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cui operò Flaherty: 1920-1940. Questa scelta parziale sarà utile a dipingere il contesto
in cui si mosse il regista, evitando di spaesare il lettore e dirigere l’indagine lontano
dall’obiettivo della tesi.
Il luogo d’indagine attorno cui ruoterà la ricerca sarà quello controverso della relazione
di Flaherty con l’oggettività. L’oggettività, questione cruciale nell’antropologia visuale,
é la matrice di ripetute critiche mosse al regista. Frequenti, infatti, sono le
disapprovazioni accademiche volte ad evidenziare l’incidenza della fiction nella sfera
documentaristica in un’evidente distorsione della realtà.
“Sulle orme di Flaherty” è un’idea che nasce per risolvere quel conflitto con la realtà,
che Flaherty non ha potuto mai sciogliere. Con questo lavoro sarà restituito, seppur
dopo settant’anni, la verità e il primato di centro della cultura irlandese a quegli isolani
di Aran, costantemente oggetto di attenzioni da parte di letterati, naturalisti, cineasti e
antropologi nel corso degli anni.
A sostegno di quest’idea, rispettando la miglior tradizione del metodo antropologico,
sarà sviluppato un progetto letterario di pre-produzione completo, elemento
fondamentale ed indispensabile ad acquisire informazioni coese, coerenti e aderenti al
tipo di indagine che si vuole affrontare. Il progetto pre-prodotto sarà articolato in
soggetto, scelta ragionata della linea stilistica adottata e colonna sonora.
Naturalmente ogni scelta sarà sostenuta da precise ragioni teoriche o argomentata da tesi
solide, presupposti necessari per la produzione di un progetto documentario di tale
portata.
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1. Origini del mezzo cinematografico.
Correva l’anno 1895 quando i F.lli Louis e August Lumière a Parigi, presso il Gran
Cafè sul Boulevard des Capucines, mostrarono per la prima volta al pubblico una loro
invenzione: un apparecchio chiamato cinèmatographe. Questo strumento proiettava
sullo schermo una sequenza di immagini distinte, impresse su una pellicola che
attraverso un processo fotografico dinamico, creavano “la magia del movimento”.
Figura 1 I fratelli Lumière.
In realtà solo una semplice convenzione storica attribuisce ai Lumière l’invenzione del
cinema. Nel 1891 in USA Thomas Edison e William Dickson misero a punto il
kinetoscopio che consentiva di visionare, ad un singolo spettatore per volta, brevi film
attraverso un occhiello. Il desiderio di riprodurre la realtà attraverso immagini in
movimento, stimolò sempre l’uomo nel corso della storia. Il pre-cinema, la forma d'arte
che precedette la nascita del cinema, raccoglie testimonianze di varie sperimentazioni.
Fra queste ricordiamo il teatro delle ombre, la lanterna magica, le fantasmagorie, il
taumatropio, il fenachistoscopio e non per ultima la fotografia seriale di Muybridge e le
pantomime luminose di Reynaud. I primi film proiettati con il sistema del
cinematografo erano poco più che semplici dimostrazioni, scene di vita quotidiana
filmate e proiettate per meravigliare il pubblico attonito. Le famose proiezioni: “Sorte
d’usine” e “Arrivee d’un train á la Ciotat”, rappresentavano scene di vita reale, con
annesse tutte le emozioni che la realtà trasmetteva.
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Il treno in corsa emetteva vapore e sembrava procedere verso gli spettatori: alla prima
visione il pubblico scappò dalla sala colto dal timore che il treno bucasse lo schermo. La
riproduzione del movimento permetteva di accrescere la veridicità dell’immagine a
livelli fino ad allora mai sperimentati.
Chiaramente i primi autori cinematografici non erano consapevoli della potenzialità
comunicativa del mezzo a loro disposizione, per loro rappresentava un’evoluzione della
fotografia, una “semplice” fotografia in movimento. Ci si meravigliava della
verosimiglianza delle scene, della realtà assolutamente illusoria, senza conoscere le
manipolazioni che potevano essere apportate. Le enormi potenzialità del mezzo, come
intrattenimento di massa, non tardarono ad essere meglio sfruttate. I primi ad intuire le
sue reali capacità furono Georges Méliès in Francia, a buon diritto il padre del cinema
fantastico, e l’americano Griffith la cui opera “Birth of a Nation” del 1915 é da
considerare il primo vero film in senso moderno, espressione in cui culmina il
cosiddetto cinema delle origini.
