cervello. Tuttavia, ancora procedono gli studi in quel campo, per raggiungere maggiori sicurezze e
scoprire con certezza assoluta dov’è che ha inizio la sinestesia dal punto di vista solo fisico.
Dal punto di vista percettivo, la sinestesia è, appunto, molto varia; ogni sinesteta è unico nel suo
genere.
E’ per questo che i sinesteti molto difficilmente si trovano d’accordo sui percetti sinestetici,
sebbene condividano la stessa tipologia di sinestesia; anche madre e figlia sinestete, e che per
esempio vedono entrambe le lettere come colorate, possono non trovarsi d’accordo sul colore di
queste ultime (Galton).
La capacità di associare modalità sensoriali diverse, comunque, è facoltà comune anche in
soggetti non fortemente sinestetici: un esempio è quello dell’attribuzione più o meno universale di
una sensazione termica ai colori; ad esempio il giallo, rosso o arancione sono chiamati “caldi”,
mentre il nero, il blu e il verde sono considerati “freddi”.
Vi sono delle manifestazioni del fenomeno più tipiche e comuni di altre: ovvero, sono state
riscontrate delle associazioni sensoriali più frequenti, di contro ad altre quasi totalmente assenti; ad
esempio le combinazioni più consuete sono lettereÆcolore e numeroÆcolore (e anche spazialità),
suonoÆcolore (e talvolta olfatto), paroleÆtatto/gusto.
Pare che il tatto e il gusto difficilmente possano generare un percetto di colore, e tantomeno un
suono; sembra esistere, quindi, una sorta di gerarchia tra i sensi nel fenomeno sinestetico e nel
suo manifestarsi, tale per cui alcune combinazioni paiono essere “preferite” ad altre.
[…]
3.1 Coloured hearing: l’udito si veste di colori, di sapori e di profumi
“Non sono, forse, la maggior parte delle parole colorate con l’idea di ciò che rappresentano
esternamente?” [Balzac - 1852]
Uno dei temi più popolari nella sinestesia fu, all’inizio degli studi sul fenomeno, l’ascolto colorato.
Grazie a Flournoy, Claparède, Gruber e Galton, ma anche con Fechner, Bleuler e Lehmann,
l’argomento delle analogie e delle associazioni cross-modali divenne finalmente considerato
9
“dignitoso” agli occhi del mondo scientifico. Se prima questa straordinaria capacità percettiva, che
consiste nell’associare colori a suoni in modo involontario e automatico, era considerata una sorta
di anormalità fisiologica, gli studi che seguirono riuscirono anche a dimostrare che queste
correlazioni sono più comuni e normali di quanto possa sembrare agli osservatori poco attenti e
inesperti.
Già prima del 1876 era noto che le vocali costituivano una sorgente di suoni che evocavano dei
colori in alcuni soggetti (i sinesteti appunto); ma grazie a studiosi quali quelli sopra citati, e alla
diffusione su carta stampata dell’argomento da parte di Argelander, Mahling, Suarez de Mendoza
e altri, la popolarità della sinestesia dell’ascolto colorato fu coinvolgente.
Chi possiede questa speciale percezione dei suoni riesce a “vedere” dei colori, sia ascoltando una
nota musicale, sia ascoltando una canzone o un brano, e anche quando sente un rumore non
classificabile come suono. L’associazione del colore al suono o rumore è immediata e involontaria,
insopprimibile e non ignorabile. E’ come se il suono fosse realmente quel colore, come se quei due
elementi corrispondenti a due diversi registri sensoriali costituissero due aspetti di uno stesso
fenomeno. Le due facce di una medesima medaglia.
Studi effettuati su sinesteti e non sinesteti (Marks, 1975; Bleuler&Lehmann, 1881; Flournoy, 1892-
1893) dimostrano come sia “universale” e comune l’attribuzione di luminosità ai toni più acuti (ad
alta frequenza), mentre colori più scuri vengono associati a toni più bassi in frequenza. Questa
correlazione fu chiamata la “legge della luminosità”, e vale, si può dire, universalmente.
Al suono della vocale O e U, ad esempio, vi è la tendenza ad associare (e non solo tra i sinesteti)
delle tinte più scure; infatti, queste due vocali presentano una frequenza bassa. La E e la I, al
contrario, sono le vocali a frequenza più alta, e quindi tenderanno ad evocare tinte più luminose.
