Sulle leggi di resistenza delle colate detritiche Capitolo 1
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Capitolo 1
Fenomenologia dei debris flows
1.1 - Aspetti generali
I debris flows o colate detritiche sono fenomeni naturali di trasporto; si tratta di
miscele di acqua e materiale detritico che si muovono ad elevata velocità e hanno
grande potere distruttivo. Le singole particelle solide dell’ammasso si muovono le
une rispetto alle altre più o meno velocemente a seconda del contenuto di acqua
della colata e della loro granulometria.
I debris flows contengono una elevata percentuale di frazioni grossolane e un
contenuto di acqua che può superare il 50%; se invece la componente solida è
costituita da sabbia e/o limo e/o argilla per oltre il 50% si parla di mud flows o colate
di fango.
Le colate detritiche si innescano di solito in aree prive di vegetazione, in seguito allo
slittamento su un fondo fisso di depositi detritici posti sui versanti montuosi. Questo
slittamento è in genere prodotto dall’infiltrazione nel terreno di grossi quantitativi
d’acqua che hanno origine da piogge intense e che causano la rottura dell’equilibrio
raggiunto nel tempo dal pendio. I detriti si muovono verso valle seguendo impluvi
naturali ed, eventualmente, arricchendosi man mano lungo il percorso se incontrano
materiale non coesivo. La colata può trasportare anche blocchi di notevoli
dimensioni.
A seconda della morfologia dei versanti e delle aste torrentizie, la colata può
interessare anche tratti di diversi chilometri.
Dal punto di vista idraulico una definizione di debris flow comunemente accettata è
quella proposta da Takahashi [1980]: "un debris flow è una miscela di sedimenti di
varia granulometria; i blocchi di roccia più grandi si accumulano e rotolano lungo il
pendio creando un fronte, alle spalle del quale seguono i detriti più fini e fluidificati".
La viscosità e la densità dell'ammasso sono le caratteristiche che permettono di
distinguere i debris flow. Sempre secondo Takahashi, per essere classificata come
debris flow, una colata deve avere un peso specifico pari a circa il doppio di quello
dell'acqua (a 15°C il peso specifico dell'acqua è γ
W
=9806 N/m
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) e una viscosità
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sensibilmente superiore a quella dell'acqua (a 20°C la viscosità dinamica dell'acqua
è µ = 1,00⋅10
-3
Ns/m
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).
Rilievi sperimentali eseguiti negli ultimi decenni in Giappone (Cina e Giappone sono
paesi particolarmente colpiti da questi fenomeni; qui le colate detritiche sono oggetto
di studi approfonditi già dagli anni '60) hanno evidenziato alcuni valori tipici
caratterizzanti i debris flows: si innescano usualmente in tratti con pendenze di fondo
superiori al 27%, lo spessore della colata è generalmente inferiore ai 2 metri; la
velocità è variabile a seconda della pendenza del letto, della granulometria del
materiale e dello spessore della colata: può raggiungere anche i 40 m/s, se il
materiale è di granulometria fine.
Affinché si verifichi un debris flow occorre la concomitanza di a) disponibilità di
materiale detritico movimentabile, b) disponibilità di una corrente fluviale capace di
movimentarlo, c) pendenza sufficiente.
I sedimenti possono derivare dalla presenza di uno spesso strato detritico depositato
da eventi precedenti o dal cedimento (per tracimazione e/o erosione del paramento
di valle e/o sifonamento) di una diga naturale formatasi in seguito ad una frana.
1.2 - Le diverse tipologie di debris flow
Le proprietà meccaniche dei debris flows dipendono fortemente dalla concentrazione
e dalla composizione del materiale solido trasportato. Di seguito è riportata una
breve descrizione delle classificazioni proposte da alcuni autori:
Tabella 1.1 – Classificazione dei debris flow
AUTORE CRITERIO DI CLASSIFICAZIONE CLASSIFICAZIONE
1) Du et al.[1986] in base alla composizione dei
materiali solidi
• mud flows
• mud-rock flows
• water-rock flows
2 ) Takahashi [1991] in base al regime di moto
• debris flow macroviscosi
• stony debris flow
• debris flow immaturi
• turbulent mud flow
3) Wan e Wang
[1994]
in base alla densità della miscela
acqua/detriti
• debris flow viscosi
• debris flow subviscosi
• debris flow non viscosi
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1) Du et al.[1986] propongono una classificazione in base alla composizione dei
materiali solidi, distinguendo tra mud flows, mud-rock flows e water-rock flows.