Figure 2 Una delle scene chiave del film Viaggio nella Luna di Méliès.
Tanta strada doveva essere percorsa, la grammatica cinematografica era ancora
sconosciuta, come dichiarano successivamente Rondolino e Tomasi “siamo di fronte a
quello che é possibile definire il grado zero del linguaggio cinematografico, ovvero
darsi quelle condizioni minime affinché un film possa esistere, ma nulla di più”
2
.
Sin dalle sue origini, all’interno del cinema si crearono e definirono due tendenze, che
camminando parallelamente ma che erano nettamente distinte per forma e contenuto: il
genere fiction e non-fiction.
2
G. Rondolino, D. Tomasi, Manuale del Film. Linguaggio, racconto, analisi, Utet, Torino, 1995, pp. 77-78
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Il cinema dei Lumiere si rifaceva, forse inconsapevolmente, ad un cinema della realtà. I
film erano composti da una sola inquadratura di pochi secondi, tendenzialmente non
narrativi, la cinepresa era prevalentemente fissa e rifiutava ogni tipo di messa in scena.
L’unità dei film era data dai flussi di assembramenti di persone in movimento mentre
sul sfondo facevano bella mostra elementi statici. Il movimento degli oggetti
soventemente rompeva i limiti del fuori campo, nel “Arrivee d’un train á la Ciotat” del
1895 l'ingresso del treno in campo genera una sensazione di dinamismo e la sua uscita
oltre il quadro ricorda allo spettatore l’esistenza di uno spazio oltre il campo. Da lì a
qualche anno iniziò il declino dei Lumiere per via del crescente desiderio del pubblico
di essere intrattenuti da film che mostrassero sia la realtà che la finzione.
Sul palcoscenico Melies allestiva degli sketch basati su trucchi e scenette comiche, il
suo tema narrativo prediletto era quello del viaggio senza una linea narrativa, ma dove
si susseguiva una rocambolesca progressione di eventi al limite della realtà, esempi di
questo furono “Viaggio sulla Luna” del 1902 e “Viaggio attraverso l’impossibile” del
1904. Il cinema di Melies si muoveva con soluzioni originali tra teatralità e narrativa,
era un cinema d’attrazione basato non sulla storia ma sull’effetto speciale. La cinepresa
era tendenzialmente fissa, la scena era singola, gli effetti dinamici spesso un’illusione
legata al movimento di elementi interni alla scena.
Purtroppo attorno ai primi anni Dieci del 1900, il genere declinò per via di un calo di
interesse del pubblico verso il fantastico. Come emerso precedentemente, il cinema
delle origini era principalmente rozzo dalla sintassi priva o appena accennata. Il
contributo di Porter fu fondamentale a compiere un balzo in avanti a favore del cinema
di narrazione. Si muoveva tra le soluzioni tipiche delle rappresentazioni primitive e tra
strategie che preludevano a soluzioni narrative tipiche del cinema classico. Il suo film
più celebre fu “La grande rapina la treno” del 1903, in cui mescolava elementi tipici
del cinema delle attrazioni ma aggiungendo importanti innovazioni sul piano della
narrazione, facendo emergere la volontà consapevole di raccontare qualcosa attraverso
il montaggio. In quest’opera il montaggio cercava di costruire una certa continuità
spazio–temporale tra le inquadrature che, il più delle volte, assorbivano l’intera durata
della scena; per la prima volta erano presenti movimenti di macchina, inquadrature e
piani usati con manifesta valenza pro-filmica.
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Griffith continuò il progetto iniziato da Porter fino a meritarsi il titolo di inventore del
linguaggio cinematografico. Pian piano incominciò a mostrar una tecnica più elaborata
fatta di primi piani, raccordi, movimenti di macchina, creando una forma primitiva di
sintassi cinematografica, elevando il cinematografo a forma d’arte. Griffith si
concentrava in particolare sulle diverse opzioni di montaggio, studiava gli effetti
drammatici della profondità di campo, era affascinato dal dinamismo della
composizione interna al quadro, attento ai dettagli, ai primi piani e alla fotografia.