Kohler, poi Modell e Rich, confermarono una scala in ordine di frequenze, tale per cui l’ordine della
luminosità crescente è U-OU, O, A, E, I, e corrisponde inoltre all’aumento dell’acutezza del tono
della vocale.
Nonostante la variazione della forma fonetica delle vocali nelle lingue mondiali, la relazione tra
luminosità del colore e tono uditivo della vocale è la stessa. Questo dovrebbe dimostrare che tutti
siamo inclini ad associare toni uditivi con la luminosità di toni cromatici, di certo però non vediamo
in modo vivido tali colori ogni qual volta un suono viene udito.
Questa generalità nella maggioranza delle risposte dei non sinestetici e dei sinesteti è indicata da
Marks (1974) come la possibilità della presenza di proprietà fondamentali della sensazione e della
cognizione umana. Ciò è un’evidenza che comprende anche il caso del simbolismo fonetico, ossia
della capacità evocativa delle parole tramite il loro suono derivante dalla pronuncia, e della
possibilità che quest’ultima veicoli un significato. Questa “teoria” risale sin dai tempi antichi di
Platone, per essere rivisitata poi da Rousseau e da Balzac. Werner (1940), inoltre, dichiarò che le
parole di un linguaggio non sono soltanto un sistema astratto di simboli, ma che le parole
appartengono agli oggetti, in un certo senso.
Newman (1933) parve confermare la relazione tra simbolismo fonetico e percezioni sinestetiche:
nei suoi esperimenti chiese ai soggetti di indicare quali vocali parevano loro più larghe e più
luminose. I risultati mostrarono come l’ordine tra grandezza e luminosità fosse inversamente
proporzionale, ossia vocali percepite come larghe erano solitamente anche percepite come meno
luminose, mentre vocali come E ed I erano sentite come luminose ma anche più piccole di taglia.
1
Marks riassume in questo senso tutte le ricerche effettuate nel campo della sinestesia dell’ascolto
colorato, in merito alle vocali, ai suoni e alle correlazioni visive: vi sono relazioni cross-modali tra
luminosità uditiva e luminosità visiva e tra volume uditivo e taglia visiva (Marks, in Baron-Cohen et
al., 1997).
I sinesteti che possiedono il tipo di sinestesia chiamato “coloured-hearing”, ossia ascolto colorato,
non solo sono in grado, talvolta, di percepire un colore (all’esterno del proprio corpo e
precisamente collocato oppure nell’occhio della mente), ma spesso vedono anche dei fotismi. I
fotismi sono delle forme elementari, che non costituiscono percetti di livello elevato (ad esempio un
paesaggio, un oggetto o un volto); sono semplici, costituiti da linee, da curve, o da spigolature.
Tali fotismi possono variare in ampiezza e in luminosità, sempre stimolati e condizionati
dall’induttore, che è il suono, la musica, il rumore, oppure anche una voce. Anche i fotismi possono
essere visti come proiettati all’esterno del corpo oppure nella propria mente; di certo non tutti
coloro che posseggono l’ascolto colorato li vedono.
Ascoltando una canzone o un brano di qualsiasi genere musicale, i suoni di ciascuno strumento (e
anche la voce) sono immediatamente un colore, variando e susseguendosi al ritmo del tempo
musicale; la loro taglia corrisponde sovente al volume del suono che è associato al colore, quindi
suoni predominanti tenderanno a possedere delle tinte che dominano in ampiezza il campo visivo
– o l’occhio della mente -. Anche i fotismi e la loro forma ed estensione variano a seconda del
volume e del tempo musicale: più il ritmo sarà veloce, più il fotismo assumerà una forma tagliente
e spigolosa. Queste risposte associative tra forma e velocità del suono sono, come per la
luminosità dei toni, omogenee a livello generale, tra sinesteti e non sinesteti. Di certo nei non
sinesteti non sono percezioni insopprimibili e frequenti; questo differenzia i sinesteti “doc” dalle
persone che possiedono solo il grado “standard” di questa facoltà di correlazione.