Nei mud flows la sabbia e l'argilla rappresentano i principali componenti della fase
solida, con presenza di argilla superiore al 15%; il comportamento della miscela è
quello di un fluido non newtoniano e spesso si propaga con flusso intermittente. Il
mud-rock flow è formato da fango e pietre; le dimensioni delle particelle solide
vanno dall’argilla fine con diametro minore di 0,001 mm a blocchi di roccia con
diametri maggiori di 10 cm; l'argilla costituisce il 3-5% della fase solida totale e la
sua struttura flocculenta influenza le proprietà dinamiche e la capacità di trasporto
della miscela. Nei water-rock flows la fase solida è principalmente costituita da
sabbia grossolana, ciottoli e blocchi di roccia.
2) Takahashi [1991] ha individuato diverse categorie di debris flow, differenziando
innanzi tutto tra colate detritiche viscose e colate detritiche inerziali; queste ultime
sono state ulteriormente suddivise in colate pietrose, immature, fangose e ibride.
I debris flow viscosi (in letteratura spesso indicate anche come macroviscosi)
sono caratterizzati dalla laminarità del moto, e il fluido interstiziale può essere
sola acqua (in questo caso il regime macroviscoso si verifica quando la
concentrazione dei sedimenti nella corrente è superiore al 55%) oppure acqua
con una grande quantità di argilla in sospensione (in questo caso si può avere
regime macroviscoso anche per concentrazioni granulari inferiori). Negli stony
debris flow il sedimento risulta distribuito su tutta la profondità della corrente.
L'alta concentrazione di sedimenti, almeno pari al 20%, consente contatti tra le
particelle solide; gli sforzi interni originati dagli urti e sfregamenti, sono in grado di
mantenere sospesi i granuli solidi fino alla superficie libera. La turbolenza del
fluido contenuto negli interstizi, pur limitata dall'esiguo spazio disponibile
rappresentato dalla distanza tra i granuli, è sufficiente a tenere sospese le
particelle di granulometria più fine, che vanno così a costituire con l'acqua un
fluido interstiziale di densità maggiore di quella dell'acqua. Lo sforzo tangenziale
principalmente dovuto ai contatti fra i granuli. Nei debris flow immaturi il
sedimento è concentrato prevalentemente nello strato inferiore della corrente ed
è sovrastato da acqua che può contenere qualche particella in sospensione.
Anche in questo caso gli sforzi tangenziali all'origine della resistenza al moto sono
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principalmente dovuti agli urti fra i granuli. Nei turbulent mud flow lo sforzo
tangenziale turbolento del fluido interstiziale è in grado di mantenere in
movimento il sedimento avente diametro rappresentativo fino a qualche decina di
millimetri. La corrente evidenzia grossi vortici che indicano la presenza di
turbolenza a larga scala.
3) Wan e Wang [1994] propongono una classificazione simile a quella di Takahashi,
basata sulla densità della miscela acqua/detriti: debris flows viscosi, subviscosi e
non viscosi. I debris flows viscosi sono caratterizzati da un elevato valore dello
sforzo tangenziale di soglia τ
c
(parametro che verrà meglio specificato più avanti
parlando dei fluidi non newtoniani alla Bingham), si muovono in regime laminare e
spesso procedono in maniera intermittente. I debris flows subviscosi
rappresentano uno stato di transizione tra debris flow viscosi e debris flow non
viscosi, hanno basso valore della τ
c
e il flusso è continuo e turbolento. Infine i
debris flows non viscosi sono newtoniani ed altamente turbolenti.
Secondo i due autori, riferendosi ai dati raccolti sui debris flow verificatisi nel
canale Jiangjia (situato nella provincia cinese dello Yunnan) negli ultimi decenni,
un debris flow si manifesta in genere durante o dopo un violento e intenso evento
di pioggia e, tipicamente, inizia con il sorgere di un torrentello. In seguito la
corrente provoca erosione ed ha inizio il trasporto solido. La viscosità della colata
cresce nel tempo per l'aumento della concentrazione di solidi trasportati,
raggiunge valori massimi e poi inizia a diminuire in seguito al deposito dei
sedimenti. Ad esempio, i dati registrati da Kang durante una colata verificatasi
nel 1985 nel medesimo canale Jiangjia (citato su Wang Wnag, 1994) mostrano
come la concentrazione dei solidi trasportati dal torrentello iniziale è cresciuta nel
tempo ed il flusso è evoluto in un debris flow non viscoso, nell’arco di 20 minuti
dall'inizio del fenomeno. Dopo pochi minuti, il fluido è diventato subviscoso. Il
processo è culminato in debris flow viscoso a flusso intermittente, sviluppando
una serie di onde di debris flow (roll waves) che si sono propagate verso valle con
velocità fino a 8 m/s. Questa fase è durata 2-3 ore, con la formazione di 80-100
onde, la cui densità raggiungeva 1.900 - 2.300 kg/m
3
.