Griffith vide nel cinema il giusto veicolo di moralità, ideologie e principi e il mezzo del
cinema che avrebbe permesso questo era il montaggio. Questo suo metodo lo fece
considerare il padre del montaggio narrativo, montaggio secondo cui anche la ripresa e i
processi di post-produzione contribuivano a sostenere la narrazione. In “The Birth of a
Nation” del 1915, un lungometraggio di 180 minuti di proiezione, Griffith pose al
centro del film la guerra civile americana (1861-1865). Sebbene condannato per
apologia della segregazione, era pregno di sperimentazioni sintattiche proprie del
cinema moderno. Furono introdotti per la prima volta i primi piani e i movimenti di
camera al fine di sostenere la narrazione preannunciando gli anni ‘20 del cinema
Hollywoodiano. Con il successivo film “Intolerance” del 1916, Griffith volle
rappresentare il tema dell’intolleranza attraverso i secoli. Lo fece costruendo una
struttura narrativa articolata su quattro episodi montati in parallelo: la caduta di
Babilonia (da cinema degli anni Dieci – es. Pastrone), la passione del Cristo (prime
tradizioni cinematografiche sulla passione), la strage di S. Bartolomeo (si rifà alla Film
d’Art) e un episodio contemporaneo (su temi della disuguaglianza sociale). Queste
differenti vicende erano mantenute assieme tra loro dal collante tematico
dell’intolleranza da cui il nome del film. Non riscosse un grosso successo e non fu
certamente paragonabile al successo di The Birth of a Nation.
Il cinema sovietico nel primo decennio del XX° Secolo si era sviluppato attorno a
canoni artistici e industriali non lontani da quelli europei e statunitensi. I temi trattati
erano lontani dalla realtà quotidiana, s’ignorava la politica e latitavano ideologie
precise; principalmente si trattava di trasposizione cinematografica di classici letterari.
Presto le opere cinematografiche diventarono prodotto di scambio, declinabile
facilmente alle leggi del mercato. Le avanguardie operaie si opposero a questa logica e
ai contenuti sociali e morali connessi nell’affermazione della Rivoluzione di Ottobre.
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Questa Rivoluzione portò elementi di censura, che modificarono radicalmente le
strutture sociali e tanto più la funzione delle arti e del cinema nei confronti della società.
Conseguenza delle violente lotte di classe fu l’arresto del sistema cinematografico e il
successivo deterioramento dell’industria privata del cinema, aprendo la strada alla sua
nazionalizzazione. In Russia il cinema divenne un mezzo forte di propaganda, per via
del clima politico-culturale che si respirava negli anni post rivoluzione di Ottobre, e
grazie alle nuove teorie grammaticali che davano la possibilità di suggerire concetti
lontani dal veduto. Il “cinema intellettuale” era capace di rendere visibile quello che
visibile non era, significativo fu il film Ottobre di Ejzenstejn che si proponeva di
raccontar un avvenimento storico, quanto di spiegare lo sfondo ideologico del conflitto
politico della Rivoluzione d’Ottobre del 1917.
Figure 3 La corazzata Potëmkin.
Si nota come Ejzenstejn analizzi Kerensky, leader dei Menscevichi, attraverso un
montaggio, detto delle attrazioni, volto a creare contrappunto per cogliere le sue
debolezze, colpendo lo spettatore in maniera diretta. Con questa corrente il cinema
divenne un forte strumento di formazione e propaganda ideologica della politica
leninista. Il cinema doveva istruire e documentare, risvegliare e consolidare le
coscienze, facendo leva sulla realtà, come lo stesso Lenin sosteneva: “la produzione dei
10
nuovi film permeati dall’idea comunista e rispecchianti la realtà sovietica deve
incominciare con la cronaca”
3
.