Ecco alcuni esempi di fotismi sinestetici:
Griglie, ragnatele, linee, celle come i nidi d’ape, onde sinuose che si duplicano bilateralmente
partendo dal centro, figure circolari rotanti… questo è essenzialmente il catalogo dei fotismi di
10
1
Nel 1943 Kainz scoprì che nel linguaggio africano EWE le parole a tono più acuto erano utilizzate per designare
oggetti piccoli, mentre quelle a tono più grave rappresentavano oggetti esterni più grossi.
11
alcuni sinesteti dall’ascolto colorato. Sicuramente la gamma è più ampia e vasta, ma di base
queste sono le forme presenti nel repertorio.
La grandezza e la loro luminosità dipende, come per il colore delle vocali, dal suono cui vengono
involontariamente associati e cui corrispondono; tanto più basso sarà il tono musicale, tanto più
largo sarà il fotismo percepito dal sinesteta. Se la musica invece sarà veloce, il fotismo assumerà
forme taglienti e spigolose; i toni più elevati produrranno immagini più piccole.
E’ indubbia la ricchezza percettiva regalata dall’ascolto colorato, in cui la presenza (non ovvia) dei
fotismi consente di associare più percetti allo stimolo uditivo (colore e forma), rendendo
l’esperienza complessiva anche molto utile per memorizzare elementi uditivi.
Un esempio in questo senso, molto diverso dalla vita di un non sinesteta, è l’esperienza di un
soggetto studiato da Luria, nominato S, il quale era un sinesteta che possedeva numerose
associazioni cross-modali, sulle quali basava la sua intera vita e la sua percezione del mondo
esterno, con dei notevoli vantaggi.
Egli fece risalire i primi ricordi di tali associazioni cross-modali all’età di due o tre anni circa,
quando gli fu insegnata una preghiera in ebraico; egli non capiva il significato delle parole e quindi
esse gli apparivano nella mente come degli spruzzi, degli sbuffi o dei fumi. Anche una volta adulto
questo fenomeno gli era familiare: udendo certi suoni, vedeva questi come dei soffi o degli schizzi.
La stessa cosa accadeva quando gli si chiedeva di ascoltare toni, voci e suoni pronunciati. Il
soggetto di Luria vedeva dei veri e propri fotismi, che descriveva in modo molto preciso, i quali
variavano a seconda della frequenza e del volume sonoro del tono o del rumore; le voci, allo
stesso modo, avevano un loro colore. Egli percepiva anche le parole pronunciate, le vedeva, però
dichiarò di provare una sensazione di interferenza se, ad esempio, ascoltando qualcuno parlare, il
discorso veniva interrotto dalla voce di qualcun altro: in quel caso le parole venivano confuse, e
non riusciva a capire quanto veniva detto.
Lo svantaggio di esperire interferenze di questo genere è piuttosto raro, come rara era anche la
sinestesia posseduta da S. Inoltre, ogni suono e parola pronunciata aveva non solo un suo proprio
colore e forma, ma anche uno specifico gusto. Anche i numeri per lui possedevano una forma
particolare che li designava, diversa dal segno grafico solitamente utilizzato: ad esempio, il numero
5 era da lui visto come un cono o torre.
Per S, quindi, non c’era una linea che distingueva un registro percettivo dall’altro; i suoi modi di
percepire il mondo e i concetti segnarono completamente la sua vita, e non solo creavano
interferenza, ma presentavano anche il vantaggio di aiutarlo estremamente nel recupero mentale
di informazioni; per questo egli era dotato di un’ottima memoria. Le percezioni che egli possedeva
lo aiutavano a recuperare informazioni in modo molto pratico e semplice, e queste associazioni
addirittura lo “correggevano” se pronunciava una parola in modo sbagliato, in quanto il percetto
sinestetico non coincideva con quanto da S riprodotto.
Una sensazione di gusto associata a forme e tatto era posseduta da una persona citata da Cytowic
(1995, 2002), Michael Watson, la quale gli consentiva persino di capire se il pollo era pronto per
essere servito oppure se necessitava di ulteriore tempo di cottura. Per questo sinesteta, la menta
era una colonna di vetro fredda, perché gli procurava una sensazione tattile di freschezza, ma
anche una sensazione di liscio, e per questo Michael Watson riteneva che la “materia” che
componeva quel percetto fosse vetro.