Sulle leggi di resistenza delle colate detritiche Conclusioni
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Conclusioni
Nonostante il fenomeno delle colate detritiche sia notissimo in ambito scientifico già
da alcuni anni, da questa dissertazione sullo stato dell'arte è emerso quanto ancora
si sia lontani da una conoscenza completa di tutti gli aspetti legati al fenomeno
"debris flow".
Innanzi tutto c'è grande incertezza sulla definizione di una legge reologica adeguata
a questo tipo di colata che, in quanto eterogenea e multifase, è molto complicata da
modellare. Benché, come ricordano anche Wan e Wang (1994), equazioni
reologiche con tre o più parametri consentano maggiore precisione e adattabilità (ma
sono anche più difficili da tarare!), per semplificare la trattazione quasi tutti gli autori
propongono modelli basati su legge reologica alla Bingham (un parametro) o
esponenziale (Herhel-Bulkley, due parametri). Questa approssimazione permette di
ottenere equazioni facili da manipolare, ma quanto distano dalla realtà i risultati così
ottenuti? In aggiunta all'approssimazione introdotta sulla legge reologica, molti
esperimenti vengono condotti su apparati sperimentali spesso di dimensioni troppo
ridotte (come Takahashi e Coussot) per consentire osservazioni precise e per potere
affermare con sicurezza che il comportamento a scala reale si possa ottenere dalla
semplice moltiplicazione dei dati del modello per i fattori di scala.
Qualcosa di più si sa sulle condizioni di innesco, per le quali Takahashi ha fornito
delle relazioni (vedere paragrafo 4.4.1) per determinare le pendenze critiche, ormai
riconosciute e adottate da tutti gli addetti ai lavori.
La maggiore incertezza nell'ambito delle colate detritiche è certamente legata alla
modellazione del moto di un fluido eterogeneo multifase (urti tra le particelle, azioni
quasi statiche che nascono in seguito a contatti prolungati tra i granuli, scambi di
quantità di moto legati al trasferimento delle particelle in strati caratterizzati da
velocità diverse, azioni idrodinamiche esercitate dal fluido sulle particelle) e alla
definizione di una legge di resistenza al moto. La scelta qui effettuata di seguire
l'approccio alla Fread è dettata dal fatto che è parsa quella più vicina alle condizioni
di moto riscontrate nella realtà, ma non è detto che sia la scelta corretta.
L'esperienza di laboratorio di cui sono stati presentati il modello numerico (schema di
Sulle leggi di resistenza delle colate detritiche Conclusioni
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McCormack, Capitolo 4) ed il modello fisico (Capitolo 5) potranno fornire nuovi dati
per confermare o smentire la validità di questo approccio.
Non bisogna infine dimenticare la forza di impatto delle colate detritiche sulle
strutture di regimazione e di protezione dei centri abitati. Anche su questo aspetto,
benché numerosi siano gli studi effettuati, non è ancora stata definita alcuna legge di
validità universale. E' un argomento molto importante, in quanto da una conoscenza
il più possibile precisa dell'entità di queste (notevoli, vedere Capitolo 1) forze di
impatto dipende il corretto dimensionamento delle opere civili.
In Italia esistono tutte le premesse per giustificare studi ed approfondimenti specifici,
visto e considerato quanto numerose siano le singole zone (abitate) a rischio, le quali
puntualmente a ogni primavera (stagione che da alcuni anni a questa parte è
caratterizzata da veri e propri nubifragi che colpiscono il territorio dopo prolungati
periodi di siccità) subiscono le conseguenze di estese colate detritiche. E' opportuno
domandarsi perché la frequenza di questi eventi disastrosi non venga presa nella
dovuta considerazione, perché le preoccupazioni degli studiosi siano presenti solo
sulle riviste, e per quale motivo non viene utilizzato in modo ottimale il nostro
patrimonio comune costituito dai dati storici, dalla ricerca e dalle professionalità. C’è
da chiedersi, se gli ingegneri non abbiano un ruolo attivo in quest'ultima mancanza e
se ciò dia ad essi non solo delle responsabilità morali ma, in alcuni casi, anche una
responsabilità oggettiva. Infatti anche alla gente comune appare assurdo che dei
tecnici abbiano permesso o contribuito alla realizzazione di molteplici opere, alcune
abusive, in aree considerate palesemente a rischio non solo per questo evento
eccezionale ma anche per gli altri più frequenti.
Il ruolo degli ingegneri, tra i quali finalmente può annoverarsi anche chi scrive, è
quello di cerniera tra il mondo accademico ed i vari enti: tale ruolo è alla base della
funzione sociale del tecnico in un paese civile. L'importante è non applicare
meccanicamente, con "il paraocchi", le spesso complesse analisi teoriche che ci
sono state insegnate all'Università, ma affidarsi anche al semplice e sempre valido
buon senso.