Nel dibattito culturale dei circoli d’avanguardia sovietici un ruolo primario lo occupò la
sperimentazione pratica e teorica di Dziga Vertov. Vertov esaltò le potenzialità della
macchina da presa, come un cineocchio più perfetto dell’occhio umano e dello sguardo
meccanico. “I suoi manifesti programmatici, i suoi cinegiornali, i suoi film di maggiore
respiro, i suoi scritti teorici sono senza dubbio, al di là dei successive fraintendimenti,
delle incomprensioni, delle violente critiche e degli obiettivi limiti ideologici ed estetici,
fra i risultati più significativi di quell’ampio progetto di un cinema autenticamente
nuovo e “vero” in rapporto alla mutata realtà umana e sciale dell’avvento del
proletariato come centro motore dell’azione politica anche gli artisti d’avanguardia e
gli intellettuali “impegnati” si proponevano”
4
. La presentazione del mondo diventava
analisi razionale del reale, il montaggio era la totalità del processo di realizzazione del
film, ossia un’esperienza complessiva di selezione, verifica e organizzazione visiva del
mondo. In “L’uomo con la macchina da presa” del 1929 la pratica cinematografica e
teoria estetica si fondavano in un tutt’uno scrivendo un trattato fatto di immagini. Il
tutto garantiva una varietà della percezione del mondo visibile, mostrando le
potenzialità della messa in scena.
In USA tra la fine della prima guerra mondiale e la grande crisi del 1929 si consolida
l’industria cinematografica hollywoodiana. Questa definisce un vero e proprio sistema
che si impose a larga scala fino a diventare un modello universale, veicolo di miti,
ideologie e iconografie.
Alla base della crescita di questo genere di cinema, vi era principalmente la grande
disponibilità di capitali di una politica liberista sostenuta da un periodo di prosperità e di
forte crescita economica. Nacque il sistema produttivo e le prime grandi case
cinematografiche come la Paramount, RKO, la Metro Goldwin Mayer, Warner Bros e la
Fox Film Corporation/Foundation. Alle origini nell’industria cinematografica la
produzione, distribuzione e l’esibizione erano controllate separatamente, con questo
3
Ganino Giovanni, “Unitá Didattica Linguaggio Filmico ed Audiovisivo Introduzione alla problematica”, Universitá di Ferrara,
Ferrara , 2000, pag. 59
4
Rondolino Gianni, Storia del cinema, UTET, Torino, 1996, pag. 300
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nuovo modello erano tutte nelle mani di un produttore. Naturalmente attorno a questi
colossi, si sviluppano collettivi di artisti indipendenti per sfuggire dai dogmi imposti dal
monopolio dei grandi produttori. Fra questi vi era la United Artists creata nel 1919 a cui
a appartenevano Chaplin e Griffith.
Oggi gli anni ‘30 sono ricordati come "The Golden Age of Hollywood". Questo
decennio coincise anche con l’era dei film gangster, dei musical e dei western, ma anche
dell’avvento del sonoro e della grande crisi economica del 1929 che travolse gli Stati
Uniti d’America. A questo declino fece fronte il neo eletto presidente americano
Franklin Delano Roosvelt (1932) che si oppose con l’arma di una politica lungimirante
ed innovatrice detta New Deal. Roosvelt sosteneva, da un lato, i monopoli e dall’altro
appoggiava le organizzazioni sindacali operaie. Conseguenza della monopolizzazione,
fu la nascita e crescita di industrie cinematografiche e di produttori, i quali, grazie alla
loro forza economica, s’impadronirono del mercato con i mezzi a loro disposizione che
permettevano di standardizzare il contenuto per mezzo della sofisticazione e della
tecnologia. In tale clima di regressione e pessimismo il cinema sonoro e parlato, che
proprio in quegli anni ebbe origine, rappresentava l’unica forma di evasione dalla
deprimente quotidiana realtà. Il sonoro completava la “verosimiglianza” dell’illusione
filmica, fino ad allora contenuta nel cinema muto. Nasce così in questo contesto un
cinema immaturo “facilmente influenzabile, che scambiava ancora la finzione del
cinema con la realtà tout court”
5
.
Questa rapida e contratta carrellata storico-cinematografica ci aiuterà alla comprensione
e alla conoscenza del contesto culturale, politico ed economico in cui crebbero i padri
del documentario così come oggi lo conosciamo ma soprattutto il contesto in cui crebbe
e lanciò le proprie ambizioni Robert Flaherty.
5
Ivi, pag. 303