Altri, unitamente all’ascolto colorato, assistono ad uno slittamento delle loro percezioni anche
nell’olfatto, cosicché i colori prodotti dallo stimolo uditivo hanno un equivalente olfattivo (è questo il
caso di una artista sinesteta italiana, Maria Cecilia Camozzi, la cui sinestesia sarà descritta più
approfonditamente nel capitolo seguente).
[…]
3.2 Synaesthesia, Windows Media Player, WinAmp e G-force
Sulla filosofia di Cthugha, in linea con la connessione tra brani musicali e immagini in
movimento, si sono sviluppati una serie di altri programmi per computer in grado di rendere
perfettamente l’idea di che cosa vede chi possiede un ascolto colorato.
Di certo non tutti i sinesteti percepiscono anche dei fotismi durante le loro percezioni sinestetiche
(forme geometriche, forme astratte ecc.), ma di certo gli effetti grafici, affiancati ai programmi per la
riproduzione della musica sul computer, si accostano notevolmente a ciò che accade durante una
sinestesia che coinvolge udito e vista.
Curioso il nome attribuito da Paul Harrison alla sua creazione per la visualizzazione grafica della
musica: Synaesthesia. Sebbene il nome possa far pensare che il suo ideatore potesse essere un
sinesteta, o che si sia ispirato al fenomeno direttamente, si tratta solo di un programma nato
dall’interesse di Harrison per la correlazione tra suoni e percezione della posizione e provenienza
di essi.
Essendo appassionato di tale argomento e interessandosi di matematica, Paul Harrison realizzò
questo esperimento, che chiamò poi Synaesthesia, anche in virtù di ciò che apprese in seguito
(ossia dopo l’idea originaria di ideare il programma) sulla sinestesia neurologica.
Il risultato fu un programma simile a Cthugha, in grado di riprodurre un equivalente visivo per i
brani musicali riprodotti sul computer, tramite appositi player.
Colori luminosi e forme astratte che compaiono e svaniscono, in perfetta sintonia ritmica con il
brano in esecuzione; nuovamente si assiste ad un utilizzo di connessioni sinestetiche, anche se
l’ideatore dichiara di non aver mai posseduto nessuna associazione di tipo sinestetico, in tutta la
sua vita. Una passione per la matematica e la psicologia, e anche un’inconscia volontà di
coniugare stimoli sensoriali differenti e diverse dimensioni percettive, lo han condotto a
Synaesthesia.
12
Anche questo programma ha trovato diffusione grazie al Web, e alla possibilità di scaricarlo
gratuitamente, consentendo perciò un’ampia fruizione della sinestesia tra musica e immagini.
Probabilmente, ha potuto costituire anche uno spunto per coloro che desideravano cimentarsi in
imprese simili: realizzare programmi che consentono di trasporre pensieri sinestetici su uno
schermo, e poter godere della loro piacevolezza.
Anche Windows Media Player, noto programma per ascoltare musica, preinstallato su sistema
operativo Windows, possiede già incorporate varie e numerose tipologie di effetti grafici, davvero
“per tutti i gusti”. Sicuramente, non per quelli dei sinesteti con l’ascolto colorato, i quali non
gradiscono i colori e le rappresentazioni visive proposte negli effetti grafici. Questo perché le loro
percezioni sono molto forti, imponendosi nel modo di vedere e di percepire, appunto, il mondo e gli
stimoli. Per cui, come conferma Maria Cecilia Camozzi, artista e sinesteta con ascolto colorato (si
veda il capitolo due), per un sinesteta può essere molto fastidioso guardare le visualizzazioni
grafiche di accompagnamento alla musica, in quanto generano una sensazione di sovrapposizione
di immagini, tra quelle viste realmente e quelle percepite nell’occhio della mente, causando talvolta
una vaga nausea.
Nonostante questo, la visualizzazione della musica è cosa gradita ai più, e pare che nel 2008 i
programmi per riprodurre i brani musicali non possano fare a meno di questa associazione
sinestetica stile ascolto colorato; Windows Media Player, quindi, la possiede. Rispetto a
Synaesthesia e a Cthugha, Media Player possiede un miglioramento nella qualità degli effetti
grafici.
La possibilità di poter ampliare le dimensioni della finestra in cui si evolvono sintonizzate musica e
forme colorate, sino ad occupare l’intera ampiezza del monitor, consente di decidere in quale
misura “immergersi” nella musica visiva; la suggestione, se si visualizzano gli effetti grafici a
schermo intero, è notevolmente attraente, ed è quasi impossibile non fermarsi almeno un istante,
come ipnotizzati, ad ammirare le evoluzioni, sempre differenti, di immagini e colori.
E’ evidente come le visualizzazioni grafiche della musica facciano leva su una tendenza sinestetica
che tutti, in qualche misura, possediamo.
Anche WinAmp, programma che adempie agli stessi compiti di Media Player, possiede una gran
varietà di evoluzioni visive di accompagnamento alla musica; più che un mero accostamento ai
brani, esse sono chiamate ad essere i brani stessi.
13
In tutti questi programmi, manca comunque una coerenza nei colori e nelle forme visualizzate per
ogni brano; ovvero, ogni volta che si ascolta un brano, le visualizzazioni grafiche sono diverse,
differenti, mai corrispondenti a quelle viste la volta precedente. Questo si scosta dalle
caratteristiche della sinestesia genuina, in quanto le percezioni sinestetiche sono coerenti nel
tempo, per cui se un certo brano regalerà un percetto in tinte rosse e blu, ad esempio, ogni volta
che lo si ascolterà le sensazioni saranno sempre le medesime, di rosso e di blu.
Tuttavia l’associazione tra musica e colore, e le modalità in cui essa si sviluppa, è molto simile a
quella che si riscontra negli individui possedenti la sinestesia.
Un salto qualitativo nella generazione dei programmi di visualizzazione grafica lo si riscontra in G-
force, un software la cui versione di prova può essere scaricata gratuitamente dal sito ad esso
dedicato (http://www.soundspectrum.com/g-force/).
Viene pubblicizzato come un programma ideale per il rilassamento, per l’espressione di sé stessi
(“express yourself” recita il titolo di una sezione nel sito del software), e ne è disponibile anche una
versione apposita per la TV; vi sono diverse varianti, disponibili tramite acquisto, che fanno degli
effetti grafici un vero e proprio programma di qualità, non più un semplice svago derivato dalla
sperimentazione di qualche amante dell’informatica.
La musica visiva ha i suoi programmi specifici, e vuole essere pagata per regalare ai fruitori
emozioni e sensazioni interiori profonde, derivanti dall’associazione sinestetica
musicaÆforma/colore.
Indubbiamente G-force offre un elevato livello qualitativo dal punto di vista grafico, ed è
incorporabile in tutti i software dedicati all’ascolto di brani musicali su computer, come ad esempio
Media Player e WinAmp. Sebbene una certa attenzione a segni grafici simili ai fotismi dei sinesteti
con ascolto colorato sia presente anche in questi ultimi, G-force possiede un miglioramento anche
in questo versante, ossia è riscontrabile un tentativo maggiore di emulazione dei fotismi, ancora
meglio adattati al ritmo e alle variazioni sonore dei brani ascoltati.
Sono spesso visibili, infatti, non solo figure bidimensionali, ma anche tridimensionali, come sfere,
piramidi, cubi roteanti e colorati:
Inoltre, non sono rare le visualizzazioni di linee ondulate, cerchi incrociati, spirali e griglie a nido
d’ape:
14
La varietà di forme è pressoché impressionante; ma lo è anche la straordinaria somiglianza di
queste ultime con i fotismi dei sinesteti; infatti, come citato anche da Lyons (Lyons, 2000),
eventuali segni grafici percepiti durante un ascolto colorato non sono rappresentativi, e variano tra
linee, griglie, rotazioni di spirali, figure parallele, piccole figure circolari e così via.
G-force è perfettamente in grado di riprodurre la situazione sinestetica di chi percepisce colori e
fotismi, in seguito ad una stimolazione uditiva come la musica.
Il sito dedicato ad esso è dotato di una sezione in cui vengono lasciate delle opinioni da parte degli
utenti; non dovrebbe stupire il fatto che abbia riscosso un grande successo, se si considera
appunto che ognuno di noi possiede, in misura debole rispetto ad altri (i sinesteti veri e propri), dei
collegamenti sinestetici nel proprio cervello, i quali ci accompagnano dall’inizio della nostra vita,
guidandoci nella percezione, nell’apprendimento e nella scoperta del mondo.
15